3. Quale scuola per il nuovo millennio?
3.1. Venti di rinnovamento del sistema scolastico pubblico: tra utopia e innovazione
La scuola del nuovo millennio affonda le proprie radici nelle politiche educative e formative promosse a livello governativo alla fine del secolo scorso. Dalla pubblicazione delle norme sull’autonomia scolastica, varate alla fine degli anni Novanta, fino ad oggi si sono succedute diverse stagioni politiche e diversi Ministri dell’istruzione, che hanno trasformato in modo significativo l’assetto sistemico e ordinamentale della scuola, spesso non senza contraddizioni. La scuola italiana di oggi in sostanza risente forte- mente delle indicazioni fornite dall’Unione Europea, ma anche delle recenti politiche nazionali che hanno cercato di affrontare le emergenze educative e le istanze sociali connesse all’istruzione in modi diversi. Il profilo istituzio- nale della scuola di oggi pertanto non può prescindere dall’analizzare i provvedimenti e le scelte politico-ministeriali che hanno disegnato la fisio- nomia e la struttura della scuola negli ultimi decenni. A tal riguardo abbia- mo deciso di far iniziare questa nostra disamina a partire dal Ministero gui- dato dall’onorevole Luigi Berlinguer, proprio perché coincidente con il pe- riodo autonomista, da cui prende avvio l’organizzazione del nostro sistema d’istruzione per come lo conosciamo oggi.
Luigi Berlinguer è stato Ministro della Pubblica Istruzione, assumendo ad interim anche la guida del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, dal 1996 al 1998 con il primo governo Prodi e, con i successivi governi fino al 2000, per il solo Ministero della Pubblica Istruzione. Il suo operato viene ricordato per aver introdotto numerose in- novazioni, tutte caratterizzate dall’adeguamento alle nuove esigenze di una società in rapida trasformazione, all’interno di un quadro sovranazionale di più ampio respiro come quello europeo. Fu lo stesso Ministro a definire la strategia di governo delle innovazioni per il sistema scolastico con la parola «mosaico», ritenendo impossibile emanare una legge generale133. In questa
sede non sarà possibile esaminare tutte le iniziative promosse dal Ministro Berlinguer, ma ci soffermeremo soprattutto su quelle di maggiore rilievo e che hanno inciso anche per gli anni a venire.
«Troppo immobilismo strategico della politica, negli ultimi decenni, aveva prodotto una realtà scolastica con molte sfaccettature, nel complesso un sistema vecchio, la cui impostazione strutturale era superata e datata»134:
queste sono le parole usate dallo stesso Ministro per far comprendere me-
133 R. Iosa, Fare la scuola dei nuovi cicli, cit., p. 37.
glio e descrivere la realtà della scuola che aveva ereditato. Fu lo stesso Ber- linguer a cercare di dare una spiegazione il più plausibile possibile, quanto amara, a questo tipo di atteggiamento della politica nei confronti della scuola, sottolineando che «la ragione di questa frammentarietà e assenza di visione è che la scuola non è stata mai vissuta come una priorità»135.
Oltre a gestire tutta la prima fase dell’attuazione dell’autonomia scolasti- ca, di cui abbiamo precedentemente parlato, il Ministro Berlinguer emanò la Legge 10 dicembre 1997, n. 425 recante «Disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superio- re». L’intervento normativo, nato sulla spinta di una dichiarazione dello stes- so Ministro che voleva una maggiore serietà nell’espletamento di questo isti- tuto, modificò la composizione della commissione d’esame che risultò dover essere formata per metà da commissari interni e per metà da commissari esterni, con un presidente sempre esterno; vennero stabilite tre prove scritte e colloqui su tutte le discipline; venne tolto lo sbarramento dato dallo scrutinio d’ammissione, depotenziando però la terza prova che sarebbe dovuta essere la più oggettiva, in quanto strutturata e nazionale, attraverso l’affidamento di quest’ultima ai soli commissari interni; infine, introdusse un nuovo sistema di calcolo dei crediti scolastici136. Il 20 marzo 1998 il Ministro Berlinguer
presentò ufficialmente il documento su «I contenuti essenziali per la forma- zione di base». Il documento sviluppava la riflessione sulle conoscenze fon- damentali, definito dalla Commissione dei Saggi che aveva operato da gen- naio a maggio 1997 su incarico del Ministro e che vedeva come componenti Roberto Maragliano, Clotilde Pontecorvo, Giovanni Reale, Luisa Ribolzi, Silvano Tagliagambe e Mario Vegetti. Lo stesso Ministero si preoccupò di compiere una presentazione del documento e di aprire un’area di discussione, invitando le scuole a partecipare a una consultazione nazionale che si svolse dall’aprile al giugno 1998 sul modello che era stato utilizzato per la consulta- zione sul regolamento dell’autonomia.
