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Pasolini saggista: da intellettuale militante a polemista corsaro e luterano

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Academic year: 2021

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(1)

DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN ITALIANISTICA

TESI DI LAUREA

Pasolini saggista: da intellettuale militante a polemista

corsaro e luterano

CANDIDATO

RELATORE

Martina Crudeli

Chiar.mo Prof. Raffaele Donnarumma

CONTRORELATORE

Chiar.ma Prof.ssa Cristina Savettieri

(2)

I

Ai miei genitori

e a mio fratello Andrea

(3)

II

Indice

Introduzione: La forma saggistica: per una maggiore libertà di sperimentare p. 1

Capitolo primo

Pasolini sceglie il genere saggistico. Gli esordi p. 15 1.1. Un poeta con la vena critica p. 15 1.2. Uno sguardo alla forma del saggio p. 16 1.3. L’esordio saggistico p. 19 1.4. Saggi critici per il dialetto friulano p. 30 1.5. Pascoli come modello per la poesia dialettale p. 39 1.6. Verso la seconda fase critica p. 49

Capitolo secondo

La critica degli anni Cinquanta: Passione e ideologia p. 55 2.1. Prima passione, ma poi ideologia p. 55 2.2. La nuova critica non è solo passione p. 58 2.3. Giustificazioni per una poesia dialettale e popolare italiana p. 64 2.4. Pascoli: un modello tra Ottocento e Novecento letterario p. 79 2.5. Sull’espressionismo di Gadda p. 88 2.6. Progetti per una nuova poesia p. 99 2.7. La confusione nella prosa p. 102 2.8. Sperimentalismo e libertà stilistica p. 108 2.9. Una critica letteraria militante p. 113

Capitolo terzo

L’intransigenza pasoliniana tra gli anni Sessanta e Settanta p. 118 3.1. Verso un nuovo tipo di critica p. 119 3.2. Pasolini sceglie l’articolo di giornale p. 122 3.3. Da intellettuale impegnato a battitore libero p. 128 3.4. Pasolini e il Sessantotto p. 135 3.5. Mass media e perdita di individualità p. 138 3.6. Pasolini, la Sinistra e la Chiesa p. 141 3.7. Rimpianti del passato e fuga nel Terzo Mondo p. 145 3.8. L’irriducibilità del testimone esterno p. 147

(4)

III

3.9. La voce del polemista corsaro p. 150 3.10. Scritti corsari: tra articoli polemici e testi descrittivi p. 153 3.11. Un atteggiamento semiologico-visivo p. 155 3.12. Una visione cupa ma emotivamente partecipe p. 160 3.13. Pasolini contro l’aborto p. 170 3.14. Ancora sulla mutazione antropologica: nostalgia del passato p. 175 3.15. Lettere luterane: un polemista pedagogo p. 180 3.16. La realtà circostante come maestra di vita p. 182 3.17. La consapevolezza mancata dei potenti democristiani p. 185 3.18. Lo scandalo del contraddirsi p. 197

Conclusioni p. 201

Bibliografia p. 211

(5)

1

Introduzione

La forma saggistica: per una maggiore libertà di sperimentare

Oggetto della mia tesi sarà l’analisi della figura di Pier Paolo Pasolini nelle vesti di

critico e saggista. Attraverso la sua scrittura saggistica sarà ripercorsa l’esperienza pasoliniana da intellettuale critico letterario militante a polemista corsaro e luterano.

Vedremo come egli, in concomitanza con il suo debutto poetico nei primi anni

Quaranta, abbia esordito come saggista, avviando una collaborazione con riviste locali,

tra cui si ricordano «Architrave» e «Il Setaccio», due riviste di orientamento fascista

con sede a Bologna, per le quali egli ha elaborato testi esclusivamente di critica d’arte e letteraria, senza esprimere in essi alcun pensiero o coinvolgimento politico. Questa

prima produzione saggistica pasoliniana è contraddistinta da un prevalente interesse per

lo studio dell’oggetto estetico in esame. Si tratta di un atteggiamento critico privo di finalità pratiche dichiarate; ciò che lo spinge alla critica letteraria e alla critica d’arte,

pittorica e musicale in particolare: è il piacere della descrizione, la partecipazione

emotiva alla scoperta del nuovo.

Non mancano gli articoli in cui Pasolini, nelle vesti di poeta-filologo, in collaborazione

con riviste friulane, quali «Stroligut di cà da l’Aga», «Ce fastu» e «Quaderno romanzo», si è impegnato a promuovere il dialetto friulano a lingua poetica, appellandosi alla

verginità e alla purezza di quella parlata. Inoltre, tra i suoi primi testi saggistici, si

ricordano interventi di critica sociale, incentrati soprattutto sull’educazione culturale dei giovani, in cui la polemica è rivolta, in particolare, all’istituzione scolastica. Infatti uno dei motivi che hanno spinto Pasolini a scegliere la forma saggistica per esprimere le

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2

questo un genere «più legato alla tradizione letteraria e nello stesso tempo più inventivo e libero […], in cui fosse possibile compiere più esperimenti»1

.

Tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta Pasolini conosce una crescita

politico-ideologica che influisce anche sul suo atteggiamento critico. Mi riferisco

all’incontro culturale con gli scritti di Gramsci: un evento che ha permesso un avvicinamento di Pasolini al marxismo, il raggiungimento di una maturità a livello

ideologico, oltre a «soddisfare le aspirazioni sociologiche sino allora non dominate da

Pasolini»2. Sempre allo stesso periodo risalgono gli approfondimenti dello scrittore in

ambito linguistico-letterario grazie agli insegnamenti di due personalità di valore,

Contini e Devoto. In particolare, dai loro testi trae il concetto di bilinguismo che, come

vedremo, da un piano strettamente linguistico Pasolini adatterà anche all’ambito sociologico.

È così che Pasolini sviluppa un metodo d’indagine «miscelando audacemente la stilistica in versione continiana con la sociologia di Gramsci»3. Lasciatosi alle spalle la critica d’arte, egli si sofferma sull’analisi del panorama linguistico e letterario italiano otto-novecentesco in modo da avviare anche uno studio delle trasformazioni sociali del paese. Come vedremo, intento di Pasolini è quello di dimostrare l’esistenza di una correlazione tra i problemi socio-politici e la ripercussione di questi nell’ambito

letterario.

Anche l’atteggiamento critico di Pasolini nei confronti dell’oggetto in esame cambia e il titolo della raccolta saggistica pubblicata nel ’60, Passione e ideologia, ne fornisce l’esempio: la passione, l’entusiasmo descrittivo e il piacere della scoperta lasciano il posto alla riflessione ideologica, alla razionalità e «all’impegno didattico»4. Il ruolo di

1 BERARDINELLI 2002, pp. 12-13. 2 SEGRE 1999, p. XXI. 3 Ibidem. 4 Ivi, p. XXVII.

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3

Pasolini durante questa seconda fase critica, di cui Passione e ideologia rappresenta la

summa, è quello del critico letterario militante, impegnato a promuovere un tipo di

letteratura etico-civile che superi da un lato l’ermetismo, dall’altro il neorealismo,

entrambi incapaci di sviluppare una letteratura nazional-popolare che coinvolga e dia

voce alle classi subalterne.

Ma le trasformazioni non finiscono qui. Tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta l’atteggiamento critico di Pasolini subisce un ulteriore mutamento, dettato da questioni socio-politiche e culturali. Il venir meno delle speranze di una palingenesi

sociale dopo la fine della guerra, le difficoltà incontrate dalla letteratura a quell’altezza storica e il conseguente crollo delle poetiche e delle ideologie, l’avvento di un nuovo Potere economico e politico omologante, hanno portato Pasolini a rinunciare al ruolo di

intellettuale militante e a scendere in campo in piena solitudine per polemizzare contro

il declino socio-culturale italiano. Come vedremo, il suo atteggiamento polemico allarga

la sfera d’intervento: a prevalere non è più una critica socio-linguistica, bensì una critica serrata nei confronti della società a lui contemporanea. Si tratta di un polemismo che

coinvolge i rappresentanti del governo, il nuovo sistema economico italiano, l’omologazione degli italiani; con tono e atteggiamento provocatori attacca e colpisce il bersaglio. Infatti gli articoli scritti tra gli anni Sessanta e Settanta hanno rappresentato

un eccezionale strumento polemico: «ogni articolo [rappresenta] la cellula di un discorso organico che si sviluppa attraverso la ripresa e l’applicazione di idee-guida estratte dal senso comune intellettuale: poi reinventate e trasformate in armi leggere in

una guerra corsara»5.

Prima di addentrarci nell’analisi dei testi, è bene dare uno sguardo al genere

saggistico, in modo tale da ricavarne una definizione, scoprire le diverse tipologie in cui

5 BERARDINELLI 2002, p. 153.

(8)

4

si articola e in che misura queste rispondano alla scrittura saggistica intrapresa da

Pasolini.

Sicuramente «l’impresa di indagare [la forma del saggio] è di estrema difficoltà»6 , dato

il suo carattere mutevole e sfuggente, ma molti studiosi e critici letterari si sono

impegnati per delinearne i confini.

