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IL PENSIERO DI ANTONIO NEGRI DALL'OPERAISMO A MOLTITUDINE

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I

INDICE

INTRODUZIONE ... 1

LA VITA E LE OPERE DI ANTONIO NEGRI ... 6

1.1 La vita di Antonio Negri ... 6

1.2 L' Operaismo italiano e il gruppo dei “Quaderni rossi” ... 11

DAL NEGRISMO OPERAISTA A QUELLO AUTONOMO ... 18

2.1 Classe Operaia ... 18

2.2 La crisi dello Stato-piano ... 27

2.3 Proletari e Stato ... 36

2.4 Il dominio e il sabotaggio ... 47

LA CRITICA DELL'ECONOMIA POLITICA DELLA COSTITUZIONE ITALIANA DEL 1948 ... 55

3.1 Il lavoro nella Costituzione italiana ... 57

3.2 Il processo di costituzionalizzazione del lavoro ... 59

3.3 Il modello di costituzionalizzazione del lavoro ... 66

UN NUOVO ORDINE GLOBALE: L'IMPERO ... 70

4.1 La nascita dell'Impero ... 77

4.2 Il controImpero e la moltitudine ... 100

4.3 Passaggi di sovranità ... 106

4.4 Lo stadio supremo del capitalismo ... 111

4.5 Il lavoro e il programma politico della moltitudine ... 116

4.6 San Francesco ... 127

MOLTITUDINE ... 130

5.1 La guerra globale e la violenza legittima ... 132

5.2 La moltitudine ... 141

5.3 Immaterial labour, i contadini e i poveri ... 147

5.4 De Corpore ... 153

5.5 Tracce della moltitudine ... 158

5.6 La mobilitazione del comune ... 163

5.7 La marcia della democrazia ... 168

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II

5.9 Democrazia della moltitudine: dal progetto alla realtà ... 186

UNA BREVE CONCLUSIONE ... 192

BIBLIOGRAFIA ... 195

Opere di Negri ... 195

Opere su Negri ... 196

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1

INTRODUZIONE

A partire dalla giovinezza, ed in maniera più accentuata nel corso dell’età adulta, Antonio Negri appare sempre come un estraneo, un “pesce fuor d’acqua”, rispetto alle situazioni in cui si viene a trovare, per scelte proprie o imposte dall’esterno. Nasce in una famiglia cattolica, ma sceglie di professarsi ateo; all’interno della Sinistra italiana contribuisce a fondare o aderisce a diversi movimenti, rendendosi spesso protagonista di contraddizioni o strappi politici che lasceranno il segno. Su di lui pende l’accusa di essere un “cattivo maestro”, teorico della lotta armata nonché ideologo e mente delle Brigate Rosse. A tali critiche Negri risponde negando qualsiasi coinvolgimento morale, tantomeno pratico; ai processi della giustizia italiana iniziati nel 1979 si affiancano, in maniera quasi paradossale, i “processi proletari” da parte dei suoi presunti allievi, dando vita ad una sorta di “fuoco incrociato” nei confronti dell’imputato. “Sedotto e abbandonato” dal Partito Radicale, decide di rifugiarsi in Francia: qui insegna alla prestigiosa Ècole Normale Supérieure ed ha l’occasione di approfondire gli studi sulla classe operaia; eppure, per le leggi d’Oltralpe, lo status di rifugiato politico non gli permette di svolgere attività politica.

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2

Torna in Italia dopo quattordici anni di esilio e arriva al successo editoriale grazie al saggio Impero, scritto a quattro mani con Michael Hardt e da alcuni definito il “nuovo libretto rosso”, in quanto opera-manifesto di diversi movimenti no global. Vive così una nuova stagione, non soltanto per i temi trattati, ma anche per la notorietà che acquista, facendosi conoscere persino oltreoceano. Da autore di nicchia a scrittore di best-seller, riesce a diffondere il suo pensiero criticando l’ordine mondiale venuto ad instaurarsi.

Intellettuale dalla personalità complessa, non sempre chiara e facilmente decifrabile, Negri passa, nel corso della sua vita, attraverso fasi diverse, intrecciando spesso vita politica e vicende personali. Di questo intreccio è altresì specchio la sua attività speculativa. Dal sindacalismo e dal periodo operaista alle riflessioni sulla globalizzazione del Terzo millennio, passando attraverso la fase dell'Autonomia Operaia, la formazione del pensiero di Negri è scandita

da una produzione spesso di non semplice

comprensione. Forse non è un caso che il successo degli anni più recenti coincida con il mutamento di stile e linguaggio, oltre che di tematiche.

Lo scopo della presente ricerca, articolata in cinque capitoli, è appunto quello di rappresentare il processo evolutivo del pensiero negriano attraverso l’analisi

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3

delle opere fondamentali, con la convinzione che tale evoluzione, ancorché non sempre rettilinea, trovi in

Impero prima e Moltitudine poi la conclusione più

adeguata a interpretare la realtà del Terzo millennio. Nello specifico, il primo capitolo offre una ricostruzione della vita dell'autore patavino, una breve biografia nella quale sia possibile “incastonare” le opere in esame per meglio comprendere la reciproca influenza fra esperienze di vita e produzione scritta.

Nel secondo capitolo si analizza il passaggio di Negri dalla fase operaista, con la fondazione assieme a Mario Tronti del mensile “Classe Operaia” nel 1964, a quella dell'Autonomia nella primavera del 1973.

Oggetto dell'indagine del terzo capitolo è il complesso tema del lavoro nel testo costituzionale italiano: l’indagine è condotta attraverso l'analisi dell’opera La forma Stato. Per la critica dell'economia

politica della Costituzione.

Nel quarto capitolo trova spazio il saggio Impero, di certo lo scritto più famoso di Antonio Negri, in cui viene affrontato il processo di globalizzazione dei mercati.

Il quinto – ed ultimo – capitolo è dedicato a

Moltitudine, opera che riprende ed amplia concetti

(6)

4

Se, invero, nel decennio successivo alla

pubblicazione di Moltitudine non si arresta l’impegno di Negri come intellettuale e polemista, è un fatto che con questa pubblicazione giunge a compimento e non si presta se non a mere declinazioni tattiche il percorso del pensiero politico negriano.

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6

LA VITA E LE OPERE DI ANTONIO NEGRI

1.1 La vita di Antonio Negri

Nato a Padova nell'agosto del 1933, già fin dalla giovane età Negri vive il comunismo, grazie alla famiglia di origini proletarie del padre e a quella di piccoli proprietari agricoli della madre1. Nel 1956 si laurea in filosofia con una tesi sullo storicismo tedesco dopo aver diretto la rivista “Il Bò”, giornale studentesco dell'Università di Padova. Nel '58 diventa professore (come libero docente) di Filosofia del Diritto all'Università di Padova. Ma il suo incontro con la politica è precedente: risale a quando, diciottenne e frequentatore della parrocchia di Don Antonio Sartorato di Casalserugo, entra nella Gioventù Italiana

Azione Cattolica (GIAC), dove conosce anche

Umberto Eco.

Negri si allontana dalla GIAC nel 1955, non condividendo la linea conservatrice del Presidente Luigi Gedda. Tra il 1958 e il 1960 compone una delle sue prime opere, un testo accademico e con basi filologiche sul formalismo post-kantiano: Alle origini

del formalismo giuridico: studio sul problema della forma in Kant e nei giuristi kantiani tra il 1789 e il

1

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7 18022. Di Kant, Negri prediligerà in particolare La

Critica del giudizio, poiché “l'aspetto più mirabile di

quest'opera è quel rovesciamento del momento critico,

che viene definito schematismo trascendentale

dell'immaginazione. In Kant la dimensione temporale, la consistenza dell'immaginazione, è un elemento assolutamente moderno3”.

Cresciuto in una famiglia comunista e cattolica, ma ateo per sua scelta, matura inizialmente un interesse verso il socialismo, iscrivendosi alla sezione di Padova del Partito Socialista italiano nel 1956. Qui conosce il

teorico marxista Raniero Panzieri, fondatore

dell'Operaismo italiano e dirigente del partito socialista italiano in Sicilia e a Roma4. Negri viene eletto consigliere comunale nelle file del Partito socialista e diventa editore del “Il Progresso Veneto”, la rivista del Psi. Intorno al 1960, inizia a frequentare a Torino le riunioni mensili della redazione della rivista marxista “Quaderni Rossi”, nella quale entra successivamente, collaborando tra gli altri con Mario Tronti.

