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La rilevanza della volontà delle parti nelle obbligazioni contrattuali

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Indice

Introduzione……….pag.7

Capitolo I

Dalla Convenzione di Roma del 1980 al Regolamento

“Roma I” sulla legge applicabile alle obbligazioni

contrattuali.

1.1 Le origini della Convenzione di Roma……….pag.9

1.2 I caratteri della Convenzione di Roma………...pag.11 1.3 Il “primato” del diritto comunitario sulla Convenzione e suoi rapporti con altre Convenzioni e con disposizioni statali successive………..pag.15

1.4 Verso una comunitarizzazione della Convenzione di Roma del 1980………..pag.18

1.5 Il Regolamento “Roma I”: considerazioni preliminari………...pag.22 1.6 La “nazionalizzazione” della disciplina comunitaria delle obbligazioni contrattuali: art. 57 L. 218/1995………..pag.24

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2

1.7 I rapporti tra Regolamento ed altri atti di diritto derivato……….pag.26

1.8 La ricerca della uniformità delle soluzioni ed il carattere universale del Regolamento “Roma I”………...pag.29 1.9 L’ambito di applicazione ratione materiae………pag.31

1.10 Le fattispecie escluse dall’ambito di applicazione del Regolamento……….pag.36

1.11 L’ambito di applicazione del Regolamento ratione loci……..pag.41

1.12 L’ambito di applicazione del Regolamento ratione temporis………pag.42

1.13 L’ambito di applicazione del Regolamento ed i sistemi giuridici non unificati……….pag.44

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3

Capitolo II

Il principio di autonomia della volontà nel regolamento

“Roma I”

2.1 La genesi dell’autonomia della volontà nel diritto internazionale privato………...pag.46 2.2 Funzione ed oggetto dell’autonomia della volontà nell’era della globalizzazione del contratto………pag.50

2.3 La scelta della lex contractus………..pag.55 2.4 Sul rilievo della scelta volta ad escludere l’applicazione di una determinata legge...pag.58 2.5 L’estensione della electio iuris: il fenomeno del dépeçage volontario………..pag.61

2.6 La mancata estensione della electio iuris ai sistemi normativi non statali……….pag.65 2.7 Ulteriori problematiche in caso di esercizio dell’autonomia privata: la scelta di un diritto abrogato e la “stabilizzazione della legge applicabile”………...pag.70

(4)

4

2.8 La scelta implicita della lex contractus………pag.73

2.9 Criteri di collegamento speciali per la disciplina di contratti conclusi da un contraente “debole”……….pag.80

2.10 Il momento della scelta della legge applicabile e la modifica della scelta……….pag.90

2.11 La legge regolatrice del negozio di scelta della legge applicabile……….pag.94

Capitolo III

I limiti rispetto all’esercizio dell’autonomia della

volontà delle parti.

3.1 La “doppia” dimensione della volontà delle parti e il doveroso controllo di meritevolezza………pag.100

3.2 Le modifiche apportate dal Regolamento Roma I con riferimento alla portata dei limiti all’autonomia privata………..pag.106

(5)

5

3.3 Il limite delle “norme imperative”………pag.108

3.4 Il limite dell’ordine pubblico………pag.116

3.5 Il limite delle norme di applicazione necessaria………...pag.121

Capitolo IV

Aspetti applicativi sull’esercizio dell’autonomia della

volontà delle parti.

4.1 Principio di autonomia delle parti ed imperatività del diritto dell’UE: osservazioni sul caso Ingmar………..pag.129

4.2 Efficacia della clausola di scelta della legge applicabile nei contratti di agenzia: caso Unamar……….pag.140

4.3 Legge applicabile ai contratti di lavoro che prevedono prestazioni da eseguirsi in più Stati: caso Navimer...pag.145

4.4 Riconoscimento di una scelta implicita delle parti: uno sguardo alla giurisprudenza italiana………pag.150

(6)

6

Conclusioni

...pag.154

Bibliografia………...pag.157

Indice delle sentenze……….pag.161

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7

Introduzione

La tesi ha ad oggetto lo studio del ruolo della volontà delle parti nella scelta della legge applicabile alle obbligazioni contrattuali nel Regolamento 593/2008, c.d. “Roma I”.

Nella prima parte dell’elaborato, per consentire di contestualizzare la materia delle obbligazioni contrattuali, vengono messe in luce le ragioni e le varie fasi che hanno portato ad una “comunitarizzazione” della Convenzione di Roma del 1980, attraverso l’adozione del predetto Regolamento “Roma I” sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, quale strumento uniformatore delle norme di conflitto degli Stati membri dell’UE in materia contrattuale.

Il Regolamento 593/2008, attribuisce all’autonomia delle parti la natura di “pietra angolare” del sistema delle regole di conflitto di leggi in materia di obbligazioni contrattuali. Verrà quindi analizzata la funzione e l’oggetto di tale principio in un contesto sempre più caratterizzato dalla globalizzazione del contratto, nonché lo spazio entro cui si esplica l’effettivo potere di scelta delle parti, le problematiche relative all’esercizio di tale potere ed i limiti ad esso previsti dallo stesso Regolamento, in quanto si tratta di una libertà non completamente

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indipendente dagli ordinamenti giuridici cui le parti appartengono, o in cui si trovano ad operare.

Nell’ultima parte del lavoro, le norme esaminate verranno lette alla luce dell’esame della prassi applicativa rilevante in materia. In particolare, attraverso l’analisi di alcune sentenze della Corte di Giustizia, verranno messe in evidenza diverse interpretazioni che la Corte ha dato, con riferimento ad aspetti diversi in materia di applicabilità della scelta di legge operata dalle parti e suoi limiti.

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9

Capitolo I

Dalla Convenzione di Roma del 1980 al Regolamento

“Roma I” sulla legge applicabile alle obbligazioni

contrattuali.

1.

1

Le origini della Convenzione di Roma

La Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, aperta alla firma a Roma il 19 giugno 1980 ed entrata in vigore il 1° aprile 1991, è stata adottata, da parte degli Stati membri della Comunità, al fine di realizzare un’opera di unificazione delle norme di diritto internazionale privato, in particolare in materia di contratti.

Si considerò che tale opera avrebbe potuto agevolare sotto diversi profili il buon funzionamento del mercato comune ed assicurare una maggiore certezza del diritto1.

1

L’uniformità delle norme di conflitto negli Stati membri comporta infatti che, quale che sia lo Stato membro di appartenenza del giudice adito, tale giudice applichi comunque la medesima legge (quella, appunto, individuata mediante le norme di diritto internazionale privato, aventi identico contenuto in tutti gli Stati membri).

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In secondo luogo, l’unificazione delle norme di diritto internazionale privato apparve utile per ridurre il fenomeno del c.d. forum shopping, cioè la scelta del paese in cui istaurare il processo relativo ad una certa controversia contrattuale in funzione delle norme di diritto internazionale privato ivi vigenti e, quindi, della legge applicabile al contratto se nel caso è più vantaggiosa. Regole di conflitto differenti in vigore nei diversi paesi possono portare all’applicazione di norme sostanziali diverse da parte dei singoli giudici nazionali2.

Il ricorso al forum shopping non sarebbe più determinato dalle prospettive di successo derivanti dalla legge applicabile dai giudici dell’uno e dell’altro Stato membro, qualora, grazie all’unificazione delle norme di conflitto, la legge applicabile dai giudici fosse la stessa.

L’elaborazione del progetto di unificazione delle norme di conflitto si svolse in seno ad un gruppo di lavoro formato da esperti governativi, i quali, nel marzo 1978, decisero di limitarsi a redigere un progetto di Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali3. Esso approvò il progetto di Convenzione nel febbraio 1979; tale progetto, trasmesso al Consiglio delle Comunità ed ai governi degli Stati membri, fu oggetto di un’ ulteriore “limatura” ad opera di un gruppo di lavoro

2 Tito Ballarino,” Diritto internazionale privato italiano” VII edizione, Cedam 2011, pag. 232. 3 Originariamente il gruppo di esperti si propose di concentrarsi sulla materia delle

obbligazioni contrattuali e non contrattuali, però, all’atto della redazione, rinviarono ad un momento successivo la materia delle obbligazioni non contrattuali.

