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Il dominio e il sabotaggio

Il Dominio e il sabotaggio è uno sviluppo e una

precisazione delle tesi contenute in Proletari e Stato. Il filosofo riprende alcuni dei problemi chiave della sua interpretazione teorico-politica, in particolare quello del rifiuto del lavoro88.

Le lotte del '77 sono considerate da Negri una conferma delle sue ragioni: più che sulla composizione di classe e sulle tesi dell'operaio sociale, insiste però adesso sui processi di separazione che contrappongono il soggetto rivoluzionario agli apparati della società borghese.

“[…] Nell'insegnamento di Lenin l'azione di

destabilizzazione del regime capitalistico

s'accompagna immediatamente all'azione di

destrutturazione del sistema del capitale. […] La crisi

capitalistica deve avere un senso imposto e dominato dal potere proletario. Destabilizzare il regime non può essere cosa distinta dal progetto di destrutturare il sistema. L'insurrezione non può essere separata dal progetto di estinguere lo Stato89”. A monte sta l'idea che, da parte capitalistica, la riorganizzazione del sistema sia la condizione del consolidamento del

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A. Negri, Il dominio e il sabotaggio: sul metodo marxista della trasformazione sociale, Feltrinelli, Milano, 1978, p. 11.

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regime e viceversa90. Per risolvere la crisi, il capitale ritiene sia necessario un rinnovamento del sistema che sconfigga e includa le forze di più radicale opposizione del proletariato nel progetto di stabilizzazione politica. Nel contempo Negri conferma come frequentemente il

capitale abbia consentito che la lotta e

l'autovalorizzazione operaia fossero il cuore pulsante dello sviluppo, nel senso che suo obiettivo primario è la distruzione delle componenti antagonistiche del movimento operaio, non della sua realtà91.

Ed è proprio il legame fra stabilizzazione e ristrutturazione che deve perciò essere attaccato dal proletariato, al fine di destabilizzare e al tempo stesso

destrutturare il sistema. La lotta operaia di

destabilizzazione contro lo Stato è stata fin qui utilizzata e acquisita dal capitale e trasformata in un prezioso espediente di ristrutturazione (valga per tutti l'esempio dell'inflazione92). Ecco allora che per Negri, al fine di non essere omologata al progetto capitalista, la coscienza operaia deve convertirsi in forza rivoluzionaria e sovversiva.

Il progetto di autovalorizzazione operaia consiste

nel destrutturare il sistema del capitale, ma anche nel

90 Ivi, p. 12. 91 Ibidem. 92 Ivi, p. 13.

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destabilizzare il suo regime 93. Tale progetto è il

contrario del concetto “forma-Stato”, ossia è

l'alternativa che, sul terreno della produzione e della riproduzione, la classe operaia mette in atto riappropriandosi di potere e ricchezza, contro i meccanismi capitalistici di accumulazione e di sviluppo94. Si tratta di un processo di destrutturazione del potere nemico, attraverso cui la lotta operaia attacca il sistema dello sfruttamento e il suo regime politico95.

Se in Operai e capitale la forza-lavoro era classe già nella sfera della circolazione, Negri scopre la sua riproduzione come unico terreno di antagonismo e di lotta96.

Così commenta Maria Turchetto, filosofa marxista

a cui si deve una ricostruzione sistemica

dell'Operaismo italiano: “Negri non ha dubbi, la profezia di Marx è già realizzata: a creare ricchezza non è più il lavoro, ma la scienza e la tecnica, il

general intellect che non risiede nella fabbrica ma nella

società. Il capitalismo si è estinto, superato dal suo

stesso sviluppo, economicamente inutile. Esso

sopravvive come pure volontà di dominio, mera

93 Ivi, p. 14. 94 Ivi, p. 38. 95 Ivi, p. 15. 96

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coercizione politica, ormai sganciata dall'obiettivo di valorizzazione. Il risultato è paradossale, in quanto conduce a un completo rovesciamento delle posizioni originarie dell' Operaismo97”.

È dunque la socializzazione dello sviluppo capitalistico, per Negri, a permettere alla classe operaia di insorgere e avviare il processo che conduce all'estinzione dello Stato: proprio questo il punto

essenziale della tattica comunista.

“L'autovalorizzazione proletaria è la figura

complessiva, di massa, produttiva di questo progetto98”, significa destrutturare il nemico99.