Negri si avvia a contestare la politica del centrosinistra, rendendo evidente il suo dissenso dal Psi e fonda con altri militanti il “Movimento socialista indipendente”, lasciando il partito nel 1963 proprio a

2 Ivi, pp. 46-47.

3

Ivi, pp. 122-123.

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8

causa della prima coalizione con la Democrazia cristiana. Allo strappo segue una estesa critica delle prospettive politiche della sinistra tradizionale, secondo un itinerario destinato ad approfondirsi, negli anni successivi, non senza contraddizioni e lacerazioni e di cui le tesi più recenti di Impero rappresentano in qualche modo il completamento.

Attraverso il gruppo dei “Quaderni rossi” stabilisce contatti con nuclei operai delle fabbriche di Marghera e ritiratosi dalla redazione, assieme a Massimo Cacciari, Mario Tronti e Alberto Asor Rosa - il gruppo dei c.d. interventisti - fonda “Classe Operaia, mensile politico degli operai in lotta”, una rivista d'intervento militante, che mira a radicalizzare l'antagonismo tra la classe operaia e il capitale.

In seguito, Negri dà vita nel 1973 al movimento di Autonomia Operaia, divenendone uno dei maggiori leader. Nel 1976 scrive il saggio Proletari e Stato e nel 1977, La forma Stato e Il Dominio e il sabotaggio, «[….]sulle riflessioni maturate nelle esperienze di

“Potere Operaio” e “Autonomia Operaia” 5

». Nel testo sono presenti alcune tesi sul rifiuto del lavoro e del partito, nonché riflessioni sulla violenza politica come “ingrediente necessario, centrale del programma

5 D. Negrello, Il PCI padovano nell'ultimo 900: dissensi e antagonismi politici, Franco Angeli, Milano, 2004, p. 130.

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9

comunista” in quanto “calda proiezione del processo di

autovalorizzazione operaia6”.

Negri viene arrestato il 7 aprile 1979 e in seguito processato (c.d. processo 7 aprile) assieme a centinaia di militanti nell'area di Autonomia Operaia, con numerose accuse: tra queste, quella di aver partecipato direttamente al sequestro Moro, accusa di lì a poco commutata in quella di essere ideologo delle Brigate Rosse e mandante morale dell'omicidio dell'esponente democristiano7. Il paradosso è che Negri deve subire un ulteriore “processo”, stavolta da parte delle stesse BR, in virtù delle sue prese di posizione critiche nei confronti delle azioni terroristiche compiute e in fase di progettazione. Quasi tutte le accuse, comprese quelle di omicidio, cadono poiché ritenute infondate. Nel 1988 viene tuttavia condannato in via definitiva a dodici anni di reclusione per i reati di insurrezione armata e partecipazione a banda armata8. Durante il periodo di carcerazione preventiva, su proposta di Marco Pannella, si candida alla Camera e nel 1983 diviene deputato per il Partito Radicale. Ciononostante, l'esito della votazione segreta per l'autorizzazione a procedere

risulta avversa al filosofo, proprio a causa

dell'astensione dei radicali. In seguito, sempre dalla

6 Ivi, p. 159.

7

F. Carbone, Arrestati gli ideologi di Autonomia Operaia, sono accusati di insurrezione armata, “La Stampa”, 8 aprile 1979.

8 F. Scottoni, L'ultima parola sul caso 7 aprile, la Cassazione conferma le condanne, La Repubblica.it, 5 aprile 1988.

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Camera viene concessa l'autorizzazione all'arresto, ma Negri è già fuggito in Francia.

A Parigi conduce ricerche sulla trasformazione della vecchia classe operaia in rapporto alle nuove forme di produzione e nel 1990 fonda assieme a Jean Marie Vincent e Denis Berger la rivista “Futur Anterieur9”. Nel 1997 rientra in Italia per finire di scontare la sua pena, usando anche parole molto forti nei confronti delle Brigate Rosse, definite un “gruppuscolo marxista leninista ferocemente ottuso e assassino10”. Nel 1986 aveva dichiarato in un'intervista rilasciata ad “Avvenire” che il problema non era più quello della riconquista violenta dello Stato e che era arrivato il tempo della pacificazione11.

Negri acquisisce una forte notorietà all'estero grazie al libro Impero, pubblicato per la prima volta nel 2000 e scritto assieme a Michael Hardt, un suo ex allievo. “In Empire abbiamo voluto esprimere un concetto ben preciso: un trasferimento di sovranità dagli stati- nazione a un'entità superiore12”. L'Impero descritto dagli autori è un'entità sovranazionale, una nuova forma di sovranità globale, fondata su uno Stato in

9 J. B. Marangiou, R. Maggiori, Des responsabilitès auxquelles je ne me dérobe pas, “Liberation.fr”, luglio 1997.

10

Ibidem.

11 Negrello, Il PCI padovano nell'ultimo 900, cit., p. 236. 12

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11

perenne crisi, in cui i conflitti interni, tra gli stessi soggetti multinazionali, sono scanditi dalla guerra.

A Impero segue nel 2004 la pubblicazione di

Moltitudine dove, allo lo studio delle dinamiche globali

affrontate nel precedente saggio, subentra l'analisi dei soggetti sociali in grado di costruire una democrazia mondiale, in alternativa alla catastrofe causata dal dominio economico e bellico dell'Impero. È la guerra stessa che si trasforma, divenendo mondiale e permanente. Solo “la moltitudine”, cioè l'insieme di soggetti sociali sottostanti la forza dell'Impero, sarebbe in grado di abbatterlo, sostituendo ad esso una reale democrazia.

1.2 L' Operaismo italiano e il gruppo dei “Quaderni rossi”

L’Operaismo è la corrente del marxismo italiano che nasce in risposta alla crisi interna e internazionale del movimento operaio esplosa nel '56. Appoggia e incoraggia la radicalizzazione politica della classe operaia delle fabbriche, fino a quel momento egemonizzate dal Partito comunista. L'esperienza dei “Quaderni Rossi13”, pubblicati per la prima volta nel 1961, rappresenta la fase di gestazione dell'Operaismo,

13 G. Trotta, F. Milana, L'Operaismo degli anni Sessanta da Quaderni Rossi a Classe Operaia, DeriveApprodi, Roma, 2008, p. 19.

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12

che vedrà la luce in seguito alla fuoriuscita del gruppo che fonderà “Classe Operaia” nel 1964, la prima rivista operaista vera e propria.

Di quel gruppo, Raniero Panzieri, Mario Tronti, Massimo Cacciari, Alberto Asor Rosa e Antonio Negri sono i teorici più noti, contribuendo in misura rilevante alla formazione di una nuova sinistra, protagonista della lunga stagione di lotte operaie e studentesche che si susseguono dal secondo biennio rosso ’68-’69.

Animatore dei “Quaderni Rossi” è Raniero Panzieri, un esponente di spicco della sinistra socialista che, contrario alla prospettiva del centrosinistra sanzionata dal congresso del PSI nel ’59, abbandona gli incarichi direttivi nel partito e si trasferisce a Torino, dove lavora presso la casa editrice Einaudi come responsabile di una collana di scienze sociali. Nella città simbolo dello sviluppo industriale italiano avvia un lavoro di ricerca autonomo dai partiti, riunendo un gruppo di giovani dissidenti della sinistra socialista e comunista, provenienti da diverse realtà geografiche, intorno ad un progetto di studio delle condizioni della classe operaia14.