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istituito dal Comitato dei rappresentanti permanenti (COREPER), per tenere conto delle osservazioni formulate dai governi. Gli ultimi problemi ancora aperti furono oggetto di negoziato in una sessione del Consiglio, a livello dei Ministri della giustizia, che si tenne a Roma il 19 giugno 1980 ed a conclusione della quale la Convenzione fu aperta alla firma degli Stati membri.

Alla Convenzione, pubblicata nella Gazzetta ufficiale delle Comunità

europee, L. 266 del 9 ottobre 1980, si accompagna, inoltre una Relazione

dei professori Giuliano e Lagarde, pubblicata nella Gazzetta ufficiale

delle Comunità europee, nell’ottobre del 19804.

L’Italia ha ratificato la Convenzione di Roma il 25 giugno 1985 a seguito della legge di autorizzazione del 18 dicembre 1984 n. 975.5

1.2 I caratteri della Convenzione di Roma

La Convenzione di Roma non può essere propriamente qualificata come una convenzione “comunitaria”, perché non inquadrabile nell’allora art. 220 del Trattato CEE, il quale disponeva:

4 Spesso si è detto che tale relazione appare come una sorta di “interpretazione

autentica”(anche se, ovviamente, in senso atecnico) della Convenzione.

5

Ugo Villani, La Convenzione di Roma sulla legge applicabile ai contratti, 2° edizione, Cacucci Editore, 2000. pag.5-7.

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“Gli Stati membri avvieranno fra loro, per quanto occorra, negoziati intesi a garantire, a favore dei loro cittadini:

— la tutela delle persone, come pure il godimento e la tutela dei diritti alle condizioni accordate da ciascuno Stato ai propri cittadini;

— l'eliminazione della doppia imposizione fiscale all'interno della Comunità; — il reciproco riconoscimento delle società a mente dell'articolo 48, comma secondo, il mantenimento della personalità giuridica in caso di trasferimento

della sede da un paese a un altro e la possibilità di fusione di società soggette a

legislazioni nazionali diverse;

— la semplificazione delle formalità cui sono sottoposti il reciproco riconoscimento e la reciproca esecuzione delle decisioni giudiziarie e delle

sentenze arbitrali”.6

Come può constatarsi, l’unificazione delle norme di diritto internazionale privato relative ai contratti non rientra fra le materie oggetto di possibili convenzioni ai sensi di tale disposizione e tale circostanza non è del tutto irrilevante; infatti, alla Convenzione non potrebbe riconoscersi una posizione di supremazia rispetto al diritto interno degli Stati parti7.

La validità della Convenzione, non è invece in alcun modo compromessa dall’estraneità della materia che ne forma oggetto rispetto all’art. 220 del

6 http://eur-lex.europa.eu/it/treaties/dat/12002E/pdf/12002E_IT.pdf Versione consolidata del

Trattato che istituisce la Comunità europea.

7

Si riconosce, invece, supremazia, rispetto al diritto degli Stati parti, a quelle convenzioni concluse nel quadro dell’art. 293, in quanto completamento del sistema giuridico comunitario.

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Trattato CEE. Le convenzioni concluse tra gli Stati membri dell’UE, trovano il loro fondamento giuridico nella norma di diritto internazionale generale pacta sunt servanda , non già nel’art. 220.

Un’ ulteriore conseguenza del carattere non propriamente “comunitario” della Convenzione, consiste nel fatto, che gli Stati membri, non avevano un obbligo de negotiando, tali Stati sono, infatti, addivenuti alla sua stipulazione in maniera del tutto libera.8

Una unificazione incompleta delle regole di conflitto relative alle obbligazioni contrattuali può derivare anche dalla facoltà, prevista dall’art. 22, di apporre delle riserve, pur se limitatamente a due specifiche disposizioni della stessa Convenzione. Il suddetto art. 22 dichiara:

“1. Ogni Stato contraente potrà, al momento della firma, della ratifica, dell’accettazione o dell’approvazione, riservarsi il diritto di non applicare: a) l’art. 7, par. 1;

b) l’art. 10, par. 1, lett. e). 2. (…).

8

In realtà, tale possibilità fu ampiamente criticata dalla Commissione, che in un parere del marzo del 1980, osservò che la possibilità che la convenzione non entrasse in vigore in tutti gli Stati membri, ed inoltre anche la facoltà di denuncia della stessa dopo dieci anni dalla sua entrata in vigore (ai sensi dell’art.30) rappresentano degli inconvenienti al raggiungimento degli obiettivi della comunità ed in particolare al buon funzionamento del mercato comune.

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3. Ogni Stato contraente potrà in ogni momento ritirare una riserva che avrà

fatto; l’effetto della riserva cesserà il primo giorno del terzo mese di calendario

dopo la notifica del ritiro”.9

Si tratta di una facoltà di cui alcuni Stati parti si sono effettivamente avvalsi.10 Ed anche questa possibilità di limitare l’unificazione delle norme di conflitto può in parte ostacolare il raggiungimento dell’obiettivo principale della Convenzione di Roma: garantire la certezza del diritto applicabile.

La facoltà di apporre riserve, rappresentò una via di compromesso tra le posizioni contrapposte degli Stati in merito al contenuto delle stesse disposizioni; il loro inserimento nella Convenzione fu subordinato, da taluni Stati, alla condizione che potessero essere oggetto di riserva.11 L’art. 2, occupandosi dei rapporti tra gli Stati parti e quelli estranei alla Convenzione di Roma, stabilisce il carattere “universale” della stessa Convenzione12. Essa si applica erga omnes, indipendentemente dalla condizione di parte dello Stato la cui legge sia applicabile, da ogni condizione di reciprocità fra tale Stato e quello del giudice, nonché da ogni condizione relativa alla cittadinanza, alla residenza o al domicilio,

9 GUUE, n. C 282 del 31/10/1980 pag. 0001 – 0050.

10 L’Italia, per esempio, al momento del deposito dello strumento di ratifica si è riservata il

diritto di non applicare l’art. 10 par. 1 lett e), ai sensi del quale la legge regolatrice del contratto si applica anche alle conseguenze della nullità del contratto ( oltre, Cap. VI, par. 3).

11 Ugo Villani, La Convenzione di Roma sulla legge applicabile ai contratti, cit., pag.9-12. 12

Citando l’art. 2: “La legge designata dalla presente Convenzione si applica anche se è la legge di uno Stato non contraente”.

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in uno Stato contraente, delle parti del contratto o della causa. Anche qualora uno Stato perdesse la sua qualità di parte13, ciò non comporterebbe l’inapplicabilità della sua legge (se designata dalla Convenzione), essendo irrilevante, a questo fine, la partecipazione alla Convenzione.

Lo scopo era quello di garantire una certezza del diritto applicabile14. “La presente convenzione è una legge uniforme del diritto internazionale privato che sostituirà, nelle materie da essa contemplate e fatte salve le altre convenzioni di cui gli Stati contraenti sono parti, le norme di diritto internazionale privato vigenti nei singoli Stati contraenti”.

1.3 Il “primato” del diritto comunitario sulla Convenzione e suoi rapporti con altre Convenzioni e con disposizioni statali successive.

Si riconosce alla Convenzione di Roma un carattere “cedevole” rispetto alle norme di conflitto contenute in atti comunitari o in leggi nazionali emanate in attuazione di atti comunitari. Ciò si evince dall’art. 20 della stessa Convenzione15. La Relazione Giuliano- Lagarde giustifica tale

13 Che potrebbe verificarsi per recesso, a seguito del proprio inadempimento, per mutamento

fondamentale delle circostanze o per qualsiasi altra causa.

