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La guerra globale e la violenza legittima

In Moltitudine la guerra è descritta come un fenomeno in evoluzione, globale e interminabile, perché l'autorità sovrana degli stati nazionali sta tramontando e sta emergendo una nuova forma di sovranità sopranazionale. Un Impero, appunto.

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Ivi, p. 16. Anche per Moltitudine non sono mancate critiche e contestazioni. Molte di queste insistono sul fatto che il filosofo patavino, nel corso della sua produzione saggistica, non si discosta dall'interpretazione, trascurando la praxis. Anzi, la stessa interpretazione, in opere come Impero e Moltitudine, si risolve in riferimenti vaghi e del tutto indeterminati. Rispetto ad alcune tesi esposte in Moltitudine, è scettico Timothy W. Luke, il quale contesta ai due autori il fatto di aver descritto e proposto un progetto utopico, piuttosto che un vero e concreto programma politico potenzialmente realizzabile ed attuabile: “Loro (Hardt e Negri) ripensano i concetti politici più elementari -come il potere, la resistenza, moltitudine e la democrazia- per determinare ciò che deve essere pensato prima di cosa deve essere fatto.[...]E quando guardano al futuro, dove presumibilmente la moltitudine sta lavorando per creare una società globale alternativa, i termini e le condizioni di questa società globale alternativa sono abbastanza vaghi”. (T. W. Luke, Material Concerns about Immaterial Labor and Democracy in “Multitude”, “Political Theory”, 2006, vol. 34, n. 3, pp. 366-367). Negri è prima di tutto un filosofo, si potrebbe rispondere. Eppure, l'intento politico è sempre stato evidente nell'attività negriana e non si può non tener conto dei caratteri utopistici del suo progetto rivoluzionario, specialmente in virtù dei successi editoriali con le opere sul fenomeno della globalizzazione. Anche David Camfield appare critico rispetto al saggio. Il professore sostiene che in Moltitudine i due filosofi non abbiano analizzato una serie di sviluppi cruciali del mondo contemporaneo: come alcuni movimenti politici siano stati colpiti dalla ristrutturazione capitalistica, dalla crisi della socialdemocrazia, dello stalinismo e come essi abbiano risposto a queste sfide. “Leggendo Moltitudine torna alla mente quello che aveva detto E. P. Thompson a proposito del canguro, teorizzando che «procede con grandi salti attraverso elementi concettuali con le curvature più graziose del pensiero, toccando la terra solo per breve tempo tra i salti». Teorizzare arditamente sulla base di osservazioni limitate è un'abitudine solita per Negri, che fu criticato proprio per questo da alcuni suoi compagni alla fine degli anni '70”. (D. Camfield, Labour/Le travail, 2005, vol. 56, Canadian Commitee on Labour History, p. 361). Camfield è scettico riguardo ai contributi che lo sviluppo del libro di Negri e Hardt possono dare al dibattito sulla globalizzazione, in virtù dell'approccio che si sviluppa nel testo. “Sebbene tocchi argomenti che necessitano di studi seri, come i cambiamenti nell'organizzazione del lavoro salariato all'interno del capitalismo globale, la dubbiosa teoria sociale di Moltitudine e l'evasione da tante questioni di rilievo a proposito della politica e della ricomposizione delle classi, lo rende un contributo piuttosto limitato”. (Ibidem).

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E in tale prospettiva conviene rileggere i conflitti armati del mondo contemporaneo, come esempi di

guerra civile283. Tradizionalmente la guerra codificata dal diritto internazionale è un conflitto armato tra entità politicamente sovrane mentre la guerra civile è un conflitto tra entità sovrane e/o non sovrane all'interno di un determinato territorio sovrano.Ma attualmente la guerra civile non si colloca più dentro uno spazio nazionale, dal momento che quest'ultimo non costituisce più l'effettiva unità della sovranità, bensì in un ambito globale. “Ora, nell'Impero non c'è più alcuna guerra, la guerra è terminata. Sembra un'affermazione provocatoria, ma penso veramente che la vecchia forma della guerra, stato-nazione contro stato-nazione, che infligge la morte per difendere le frontiere, che sacrifica delle vite umane per salvare un popolo – penso che questo tipo di guerra sia finita284”.

La forma attuale della guerra è un sistema di produzione dell'ordine che passa attraverso la distruzione della società e della vita. Nell’Impero postmoderno la guerra si unisce alla disciplina e al controllo: è un nuovo strumento di governo a livello mondiale. Il panico, la paura, il senso di insicurezza sono solo alcune tra le numerose forme di sentimenti

283 Negri, Hardt, Moltitudine, cit., p. 19. 284

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che “operano come altrettanti elementi utilizzati dalla funzione bellicosa dell'Impero285”.