La sociologia politica di Panzieri e dei “Quaderni Rossi”, mentre fa riferimento al Capitale di Marx e ai rapporti sociali di produzione per analizzare il

14 N. Kohan, Toni Negri e gli equivoci di Impero, trad. it. di L. Cordidonne, Massari editore, Bolsena, 2005, pp. 24-25.

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13

capitalismo fordista-keynesiano, rompe con la teoria classica della contraddizione tra lo sviluppo delle forze produttive e i rapporti sociali di produzione. Il vero obiettivo della rottura non è in realtà Marx, quanto la lettura che di Marx è portata avanti da tempo dal marxismo italiano, dal Pci e dalle direzioni sindacali15. Se per costoro si tratta di far subentrare all'anarchia distruttiva del mercato capitalistico la pianificazione socialista, secondo i “Quaderni Rossi” ciò significa puntare a una forma degenerata di socialismo, che in effetti non è così diverso da un capitalismo autoritario a direzione operaia. Significa insomma assumere come dato immodificabile l'organizzazione capitalistica del lavoro. “La prospettiva di un uso alternativo (operaio)

15 “Abbiamo incontrato un tipo di marxismo diverso da quello ufficiale, da quello ortodosso di allora, da quello che, almeno in ambito comunista, ruotava intorno alla tradizione storicistica idealistica, gramsciano-crociana: invece noi avemmo la fortuna di imbatterci nel marxismo di Della Volpe antistoricistico, materialistico, che teorizzava una rottura tra Marx e Hegel, non una continuità. Era un marxismo aperto, che ci dava già un'indicazione di ricerca oltre le cose acquisite in quel periodo”. (G. Borio, F. Pozzi e G. Roggero, Intervista a Mario Tronti, in Gli Operaisti. Autobiografie di cattivi maestri, Derive Approdi, Roma, 2005, p. 289). Il teorico marxista Galvano della Volpe, a cui Tronti fa riferimento, sostiene infatti che il gesto originario della filosofia marxiana consiste nel distacco radicale da Hegel. È l'intero apparato della logica hegeliana che, per Della Volpe, Marx mette in discussione: la sua impostazione aprioristica e metafisica: “Onde si debba sostituire in ogni campo la previsione scientifica (ipotesi) all'apriorismo metafisico (ipostasi)”. (G. Della Volpe, Logica come scienza positiva, D’Anna, Firenze, 1956, p. 180). Ma si veda in proposito la ricostruzione di quella polemica filosofica in D. Gentili, Italian Theory. Dall'operaismo alla biopolitica, Il Mulino, Bologna, 2012, p. 31, il quale rileva che per Tronti nemmeno la filosofia della prassi gramsciana si salva dall’impronta di Hegel. Ma, se critica Gramsci, il vero obiettivo di Tronti “è tutta la tradizione culturale italiana con cui il famoso pensatore non è riuscito a rompere e che condiziona ogni nuovo ritorno a Marx: la linea gramsciana che dovrebbe culminare nella filosofia originale del marxismo non è più percorribile perché compromessa da una filosofia, quella idealista e storicistica, che in Italia é riuscita ad affermarsi come filosofia nazionale”. (Gentili, op. cit., pp. 37-38). Questo è invece il convincimento di Tronti :“Marx è alle origini dell'idealismo italiano ma ancora oggi, qui da noi, chi si avvicina a Marx si trova a riscoprirlo attraverso il filtro della cultura idealista e storicistica, un filtro tendenzioso e deformante.[...]Non basta rovesciare la prassi degli idealisti per far camminare correttamente la storia; così come non basta rovesciare la dialettica di Hegel per ritrovare il senso giusto. Non basta rompere la prassi per rendere reale la storia. [...]Oggi c'è l'esigenza di un marxismo che sia lontano dalla filosofia della prassi,dal materialismo dialettico ma che invece si ponga con semplicità come scienza”. (M. Tronti, Tra materialismo dialettico e filosofia della prassi: Gramsci e Labriola, Feltrinelli, Milano, 1959, pp. 155- 161).

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delle macchine non può fondarsi sul rovesciamento dei rapporti di produzione (proprietà), concepiti come un involucro che a un certo grado dell’espansione delle forze produttive sarebbe destinato a cadere perché divenuto troppo ristretto: i rapporti di produzione sono dentro le forze produttive, queste sono state plasmate dal capitale16”.

Il gruppo redazionale si dedica in modo specifico alla ricerca e applica una pratica sociologica che vorrebbe combinare rigore accademico e militanza. La metodologia si fonda sulla valorizzazione della cultura operaia, attraverso strumenti che comprendono un'analisi dettagliata dell'organizzazione del lavoro nella sua dimensione tecnica, sociale e politica e un immediato intervento all'interno della fabbrica17.

Sarà l'incontro tra il movimento studentesco e le lotte operaie ad agire da moltiplicatore dell'estremismo, conferendogli una base di massa e un effetto di onda lunga, che attraverso l'autunno caldo del 1969 si prolunga per un decennio con la conflittualità permanente e la pratica della violenza nelle piazze, nelle Università e nelle fabbriche18.

16

R. Panzieri, Plusvalore e pianificazione: appunti di lettura del Capitale, in “Quaderni Rossi”, 4, 1964, pp. 54-55.

17 Kohan, op. cit., p. 25. 18

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L’analisi della composizione di classe, l’uso dell’inchiesta operaia come strumento di lavoro politico, la lettura della critica dell’economia politica come scienza dell’antagonismo di classe, una storiografia innovativa delle lotte operaie sono considerati i contributi più significativi della nuova sinistra19.

Interpretato unitariamente come tentativo di riattivare una strategia rivoluzionaria nell’Europa occidentale, ricerca di un’alternativa al socialismo di Stato sovietico e alla via italiana al socialismo, l’Operaismo costituisce un capitolo della storia del marxismo europeo che, dopo la stagione creativa degli anni Venti, vive negli anni Sessanta una ripresa teorica al di fuori delle politiche culturali di partito. Se l’anarcosindacalismo di Sorel e “L’Ordine nuovo” di Gramsci avevano in passato dato espressione

all’orgoglio produttivo e alle rivendicazioni

dell’operaio di mestiere e dell’operaio professionale, con le parole d’ordine del rifiuto del lavoro, del sabotaggio della produzione, del salario come variabile indipendente e della garanzia del salario sociale, l’Operaismo italiano interpreta la combattività dell’operaio-massa: l'operaio della catena di montaggio, non professionale, tecnicamente dequalificato e scarsamente disciplinato rispetto all'operaio di mestiere,

19 R. Panzieri, Spontaneità e organizzazione. Gli anni dei Quaderni Rossi, 1959-1964, scritti scelti a cura di S. Merli, BFS Edizioni, Pisa, 1994, pp. 117-130.

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nonché capace di esprime un forte potenziale conflittuale20.

L’ipotesi di una frattura tra i partiti di sinistra e i gruppi sociali da essi tradizionalmente rappresentati trova una conferma nelle lotte dei primi anni ’60. Dopo l’autorizzazione accordata dal governo Tambroni al MSI per tenere il congresso del partito a Genova, nel luglio ’60 scoppiano manifestazioni di rivolta con decine di morti e feriti e, nel 1962, le lotte dei metalmeccanici per il rinnovo del contratto sfociano nella rivolta di Piazza Statuto a Torino.

La diversa valutazione dei comportamenti operai è occasione di divisione per la redazione di “Quaderni Rossi”, che viene abbandonata dal gruppo dei fondatori di “Classe Operaia21”. “Nel 1962, dopo i fatti di Piazza Statuto a Torino, dove per la prima volta i lavoratori si oppongono ai sindacati e distruggono la sede dell'Unione italiana del lavoro, il gruppo formato da Tronti, Negri e Rosa decide che è giunto il momento di intervenire nelle lotte in maniera diretta22”.

Se Panzieri continua a giudicare prematuro quest'intervento, nella nuova rivista convergono e si confrontano, da un lato, i cosiddetti militanti politici o entristi, provenienti come Tronti dal Partito comunista

20

Ibidem. 21 Ibidem. 22

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17

e, dall'altro, i cosiddetti militanti settari che provengono, come Negri, dal socialismo. “La rivoluzione copernicana” operata dagli interventisti consiste in un'operazione di rottura più che di rivitalizzazione del marxismo: segna il passaggio da una prospettiva neomarxista ad una filosofia della classe operaia 23 . Così concepito, l'Operaismo è destinato ad affrontare una fase di ridefinizione e di crisi a partire dalla seconda metà degli anni '70, per poi entrare in una fase di dissoluzione irreversibile con l'inizio degli anni '80.