14

Peter Kaye, “The new private international law of contract of the european community” , Dartmouth 1993, pag.143.

15 E’ opportuno riportare il testo dell’art. 20: “La presente Convenzione non pregiudica

l’applicazione delle disposizioni che, in materie particolari, regolano i conflitti di leggi nel campo delle obbligazioni contrattuali e che sono contenute in atti emanati o da emanarsi dalle

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disposizione, facendo riferimento alla necessità di assicurare, in caso di contrasto, la prevalenza del diritto comunitario, (rispetto ad un atto, la Convenzione, cui non si riconosce invece l’appartenenza al diritto comunitario). Per quanto concerne la prevalenza delle “legislazioni nazionali armonizzate in esecuzione di detti atti”, essa viene giustificata nella stessa Relazione, in quanto si afferma che: ”Il provvedimento legislativo o regolamentare adottato da uno Stato per adeguare il proprio ordinamento ad una direttiva mutua in un certo senso da quest’ultima il suo valore comunitario”16

.

In realtà, sembra, che la ratio sottesa all’intero art. 20 possa individuarsi nella “particolarità” delle materie oggetto delle disposizioni di conflitto emanate dalle istituzioni comunitarie; mentre la Convenzione di Roma contiene la disciplina internazionalprivatistica “generale” dei contratti, le disposizioni cui ha riguardo l’art. 20, riferendosi a “materie particolari”, siano destinate a regolare specifici tipi contrattuali.

Per quanto concerne i rapporti tra la Convenzione di Roma e le altre convenzioni, l’art. 21 dispone: “ La presente Convenzione non pregiudica l’applicazione delle convenzioni internazionali di cui uno Stato contraente è o sarà parte”; la Convenzione di Roma cede il passo a qualsiasi convenzione di cui siano parti Stati contraenti, siano esse istituzioni delle Comunità europee o nelle legislazioni nazionali armonizzate in esecuzione di detti atti”.

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convenzioni di diritto internazionale privato o di diritto uniforme materiale, relative in genere alla materia contrattuale o a specifici tipi contrattuali.17

La clausola di subordinazione contenuta nell’art. 21 della Convenzione di Roma, oltre ad incidere negativamente sul grado di effettiva unificazione del diritto internazionale privato dei contratti fra gli Stati parti, sottrae alla stessa Convenzione talune importanti materie, per le quali sia stata adottata una convenzione ad hoc.

Il rischio di pregiudizio all’unificazione delle norme di diritto internazionale privato sui contratti è confermato, sotto un diverso profilo, dalla derogabilità della Convenzione anche ad opera di norme di conflitto adottate da singoli Stati contraenti successivamente all’entrata in vigore della stessa Convenzione. Tale possibilità è ammessa, però, con alcune limitazioni, di carattere essenzialmente procedurale.18

17 La clausola di subordinazione dell’art. 21 comporta il rischio che l’opera di unificazione

delle norme di conflitto, realizzata con la Convenzione di Roma, venga parzialmente pregiudicata, in particolare, nell’ipotesi in cui le altre convenzioni siano in vigore solo tra alcuni Stati parti della Convenzione di Roma, qui gli Stati contraenti della sola Convenzione di Roma applicheranno quest’ultima; quelli che siano contraenti anche di un’altra convenzione applicheranno quest’altra convenzione. Peter Kaye, “The new private international law of

contract of the european community” , Dartmouth 1993, pag.37.

18

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1.4 Verso una comunitarizzazione della Convenzione di Roma del 1980.

A partire dall’ultimo decennio del secolo scorso, sono state registrate le novità apportate dai Trattati di riforma- Maastricht (1992), Amsterdam (1997), Nizza (2001) e Lisbona (2007) – quanto alla competenza dell’Unione, e la acquisita consapevolezza che entro l’Unione “non si potrà parlare di un autentico mercato interno, che prevede la libera circolazione delle merci, delle persone, dei beni e dei capitali, finchè non esisterà uno spazio comune di giustizia al cui interno ogni cittadino possa far valere i propri diritti in un altro Stato membro non meno che in quello in cui risiede”. E non è un caso se queste parole sono state scritte dalla Commissione nel “Libro verde sulla trasformazione in strumento comunitario della Convenzione di Roma del 1980 applicabile alle obbligazioni contrattuali e sul rinnovamento della medesima” presentato nel 2003. Un’ esigenza di revisione già si avvertì in occasione della Convenzione di adesione dell'Austria nel 199719, e fu ribadita, in seguito, nel piano d'azione di Vienna del Consiglio e della Commissione, adottato dal Consiglio nel 1998. In particolare, si fa riferimento alla necessità di garantire una protezione ai consumatori tale da rispondere ai dettami di un mercato evidentemente evoluto nelle sue tecniche di approccio e di

19

Nella cui relazione esplicativa fu sottoscritto un comune impegno degli Stati membri nel senso di un riesame di alcune disposizioni del testo originario.

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vendita del bene al consumatore, in linea con quanto recentemente previsto dalle direttive comunitarie del settore. Più in generale rileva l'esigenza di adattare la disciplina comunitaria alle dinamiche e alle logiche del commercio internazionale creando da un lato norme che lascino ai tribunali sostanziale libertà nel determinare la legge applicabile e dall'altro, norme rigide che non lascino spazio per adeguamenti di sorta. Questa sembra essere in sostanza la sfida del nuovo regolamento comunitario20.

Al Libro verde della Commissione fece, poi, seguito la proposta di Regolamento presentata dalla Commissione il 15 dicembre 2005, e il 17 giugno 2008, il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea hanno adottato il regolamento n. 593/2008 “Roma I”21.

L’idea di convertire la Convenzione in regolamento comunitario è controversa. Essa è stata criticata, tra l’altro, da alcuni studiosi francesi con una lettera aperta al presidente della loro repubblica, secondo cui l’art. 65 del Trattato CE, che conferisce alla Comunità soltanto la competenza ad emanare atti che “rendano compatibili” le disposizioni di conflitto degli Stati membri, ma non anche i regolamenti che le uniformino, non costituisce una base giuridica sufficiente per consentire

20

http://archivio.denaro.it/VisArticolo.aspx/VisArticolo.aspx?IdArt=492134&KeyW=vigileremo

21

Franco Mosconi-Cristina Campiglio, “Diritto internazionale privato e processuale”, V edizione, vol. 1°, Utet Giuridica 2011, Cit., pag. 372.

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questa conversione; ed inoltre, perché l’art. 65 del Trattato CE richiede che l’intervento della Comunità sia necessario per garantire il buon funzionamento del mercato interno, mentre il regolamento vuole applicarsi erga omnes e dunque anche a fattispecie che sono localizzate prevalentemente al di fuori della Comunità europea e sottoposte alle leggi di Stati non membri. A tale lettera è seguita una presa di posizione contraria, secondo cui l’art. 65 del Trattato CE, è una base giuridica sufficiente per la conversione della Convenzione in regolamento: anzitutto perché le direttive garantiscono agli Stati membri una libertà di trasposizione e pertanto una diversità di soluzioni incompatibile con l’obiettivo dell’intervento comunitario in materia, l’introduzione di una disciplina uniforme, che può essere invece raggiunto dal regolamento; ed inoltre, perché, anche le fattispecie localizzate prevalentemente fuori dalla Comunità europea possono interessare il suo mercato interno.