Durante il suo mandato venne modificato anche l’obbligo scolastico con la Legge del 20 gennaio 1999, n. 9 recante il titolo «Disposizioni urgenti per l’elevamento dell’obbligo scolastico» e che attraverso i suoi soli due articoli portò da otto a 10 anni l’obbligo d’istruzione, preannunciando che l’obbligo formativo sarebbe stato portato fino ai diciotto anni di età, concludendo il proprio percorso o con il conseguimento di un diploma di scuola secondaria superiore o con una qualifica professionale. Fu con l’applicazione di questa
135 Ivi. p. 77.
136 Cfr. M.P.I., Disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di
legge che fecero il loro ingresso massiccio nella scuola secondaria di secondo grado anche gli alunni disabili, per l’integrazione dei quali fu prevista una specifica allocazione di risorse. Il percorso sull’obbligo formativo fu in se- guito dettagliato attraverso l’art. 68 della Legge n. 144/99137.
Ma l’atto normativo che ha avuto maggior risalto è stato la Legge 10 febbraio 2000, n. 30 «Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli dell’Istruzione». Detta legge, comunemente definita «Riforma Berlinguer», introduceva una serie di novità che non furono però mai sperimentate nella loro interezza. In particolare, anche se con la brevità necessaria in questo contesto, è comunque interessante sottolinearne alcuni aspetti, che ritenia- mo rilevanti. Dopo una parte dedicata alle finalità del sistema d’istruzione che non poteva che far riferimento ai dettami costituzionali, si definiva una diversa articolazione del sistema d’istruzione e formazione, che compren- deva al suo interno la scuola dell’infanzia, l’istruzione primaria e seconda- ria, la formazione professionale, la formazione superiore non universitaria, l’istruzione superiore universitaria e la formazione continua. Veniva poi ri- badito il concetto di diritto alla formazione fino al compimento del diciotte- simo anno di età e si definiva l’obbligo scolastico di durata decennale con la specifica ulteriore che descriveva la suddivisione interna tra la scuola di base, composta da un percorso educativo unitario di sette anni, e un succes- sivo triennio obbligatorio di scuola secondaria. Fu proprio a partire da que- sto nuovo assetto dell’obbligo scolastico che si aprirono infinite discussioni legate soprattutto alle varie geometrie che venivano disegnate in applica- zione del testo di riforma.
Sicuramente si sarebbe dovuta gestire quella che comunemente veniva definita «l’onda anomala» delle iscrizioni che si sarebbe determinata a se- guito dell’abbreviazione, di fatto, di un anno del percorso scolastico che vedeva un tempo cinque anni di scuola elementare e tre di scuola media e che adesso sarebbe dovuto diventare di sette anni. Inizialmente il legislatore aveva pensato di fissare l’obbligo scolastico a partire dall’ultimo anno della scuola dell’infanzia, sulla cui possibilità, secondo i dati forniti dall’indagine IARD del 2000, i docenti intervistati sarebbero stati favorevoli con una per- centuale dal 60% fino all’87%, in base all’ordine di scuola d’appartenen- za138, ma questa ipotesi decadde e ci si limitò a garantire la generalizzazio-
ne, senza renderla obbligatoria, di questo segmento scolastico. Molte resi-
137 Cfr. A. Santoni Rugiu, Maestre e maestri. La difficile storia degli insegnanti elemen-
tari, cit., pp. 188-191.
138 Cfr. A. Cavalli, Orientamenti verso la politica scolastica, in Id. (a cura di), Gli inse-
stenze venivano dai più conservatori, soprattutto tra i docenti della scuola media e superiore, che difficilmente avrebbero accettato di lavorare con bambini più piccoli e con colleghi provenienti dalla scuola elementare. Non a caso, infatti, ancora secondo i dati forniti dall’indagine IARD già citata, solo il 40% dei docenti di scuola secondaria di primo e secondo grado era- no favorevoli al nuovo impianto della scuola di base, a fronte di un 56% di docenti della scuola elementare che invece ne apprezzavano il disegno in- novatore139.