23 “Abbiamo visto anche noi prima lo sviluppo capitalistico e poi le lotte operaie. È un errore. Occorre rovesciare il problema, cambiare il segno, ripartire dal principio: il principio è la lotta operaia. A livello di capitale socialmente sviluppato, lo sviluppo capitalistico è subordinato alle lotte operaie, viene dopo di esse e deve far corrispondere il meccanismo politico della propria produzione”. (Tronti, Operai e Capitale, cit., p. 87). “La rivoluzione copernicana consiste in questo dunque: non solo la centralità della classe operaia di fabbrica tra le classi lavoratrici, ma anche il primato della lotta di classe nello sviluppo capitalistico, che ne diventa così l'elemento attivo e dinamico. Tale scoperta sarà il motivo della scissione da Quaderni Rossi a Classe Operaia”. (Gentili, op. cit., p. 53).

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DAL NEGRISMO OPERAISTA A QUELLO AUTONOMO

2.1 Classe Operaia

Abbandonata la vicinanza al socialismo, gli anni Sessanta rappresentano dunque per Antonio Negri e per il gruppo degli interventisti come Tronti il periodo

operaista, di cui è simbolo la fondazione, nel 1964,

della rivista “Classe Operaia. Mensile politico degli operai in lotta”, diretto proprio da Tronti.

Ed è appunto l'esperienza degli operai Fiat, di nuovo in lotta dopo aver subito per anni un regime di feroce disciplina all'interno della fabbrica24, che motiva i risvolti della rivista e definisce i tratti più caratterizzanti della corrente operaista: la concezione delle lotte come motore dello sviluppo capitalistico, la precedenza dei movimenti di classe rispetto ai movimenti del capitale, l’anteposizione della teoria della rivoluzione alla critica dell’economia, la celebrazione della soggettività e della parzialità della classe, l’atteggiamento cinico e spregiudicato nel rapporto con la tradizione storica, lo stile al contempo disincantato e visionario, realistico e profetico25.

24

La rivista in qualche misura riprende il programma iniziale dell’ “Ordine Nuovo”, la rivista che Gramsci aveva fondato nel '19, con l'obiettivo di incoraggiare una riflessione collettiva sulla situazione generale e intervenire a fianco dei lavoratori della Fiat.

25

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19

In “Classe Operaia”, l'impegno di classe cessa di essere sindacale e torna in fabbrica, rinnovando le lotte e rilanciando un'azione generale. “Come si arriverà alla prossima forma di dittatura degli operai? Bisogna lavorare con pazienza su questo esplosivo materiale sociale. Abbiamo visto anche noi prima lo sviluppo capitalistico e poi le lotte operaie. Bisogna rovesciare questo problema. Il principio è la lotta della classe operaia26”. Ed è maturata appunto su questo tema la frattura con Panzieri, il quale, estraneo alla visione salarialista del conflitto di classe tipica dell’ Operaismo successivo, non condivide l’idealizzazione del rifiuto del lavoro e del blocco della produzione e non sopravvaluta la rottura con le organizzazioni storiche del movimento operaio, assegnando al gruppo dei “Quaderni rossi” un lavoro prevalentemente teorico. “La politica operaia non è iscritta nei comportamenti spontanei della forza-lavoro, ma è il prodotto dell’incontro del movimento della classe con il socialismo27”.

Secondo Tronti, invece, il rifiuto del lavoro è espressione dell'autonomia operaia, in quanto la strategia politica preesiste nei comportamenti spontanei

26

“Classe operaia”, 3 gennaio 1964, http://www.scribd.com/doc/147601016/rivista-Classe-Operaia. 27 C. Preve, La teoria in pezzi. La dissoluzione del paradigma teorico operaista in Italia (1976-1983),

Dedalo, Bari, 1984, pp. 10-11. Per Panzieri la classe operaia e il capitale si identificano in due realtà autonome e irriducibili l’una all’altra: la teoria rivoluzionaria si articola perciò nell’analisi del capitale e nello studio autonomo del comportamento della forza-lavoro, che può operare come elemento semplicemente conflittuale o come elemento antagonistico.

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degli operai, sì che il compito del partito è quello di

rilevarla, esprimerla e organizzarla. Le differenze

politiche rinviano a divergenze teoriche: “La scienza operaia differisce dalla scienza del capitale perché riduce l’oggettività del rapporto capitalistico alla soggettività fondante del lavoro vivo28”.

Il gruppo di “Classe Operaia” pone l’accento sugli interessi particolari piuttosto che sui valori universali della classe, sottolinea l’irriducibilità degli operai al concetto di volontà generale, contrappone la potenza della classe senza alleati alla rincorsa dei ceti medi, celebra l’irrazionalità, la separatezza, la differenza operaia come fondamenti di autonomia. Il gruppo dichiara esaurita la battaglia culturale e chiama il movimento operaio a ereditare il pensiero negativo, distruttore delle mediazioni e delle sintesi dialettiche29.

In “Classe Operaia”, il sindacalismo è sconfitto dalla coscienza dei risultati politici attinti dalla classe. “È significativo che una lotta locale debba chiudersi per cominciare quella nazionale: infatti nella tattica sindacale non è previsto un crescente sviluppo delle lotte, ma al contrario il contenimento degli scioperi in limiti ben determinati, in accordo con le esigenze della produzione30”.

28 Tronti, Operai e capitale, cit., p. 15. 29

Trotta, Milana, op. cit., p. 32. 30

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Deve così nascere un soggetto nuovo dello scontro politico e cioè l'operaio-massa, la cui identità ha senso solo nel momento di generalizzazione di un conflitto che sfugge alle competenze del sindacato. Da qui l'esigenza di superare ogni equivoco tradeunionista. È la classe operaia che deve organizzare e trasformare le occasioni sindacali in momenti di scontro aperti secondo il proprio punto di vista: ciò che richiede

insomma la comunicazione e l'organizzazione

autonoma della lotta31.

Gli scioperi di quegli anni nelle fabbriche della Fiat a Torino e della Michelin confermano che “gli operai hanno imparato benissimo da soli a collegare nuclei in lotta, a fare picchetti di massa, ad incontrarsi in piazza ad una data ora e che le lotte sono diventate, da singole, volte a recuperare un'iniziativa operaia a livello generale32”.

Dunque, dato primario è il movimento reale del proletariato, l'istintivo radicale antagonismo della classe operaia nei confronti del capitale. Il concetto dell'autonomia operaia è fondamentale: autonomia come irriducibilità al capitale, e insieme, come

31 Ibidem. Come sottolineato anche da Gentili, due importanti elementi che caratterizzano quella fase dell'Operaismo sono la fabbrica moderna e l'operaio-massa. “Questo Operaismo si basa sull'unità di soggetto e di luogo, sull'indissolubile coappartenenza di classe operaia e fabbrica: è soltanto qui, infatti, che si può generare la lotta rivoluzionaria, l'unica in grado di sovvertire il sistema capitalistico. È in fabbrica, a livello del rapporto di produzione, e non in società, a livello della distribuzione, della circolazione e del consumo, che si mostra la contraddizione nella sua forma più pura”. (Gentili, op. cit.., p. 52).

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autenticità originaria della classe, che si contrappone ai partiti storici del movimento operaio e ai sindacati, sovrastrutture burocratiche e subdole istituzioni di controllo e di repressione nei confronti del proletariato rivoluzionario33. È parte di questo impegno una politica che si fa organizzazione: non solo la creazione del giornale, ma la distribuzione delle sue copie davanti alle fabbriche come occasione di proselitismo e di mobilitazione degli operai.

Alla fine degli anni Sessanta la compagine di “Classe Operaia” si divide in due linee di strategia politica e di ricerca teorica: l’Operaismo di sinistra e l’Operaismo di destra. Come ricorda Massimo Cacciari, un protagonista delle vicende di quegli anni: “A differenza di me o di Tronti, in tutta la sua traiettoria, Negri non si è mai avvicinato al Pci, né sul terreno politico né su quello filosofico ed era fortemente contrario al nostro uso operaio del Pci. Poi decise di entrare nel movimento studentesco su posizioni di aperta rottura col sindacato, con il Pci e il Psi, che io, Mario Tronti e Asor Rosa consideravamo sbagliate, perché non ritenevamo che fossimo in un'epoca pre-rivoluzionaria, ma che si dovesse portare avanti una politica di riforme34”.

33

Tronti, Operai e capitale, cit., pp. 257-259.