La conversione della Convenzione in regolamento presenta vari vantaggi:

 La Convenzione di Roma comporta la necessità per gli Stati membri di concludere e ratificare nuovi trattati di adesione ad essa con i Paesi che entrano, via via, a far parte dell’UE: il regolamento è invece, direttamente applicabile, ed entra in vigore

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in modo automatico in tutti gli Stati membri compresi i futuri Paesi europei;

 La Convenzione attribuisce, inoltre, ai Paesi contraenti la facoltà di apporre riserve ad alcune sue norme: il regolamento è invece obbligatorio in ogni suo elemento, esclude le riserve ed entra in vigore in modo uniforme nel territorio comunitario;

 La Convenzione non appartiene, almeno formalmente, al sistema comunitario: mentre il regolamento rientra nel sistema unitario di diritto internazionale privato comunitario.

Quando è stata concepita, nel 2003, la conversione della Convenzione in regolamento, si voleva poi raggiungere un ulteriore progresso: quello di consentire alla Corte di Giustizia di interpretarne le norme a richiesta dei giudici di ultima istanza (ex art. 68 Trattato CE), ciò che allora non le era ancora possibile, perché non erano entrati in vigore i protocolli di Bruxelles del 19 dicembre 1988, che conferiscono, invece, a qualunque giudice degli Stati parti, la facoltà di sottoporle quesiti pregiudiziali. In realtà i protocolli del 1988 sono entrati in vigore nel 2004, ma sono ora superati dalla trasformazione della Convenzione in regolamento comunitario. Quest’ultimo ha, tuttavia, come conseguenza paradossale di limitare l’intervento interpretativo della Corte UE alle richieste che le

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provengono dai giudici di ultima istanza ai sensi dell’allora art. 68 TCE22.

Soltanto con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che prevede l’abrogazione dell’art. 68, si attribuisce ai giudici di merito la competenza a sottoporre questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia23.

1.5 Il Regolamento “Roma I”: considerazioni preliminari.

Il Regolamento Roma I si propone di modificare, in alcune sue parti, la Convenzione di Roma, ed introdurre importanti novità nella regolamentazione dei contratti internazionali24 . Esso si propone, anzitutto, di uniformare le norme di conflitto degli Stati membri in materia contrattuale, non soltanto nelle relazioni intracomunitarie, ma anche in quelle che coinvolgono Stati terzi25, dando così risposta alle corrispondenti esigenze delle imprese26.

22 Questo limite è tuttavia criticabile perché la prassi dimostra che le questioni pregiudiziali

vengono solitamente presentate alla Corte dai giudici di primo o di secondo grado, ma non da quelli di ultima istanza, di conseguenza la conversione in esame riduce la possibilità di intervento interpretativo della Corte di Giustizia e ciò che doveva costituire un vantaggio della conversione diventa così un argomento ad essa contrario.

23 Benedetta Umbertazzi, “Il regolamento Roma I sulla legge applicabile alle obbligazioni

contrattuali”, Giuffrè, Milano 2008, pag. 10-12.

24 Esperanza Castellanos Ruiz, “El Reglamento “Roma I” sobre la ley aplicable a los contratos

internacionales y su aplicación por los tribunales españoles”, Editorial Comares, Granada

2009, pag.8.

25

In realtà la competenza comunitaria ad emanare norme di conflitto concernenti rapporti che coinvolgono Stati terzi è discussa e l’unificazione regionale è in parte anche criticabile perché può frenare l’attività di altre organizzazioni internazionali, quali la conferenza dell’Aja, UNCITRAL e UNIDROIT: e difatti, la difficoltà inerente all’elaborazione, all’interno dell’Unione europea, di norme comuni accettabili per tutti gli Stati membri riduce

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23

Il regolamento vuole poi garantire in tutta la Comunità la prevedibilità del diritto applicabile ai contratti, introducendo regole di conflitto che generalmente non attribuiscono discrezionalità al giudice, non gli consentono quindi soluzioni flessibili dei diversi casi concreti, ma sono formulate in modo rigido, per rendere certo ai contraenti quale sarà il diritto applicabile, a prescindere dal foro competente27, favorendo così l’uniformità delle decisioni, riducendo il forum shopping e contribuendo a realizzare il principio del mutuo riconoscimento delle decisioni in territorio UE.28

Il regolamento favorisce inoltre, in alcuni casi, l’applicazione della normativa UE rispetto a quella del diritto dei Paesi terzi, e tutela così i valori comunitari anche quando occorre applicare una legge di uno Stato terzo. In realtà, il favor per la normativa comunitaria a scapito di quella di Stati terzi rende il regolamento non neutrale, e questa sua caratteristica

inevitabilmente i margini per negoziare e concludere accordi di diritto uniforme con gli Sati terzi.

26 Le imprese hanno sempre avuto e nel momento attuale di globalizzazione crescente

dell’economia, avvertono ancor di più ,il bisogno di sottostare ad una normativa per quanto possibile uniforme in tutto il mondo.

27 E così il considerando n. 16 del regolamento stabilisce che “Per contribuire al

conseguimento dell’obiettivo generale del presente regolamento, che è la certezza del diritto nello spazio giudiziario europeo, le regole di conflitto di leggi dovrebbero offrire un alto grado di prevedibilità. Il giudice dovrebbe tuttavia disporre di un margine di valutazione che gli consenta di stabilire quale sia la legge che presenta il collegamento più stretto con la situazione”. GUUE, n. L 177/6 del 4/7/2008.

28 In realtà, però in questo modo si avrebbe una sorta di regressione al passato, in quanto non

tiene conto della cosiddetta “conflict of laws revolution”, nata negli Stati Uniti, diffusasi poi parzialmente anche in Europa, e che suggerisce l’abbandono delle norme di d.i.pr. eccessivamente rigide.

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è criticabile perché propria di un sistema di diritto internazionale privato ancora “immaturo”.

Il regolamento vuole infine introdurre una disciplina internazionalprivatistica “coerente” con quella del regolamento CE 44/2001, “Bruxelles I”, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, e di quello 864/2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali c.d. regolamento “ Roma II”29.

1.6 La “nazionalizzazione” della disciplina comunitaria delle obbligazioni contrattuali: art. 57 L. 218/1995.

Il legislatore italiano del 1995, nell’intento di ricercare per quanto concerne le obbligazioni contrattuali soluzioni uniformi a livello internazionale, stabilisce all’art. 57, della legge di diritto internazionale privato L. 218/1995, che le “obbligazioni contrattuali sono in ogni caso regolate dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980”, allora da non molto entrata in vigore. Secondo logica e in conformità del resto a quanto esplicitamente stabilito dall’art 24.230 del regolamento Roma I, è

29

Benedetta Umbertazzi, “Il regolamento Roma I sulla legge applicabile alle obbligazioni

contrattuali”, cit., pag. 13-16.

30 È opportuno riportare il testo dell’art. 24.2 del reg.593/2008: “ Nella misura in cui il

presente regolamento sostituisce le disposizioni della convenzione di Roma, ogni riferimento a tale convenzione si intende fatto al presente regolamento”.

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25

proprio ad esso che va ora riferito il richiamo operato dall’art. 57 della nostra legge.

L’art. 57 “nazionalizza” la disciplina comunitaria “senza pregiudizio delle altre convenzioni internazionali, in quanto applicabili”. La formulazione della norma tiene conto dell’apertura che a livello comunitario si dimostrava all’epoca nei confronti di altre convenzioni in materia di legge applicabile alle obbligazioni contrattuali: la Convenzione di Roma, infatti, prevedeva espressamente di non pregiudicare “l’applicazione delle convenzioni internazionali di cui uno Stato contraente è o sarà parte” ( art. 21). Ora, il Regolamento Roma I, è al riguardo assai più restrittivo, in quanto da un lato fa salve le sole Convenzioni “di cui uno o più Stati membri sono contraenti al momento dell’adozione del… regolamento stesso ( art. 25.1), dall’altro sancisce la propria prevalenza in situazioni di conflitto di leggi intracomunitarie: l’art. 25.2, infatti, contempla la prevalenza del regolamento, “ tra Stati membri, sulle Convenzioni concluse esclusivamente tra due o più di essi nella misura in cui esse riguardano materie disciplinate dal… regolamento” stesso.