La struttura del diritto internazionale, riguardo alla guerra, è stata minata dalle fondamenta. Di questa nuova realtà, gli attacchi al Pentagono e al World Trade Center dell'11 settembre 2001 “ci hanno spinto a riconoscerne la generalità286”. Dietro gli eventi e la giustificazione di guerra di religione si cela una profonda trasformazione storica, l'inizio di una nuova

era, cioè il passaggio dalla modernità alla

postmodernità. In questo scenario la guerra è diventata una condizione generale: non abbiamo a che fare dunque con conflitti isolati, quanto con “uno stato di guerra globale che erode a tal punto la distinzione tra guerra e pace che nessuno di noi immagina o spera più in una pace reale287”.

La chiave di volta per comprendere questo stato di guerra consiste per Hardt e Negri nella nozione di

eccezione, che nella tradizione giuridica tedesca indica,

in situazioni di grave pericolo, una sospensione temporanea della Costituzione e della legge288. Ma ciò oggi significa andare oltre quella tradizione giuridica, correlando lo stato di eccezione all' eccezionalismo

285

Ivi, p. 92. 286

Negri, Hardt, Moltitudine, cit., p. 20. 287 Ivi, p. 21.

288

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degli Stati Uniti, la sola superpotenza mondiale289.

“Se dobbiamo usare la forza è perché siamo l'America, la nazione indispensabile290”. Così l'ex segretario di

stato Madeleine Albright ha presentato

l'eccezionalismo statunitense. Una frase ambigua

poiché possiede due significati diversi.

Da un lato, gli USA hanno sempre sostenuto di essere un'eccezione alla corruzione delle forme di sovranità europee e quindi di rappresentare la fiaccola della virtù repubblicana nel mondo. Un'idea che persiste anche oggi, con la pretesa che gli Stati Uniti siano il leader mondiale in grado di incentivare la democrazia, i diritti umani e il diritto internazionale. Dall'altro lato, però, l'eccezionalismo statunitense significa anche eccezione nei confronti della legge: gli USA si autoescludono dagli accordi internazionali (sull'ambiente, sui diritti umani etc.) sostenendo che essi, e nel caso il loro esercito, non debbano sottostare alle norme a cui obbediscono gli altri Stati.

Gli autori di Moltitudine prendono in

considerazione l'ipotesi secondo cui “questi due

significati dell'eccezionalismo statunitense sono

perfettamente compatibili e si sostengono a vicenda: poiché gli Stati Uniti sono animati dalla virtù repubblicana, le loro azioni saranno di conseguenza

289 Ibidem.

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tutte buone. È per questa ragione che non hanno bisogno di conformarsi al diritto internazionale. La legge deve costringere solo le nazioni cattive291”.

Il fatto è che una simile giustificazione è infondata in quanto contraddittoria è la ragione che ne è a fondamento.

Quando lo stato di eccezione diviene la regola, il

conflitto è la matrice generale di tutte le relazioni di

potere292.

La guerra diviene un regime di biopotere, una forma di comando che controlla ogni aspetto della vita sociale: essa porta con sé la morte, ma paradossalmente, produce anche la vita293. Ciò non significa che sia stata addomesticata e che la sua violenza si sia attenuata, quanto piuttosto che la vita quotidiana e il normale funzionamento del potere sono stati permeati dalla minaccia e dalla violenza di uno stato di guerra294.

Se il nemico diventa un ente astratto e le alleanze diventano mondiali, tutta l'umanità si unisce contro un obiettivo comune: sconfiggere il terrorismo. “Non è

291 Negri, Hardt, Moltitudine, cit., p. 25. 292

Ivi, p. 29. 293

Come esemplifica Mary Hawkesworh: “Nel passaggio di logiche di guerra dalla difesa alla sicurezza, da un atteggiamento di reazione e conservativo ad uno attivo e costruttivo, la guerra diventa un creatore di soggettività, un modellatore di ambienti e un modo di produzione di disciplina. In effetti, come una forma di biopotere, la guerra mira alla costruzione e riproduzione dell'ordine sociale globale”. (M. Hawkesworh, The Gendered Ontology of Multititude, “Political Theory”, 2006, Vol. 34, n. 3, p. 35).

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dunque un caso che il concetto di guerra giusta sia ricomparso nei discorsi dei politici. Il concetto di giustizia ha il compito di universalizzare la guerra oltre ogni interesse particolare in nome dell'umanità intera295”.

Hardt e Negri mettono subito in chiaro che né il concetto di terrorismo, né tantomeno quello di male, forniscono una solida base concettuale per giustificare l'attuale stato di guerra globale.L'accezione del termine

terrorismo ha un significato politico recente che fa

riferimento a tre fenomeni differenti: 1) la rivolta o la ribellione contro un governo legittimo; 2) l'esercizio della violenza politica da parte di un governo in violazione dei diritti umani; 3) una pratica militare che viola le regole di guerra, come gli attacchi contro i civili296.