34

B. Romano, I panni sporchi si lavano in casa, in “Libero”, 5 maggio 2009, consultabile all'indirizzo http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/panni-sporchi-si-lavano-casa-ma-cav-piano-gusto-5767.htm.

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Non è diversa la testimonianza che, prendendo a pretesto il caso Negri del 198335, viene da Asor Rosa: “Alla base del pensiero e delle iniziative di Negri c'è, a partire dal 1968-1969, un'ipotesi politica sbagliata: il convincimento, preciso e determinato, che la rivoluzione in Italia fosse alle porte. Un rovesciamento violento del potere come distruzione della macchina statale, come assunzione del potere da parte di nuovi organismi operai e proletari. In una prima fase, che dura pochi anni, il soggetto portatore di questa rivoluzione viene individuato nella classe operaia di fabbrica, l'operaio-massa. Ma quando questa si rivela impraticabile, Negri passa alla teorizzazione di una nuova fase del processo rivoluzionario; gli operai della fabbrica diffusa, i disoccupati, i marginali, gli studenti, insomma il mondo della Autonomia!36”.

Quando dunque “Classe Operaia” termina la pubblicazione, il volantino “Potere Operaio”, creato qualche anno prima dal gruppo della redazione veneta di “Classe operaia” e formatosi attorno a “Progresso Veneto”, viene rinominato “Potere Operaio. Giornale

35 E cioè all’opportunità di far tornare in prigione, mediante voto parlamentare, il leader politico dell’Autonomia, eletto nel 1983 nelle liste radicali.

36

A. Asos Rosa, rubrica “Dibattiti”, “L'Unità”, 11-9-1983. È importante sottolineare che la fase operaista di Tronti - e il cosiddetto Primo Operaismo- termina proprio con la conclusione dell'esperienza di “Classe Operaia” nel 1967. Sempre nella ricostruzione di Gentili, “il primo Operaismo si esaurisce con la rottura dell'unità di soggetto antagonista e luogo dove tale antagonismo si mostra nella massima intensità, ovvero la fabbrica. E' la fine dell'epoca della forma di produzione fordista a determinare l'estinguersi della figura storica dell'operaio-massa. Una soggettività antagonista è stata possibile finché la fabbrica era ancora luogo di soggettivazione; ha avuto una potenzialità politica finché la fabbrica era ancora luogo di divisione e, al contempo, di aggregazione sociale”. (Gentili, op. cit., p. 59).

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politico degli operai di Porto Marghera”. Di lì a poco il gruppo veneto entra in organico collegamento con il gruppo emiliano di “Potere Operaio”.

Da quella collaborazione nasce “La Classe”, di Scalzone, Negri e Piperno, impegnati a stabilire legami tra le lotte dell'operaismo di fabbrica e le proteste studentesche giovanili. Nella seconda metà del '69, il giornale diventa “Potere Operaio”, e da esso nasce nello stesso anno l'omonimo gruppo politico della sinistra extraparlamentare, attivo fino al 1973 e di cui Negri diventa ideatore e stratega37. Il giornale e il gruppo si caratterizzano per la proposta di lotte autonome condotte fuori dal sindacato, cercando una via di azione più diretta e incisiva. PO si prefigge di contrastare la logica capitalista partendo dalla dinamica salariale; da qui lo slogan “Più soldi e meno lavoro”, e con ciò la proposta di nuove forme di lotta, che non escludono lo scontro violento.

Rileggendo Marx e Lenin alla luce della nuova composizione di classe nel capitalismo maturo, PO sottolinea l'importanza decisiva, anzi la necessità, dell'organizzazione di partito. “L' ipotesi di fondo è quella di dare vita ad un'organizzazione di massa, le

cui avanguardie siano interne e tendano

all'autorganizzazione. La costituzione di una

37 D. Negrello, A pugno chiuso. Il partito comunista padovano dal biennio rosso alla stagione dei movimenti, Franco Angeli, Milano, 2000, pp. 164-168.

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25

partito, ossia un partito neo-leninista con l'obiettivo della presa di potere38”. Questa strategia è portata avanti fino alla nascita di Autonomia Operaia nel maggio 1973 e all'espulsione di Negri dal PO il 30 giugno.

Al contrario di Negri e del gruppo di PO, gli Operaisti di destra, rappresentati da Tronti, Cacciari e Asor Rosa, ripiegano sull’entrismo nel PCI e teorizzano lo spostamento del conflitto sul terreno statuale per consolidare sul piano istituzionale i nuovi rapporti di forza. “Poiché il capitale usa la manovra della crisi per impedire che allo sviluppo economico, innescato dalle lotte operaie, corrisponda un adeguato esito politico, la classe operaia tramite un partito relativamente autonomo deve farsi promotrice di un processo di modernizzazione39”. A ciò corrisponde l'ipotesi di un’alleanza dei produttori, una gestione dell’economia capitalistica sotto la guida politica operaia che utilizzi la macchina statale per sconfiggere le arretratezze della società italiana, per promuovere la riforma dello Stato e rimettere in moto lo sviluppo.

Nel fermento di quegli anni, Negri raccoglie alcuni saggi nella collana Feltrinelli “Opuscoli marxisti”, tra cui Crisi dello Stato-piano. Comunismo e organizzazione rivoluzionaria (1974), Proletari e Stato

38 Ivi, p. 168. 39

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26

(1976) e Il dominio e il sabotaggio (1978), tre opere destinate a segnare il passaggio al periodo del

negrismo Autonomo.

La teoria dell'insubordinazione sociale, che legge la strategia del compromesso storico come tentativo di una restaurazione autoritaria, incrocia il movimento del' 77, che fa emergere nuovi bisogni e l'idea di una diversa composizione di classe. Una parte consistente dell'Operaismo di sinistra insegue nuovi soggetti sociali come studenti, donne e proletariato urbano, e proclama l'attualità del comunismo inteso come fine della scarsità, orizzonte del consumo di beni e servizi privi di valore-lavoro40.

Autonomia Operaia è il presupposto teorico e filosofico delle critiche che Negri avanza alla sinistra tradizionale, con l'intento di promuovere un'azione politica non ristretta al solo ambito industriale, ma indirizzata a uno spazio urbano di più lungo respiro, diverso e non limitato alla fabbrica, e l'elaborazione di una definizione politica dell'operaio sociale: “eravamo a bordo della rottura del concetto di capitale e dell'effettività del suo comando unificato.[....] Non vi era più solamente quel «dentro/contro il capitale» che l'Operaismo aveva recitato, si era nel «contro/fuori il

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27 capitale» – albeggiava una nuova realtà della classe

lavoratrice41”.

“Se da una parte il gruppo di Autonomia Operaia non perde di vista le dure battaglie occupazionali della Fiat- paradigma storico dell'industria italiana- dall'altra amplia il proprio raggio d'azione per prendere parte alle lotte che riguardano tutti gli aspetti della vita sociale: gli alloggi, il tempo libero, le scuole, i servizi sociali42”.

2.2 La crisi dello Stato-piano

Il saggio Crisi dello Stato-piano appare per la prima volta nel supplemento n. 45 del mensile “Potere Operaio” il 25 settembre 1971, fra i materiali di preparazione della terza conferenza di organizzazione del movimento omonimo.

Negri qui elabora importanti temi attraverso il commento dei Grundisse di Marx43. “La lotta per il partito pensa di poter essere rinchiusa nel recinto delle giaculatorie tradizionali: essa deve invece ogni volta di nuovo confrontarsi con la composizione politica della

41 A. Negri, Dall'operaio massa all'operaio sociale. Intervista sull'operaismo (1979), a cura di P. Pozzi e R. Tomassini, Ombre Corte, Verona, 2007, p. 8.

42

Kohan, op. cit., p. 39.

43 “Il riferimento di Negri è Marx, in particolare il Marx dei Grundisse: più che quello de Il Capitale, per Negri e per un certo operaismo, il Marx più politico”. (Gentili, op. cit., p. 67).

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classe operaia e delle sue lotte. Riconquistare la teoria di Marx per praticarla in maniera più adeguata alle esigenze della lotta di classe, sia come critica dell'economia politica che come teoria del partito: questo è il compito che ci è dato44”.