Lo Stato può rispondere al sabotaggio sociale

profuso dall' autovalorizzazione solo con la

ristrutturazione. “Non posso leggere la storia del capitale se non come storia di una continuità di operazioni di riassetto che il capitale e il Suo Stato mettono in atto di contro a una continua rottura, a una permanente provocazione alla separazione che il movimento reale del proletariato determina100”.

Sindacati e corporazioni non sono altro che un modo, perpetrato dallo Stato, per imbrigliare il lavoro sociale, trasformandolo in lavoro produttivo. Il sistema

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M. Turchetto, Operaismo: ascesa, metamorfosi, eclissi, in “Cassandra”, n. 22, 2008, p. 17. 98

Negri, Il dominio e il sabotaggio, cit., p. 15. 99 Ivi, p. 17.

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statale propone valori gerarchici, secondo i quali il mercato del lavoro viene suddiviso e ordinato. Esso però comporta un massimo di violenza101.

Il salario non è più un elemento indipendente, bensì varia e si presta ad essere ridotto in funzione della volontà dello Stato di reprimere l’unità della classe proletaria. Ne consegue che, in quanto simbolo della coesione operaia e dell’autovalorizzazione, esso divenga il punto focale della lotta102. “Quello che per il capitale è divisione e gerarchia, per il proletariato è unità ed eguaglianza; quello che per il capitale è sussunzionedel lavoro, per il proletariato è processo di

autovalorizzazione103”. La ristrutturazione capitalistica deve adeguarsi a ciò che la lotta operaia le ha imposto104. “Quantità e qualità delle lotte determinano le riforme. L'autovalorizzazione operaia non trova una sua continuità nella ristrutturazione; (in essa) vede solo un effetto della propria forza, un aumento delle possibilità di attacco. Non v’è dunque mediazione politica possibile a questo livello105”.

101

Ivi, p. 31. 102 Ivi, pp. 31-32. 103

Ivi, p. 32. Nella teoria economica marxiana, con “sussunzione” è da intendersi il processo storico in cui il capitale, in virtù della proprietà che esercita sulla capacità lavorativa dei produttori, subordina ogni forma di produzione materiale, dapprima modificando unicamente le condizioni sociali del suo svolgimento (s. formale), cioè essenzialmente la durata del lavoro, quindi trasformando le sue stesse condizioni materiali (s. reale), ossia l’organizzazione e le tecniche di produzione storicamente date. 104 Ivi, pp. 38-39.

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Dunque, la via migliore per la trasformazione

sociale resta la dittatura del proletariato, come

condizione capace di distruggere lo Stato e con esso il sistema economico capitalistico106. “Il metodo della trasformazione sociale è il metodo della democrazia e

della libertà dentro la crescita collettiva

dell'autovalorizzazione proletaria,[…] é il metodo

della dittatura e dell'esclusione del nemico.[…] Il

sabotaggio come autovalorizzazione non è certo una

legge che cessa nella dittatura comunista che noi andiamo a mettere in piedi. Anzi. Questa è invece

legge di libertà che coniughiamo, ora e per il futuro, con quella del comunismo107”.

Il sabotaggio si attua attraverso la presenza di avanguardie nelle fabbriche che convincano gli operai a riconoscere la centralità del lavoro produttivo

sociale108. La riduzione dell'orario di lavoro è il motore della lotta di fabbrica e il cuore pulsante del processo di autovalorizzazione109; ma il vero obiettivo della strategia comunista deve essere il rifiuto del lavoro110, il quale è fatto di sabotaggio, di sciopero ma anche di azioni dirette che hanno impatto sul modo di produzione capitalistico. 106 Ivi, p. 44. 107 Ivi, p. 45. 108 Ibidem. 109 Ivi, p. 46. 110 Ivi, p. 54.

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La liberazione delle forze operaie e il libero uso della ricchezza da parte della collettività sono gli scopi del processo di autovalorizzazione111.

Negri, in polemica con quanti ritengono che la forma-partito appartenga al passato, ritiene che dal problema dei partiti non si possa prescindere. Il partito è certo subordinato al processo di autovalorizzazione, ma conserva il valore di una presenza irrinunciabile: “è l'esercito che difende le frontiere dell'indipendenza proletaria 112 ”, un’espressione politica della massa operaia che ne tutela l’egemonia. “Il partito è una funzione del comando che il proletariato esercita contro i suoi nemici113”. Nella tradizione socialista, il partito è inoltre l’istituzione che detiene il monopolio della forza: ciò che storicamente ha determinato una repressione della forza proletaria stessa, la cui massima espressione è da ritrovarsi nei gulag114.

