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La tutela delle attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale

Nel documento Le attività strategiche chiave (pagine 30-35)

Le attività strategiche chiave in Italia

2.2 La tutela delle attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale

Una delle maggiori novità della nuova normativa, anche rispetto alle analoghe legislazioni dei paesi europei che ne sono dotati, è la non limitazione dei controlli sugli investimenti a quelli esteri, ma a tutti. Sul piano giuridico questa impostazione ha consentito di evitare discriminazioni nei confronti degli investitori europei rispetto a quelli nazionali.

Conseguentemente si ritiene che il sistema italiano sia perfettamente compatibile col Trattato europeo. La scelta di focalizzare l’attenzione sull’investimento e non sulla sua nazionalità ha due conseguenze importanti:

1. Anche gli investitori extra-europei sono posti formalmente sullo stesso piano degli altri;

2. Aumenta significativamente l’attività di controllo da svolgere (anche se, come si vedrà, sono esclusi gli investimenti infragruppo).

15 Control, Communications, Computers, and Intelligence.

Una seconda novità è l’indicazione di una scala di priorità per un eventuale intervento governativo, dove al primo posto vi è l’approvazione condizionata e, all’ultimo, il rifiuto.

L’opposizione all’acquisto è, quindi, residuale ed indicata come extrema ratio se gli interventi esclusivamente limitativi della libertà di impresa risultassero inadeguati. In ogni caso l’intervento governativo resta “opzionale” e non obbligatorio. Nel caso di operazioni che riguardino imprese che svolgano “attività strategiche per il sistema di difesa e sicurezza nazionale”, l'Esecutivo potrà:

1. Imporre specifiche condizioni all'acquisto di partecipazioni al fine di tutelare la sicurezza degli approvvigionamenti, la sicurezza delle informazioni, i trasferimenti tecnologici, il controllo delle esportazioni;

2. Porre il veto all'adozione di delibere dell’assemblea o degli organi di amministrazione di un’impresa, relative ad operazioni straordinarie o di particolare rilevanza (fusione o scissione della società, trasferimento dell’azienda o di rami di essa o di società controllate, trasferimento all’estero della sede sociale, mutamento dell’oggetto sociale, scioglimento della società, modifiche di clausole statutarie di particolare rilevanza in materia di proprietà, cessione di diritti reali o di utilizzo relative a beni materiali o immateriali o l’assunzione di vincoli che ne condizionino l’impiego);

3. Opporsi all'acquisto di partecipazioni da parte di un soggetto diverso dallo Stato italiano, da enti pubblici italiani o soggetti da questi controllati, qualora l'acquirente arrivi a detenere un livello della partecipazione al capitale con diritto di voto in grado di compromettere nel caso specifico gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale.

Va, però, sottolineato che lo svolgimento di un’attività strategica o di un’attività strategica chiave non comporta automaticamente un intervento del Governo: è, infatti, possibile solo

“in caso di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale” (art. 1, comma 1). Tale requisito è ribadito in seguito come premessa per ogni eventuale intervento: “Al fine di valutare la minaccia di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale” (art. 1, commi 2 e 3). La normativa italiana riprende sostanzialmente il principio alla base dell’art. 346 del TFUE che consente agli Stati membri di derogare dal Trattato nel caso in cui si ritengano coinvolti “gli interessi essenziali della propria sicurezza”. Ma, come la giurisprudenza europea ha

ripetutamente sottolineato, questo può avvenire solo con una valutazione caso per caso che individui delle specifiche motivazioni per l’invocazione di tale deroga.

La legge prevede che la responsabilità di proporre le misure da adottare faccia capo al Ministero dell’Economia e delle Finanze nel caso di “società partecipate, direttamente o indirettamente” (art. 1, comma 6). Considerando l’industria italiana della difesa, emerge che di fatto questa attribuzione riguardi la quasi totalità delle imprese, con l’eccezione dell’Iveco del gruppo Fiat Industrial (più alcune Piccole e Medie Imprese, PMI), del gruppo Beretta e delle consociate italiane di gruppi industriali esteri. Si è, quindi, privilegiato l’elemento “proprietà” rispetto a quello “settoriale”, in una logica che in qualche modo riporta a quella delle “partecipazioni statali” più che a quella della politica industriale o specificatamente della politica industriale della difesa. Nel primo caso la competenza avrebbe dovuto essere attribuita al Ministero dello Sviluppo Economico, nel secondo al Ministero della Difesa. Più grave è, invece, la mancata indicazione dell’Amministrazione responsabile per le società completamente private, soprattutto nella prospettiva di una futura riduzione della presenza statale. In tutti i casi è evidente che solo un forte impegno della Difesa potrà consentire di disporre tempestivamente di tutte le informazioni necessarie e anche di una base importante per le valutazioni di merito da parte del Governo.

Nella fase transitoria la responsabilità per le imprese completamente private è attribuita al Ministero della Difesa o dell’Interno. In questa direzione alcune ulteriori indicazioni procedurali sono state inserite nel regolamento relativo all’art. 1, comma 1, precisando che l’organo competente del Ministero della Difesa è il Segretariato Generale della Difesa/Direzione Nazionale degli Armamenti.

La soluzione definitiva dovrà venire dall’emanazione del regolamento di attuazione (art. 1, comma 8) su proposta del Ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto con i Ministri degli Affari Esteri, dell’Interno, della Difesa e dello Sviluppo Economico, “previo parere delle Commissioni parlamentari competenti”. Questa soluzione è evidentemente il risultato di un compromesso fra i diversi Ministri e Amministrazioni interessate: non si vede, infatti, perché, avendo la legge ripetutamente indicato la Presidenza e il Presidente del Consiglio dei Ministri come soggetto preposto al coordinamento di ogni decisione governativa e interlocutore degli investitori, la responsabilità di questo regolamento sia stata assegnata al Ministro dell’Economia e delle Finanze. La sua Amministrazione, per

inciso, è quella che nella fase di transizione svolge il ruolo più importante, spettando ad essa “le competenze inerenti alle proposte per l’esercizio dei poteri speciali”, e, quindi, meno interessata ad una diversa impostazione.