In realtà, a monte della riflessione negriana e come misura della sua metamorfosi sta il confronto con la precedente elaborazione operaista di Tronti, con quel saggio, Operai e capitale, apparso cinque anni prima di

Crisi dello Stato-piano, che raccoglie gli scritti

trontiani dal 1962 al 1966, dall'inizio dall'esperienza dei “Quaderni Rossi” alla fine di quella di “Classe Operaia”.

In particolare, in Operai e capitale la sequenza marxiana processo di produzione, processo di

circolazione, processo complessivo era stata sostituita

con la sequenza fabbrica, società, Stato, sì che la contraddizione classica tra sviluppo delle forze produttive e rapporti sociali di produzione si riproponeva nei termini di un antagonismo irriducibile tra il processo produttivo che si svolge nella fabbrica e il processo di valorizzazione che si svolge nella società. Oggetto della critica di Tronti erano le ideologie neocapitalistiche che affermavano la nascita di uno Stato interclassista e funzionale alla metamorfosi dello stesso capitalismo. Vero invece il contrario, perché

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29

“quando il dispotismo capitalistico si estende dalla fabbrica alla società, lo Stato tende a porsi come il rappresentante diretto del capitalista collettivo45”.

Da parte sua, Negri ritiene che le previsioni di Marx sullo sviluppo capitalistico più maturo, ad esempio il fatto che il lavoro sarebbe stato non più “sussunto” bensì “soppresso” dentro al comando del capitale, si siano compiute. “La classe operaia, che ha imposto questo al capitale, pone così una domanda di organizzazione che obbliga l’analisi a percorrere un terreno completamente nuovo46”. L'analisi delle classi, e della classe operaia in particolare, sviluppatasi dentro le lotte negli anni Sessanta, va riproposta all'attenzione critica del marxismo rivoluzionario. L'importante è cogliere il nuovo essere della classe operaia e la sua nuova struttura di bisogni determinata dal livello del salario. Secondo Negri, se davvero è finita la dialettica positiva che lo Stato riusciva a indicare, sicché esso si

presenta come produttore di crisi, allora

l'organizzazione operaia deve rompere con la tradizione e deve invece impegnarsi nella costruzione di un'avanguardia politica47.

Tale visione ‘traumatica’, di rottura, non apparteneva invece a Tronti, il quale riteneva che,

45

Tronti, Operai e capitale, cit., p. 95. 46 Negri, Crisi dello Stato- piano, cit., p. 6. 47

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estendendo progressivamente la logica della fabbrica alla società e generalizzando il rapporto di lavoro salariato, lo sviluppo capitalistico tendeva a far crescere linearmente la classe operaia. “Se la principale forza produttiva sviluppata dal capitale è la classe operaia, che impone con la propria conflittualità lo sviluppo delle altre forze produttive, lo sviluppo del capitale è il potere degli operai48”.

La cesura che Negri individua nel processo storico-economico è la rottura del rapporto di subordinazione tra salario e profitto, che determina la crisi dello Stato keynesiano e il passaggio dallo piano allo Stato-crisi: la crisi dello stato keynesiano a partire dal 1929 è

avvenuta grazie a diversi fattori, quali la

massificazione delle lotte e l'estendersi della richiesta di salario. “Ciò ha prodotto quello scarto delle proporzioni determinate fra lavoro necessario e pluslavoro che si chiama inflazione49”. Con l'inflazione la crisi del sistema è divenuta crisi dello Stato poiché ad esso è stato attribuito il ruolo egemone ed equilibratore nella sequenza impresa-piano-Stato. “La fabbrica si subordinava allo Stato, che garantiva le condizioni fondamentali del funzionamento del sistema. Attraverso lo Stato il valore di scambio trovava una garanzia a valere come legge generale di riproduzione

48 Tronti, Operai e capitale, cit., p. 51. 49

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31

delle condizioni produttive. Ma questo meccanismo non ha funzionato. È stata rotta, a partire dalla fabbrica fino ad investire tutta la società, la legge che lo Stato doveva garantire. Qui, nelle lotte massificate dell'operaio-massa, il lavoro si è sganciato dal valore del lavoro.[…] Quando il riformismo, sotto la pressione operaia, straripa dagli argini fissati, diviene un elemento perturbatore del corretto funzionamento della legge del valore di scambio esso stesso50”.

In realtà, un simile esito era già stato prefigurato proprio da Tronti. La sua rivoluzione copernicana consisteva infatti nel rovesciamento dell'immagine della forza-lavoro incorporata nel dominio capitalistico attraverso l’adozione di un metodo d’analisi che muovesse dalla precedenza storica, logica e politica dei movimenti della classe operaia rispetto ai movimenti del capitale. Emancipato il lavoro produttivo dai concetti di valore e plusvalore, la teoria marxiana dello sfruttamento era stata trasformata in una forza d’attacco capace di esprimere il potenziale di estraneità, piuttosto che la passività e la subordinazione della classe operaia. La forza-lavoro consisteva adesso in lavoro vivo, lavoro in atto, di cui il capitale era un semplice riflesso. La classe, elemento dinamico del capitale, causa prima dello sviluppo, produceva il capitale come potenza economica, ma poteva rifiutarsi

50

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32

di produrlo separandosi da sé come categoria economica, negandosi come forza produttiva e affermandosi come potenza politica51. “Valore - lavoro vuol dire allora prima la forza-lavoro, poi il capitale; vuol dire il capitale condizionato dalla forza-lavoro, mosso dalla forza-lavoro, in questo senso valore misurato dal lavoro. Il lavoro è misura del valore

perché la classe operaia è condizione del capitale52”.

E proprio sulla scia di Tronti e a distanza di cinque anni, Negri prevede che, con il venir meno del ruolo dello Stato quale promotore dello sviluppo nella invarianza dei rapporti di forza tra le classi, si profili un rovesciamento della sequenza Stato-piano-impresa: nel senso peraltro più specifico che la sovranità nazionale si indebolisce a beneficio delle imprese multinazionali. Se fin qui lo Stato ha ricoperto un ruolo egemone, adesso la sua funzione è subordinata. “A livello di mercato mondiale, lo Stato-crisi si presenta oggi anche come crisi dello “Stato nazionale” rispetto alla forma d'impresa del comando capitalistico53”. Da qui l'impegno a cui la forza-lavoro non può sottrarsi: la creazione di un'organizzazione politica comunista degli operai e dei proletari per attuare un’ insurrezione. È necessario sovvertire l'articolazione capitalistica del comando sul lavoro sociale che esercita l'impresa,

51

Tronti, Operai e capitale, cit., p. 224. 52 Ivi, p. 226.

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come compito tattico primario dell'organizzazione rivoluzionaria. Senza l'espletamento di questa specifica funzione sovversiva, la stessa spinta comunista delle masse rischia di essere annullata dalla repressione, non quella dei giudici ma quella della logica materiale, economica e politica del sistema54.

Obiettivo è la messa in discussione del comando d'impresa, sul terreno dell'appropriazione generalizzata, dalla gestione di massa dell'attacco alla ricchezza sociale come cosa da riconoscere propria. “L’impresa, i suoi movimenti intelligenti - questo è il nemico da battere, questo è l’avversario contro cui va portata tutta la rabbia proletaria e la speranza comunista.[…] Ogni azione spontanea o organizzata di appropriazione va perciò trasformata in azione di attacco militante contro il dominio che il capitale riproduce;[…] vedere l'insurrezione non come ultimo, ma come primo passo del processo rivoluzionario55”.

Secondo Tronti il rapporto di classe esisteva già nella sfera della circolazione e ciò escludeva in ogni momento storico la considerazione di operaio singolo. “La figura materiale e socialmente determinata dell’operaio nasce già collettivamente organizzata56”. Se la forza politica operaia era legata alla forza

54

Ivi, p. 35. 55 Ivi, pp. 44-45. 56

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produttiva del lavoro salariato e traeva forza dal senso di collettivo espresso dal concetto di operaio, il capitale era concepito come interesse economico che, sotto la minaccia dei lavoratori, è stato costretto a diventare forza politica, a sussumere la società, a farsi apparato di repressione statale. Mentre la classe operaia esisteva indipendentemente dai livelli istituzionali, la classe dei capitalisti, secondo Tronti, aveva bisogno della mediazione di un livello politico formale che facesse

vivere soggettivamente un morto meccanismo

oggettivo57.

