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Immaterial labour, i contadini e i poveri

Negli ultimi decenni, il lavoro industriale ha perso la sua egemonia e al suo posto è emerso il lavoro

immateriale - che crea prodotti come l'informazione, la

comunicazione - o il lavoro affettivo (dove la forza lavoro viene scelta in base al carattere e alle attitudini relazionali322). “Il lavoro immateriale è assolutamente centrale in Moltitudine. Il lavoro immateriale è un lavoro che crea i prodotti immateriali, tra cui la conoscenza, le emozioni e le relazioni sociali. É

biopolitica che produce la vita sociale stessa323”.

La tesi secondo la quale il lavoro immateriale sta assumendo una posizione preminente non comporta necessariamente che la maggior parte dei lavoratori stia

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Fukuyama, An antidote to Empire, cit.

322

“Il lavoro affettivo costituisce una parte fondamentale di molte attività, come per esempio l'assistenza legale e di volo, o i servizi di ristorazione (servire con un sorriso)”. (Negri, Hardt, Moltitudine, cit., p. 13).

323

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attualmente producendo beni immateriali. A tutt'oggi, il lavoro immateriale è ancora minoritario ed è concentrato soprattutto in alcune tra le aree economicamente dominanti nel mondo. Ma il lavoro immateriale è divenuto “predominante in termini

qualitativi.[…] Occupa attualmente la stessa posizione

che il lavoro industriale occupava centocinquanta anni fa. Come in quella fase tutte le forme del lavoro dovettero industrializzarsi, così anche oggi sia il lavoro

che la società devono diventare intelligenti,

comunicativi e affettivi324”.

Sicuramente la nascita del lavoro immateriale non ha trasformato il lavoro in un'esperienza piacevole o gratificante né ha comportato alcun miglioramento nella gerarchia e nella rete di comando dei luoghi di lavoro. Ma è un fatto che il suo predominio tende a cambiare le condizioni dell'attività lavorativa, come è evidente nell' assottigliarsi della distinzione tra tempo di lavoro e tempo libero.“Sotto il paradigma industriale gli operai producevano quasi esclusivamente durante il tempo passato in fabbrica. Oggi invece, quando durante la produzione si è chiamati a risolvere problemi, a elaborare idee e imbastire relazioni, il tempo di lavoro tende a sovrapporsi a tutto il tempo di vita. Le idee e le immagini non vengono in mente solo

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quando si è in ufficio, ma anche sotto la doccia o nei sogni325”.

Con questo concetto di moltitudine sembrerebbe confliggere la condizione dei contadini, il cui passato di esperienza economica, culturale e sociale, li pone al di fuori della storia sia della classe operaia sia delle altre classi lavoratrici326.

Sennonché il mondo contadino, così come ha iniziato ad esistere, è destinato anche a cessare. Ciò non significa che non ci saranno più né produzione agricola, né una vita rurale: significa piuttosto che cambieranno le condizioni della produzione agricola, che esse diventeranno simili a quelle del settore dell'industria e di tante altre forme del lavoro. “Questo

divenire comune è una delle condizioni che rendono

possibile l'esistenza della moltitudine327”.

La figura del contadino tende a scomparire nel

paesaggio economico dell'agricoltura mondiale,

anch'esso sotto il dominio delle multinazionali. A partire dagli anni Settanta, molte ricerche hanno evidenziato analogie tra gli operai della grande

325 Ivi, pp. 136-137. Di parere contrario, anche per quel che concerne le prospettive strategiche, è David Camfield: “il concetto di lavoro immateriale è debole e non può reggere il peso politico ed esplicativo che vi si attribuisce.[....] (Hardt e Negri) sostengono inoltre che la linea che divide lavoro e vita si stia dissolvendo, implicando di conseguenza che la legge di valore di Marx non ha più effetto. Sfortunatamente, anziché sfuggire al capitale, il lavoro nel mondo di oggi è sempre più mercificato e sussunto dal mercato”. (Camfield, op. cit., p. 360).

326 Negri, Hardt, Moltitudine, cit., p. 141. 327

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fabbrica e i lavoratori delle terre, come la

proletarizzazione del lavoro agricolo e la creazione delle fabbriche nei campi328.