La restrizione di cui al par. 1 dell’art. 25 si giustifica alla luce del fatto che, in forza del principio del parallelismo tra competenze interne e

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26

competenze esterne, la Comunità/ Unione, con l’adozione del regolamento ha assunto competenza esclusiva a concludere accordi in materia di legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, sostituendosi agli Stati membri, i quali non potranno più assumere vincoli convenzionali in materia. La restrizione di cui al par. 2 è invece collegata alla primautè del diritto dell’Unione anche rispetto alle statuizioni di accordi in vigore tra gli Stati membri.

Orbene, queste restrizioni non possono non influire sulla portata della precisazione contenuta nell’art. 57 della nostra legge, che quindi ne risulta ridimensionata, nel senso che, allargandosi il campo d’azione del regolamento, i casi in cui esso si applica non proprio vigore ma in virtù del richiamo operato dal nostro art. 57 sono più limitati rispetto a quanto avveniva in rapporto alla Convenzione del 1980.31

1.7 I rapporti tra Regolamento ed altri atti di diritto derivato.

L’art. 20 della Convenzione dispone che il diritto comunitario derivato, anche futuro, relativo alla legge applicabile ai contratti, prevale sulla convenzione in modo estremamente ampio; è chiaro che una così ampia

31

Franco Mosconi- Cristina Campiglio, “Diritto internazionale privato e processuale”, pag. 372-373.

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27

formulazione di tale articolo, rende le norme della convenzione eccessivamente deboli32.

L’art. 22 della proposta di regolamento Roma I della Commissione del 2005 modifica radicalmente l’impostazione della convenzione, specificando che gli unici atti di diritto secondario che devono prevalere sulle sue norme sono le direttive richiamate dall’allegato I alla proposta di regolamento33, o il futuro codice europeo dei contratti quando esso viene invocato dalle parti, o infine le disposizioni comunitarie volte a favorire il buon funzionamento del mercato interno.

L’art. 22 della proposta di regolamento è valutato positivamente perché rende le sue disposizioni più forti rispetto a quelle della convenzione e garantisce così una certezza giuridica maggiore. Tuttavia, tale articolo genera alcuni problemi interpretativi. Anzitutto la versione italiana non corrisponde a quella francese: mentre la prima si riferisce soltanto agli atti comunitari già emanati, la seconda richiama più correttamente anche

32 E’ pur vero, però, che al momento dell’adozione della convenzione, il diritto comunitario

derivato in materia contrattuale era ancora ad uno stadio “embrionale”, soltanto successivamente ha raggiunto dimensioni cospicue: in particolare a seguito delle direttive relative agli accordi conclusi con i consumatori e contenenti anche le c.d. “non Member-State clause”, che impongono l’applicazione delle norme imperative di diritto comunitario quando le parti hanno scelto il diritto di uno Stato terzo, mentre il contratto ha un legame stretto con il territorio di uno o più Stati membri.

33 Si fa riferimento a quattro direttive che contengono disposizioni conflittuali: Direttiva

relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro (direttiva 93/7/CEE del 15.3.1993); - Direttiva relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi (direttiva 96/71/CE del 16.12.1996);- Seconda direttiva “assicurazione diversa dall’assicurazione sulla vita” (direttiva 88/357/CEE del 22.6.1988, come completata e modificata dalle direttive 92/49/CEE e 2002/13/CE);- Seconda direttiva “assicurazione sulla vita” (direttiva 90/619/CEE dell’8.11.1990 come completata e modificata dalle direttive 92/96/CEE e 2002/12/CE).

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quelli che verranno adottati in futuro dalle istituzioni comunitarie. In secondo luogo, non è chiaro se l’elenco dell’art. 22 e dell’allegato I sia tassativo34. In terzo luogo la lettera b) dell’art. 22 dispone implicitamente l’applicazione in ogni caso del futuro codice europeo dei contratti quando le parti lo richiamano come legge non statale regolatrice del loro accordo e il medesimo risultato è tuttavia previsto anche dall’art. 3.2 della proposta di regolamento, per cui la suddetta lettera b) pare nel testo della proposta francamente inutile.

L’art. 23 del regolamento vuole superare le critiche alla proposta di regolamento ed a tal fine sancisce la prevalenza del diritto comunitario derivato sulle sue norme in modo estremamente ampio ( salvo per quanto riguarda i contratti di assicurazione di cui all’art. 7), non richiama più né il codice europeo dei contratti, né il principio del mutuo riconoscimento35, ed adotta così una formulazione simile all’art. 20 della convenzione. Ed a ben vedere l’art. 23 del regolamento richiama allora tutte le critiche già sollevate nei confronti dell’art. 20 della convenzione36.

34 La tesi prevalente ritiene che lo sia, mentre un opinione isolata crede che esso sia

esemplificativo e dunque idoneo a richiamare anche altri atti di diritto comunitario derivato che contengono norme di conflitto in materia contrattuale.

35

Anche se il considerando n. 40 stabilisce che il regolamento non pregiudica l’applicazione di altre disposizioni comunitarie volte a favorire il buon funzionamento del mercato interno.

36 Benedetta Umbertazzi, “Il regolamento Roma I sulla legge applicabile alle obbligazioni

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29

1.8 La ricerca della uniformità delle soluzioni ed il carattere universale del Regolamento “Roma I”.

E’ intuitiva l’importanza che l’uniformità delle soluzioni riveste in materia contrattuale, entro la cerchia di Stati stretti tra loro da vincoli di natura economica tanto intensi quali sono quelli inerenti alla partecipazione all’Unione europea. E assertivamente il preambolo del regolamento in esame ravvisa in essa una esigenza imprescindibile, mettendo altresì in evidenza gli obiettivi che attraverso l’uniformità si intendono perseguire: “Il corretto funzionamento del mercato interno esige che le regole di conflitto di leggi in vigore negli Stati membri designino la medesima legge quale che sia lo Stato del giudice adito, onde favorire la prevedibilità dell’esito delle controversie giudiziarie, la certezza circa la legge applicabile e la libera circolazione delle sentenze”37

.

Il legislatore dell’Unione non distingue a seconda che la fattispecie ( il conflitto di leggi) sia interna al proprio “ spazio di libertà, sicurezza e giustizia”38 od abbia invece una proiezione esterna denotando contatti e

mettendo anche solo potenzialmente in gioco il diritto di Stati che non fanno parte dell’Unione. Come il suo art. 2 mostra ad evidenza, il regolamento (come già la Convenzione) copre entrambe le situazioni con

37 Considerando 6 del Regolamento (CE) N. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio

del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I).

38

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30

una medesima disciplina di conflitto che prende il posto di quella dei singoli Stati membri. In forza dell’art. 81 del Trattato sul funzionamento UE ove si parla di “implicazioni transnazionali”, si è da più parti messo in dubbio che l’Unione abbia il potere di imporre agli Stati membri norme di conflitto relative a fattispecie non intracomunitarie. Ma sembra possibile e sufficiente obiettare al riguardo che l’utilizzo da parte di tutti gli Stati membri, anche per queste fattispecie, di identiche norme di conflitto, e quindi in ipotesi del medesimo diritto per decidere, è funzionale all’obiettivo del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie, ossia sicuramente idoneo a facilitare la circolazione delle sentenze tra gli Stati membri, espressamente voluta dallo stesso art. 81 del Trattato sul funzionamento dell’UE.

Sono gli stessi i criteri che determinano la legge applicabile, tanto per le fattispecie che coinvolgono soltanto Stati membri, che per quelle che coinvolgono anche Stati non membri dell’Unione o addirittura non riguardano l’Unione, se non per il fatto che la controversia che ne è nata è portata all’esame del giudice di uno Stato membro39.

39

Franco Mosconi- Cristina Campiglio, “Diritto internazionale privato e processuale”, pag. 374.