È necessario che, all'interno della fabbrica sociale, le avanguardie accendano dei focolai di lotta insurrezionale attorno ai quali le masse degli sfruttati si possano riunire. “L'avanguardia che lotta in maniera puntuale e intelligente contro l'impresa sociale del capitale deve trovare nell'organizzazione di massa il suo referente e il suo sostegno58”. In questo senso Negri recupera molti degli elementi che hanno definito la struttura del partito leninista rivoluzionario, in particolar modo il rapporto fra avanguardia e massa, fra partito e organizzazioni di massa.

Nelle conclusioni di Crisi dello Stato-piano, viene affrontato il problema del funzionamento dei livelli istituzionali (sindacato, Stato nazionale ecc.) all'interno

57 Ivi, p. 235.

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del rapporto tra operai e capitale. Anche a questo riguardo, Negri sottolinea la caduta di ogni rapporto di autonomia rispetto all'impresa. Ad esempio, sindacato e Stato nazionale, entrambi coinvolti nella crisi dello Stato-piano, si trovano nell'impossibilità di gestire e comporre il rapporto fra lotte e sviluppo. “Per il sindacato è scomparsa, dopo la funzione di intermediazione nella vendita della forza-lavoro, anche la funzione di agente istituzionale adibito alla ripartizione della ricchezza; quanto allo Stato nazionale viene meno ogni sua possibilità di poter garantire lo sviluppo, in assenza di variazioni, del rapporto fra i fattori. Le istituzioni sono incalzate dalla crisi politica e il loro ruolo si è ricoperto di un'enorme precarietà59”.

Dunque, il processo che ha visto all'inizio tutta la classe operaia dentro il capitale si è rovesciato. Il passaggio dallo Stato-piano allo Stato-crisi, che è anche Stato-impresa, è divenuto un dato di fatto60.

“La classe operaia deve organizzarsi come elemento

irrazionale, come unica anarchia che il capitalismo

non riesce socialmente a organizzare 61”.

59

Ivi, p. 54. 60 Ivi, p. 55. 61

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2.3 Proletari e Stato

Con il saggio Proletari e Stato, Negri inizia a discutere le ipotesi e la pratica del compromesso storico. Punto centrale della polemica è dunque l'analisi delle classi, come condizione affinché al sostanziale interclassismo, sul quale si è appoggiato la politica del compromesso storico, si contrapponga un'indagine che riesca ad individuare il processo di trasformazione che sta avvenendo entro la classe operaia62.

Lungo l'arco degli anni Settanta, Negri è impegnato a delineare la figura dell' operaio sociale, che prende il posto dell'operaio-massa degli anni Sessanta63.

L'evoluzione da operaio-massa a operaio sociale enfatizza la disconnessione avvenuta fra “lo sviluppo

62 A. Negri, Proletari e Stato. Per una discussione su autonomia operaia e compromesso storico, Feltrinelli, Milano, 1976, pp. 5-9.

63

Ecco come, in Proletari e Stato, del 1976, Negri delinea il passaggio dal tramonto dell'operaio-massa all'alba dell'operaio sociale: “[….] la categoria classe operaia va in crisi ma continua a produrre tutti gli effetti che gli sono propri sul terreno sociale intero.[….]Dopo che il proletariato si era fatto operaio, ora il processo è inverso: l'operaio si fa operaio terziario, operaio sociale, operaio proletario”.(Ivi, cit., p.15). Nel teorizzare il passaggio dall'operaio-massa all'operaio sociale, l'intento di Negri di avvalersi del metodo operaista delineato in Operai e Capitale è evidente. Ma allora che cosa emerge nell'operaio sociale di così radicalmente divergente dalla precedente analisi operaista della composizione di classe? É il termine stesso “operaio sociale”, come del resto anche “fabbrica sociale”, che lo spiega: è un ossimoro, sosterrebbe Tronti, per il quale la classe operaia e la fabbrica si oppongono radicalmente ad ogni dimensione sociale e a ogni possibile assorbimento nella società. “Per Tronti la società è la dimensione dell'ideologia borghese che neutralizza il conflitto e l'antagonismo. Magari anche Tronti ha riconosciuto il dissolversi della fabbrica nella società, ma a differenza di Negri, vi ha visto il tramonto definitivo della classe operaia e non, con la sua proletarizzazione, una nuova potenzialità politica. [....] La politica si poteva fare nella fabbrica in quanto luogo in cui si concretizzava la contrapposizione amico-nemico, ma non nella società che invece è esattamente il suo opposto, ovvero il non-luogo”. (Gentili, op. cit., p. 72).

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della ricchezza generale” e “il plusvalore della massa”, anzi richiama l'attenzione - come scrive Marx - sul fatto che “il furto del tempo di lavoro altrui, su cui riposa la ricchezza odierna, appaia una base miserabile rispetto a questa nuova base che è stata sviluppata dalla grande industria stessa. Non appena il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande sorgente della ricchezza, il tempo di lavoro cessa e deve cessare di essere la sua misura, e quindi il valore di scambio [la misura] del valore d'uso64”.

Facendo riferimento al Capitolo VI inedito del I libro del Capitale di Marx, Negri interpreta il nesso tra la fabbrica e la società in chiave di estensione della cooperazione produttiva, di formazione di un lavoratore collettivo che fa venire meno la distinzione

tra lavoro produttivo e lavoro improduttivo 65 .

Sottolinea cioè che, quando il comando d’impresa si estende alla società e il lavoro produttivo si identifica con il lavoro salariato, sorge la fabbrica diffusa ed emerge la figura dell’operaio sociale: in reazione alla caduta del saggio di profitto, il capitale è costretto a diffondere il processo di valorizzazione alla società, anche se questa valorizzazione non può ristabilire

64

K. Marx, Frammento sulle macchine, in “Quaderni Rossi”, 4 ,1964, p. 298; è la traduzione (a cura di R. Solmi) dei Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie, proposta a Renato Solmi da Raniero Panzieri, che nello stesso numero interviene a commento dei Grundisse. Il testo è stato richiamato anche da R. Mordenti, L'Università struccata. Il movimento dell'Onda tra Marx, Antonio Negri e il prof. Perotti, Punto Rosso, Milano, 2010, p. 124.

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margini adeguati di profitto, perché la diffusione del comando di impresa è anticipata dall’estensione dei

comportamenti antagonisti dell’operaio-massa.

Sta di fatto che, con l’estensione della relazione salariale a tutta la società, viene meno la contrapposizione tra essa e la fabbrica: la società non è più il luogo della passività e della disgregazione, ma diventa il terreno privilegiato del conflitto.

La compenetrazione tra struttura e sovrastruttura nell’analisi di Negri diventa totale, la sfera della circolazione e quella della produzione si unificano nella dimensione della riproduzione. Lo scontro prefigurato in Operai e Capitale tra fabbrica e società capitalistica si ridisegna come scontro tra il lavoro sociale e lo Stato rappresentante del capitalista collettivo. Il comando d’impresa, sganciato dal valore, diventa mero rapporto di forza, disegno soggettivo e arbitrario di dominio; il capitale è considerato volontà di potere, autonomia del politico. Questa è perciò la convinzione di Negri, che “la critica dell’economia politica è immediatamente critica dell’amministrazione, della Costituzione, dello Stato66”: un passaggio che dimostra fino a che punto egli, a distanza di anni, continui ad avere in Tronti un indiscusso punto di riferimento.

66

A. Negri, La forma Stato. Per la critica dell’economia politica della Costituzione, Feltrinelli, Milano, 1977, p. 18.

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Intervenendo nel ’72 ad un seminario di Scienze Politiche presso l’Università di Torino, Tronti precisava che, dopo l’esperienza del New Deal e la nascita del partito di massa, i rapporti di produzione si erano politicizzati e lo schema di sviluppo dall’economico al politico, dalla fabbrica allo Stato, non funzionava più67. Denunciava dunque l’assenza di una teoria marxista della politica, confinando il pensiero di Marx in un’epoca di capitalismo “liberale” ormai superato e proponendo un rinnovamento delle strategie e dei compiti del movimento operaio attraverso l’indagine di un nuovo oggetto specifico: l’autonomia del potere nei confronti della società.