L’assetto della nuova scuola di base aveva secondo gli intenti del Mini- stro lo scopo di offrire a ciascun alunno un percorso unitario, senza cesure, che avrebbe dovuto favorire la costruzione autonoma di conoscenze e dell’identità personale attraverso l’idea di un curricolo continuo in vertica- le. Infatti, la scuola di base settennale non corrispondeva alla semplice somma della scuola elementare e della scuola media, bensì a un nuovo segmento scolastico con caratteristiche proprie e totalmente nuovo per la scuola italiana140. Inoltre, la riduzione di un anno della scuola di base non
era che un adeguamento ai parametri europei, rispettoso dei tempi evolutivi e sicuramente più agile, che avrebbe potuto mettere un argine al fenomeno della dispersione scolastica141.
Tra i molteplici provvedimenti di questo periodo ci sembra rilevante evidenziare che con l’art. 1, comma 70 della Legge del 23 dicembre 1996, n. 662, fu estesa a tutto il territorio nazionale la possibile costituzione di Istituti Comprensivi, i quali erano già presenti, fin dall’entrata in vigore della Legge del 31 gennaio 1994, n. 97, nelle sole zone montane del territo- rio nazionale. Questa nuova modalità organizzativa, oggi obbligatoria a se- guito delle nuove norme sul dimensionamento, ha incontrato positivamente vari aspetti della vita scolastica: questioni di carattere istituzionale come la riforma dei cicli; aspetti organizzativi connessi al pieno avvio dell’autono- mia scolastica; aspetti culturali legati alla ricerca avviata sui «saperi» e sui nuovi interessi per la verticalità del curricolo; aspetti professionali riferiti all’emergere di una maggiore articolazione della funzione docente142.
Il Ministro varò anche la Legge 10 marzo 2000, n. 62 recante «Norme
139 Cfr. Ibidem.
140 Cfr. G. Franceschini, Apprendere, insegnare, dirigere nella scuola riformata. Aspetti
metodologici e profili professionali, cit., pp. 197-199.
141 Cfr. C. Acciarini, A. Sasso, Prima di tutto la scuola, Melampo Editore, Milano, 2006, pp. 14-15.
142 Cfr. G. Cerini, M. Spinosi, La scuola in verticale. Istituti comprensivi e riordino dei
cicli. Storia, identità, esperienze, normativa. Guida alla progettazione formativa per la nuo- va scuola di base, Tecnodid, Napoli, 2000, p. 43.
per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione», accompagnata da molte polemiche legate alla possibile incompatibilità con il «senza oneri per lo stato» del testo della Costituzione.
Un ulteriore scossone, forse quello decisivo, alla popolarità del Ministro venne dal famoso «concorsone», che individuava le modalità di attuazione di quanto previsto all’art. 29 del contratto di categoria, finalizzato all’aumento stipendiale di un certo numero di insegnanti. Si registrò quella che potremmo definire una vera e propria sommossa della scuola che determinò «un clima di rivolta, a segnalare un evidente malessere degli insegnanti. Si accusò la categoria di chiusura corporativa, di incomprensione nei confronti delle ra- gioni della riforma»143. Di fatto la proposta in questione, pur rivedibile sul
piano prettamente organizzativo, era fin troppo innovativa per i tempi in cui venne proposta e trovò un corpo docente completamente impreparato e inca- pace di accettare qualsiasi forma di premialità connessa al merito.
Con la sconfitta delle elezioni regionali del 2000 ci fu un rimpasto di governo con cui furono rimossi gli unici due Ministri che avevano, tra le altre cose, iniziato percorsi epocali di riforma: il Ministro della Pubblica Istruzione Berlinguer che aveva tentato di riformare la scuola con un dise- gno unitario e il Ministro della Sanità Rosy Bindi che aveva cercato di ri- formare complessivamente il sistema sanitario nazionale, così Tullio De Mauro, si trovò ad ereditare il dicastero della Pubblica Istruzione dal 25 aprile 2000 all’11 giugno 2001. Il suo incarico, seppur di breve durata, va ricordato per l’emanazione delle prime Indicazioni144, di fatto mai entrate in
vigore, che segnarono la prima vera attuazione di quanto previsto dall’art. 8 del D.P.R. n. 275/1999 in materia di curricolo per competenze.