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31

1.9 L’ambito di applicazione ratione materiae.

Del regolamento Roma I occorre innanzitutto determinare il campo di applicazione oggettivo o materiale e le prime, essenziali, indicazioni a tale proposito si rinvengono nell’art. 1.1, secondo il quale il regolamento “si applica, in circostanze che comportino un conflitto di leggi, alle obbligazioni contrattuali in materia civile e commerciale”.

Qui, bisognerà innanzitutto chiarire che cosa debba intendersi per “obbligazioni contrattuali” e per “conflitto di leggi” o carattere internazionale delle obbligazioni contrattuali.40

Si tratta di indicazioni per le quali vale il principio della qualificazione autonoma, nel senso che il loro significato va ricercato all’interno del regolamento stesso, tenendo altresì conto da un lato che la sua base giuridica è offerta dal Trattato C.E. (oggi Trattato sul funzionamento dell’U.E.) e, dall’altro, che esso va messo in stretta relazione sia al regolamento 864/2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali, sia al regolamento 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.

40

Esperanza Castellanos Ruiz, “El Reglamento “Roma I” sobre la ley aplicable a los contratos

internacionales y su aplicación por los tribunales españoles”, Editorial Comares, Granada

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32

L’art. 5.1 della Convenzione di Bruxelles (che è alla base del regolamento n. 44/2001) configura un foro facoltativo e alternativo “ in

materia contrattuale”. La giurisprudenza della Corte di Giustizia è

consolidata nell’escludere che detta nozione comporti “un rinvio alla qualificazione fornita dal diritto nazionale al rapporto giuridico dedotto dinanzi al giudice nazionale” e nel ritenere, appunto, che la si debba considerare “come una nozione autonoma, rifacendosi principalmente al sistema e agli scopi della Convenzione stessa al fine di garantire l’applicazione uniforme in tutti gli Stati contraenti”41

, con la precisazione che non è riconducibile alla “materia contrattuale” una fattispecie in cui non esiste alcun obbligo liberamente assunto da una parte nei confronti dell’altra.

Se, alla luce di questa precisazione, riprendiamo il testo dell’art. 1.142 del

regolamento Roma I, possiamo dire che quest’ultimo si applica, al fine di individuarne la legge regolatrice, alle obbligazioni liberamente assunte da una parte nei confronti dell’altra.

E’ ancora nella Convenzione di Bruxelles del 1968 che per la prima volta si rinviene lo specifico riferimento alla “ materia civile e commerciale” sul quale è stata più volte chiamata a pronunciarsi la Corte di Giustizia.

41 Causa C-51/97, del 27 ottobre 1998, Réunion europeénne. 42

“Il presente regolamento si applica, in circostanze che comportino un conflitto di leggi, alle obbligazioni contrattuali in materia civile e commerciale”.

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33

Questa, già in una delle sue prime pronunce relative alla Convenzione43, ha esplicitamente accolto la tesi della interpretazione autonoma, negando che “per interpretare la nozione di ‘materia civile e commerciale’ si debba avere riguardo al diritto dell’uno o dell’altro degli Stati interessati”. 44

Così come il regolamento Bruxelles I (e prima ancora la Convenzione di Bruxelles), è lo stesso art. 1.1 a precisare poi che restano fuori dal suo campo d’azione le questioni fiscali, doganali e amministrative.45

Ha invece riscontro nella Convenzione di Roma la precisazione che il regolamento “si applica in circostanze che comportino un conflitto di leggi”. Qui, il regolamento Roma I fa riferimento al “carattere internazionale” delle obbligazioni contrattuali; tuttavia, le norme di diritto internazionale privato non definiscono espressamente quando una relazione può definirsi internazionale o no. Esistono varie tesi circa l’esistenza del carattere dell’internazionalità di un contratto e le due più accreditate sono: la tesi dell’elemento straniero puro e la tesi dell’effetto

internazionale; la prima tesi indica che il contratto è internazionale

43 Causa C- 29/76, del 14 ottobre 1976, LTU.

44 Tra le altre decisioni rese dalla Corte comunitaria su questo punto, sempre a proposito della

Convenzione di Bruxelles, conviene qui ricordare quella del 15 maggio 2003 (causa C-266/01, TIARD) che ha ricondotto alla nozione di “materia civile e commerciale” un’azione promossa da uno Stato nei confronti di un soggetto privato, prestatore di una fideiussione, in base al contratto con esso stipulato, di un altro privato tenuto a prestare una fideiussione allo Stato medesimo, e tale per cui il rapporto tra creditore e fideiussore non corrispondeva all’esercizio da parte dello Stato di poteri esorbitanti rispetto alle norme applicabili nei rapporti tra privati.

45 Franco Mosconi- Cristina Campiglio, “Diritto internazionale privato e processuale”, pag.

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34

quando concorrono uno o più elementi di estraneità, indipendentemente dalla sua natura, rilevanza o intensità. La tesi dell’effetto internazionale, invece, considera un contratto internazionale quando produce effetti connessi con altri paesi o affetta interessi nell’ambito del commercio internazionale.46

In realtà non ci si può limitare ad accogliere l’una o l’altra tesi, ma sono necessarie più ampie considerazioni.

Siamo nel campo del diritto internazionale privato inteso nella accezione più ristretta, là dove la compresenza di distinti ordinamenti giuridici, diversi nei loro contenuti, in virtù dei contatti che denotano con una data fattispecie contrattuale, se può dare origine ad un conflitto, in realtà si risolve nella “disponibilità” di tutti a regolare quella fattispecie rendendo così necessario che venga operata una scelta tra loro. Per imporre l’applicazione del regolamento è sufficiente che, nel momento in cui è portata all’esame del giudice, la “situazione” presenti un collegamento con uno Stato diverso da quello del foro47; oppure che il contratto contenga una clausola che indica come applicabile la legge di uno Stato diverso da quello al quale per tutti quanti i restanti profili risultava collegato al momento della stipulazione. In quest’ultima ipotesi, infatti, a

46

Esperanza Castellanos Ruiz, “El Reglamento “Roma I” sobre la ley aplicable a los contratos

internacionales y su aplicación por los tribunales españoles”, pag. 27-28.

47 Si pensi ad un contratto che, al momento della conclusione, sia totalmente interno allo Stato

e all’eventualità che prima dell’inizio del processo uno dei contraenti abbia trasferito la propria residenza in altro Stato.

(35)

35

far nascere un “conflitto di leggi” è sufficiente che i contraenti abbiano scelto il diritto, “straniero”, destinato a regolare il loro contratto.

La natura di diritto comunitario derivato del regolamento d’altro canto non implica che la sua applicazione sia circoscritta alle situazioni che comportano connessioni con uno degli Stati comunitari (per esempio la circostanza che almeno una delle parti abbia la cittadinanza di uno Stato comunitario o sia ivi residente) e neppure che esso possa operare soltanto laddove il diritto richiamato risulti essere quello di uno Stato comunitario: si tratta infatti di una normativa erga omnes , ai sensi dell’art. 2 rubricato “carattere universale”.

Parafrasando quanto, a proposito della Convenzione di Roma, si legge nella Relazione Giuliano e Lagarde, può dirsi che il regolamento si configura come una legge uniforme di d.i.pr., idonea a sostituire, nelle materie da essa contemplate e fatte salve le convenzioni di singoli Stati membri con Stati terzi già in vigore all’emanazione del regolamento, le norme di d.i.pr. in vigore nei singoli Stati membri.48

48 Si è visto a suo tempo che il giudice di uno Stato membro è tenuto ad applicare il

regolamento Bruxelles I anche quando in concreto non si pone la questione della competenza del giudice di un altro Stato membro e la controversia non presenta collegamenti con altri Stati membri, ma soltanto con uno o più Stati non comunitari. Ed a proposito del regolamento Roma I, in una fattispecie non totalmente interna all’ordinamento italiano, il nostro giudice una volta accertato di avere giurisdizione, è tenuto all’applicazione del regolamento quantunque la fattispecie contrattuale sottopostagli presenti contatti solo con uno o più Stati estranei all’Unione europea, senza essere invece connessa ad altri Stati membri diversi dal nostro. Franco Mosconi- Cristina Campiglio, “Diritto internazionale privato e processuale”, pag. 376-377.