Pertanto, qual è l’atteggiamento da tenere nei confronti dell’uso della forza? Il materialismo storico ritiene la violenza storicamente necessaria; per Negri essa è uno strumento legittimo dell'autovalorizzazione

operaia. “Noi la carichiamo dell'odierna qualità

dell'emergenza di classe, consideriamo la violenza

111 Ivi, p. 55. 112 Ivi, p. 62. 113 Ibidem. 114 Ivi, p. 67.

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come una funzione legittimata dall'esaltazione del rapporto di forza nella crisi […]115”. Per destabilizzare lo Stato, il proletariato adopera una forma di violenza diversa da quella capitalistica116. “Basta con l'ipocrisia borghese e riformista contro la violenza! Che il sistema capitalistico sia basato sulla violenza e che questa non sia certo pulita a fronte di quella proletaria, lo sanno anche i bambini.[…] Legittimare la violenza, per i borghesi è costruire ordinamenti giuridici, economici, amministrativi. Ogni ordinamento sociale borghese è una certa legittimazione della violenza117”.

In conclusione, la violenza operaia tenta di opporsi alla violenza del capitalista attraverso un'opera di sabotaggio, che si atteggia a forza propositiva del contropotere proletario. Insomma, pars destruens e

pars construens devono identificarsi affinché la

violenza operaia si caratterizzi come forza

antistituzionale e produttiva al tempo stesso. Esso è un

elemento della razionalità dei processi di

autovalorizzazione che fronteggia l'irrazionalità del

capitale, causa di dominio e distruzione. “Il nostro sabotaggio organizza l'assalto proletario al cielo. E finalmente non ci sarà più quel maledetto cielo118”.

115 Ibidem. 116 Ibidem. 117 Ivi, p. 68. 118 Ivi, p. 71.

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LA CRITICA DELL'ECONOMIA POLITICA DELLA

COSTITUZIONE ITALIANA DEL 1948

La Costituzione italiana del 1948 non si è mai prestata ad una congrua analisi e critica marxista, in quanto è stata convenzionalmente rappresentata come una conquista della classe operaia e come la base su cui costruire la strategia del socialismo. È stato Negri, ne La forma Stato. Per la critica dell'economia politica

della Costituzione (1977), a tentare un approccio

critico alla Costituzione, facendo perno sulla necessità di adeguare la teoria comunista dello Stato alla condizione contemporanea e sottoporre quindi alla critica dell'economia politica un testo costituzionale, quale quello italiano, sviluppatosi nel tardo capitalismo.

Oggetto dell’indagine di Negri sono certo alcuni nodi irrisolti della modernità: la crisi di rappresentanza dei partiti, le prime crisi fiscali e del debito pubblico, le tematiche legate alla nascita del monetarismo e del neoliberismo119 . Ma le preoccupazioni fondanti de La

forma Stato, un volume di raccolta di saggi, sono

problemi di diritto costituzionale e di teoria generale del diritto, connessi alla riqualificazione dello Stato contemporaneo come Stato “sociale”, come Stato pianificato, come Stato del “lavoro”, con riguardo quindi alle trasformazioni che hanno subito il sistema

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delle fonti e la struttura delle istituzioni politiche.

La tesi fondamentale è che questi cambiamenti istituzionali, prodotti da rivolgimenti politici, non abbiano alterato la natura dello Stato borghese, bensì l'abbiano perfezionata, adeguandola alle nuove esigenze dello sviluppo del capitale120.

È convinzione di Negri che le previsioni di Marx sullo sviluppo del capitale si siano in gran parte verificate, a conferma della rilevanza scientifica del metodo storico-materialista. La Costituzione del 1948, di fatto, si presenta come una soluzione di compromesso, conciliatoria: in definitiva, la degna conclusione del Risorgimento nazionale.

Ad una simile interpretazione si sono opposti sia i giuristi che i rappresentanti dei ceti politici-capitalistici; ironia della sorte, persino il movimento operaio ufficiale ha fatto fatica a riconoscere nella Costituzione un vero e proprio successo della borghesia italiana. Eppure, alla base del progresso del capitalismo, c'è un rapporto di natura antagonistica che non può non emergere attraverso l'esasperazione della logica del capitale.

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