Anche il richiesto parere delle Commissioni parlamentari competenti può suscitare qualche perplessità. Trattandosi di un regolamento di attuazione di una legge molto articolata che definisce ruoli, poteri e competenze, si dovrebbe trattare di un testo prevalentemente procedurale su cui non è chiaro quale contributo potrebbe venire dal Parlamento. Anche in questo caso il problema è caso mai quello di controllare e valutare l’operato del Governo, ma questa è evidentemente un’attività successiva. Il preventivo coinvolgimento parlamentare su queste scelte procedurali e organizzative dovrebbe, da questo punto di vista, essere evitato nello stesso interesse del Parlamento, proprio per non limitare la sua libertà di valutazione nei confronti di Governo e Amministrazioni interessate.

La normativa italiana ha cercato di mitigare gli effetti del controllo degli investimenti sul processo di ristrutturazione e razionalizzazione dei gruppi industriali volto a garantire loro una maggiore efficienza e competitività. La legge ha, quindi, escluso dal campo di applicazione le operazioni infragruppo (art. 1, comma 1-bis) demandandone la definizione ai decreti di cui all’art. 1. Il relativo regolamento (art. 2, comma 1) precisa che queste esclusioni per le “tipologie di atti e operazioni posti in essere all’interno di un medesimo gruppo” comportano comunque gli obblighi di “notifica e comunicazione” e che (art. 2, comma 2) “non si applicano in presenza di elementi informativi circa la minaccia di un grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale”. In questo modo si è cercato di conciliare l’esigenza primaria di non interferire con la vita operativa dei gruppi industriali con quella di tutelare comunque gli interessi nazionali, raccogliendo le informazioni necessarie e riservandosi lo Stato, in casi di estrema necessità, la possibilità di intervenire.

In realtà questa esclusione presenta un margine di incertezza nella definizione di “gruppo”.

Se si considera la frequente e ramificata articolazione dell’industria della difesa a livello sia italiano sia europeo, c’è il rischio che molte operazioni possano comportare un più difficile intervento governativo. In ogni caso l’obbligo di informazione potrà consentire una valutazione caso per caso sull’opportunità/necessità di tale intervento e sulle sue basi giuridiche.

Nella stessa logica di compromesso fra esigenze di mercato e di tutela dell’interesse nazionale si sono quantificati i tempi delle procedure (art. 1, comma 5):

1. L’acquisto di una partecipazione in imprese che svolgono attività di rilevanza strategica deve avvenire entro dieci giorni;

2. L’imposizione di specifiche condizioni o di opporsi all’acquisto deve essere esercitato entro quindici giorni dalla notifica;

3. Se sono richieste ulteriori informazioni all’acquirente, queste devono essere prodotte entro dieci giorni e nel frattempo il termine per l’eventuale decisione governativa è sospeso per una sola volta; eventuali successive richieste di informazioni non sospendono i termini.

Non è chiaro se i giorni indicati vadano considerati come solari o lavorativi, ma in ogni caso si tratta di periodi molto brevi. Ci si può domandare se saranno sufficienti per un esame approfondito delle implicazioni del cambio di proprietà di imprese che svolgono attività strategiche. Molto dipenderà dalle capacità di monitorare le capacità tecnologiche e industriali da parte della Difesa, l’Amministrazione più interessata e attrezzata per questo compito. Se si riuscirà ad avere e mantenere sistematicamente il quadro dell’industria italiana con tutte le informazioni necessarie (attività, contratti, finanziamenti, tecnologie, ricerche, esportazioni, importazioni, collaborazioni, dati economici, posizionamento sul mercato, competitori, etc.), un’eventuale valutazione potrebbe essere fatta entro i termini.

Questo presuppone, però, che:

1. L’attuale Registro Nazionale delle Imprese, istituito presso la Segreteria Generale della Difesa/Direzione Nazionale degli Armamenti, cessi di essere limitato agli

“esportatori” e comprenda, invece, i “produttori” nel campo della difesa e della sicurezza;

2. Le imprese interessate siano ricollegate alle attività di rilevanza strategica e alle attività strategiche chiave (altrimenti rischia di essere dubbio, per lo meno in alcuni casi, la loro inclusione nell’area di applicazione della legge sui poteri speciali);

3. La struttura sia potenziata con l’acquisizione di capacità di valutazione delle informazioni, la qualificazione del personale e l’informatizzazione di tutte le procedure per la raccolta e la gestione dei dati; in questo quadro andrebbe anche semplificata la regolamentazione delle attività svolte;

4. le informazioni richieste alle imprese siano molto più articolate e puntualmente aggiornate, privilegiando il monitoraggio a livello tecnologico e industriale su quello amministrativo e giuridico.

Un’ultima riflessione riguarda la diffusa consuetudine europea a localizzare in paesi che presentano minori costi amministrativi e procedure semplificate la sede delle società che controllano le joint-ventures o le imprese transnazionali. In questi casi i cambi di proprietà potrebbero riguardare la società controllante l’impresa italiana o, addirittura, risalire al livello superiore. Trattandosi di società estere e di cambiamenti indiretti dell’assetto proprietario, la legge italiana potrebbe risultare di difficile applicazione. E, d’altra parte, non vi è al momento una specifica normativa europea a riguardo e, anzi, numerosi Stati membri non dispongono nemmeno di una normativa nazionale.

Nel documento Le attività strategiche chiave (pagine 30-35)