(36)

36

1.10 Le fattispecie escluse dall’ambito di applicazione del Regolamento.

Il par. 2 dell’art. 1 circoscrive l’ambito di applicazione del regolamento con una serie di esplicite esclusioni rispetto alle quali possono addursi spiegazioni diverse: quella di chiarire dubbi interpretativi possibili o già prospettati riguardo alla Convenzione di Roma; quella della preesistenza di regole di conflitto uniformi49; ma anche quella dell’intenzione delle istituzioni dell’Unione europea di adottare provvedimenti appositi50

.

Le prime tre esclusioni riguardano: a) lo stato e la capacità delle persone fisiche (ad eccezione di quanto stabilito nell’art. 1351);

b) le obbligazioni, comprese quelle alimentari, derivanti da rapporti di famiglia o da rapporti che, secondo la lex fori , hanno “effetti comparabili” ai rapporti di famiglia;

c) le obbligazioni derivanti da successioni per causa di morte, da regimi patrimoniali tra coniugi o da regimi patrimoniali relativi a rapporti che,

49 Si fa qui riferimento ad esempio alla Convenzione dell’Aja del 1973 in tema di obbligazioni

alimentari o alle Convenzioni di Ginevra del 1930 in tema di cambiali e del 1931 in tema di assegni bancari, convenzioni rese applicabili “in ogni caso” rispettivamente dagli artt. 45 e 59 della nostra legge di d. i. pr.

50

Tale considerazione vale per la materia delle successioni ereditarie oggetto di una proposta di regolamento del 14 ottobre 2009.

Franco Mosconi- Cristina Campiglio, “Diritto internazionale privato e processuale”, pag. 377-378.

51

Articolo sull’incapacità, il quale afferma che: “In un contratto concluso tra due persone che si trovano in uno stesso paese, una persona fisica, capace secondo la legge di tale paese, può invocare la sua incapacità risultante da un’altra legge soltanto se, al momento della conclusione del contratto, l’altra parte contraente era a conoscenza di tale incapacità o l’ha colpevolmente ignorata”.

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37

secondo la legge loro applicabile hanno “effetti comparabili al matrimonio”.

Con questa espressione e con quella analoga della lett. b), il regolamento mira a rispettare il parallelismo e la contiguità che gli ordinamenti di non pochi Stati, anche comunitari, stabiliscono tra il matrimonio e quelle che nel lessico comunitario sono chiamate unioni non matrimoniali registrate; si tratta di discipline eterogenee aventi in comune il fatto di fornire alla coppia uno “statuto” intermedio tra quello del matrimonio e quello dell’unione libera. Tali obbligazioni sono esplicitamente escluse anche dal campo d’azione del regolamento Roma II sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali, pertanto, la loro disciplina internazionalprivatistica va ricercata nel sistema italiano di d. i. pr.. Ove si ritenga possibile una qualificazione contrattuale, si dovrà comunque ricorrere, in forza del nostro art. 57, alla disciplina del regolamento. Laddove invece si ritenga di trovarsi in presenza di obbligazioni non contrattuali, saranno applicabili le prescrizioni del Capo XI della nostra legge e segnatamente la disciplina in materia di obbligazioni nascenti dalla legge o in materia di responsabilità per fatto illecito; ove, infine, si propenda per una qualificazione familiare, occorrerà riferirsi alle norme dei Capi IV (rapporti di famiglia) e VI (in particolare all’art. 45 sulle obbligazioni alimentari nella famiglia).

(38)

38

In merito alla lett. c), possiamo fare riferimento al patto di famiglia, istituto rispetto al quale si potrebbe ipotizzare, sulla base di una qualificazione di tipo contrattuale, che la disciplina del regolamento possa entrare in gioco in forza del nostro art. 57.52

Le altre esclusioni determinate dalle lettere successive dell’art. 1 del regolamento riguardano:

d) le obbligazioni nate da cambiali, assegni ed altri strumenti negoziabili. La norma esclude dall’ambito di applicazione del regolamento il rapporto cartolare che intercorre tra il portatore del titolo ed il debitore ma non quelli di natura contrattuale sottostanti alla sua emissione ed alla sua negoziazione. Per stabilire se il titolo rientra nell’area di operatività del regolamento occorre quindi definire se esso ha carattere negoziale, e ciò viene chiarito dalla legge applicabile al titolo di credito secondo le norme di conflitto del foro, e quindi in Italia da quella del luogo di emissione del titolo ex art. 59 L. d. i. pr.

e) i compromessi, le clausole compromissorie e in genere tutte le convenzioni di scelta del foro;

52 Franco Mosconi- Cristina Campiglio, “Diritto internazionale privato e processuale”, pag.

(39)

39

f) le questioni che riguardano il diritto delle società, associazioni ed altre persone giuridiche quali la costituzione, la capacità giuridica ed altri aspetti di cui viene fornito un ampio elenco esemplificativo;

Rispetto a queste questioni la legge applicabile va individuata in conformità alle specifiche previsioni dell’art. 25 della legge n. 218/1995, che in ragione della loro “maggiore specialità”, precludono il reingresso in gioco della normativa comunitaria attraverso il richiamo ad essa operato “in ogni caso” dall’art. 57 della stessa legge.

Alla lettera g) si fa riferimento all’istituto dell’intermediazione, e al fine di risolvere dubbi interpretativi sorti riguardo alla Convenzione di Roma, specificatamente colloca al di fuori del campo d’azione del regolamento la questione di stabilire se l’atto compiuto da un intermediario valga ad obbligare di fronte a terzi il mandante, o se l’atto compiuto dall’organo di una società, ovvero di altra associazione o persona giuridica, valga ad obbligare di fronte ai terzi l’ente di appartenenza53

;

Parallela all’esclusione delle questioni di diritto societario, è quella stabilita alla lett. h), delle questioni concernenti le costituzioni di trust e i rapporti che ne derivano tra costituenti, trustee e beneficiari del trust ; tuttavia, qui va osservato, che, quando il trust abbia origine contrattuale

53 Questa esclusione non era contemplata dalla iniziale proposta di regolamento formulata dalla

Commissione, la quale anzi, nell’art. 7.1, mirava a disegnare una disciplina tendenzialmente completa della rappresentanza volontaria.

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40

si applicherà la disciplina del regolamento in forza dell’art. 57 della legge n. 218/1995.

Questione dibattuta era stata quella delle obbligazioni derivanti da trattative precontrattuali ed il legislatore comunitario l’ha risolta delineandone una specifica disciplina all’interno del regolamento Roma II, e chiarendo con la disposizione in esame (lett. i)), che esse esulano dall’ambito di applicazione del regolamento Roma I.54

La lett. j) esclude dal campo d’azione del regolamento una particolare categoria di contratti assicurativi, derivanti “da operazioni effettuate da soggetti diversi dalle imprese di cui all’articolo 2 della direttiva 2002/83/CE…relativa all’assicurazione sulla vita” a favore di lavoratori “di un’impresa o di un gruppo di imprese o di un settore professionale o interprofessionale”; Questa esclusione concerne i contratti di assicurazione specificatamente indicati, ma non quelli di diverso tipo, che rientrano nell’ambito di operatività del regolamento.

L’ultima esclusione è disposta dall’art. 1.3 del regolamento e riguarda “la prova e la procedura, fatto salvo l’art. 18”55 e sottopone le norme

probatorie c.d. sostanziali alla lex contractus, mentre esclude dall’ambito di applicazione del regolamento Roma I le norme probatorie processuali,

54 Franco Mosconi- Cristina Campiglio, “Diritto internazionale privato e processuale”, pag.

379-380.