“Quando allo sviluppo succede la crisi, lo Stato e il partito sostituiscono la fabbrica come terreno espressivo della potenza politica operaia e il dualismo di potere riguarda il rapporto tra la società e lo Stato piuttosto che il rapporto tra la fabbrica e la società68”. Deriva direttamente da qui la tesi negriana della fine di ogni distinzione possibile fra i luoghi della produzione e i luoghi della riproduzione, fra fabbrica, università e metropoli capitalistica. “Investite dal lavoro materiale e

67 M. Tronti, Sull'autonomia del politico, Feltrinelli, Milano, 1977, pp. 38-40. R. Mordenti, in L'Università struccata, op. cit., p. 125, fa l'ipotesi che al fordismo-taylorismo sia succeduto un modo di produzione che abbia costituito un'epoca nuova, quella del capitalismo cognitivo. Secondo Mordenti, qui verrebbero messe a valore non più la forza lavorativa muscolare o nervosa degli operai, ma delle generiche capacità relazionali, comunicative, organizzative, per le quali viene anche evocato il concetto foucaltiano di bio-politica. La forza produttiva insomma sarebbe diventata sempre più immateriale, quando non fosse ormai puramente intellettuale.

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cognitivo, attraversate da correnti tecnologiche e finanziarie, le città si sono trasformate in luoghi di produzione: flussi di conoscenza e di sapere che ci si accumulano e costituiscono un bene comune69”.

Quando nel ’73 il segretario del PCI Berlinguer lancia la proposta del compromesso storico tra il Pci e la Democrazia Cristiana, la risposta di Negri è che in quella scelta c'è la rinuncia alla lotta per la conquista del potere che aveva caratterizzato gli esordi del partito comunista d'Italia guidato da Gramsci negli anni '20.

“Sulla scala del progetto capitalistico di

ristrutturazione dei rapporti di produzione, il compromesso sembra infatti progetto subalterno e inefficace70”. Secondo Negri, rispetto ai bisogni del proletariato e alla richiesta di comunismo da parte delle masse, parlare di compromesso storico è “recedere dalla storia alla preistoria71”: un passo indietro che sembra rifarsi alla “svolta di Salerno” di togliattiana memoria.

Gli obiettivi politici dichiarati da questo patto politico sono tre.

Il primo è il passaggio senza lotte o scontri al socialismo, inserendo le rappresentanze popolari nello Stato per controllare i movimenti di classe, cioè

69

A. Negri, Metropoli e moltitudine, in Dalla fabbrica alla metropoli, Saggi politici, Roma, 2008, p. 9. 70 Negri,Proletari e Stato, cit., p. 25.

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riconoscendo al sindacato un importante ruolo di controllo del meccanismo di produzione. In secondo luogo, quello di organizzare, attraverso il partito, gli enti locali e territoriali per riorganizzare i rapporti di produzione. Per ultimo, quello di ridistribuire non tanto i redditi, quanto la capacità produttiva a favore della parte pubblica e del ceto politico-economico amministratore del sistema statale72.

Niente di tutto ciò è in realtà possibile, perché non si può più parlare di operaio professionale, né tantomeno di un'applicazione della sua logica produttiva o dei suoi valori – programma che il

compromesso storico, in maniera del tutto

anacronistica, si propone di portare avanti. “Il socialismo - se fosse possibile - sarebbe oggi

patrimonio dei padroni, crisma della produttività sociale del capitale. Di fatto il socialismo è stato distrutto come possibilità dello sviluppo capitalistico nel suo violento interscambio con la lotta di classe operaia, e quindi è stato tolto dal novero delle opportunità di ristrutturazione73”.

Dunque, il modello proposto dall'ideologia del compromesso storico è lo stesso dello Stato-piano, nel quale gli operai partecipano al proprio sfruttamento: paradigma che la lotta proletaria è riuscita a

72 Ivi, pp. 25-26.

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sconfiggere nei paesi a capitalismo avanzato nei quarant'anni precedenti74. È un fatto peraltro che, dopo la proposta del compromesso storico, i successi elettorali del ’75 e del ’7675

sembrano indicare nel più forte partito comunista occidentale il destinatario privilegiato della domanda di cambiamento che sale dal ciclo di lotte operaie e studentesche.

L'Operaismo di destra riformula in termini più spregiudicati, decisionisti ed elitari il primato togliattiano della politica. “Tronti progetta la costruzione di una teoria operaia della politica adeguata ad una fase di crisi dello sviluppo e di protagonismo dello Stato. Cacciari desidera ricavare dalla distruzione di ogni ordine logico, il primato di una decisione politica sempre più sganciata dai rapporti sociali di produzione. Asor Rosa riscopre le virtù della

politica rappresentativa, rivaluta le divisioni

tradizionali del lavoro e del sapere, riabilita la figura dell’intellettuale specialista. Se la politica è borghese, come la cultura, va concepita come competizione fra élite, gioco di potere nella sfera delle istituzioni rappresentative76”.

74

Ivi, p. 27. 75

Nelle elezioni politiche del 1976 infatti il Partito Comunista Italiano, guidato da Enrico Berlinguer, sfiora il sorpasso ai danni della Democrazia Cristiana con il risultato più alto della storia (34,37% di voti contro il 38,71%). Dati del Ministero dell’ Interno reperibili seguendo il link: http://elezionistorico.interno.it/index.phptpel=C&dtel=20/06/1976&tpa=I&tpe=A&lev0=0&levsut0= 0&es0=S&ms=S.

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Secondo Negri invece, lo Stato contemporaneo è l'avversario, anzi il nemico più forte della lotta della classe operaia, poiché nello Stato è insito il capitale stesso e del capitale lo Stato porta avanti le istanze, facendo sì che la lotta di classe operaia divenga lotta contro lo Stato. Questa è la “nuova forma della contraddizione marxiana fondamentale77”.

Non solo, ma un altro aspetto della lotta della classe operaia è cambiato. Secondo l'autore, già dal 1963 è in atto in Italia un processo di ristrutturazione produttiva, che si è accelerato dopo l'ondata di lotte del 1969. Questo processo mira ad incrementare la forza del comando capitalistico, aumentando la flessibilità della forza-lavoro: in tal senso si rivelano fondamentali provvedimenti quali l’aumento del peso del settore di beni strumentali (motori, tecnologia, cibernetizzazione) o la riorganizzazione interna dell'industria (processi di decentramento delle lavorazioni, ecc.). In definitiva, la ristrutturazione in corso pone tre obiettivi principali: la socializzazione, la terziarizzazione e la flessibilità (decentramento) del lavoro industriale78. L'impatto sulla condizione lavoratrice è destinato a farsi sempre più evidente nella crisi, a cominciare dalla distruzione dell'immagine dell'identità operaia. “Separazione fra operai occupati e disoccupati, fra operai delle grandi e

77 Negri, Proletari e Stato, cit., p. 32. 78

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delle piccole fabbriche, ulteriore selvaggia

proletarizzazione di strati sociali del lavoro.[...]Ricatto e obbligo del lavoro industriale si articolano in forma terroristica: un blocco omogeneo di forze politiche ripropone, attraverso la ristrutturazione, la coercizione al lavoro salariato79”.

É vero peraltro che la ristrutturazione e la crisi hanno agito anche positivamente, aumentando il processo dell'autonomia proletaria. Negri porta ad esempio la cassa integrazione, che mostra all'operaio la comunanza di interessi con un disoccupato; o il decentramento, che assimila l'operaio della grande fabbrica all'operaio della piccola; le divisioni per sesso, età o razza, che hanno fatto comprendere alle donne, ai giovani e a tutte le minoranze l'illusorietà e l'inganno del progetto capitalistico e hanno spinto l'intero proletariato alla ribellione80.

Dunque, la coscienza politica di classe non nasce più solo dall'antagonismo, ma anche dalla esigenza di emancipazione e di affrancamento. Nelle parole di Negri, “finalmente la lotta di classe operaia si mostra sempre più come lotta di liberazione81”.

Resta il fatto che il processo di ristrutturazione è fallito: soprattutto, è in difficoltà il progetto

79 Ivi, p. 35. 80 Ivi, pp. 36-37. 81 Ivi, p. 38.

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