La valutazione di questi tre fenomeni varia evidentemente a seconda di chi ne interpreta gli elementi chiave, sì che anche gli Stati Uniti potrebbero essere classificati come uno stato terrorista. “Quando ho visto crollare le Twin Towers ho provato orrore, poi pietà: ho pensato che il livello di violenza a cui era giunto il conflitto tra coloro che cercavano di conquistare l'egemonia sul potere imperiale era

295 Ivi, p. 32.

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diventato veramente terrificante297”. Negri è convinto che quello che è accaduto riguarda la costituzione dell'Impero, compreso la follia omicida di al-Qaeda. “Sulle rovine delle Twin Towers è in costruzione un Impero assoluto contro i fantasmi del male.[…]Non ho alcuna simpatia per al-Qaeda,[...]odio il terrorismo che ha distrutto le Torri[...], che distrugge la tolleranza e il multiculturalismo; ma odio nella stessa misura il terrorismo di uno Stato che grida vendetta, che nutre il terrorismo praticando a sua volta il terrore[...]298”.

Negri e Hardt sottolineano che la guerra globale tende anche a diventare assoluta. I moderni, pur da sempre ritenendola un fattore distruttivo della vita sociale, hanno visto nella guerra anche un fenomeno

inevitabile e in qualche modo positivo, in quanto

implicava la ricerca della gloria e la costruzione della solidarietà sociale all'interno della nazione299. Ma con lo sviluppo tecnologico delle armi che hanno reso possibile le distruzioni di massa, la guerra ha cambiato volto. “Nel XX secolo il potere distruttivo ha raggiunto limiti di una pura produzione di morte, rappresentata simbolicamente da Auschwitz e da Hiroshima. Il potere sovrano che controlla questi mezzi di distruzione è una forma di biopotere nel senso più negativo e orribile del termine, [...] che comanda sulla

297

Negri, Il ritorno, cit., p. 196. 298 Ivi, p. 197.

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morte [...] dell'umanità intera e, potenzialmente, di tutti i viventi300”. La riduzione della guerra a un'azione di polizia non esclude, bensì rafforza, la sua dimensione assoluta e ontologica: il fondamento ultimo della guerra di polizia consiste nella minaccia del genocidio e della distruzione nucleare301.

Il biopotere, del resto, non ha solo la capacità di distruggere la vita di un'intera comunità ma anche di mettere in atto una violenza individualizzata, come la

tortura: Hardt e Negri la definiscono come “una

tecnica di controllo generalizzata e banalizzata nonché punto di contatto tra guerra e polizia302”.Le tecniche di tortura impiegate dalle forze di polizia sono quelle messe in atto nelle azioni militari. “Sia le dittature sia i regimi liberaldemocratici fanno ricorso alla tortura, le prime per vocazione, gli altri per necessità. Infatti, secondo la logica dello stato di eccezione, la tortura è una tecnica di potere a un tempo essenziale, inevitabile e giustificabile303”.

I due autori esaminano l'attuale stato di guerra globale da un altro punto di vista, con riguardo cioè al mutamento della concezione della violenza legittima, monopolio della sovranità del moderno Stato nazionale:

300 Ibidem. 301 Ivi, p. 37. 302 Ibidem. 303 Ibidem.

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il quale, solo, può ricorrere legalmente e

legittimamente alla violenza, poiché la sua azione è giustificata dalle strutture giuridiche nazionali e da quelle internazionali304.

Moltitudine fa riferimento al pensiero di Weber e

Lenin, concordi nell'affermare che, nella scienza politica, tutte le teorie sullo stato di eccezione sono esplicitamente basate sul monopolio della violenza da parte dello Stato. Grazie allo sviluppo, avvenuto nel XX secolo, del diritto e dei trattati internazionali per limitare l'uso della violenza e l'accumulazione delle armi, oggi gli Stati non hanno più necessariamente un diritto incondizionato di repressione e di punizione: certo, la violenza degli Stati contro i cittadini e contro

altre nazioni permane, ma gli strumenti di

legittimazione di tale violenza statuale sono messi in discussione. Non è un caso che le accuse di terrorismo si moltiplichino e talvolta coinvolgano la politica degli stessi Stati, perché “in un mondo in cui nessun atto di forza può essere legittimato, qualsiasi violenza può essere definita terroristica305”.

In queste condizioni di crescente delegittimazione, come si legittima la violenza di oggi? Quanto ci sembra comunque giustificabile l'uso e da parte di chi?

304 Ivi, p. 44.

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Non manca chi, in risposta a queste domande, fa appello alla morale e alla giustizia; così il governo degli Usa ritiene legittimo l'esercizio della forza militare sulla base di valori di libertà, democrazia e benessere. In realtà, dietro il paravento di questi valori, sta la realtà che tale forza è legittimata se è efficace per ristabilire l'ordine imperiale contro ribellioni e sommosse306.

La realtà è che il numero dei conflitti armati in tutto il mondo sta crescendo sotto la copertura di un'infinità di simboli, ideologie, religioni e identità. Con il risultato che la violenza di nazione, la criminalità e il terrorismo non si possono più distinguere; si dissolvono le differenze tra la violenza legittima e quella illegittima, tra le guerre di liberazione e quelle di oppressione307.