“Il contadino che emerge dalla fine del suo stato di isolamento e di passività, scopre di far parte della

moltitudine. Il fatto che il contadino sia una figura

sempre meno separata è attualmente indicativo di una universale tendenza alla socializzazione che riguarda tutte le forme del lavoro329”. Non a caso, oggi le lotte più innovative degli agricoltori non sono chiuse e limitate a un singolo settore della popolazione, ma aprono nuove prospettive su questioni fondamentali come la povertà, l'ecologia e tanti altri aspetti della vita.

Tutto, così, converge verso un'unica

rappresentazione, quella della moltitudine: “invece di essere identici o diversi, siamo una molteplicità di forme di vita singolari e allo stesso tempo,

condividiamo una comune esistenza globale.

L'antropologia della moltitudine è un'antropologia delle singolarità e del comune 330 ”. Per Negri è necessario insistere sulla potenza costruttiva delle singolarità o, per essere precisi, potenza costruttiva del

comune. “La singolarità è sempre tesa verso il comune:

quest'ultimo è il suo prodotto e la singolarità è una

328 Ivi, p. 146. 329 Ivi, p. 151. 330 Ivi, p. 153.

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proliferazione del comune331”. In quanto insieme di singolarità, la moltitudine si costituisce come Unità solo attraverso l'azione. “Se in seno alla moltitudine il

comune non è altro che la costruzione di un agire

comune, allora anche l'Unità risulterà comune. Il

comune è il lavoro vivo, la sola Unità possibile332”.

Hardt e Negri sono convinti che anche quei soggetti che sono esclusi dal lavoro salariato – i poveri, i disoccupati, i senzatetto - non lo siano dalla moltitudine e dalla produzione sociale. “I poveri esprimono un enorme potenziale vitale e produttivo. Sono dei potenti attori sociali. Nella misura in cui i poveri sono sempre più inclusi nei processi della produzione sociale, anch'essi partecipano a una condizione comune, e dunque sono potenzialmente parte della moltitudine333”.

Nella prospettiva della produzione biopolitica, che comprende anche quella del sapere e dell'informazione e tende perciò a coinvolgere tutta la società, va così riconsiderata l'esclusione dei poveri da qualsiasi ruolo

nelle organizzazioni politiche e nel partito:

un'esclusione motivata in passato da socialisti e comunisti per il fatto che costoro rappresentavano un pericolo non solo dal punto di vista della morale, per la

331

Negri, Il ritorno, cit., p. 182. 332 Ivi, p. 200.

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loro tendenza al parassitismo sociale, ma anche dal punto di vista politico. Proprio essi, come i disoccupati, costituivano infatti l'esercito industriale di riserva, all'occorrenza disponibile a essere reclutato dal capitalista nella produzione; e perciò visti come una minaccia sistematica nei confronti della classe operaia, in quanto esempio di potenziale eccesso di offerta di lavoro destinato a ridurne il costo, a danno del potere contrattuale dei lavoratori nei confronti dei padroni334. Tuttavia, secondo Hardt e Negri, a prescindere da ciò che poteva essere nel passato, oggi non esiste alcun

esercito industriale di riserva. La divisione tra gli

occupati e i disoccupati sta diventando sempre più sfumata: l'occupazione stabile e garantita non esiste più e, a causa della flessibilità del mercato, nessun lavoro può essere considerato sicuro335.

Hardt e Negri sottolineano come i poveri siano a loro modo straordinariamente ricchi e produttivi: lo sono anche e soprattutto dal punto di vista della biodiversità. Le popolazioni indigene sono un esempio di convivenza armonica con le specie animali e vegetali, nel loro pieno rispetto. La ricchezza contenuta nelle piante e negli animali non viene trasformata in ricchezza economica ma gioca un ruolo essenziale nel

quadro della produzione sociale globale.

334 Ivi, p. 157. 335

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“Con tutto ciò non vogliamo dire che la povertà e le migrazioni siano desiderabili. Al contrario, tutte le forme di povertà comportano le loro specifiche sofferenze. Ma malgrado la loro mancanza di risorse materiali, di cibo, di alloggio ecc., i poveri sono enormemente ricchi di conoscenza e di potenzialità creativa336”. Ecco dunque la conferma che non c'è differenza qualitativa tra poveri e lavoratori occupati: anche l'inventiva dei poveri, dei disoccupati e dei migranti è essenziale per la produzione sociale. Non c'è nessuna barriera sociale tra lavoratori produttivi e improduttivi e per questo “oggi siamo tutti in grado di creare qualcosa in quanto singolarità attive che cooperano nelle reti della moltitudine, ossia nel

comune337”.