55

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41

rispettando così la regola di d. i. pr. generalmente accolta da tutti gli Stati secondo cui queste ultime sono soggette alla lex fori.56

1.11 L’ambito di applicazione del Regolamento ratione loci.

Il regolamento Roma I si applica d’ufficio in tutto il territorio degli Stati membri dell’Unione europea.

L’art. 2 della proposta di regolamento, stabilisce che la legge designata dal regolamento si applica anche quando non è quella di uno Stato membro; da un punto di vista formale si differenzia dall’art. 2 della convenzione perché non dichiara più di possedere un “carattere universale”, ma da un punto di vista sostanziale accoglie la soluzione della convenzione, ammettendo come unico criterio spaziale di operatività il radicamento del processo in un Paese dell’Unione europea, escludendo così la possibile rilevanza a tal fine di altri collegamenti con il territorio comunitario quali ad esempio il luogo di stipulazione ed esecuzione del contratto o la nazionalità delle parti, sancendo così i principi fondamentali dell’uniformità e dell’assenza di reciprocità.57

56

Benedetta Umbertazzi, “Il regolamento Roma I sulla legge applicabile alle obbligazioni

contrattuali”, pag. 55-56.

57 Esperanza Castellanos Ruiz, “El Reglamento “Roma I” sobre la ley aplicable a los contratos

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42

L’art. 2 del regolamento è analogo a quello della proposta di regolamento.

Il regolamento è direttamente vincolante per tutti gli Stati membri, con l’unica eccezione della Danimarca, a cui si continuerà ad applicare la convenzione di Roma del 1980. Al contrario, il Regno Unito e l’Irlanda hanno esercitato, successivamente, l’opt in e saranno dunque vincolati dal regolamento Roma I.58

1.12 L’ambito di applicazione del Regolamento ratione temporis. L’art. 17 della Convenzione stabilisce l’ambito di operatività temporale e prevede che essa si applica in ogni Paese membro ai contratti conclusi dopo la sua entrata in vigore in questo Stato.

L’art. 24 della proposta di regolamento riprende in parte la linea dell’art. 17 della Convenzione e dispone che il regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri, entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, si applica un anno dopo la sua entrata in vigore alle obbligazioni contrattuali costituite dopo la sua entrata in applicazione, e regola infine anche quelle sorte prima di quest’ultimo

58

F. Galgano – F. Marrella, “Diritto e prassi del commercio internazionale”, Wolters Kluwer Italia 2010, cit. pag. 321.

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termine soltanto quando designa la medesima legge individuata anche dalla convenzione. L’art. 24 della proposta di regolamento prevede, dunque, tra l’altro due possibili alternative: in un primo caso le disposizioni della convenzione conducono ad una soluzione diversa dal regolamento e regolano allora le obbligazioni sorte anteriormente alla sua entrata in vigore; in un secondo caso le norme della convenzione recano ad una soluzione analoga al regolamento e devono, perciò, cedergli il passo anche quando le obbligazioni da disciplinare sono sorte anteriormente alla sua entrata in vigore.59

Il regolamento dispone invece agli artt. 28 e 29, che oltre ad essere obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile negli Stati membri, esso entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea e si applica a tutti i contratti conclusi dopo i diciotto mesi dalla sua adozione.

Queste norme riprendono la linea dell’art. 17 della convenzione, ma non quella dell’art. 24.3 della proposta di regolamento facendo così venir meno le critiche relative a quest’ultima disposizione.

59 La regola relativa a questa seconda ipotesi è tuttavia criticabile: perché non si comprende

quale sia l’utilità di distinguere tra applicazione delle norme della convenzione e rispettivamente del regolamento quando il risultato è comunque il medesimo.

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44

1.13 L’ambito di applicazione del Regolamento e i sistemi giuridici non unificati.

L’art. 22 del regolamento rubricato “ Stati con più sistemi giuridici”, riprende nel suo contenuto quanto era già stato previsto nella convenzione di Roma ( art. 19) con riferimento alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali nei sistemi giuridici non unificati. In particolare la convenzione stabilisce che quando le sue norme rinviano ad un Paese che si compone di più unità territoriali ognuna di esse deve venire considerata come uno Stato ai sensi della convenzione quando disciplina autonomamente i contratti; inoltre gli Stati composti da più unità territoriali non sono comunque obbligati dalla convenzione ad applicare le norme ai conflitti di leggi che riguardano unicamente le proprie unità territoriali e che sono perciò meramente interni.

Una formulazione parzialmente differente era, invece, prevista nell’art. 21 della proposta di regolamento, in quanto se da una parte riprende il contenuto dell’art. 19.1 della convenzione, non richiama il co. 2, obbligando pertanto gli Stati membri ad applicarla anche ai “conflitti di leggi che riguardano unicamente” le singole loro “unità territoriali”, questi ultimi sorgono tuttavia per ipotesi “unicamente” in fattispecie meramente interne.

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Tuttavia, l’art. 22 del regolamento Roma I esclude dal suo ambito di applicazione i conflitti di legge interlocali e subordina l’operatività del regolamento all’internazionalità della fattispecie richiamando la clausola dell’art. 1.1 del regolamento ( secondo cui esso disciplina soltanto i contratti internazionali) e tutte le critiche ad essa relative.60

60 Benedetta Umbertazzi, “Il regolamento Roma I sulla legge applicabile alle obbligazioni

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46

Capitolo II

Il principio di autonomia della volontà nel Regolamento

“Roma I”

2.1 La genesi dell’autonomia della volontà nel diritto internazionale privato.

Le origini del principio di autonomia delle parti nel diritto internazionale privato, tradizionalmente, si fanno risalire all’opera del Dumoulin, nel XVI secolo, ma è dato rinvenire alcuni riferimenti anche in autori precedenti, quali Bartolomeo da Saliceto e Rocco Curzio, agli inizi del XV secolo. La configurazione dell’autonomia privata nel diritto internazionale dell’epoca, alla quale si riconosce un ambito di applicazione che va aldilà del settore dei contratti, presentava un fondamento del tutto particolare: lo straniero addivenendo alla conclusione o disponendo l’esecuzione del contratto in uno Stato diverso dal proprio, implicitamente manifestava la sua volontà di assoggettarsi alla potestà di quell’altro Stato, e così autorizzava che a lui, come

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volontario subditus temporarius si applicassero tali altre leggi. In una analoga prospettiva, si afferma che non sempre importa conoscere a quale aggregazione politica appartenga un individuo, per determinare la legge che può da lui essere invocata. Vi sono atti nei quali egli si può considerare come cittadino del mondo e non come membro di una data nazione. L’influenza esercitata dal modo di concepire la sovranità dello Stato nella sua estensione spaziale, in una fase storica antecedente lo sviluppo delle moderne concezioni di Stato sovrano, emerge dalla stessa

ratio ispiratrice dell’autonomia nel diritto internazionale privato: i privati

potevano discrezionalmente scegliere l’ordinamento al quale sottoporsi.

In questa direzione, infatti, la mobilità dei mercatores, determinata dallo sviluppo e dalla trasformazione del sistema economico (fondato sempre più sul commercio internazionale), rese necessario l’adeguamento degli strumenti giuridici in grado di assicurare la certezza sia del diritto applicabile, sia dei traffici.

Si pongono le basi, dunque, non soltanto per la nascita del diritto internazionale privato moderno, ma anche per la configurazione, tra le tante regole di conflitto, del principio di autonomia privata.

Uno degli attuali pregiudizi di maggiore ostacolo ad una corretta configurazione della c.d. libertà di scelta della legge applicabile, risiede, proprio, nel modo di concepire tale libertà, dal quale appaiono i contorni

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