Enza Biagini, nel suo scritto Saggio, «pensiero composito» e metaletteratura, si è

dedicata alla descrizione delle diverse caratteristiche della forma del saggio, quali la

varietà di argomento e di scrittura, soffermandosi poi su quel tratto discontinuo,

disomogeneo che, già ai primi del Novecento, aveva preoccupato Lukács. Nella lettera all’amico Leo Popper che apre il suo testo pubblicato nel 1910, L’anima e le forme, egli si domanda se i saggi che ha scritto possano costituire un’unità, ossia se possano

assumere una forma autonoma indipendente tanto dalla scienza quanto dalla filosofia:

«il problema è vedere se una siffatta unità possa esistere […]; in che misura il tipo di visione generale e la maniera in cui viene manifestata prelevano un’opera dal campo della scienza e la collocano nel campo dell’arte, pur mantenendo distinti i confini che separano la scienza dall’arte»7

. Lukács, dopo aver posto il saggio «sotto il segno della

critica letteraria»8, lo eleva a opera d’arte, evidenziando, tuttavia, le differenze che lo

separano dalla poesia; egli è infatti convinto che «la critica, al contrario della creazione

poetica, è un genere che appare libero di praticare l’arte della distanza tramite l’ironia, essendo abilitato a entrare nel recinto della scienza e a uscirne con altrettanta facilità»9.

Constatata la prerogativa del saggio di «dare nuovo ordine alle cose già esistite»10 a differenza della poesia, capace di creare dal nulla, Lukács torna a ribadire l’autonomia

6 DOLFI 2013, p. 13. 7 LUKÁCS 1910, p. 15. 8 BIAGINI 2013, p. 22. 9 Ivi, p. 24. 10 LUKÁCS 1910, p. 27.

(9)

5

della forma saggistica: «il saggio è un genere artistico, un’autonoma e insopprimibile rappresentazione di una vita propria e compiuta»11.

Anche Adorno, che come Lukács concorda circa il «destino del saggio come tertium

dialettico e come via d’uscita dalla crisi della filosofia e dell’arte nella società contemporanea»12, nel suo scritto, Il saggio come forma, si è impegnato nella

descrizione di questo genere sfuggente; egli ha evidenziato come i tratti di mutevolezza,

frammentarietà e ibridismo possano essere trasformati in caratteristiche essenziali per

una sua definizione:

Il saggio deve strutturarsi sì da poter all’apparenza interrompersi sempre quando voglia. Pensa in frammenti perché frammentaria è la stessa realtà, trova la propria unità attraverso le fratture, non attraverso il loro appianamento […]. La discontinuità è la sostanza stessa del saggio, il suo obiectum è sempre un conflitto sospeso da una tregua […]. Scrive con lo stile tipico del saggio colui che compone sperimentalmente, volta e rivolta il suo oggetto, lo interroga, lo palpa, lo esamina, lo penetra con la riflessione13.

Le considerazioni sulla forma saggistica impegnano Adorno nel momento in cui avverte

«la collera suscitata nel mondo della ricerca dalla leggerezza di questo genere, dalla sua

natura vaga, la sua disinvoltura, o ancora la sua mondanità»14.

È noto, tra studiosi e i critici letterari, come la «tradizione saggistica sia stata in

Occidente un ramo misconosciuto o sottovalutato dalla filosofia [incapace di

comprendere come] la forma ibrida e mista del saggio fosse particolarmente adatta alla

scoperta di nuovi campi di ricerca»15. Attraverso la sua forma aperta, l’assenza di

11 Ivi, p. 37. 12 BERARDINELLI 2002, p. 24. 13 ADORNO 2012, p. 18. 14 MACÉ 2013, p. 51. 15 BERARDINELLI 2007, p. 38.

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6

norme, la capacità di interrogarsi su determinati temi, il saggio «spinge a fare della

filosofia e della letteratura dei modi per la conoscenza del mondo»16.

Anche Alfonso Berardinelli, chiamato in causa da Biagini come uno degli studiosi che

da tempo si interroga circa l’essenza del saggio, ha elaborato un testo, La forma del

saggio, in cui ne sottolinea l’importanza letteraria, dal momento che consente «la

descrizione dei contesti culturali e storici nei quali vivono i generi letterari considerati

maggiori»17.

Così Berardinelli delinea una breve storia delle origini del saggio, ricorda i fondatori del

genere, Michel de Montaigne e Sören Kierkergaard, come «i più esclusivi saggisti della cultura europea […] grazie ai quali il tipo del saggista e la forma del saggio non sarebbero così suggestivi»18; in seguito sottolinea come il Settecento sia stato il secolo

in cui il saggio ha conosciuto un fortunato sviluppo per mezzo della «nascita del

giornalismo e dell’opinione pubblica […], della curiosità enciclopedica dei philosophes in conflitto con i centri di potere tradizionali rappresentati dall’aristocrazia e dal clero […]. Il saggista diventa giornalista, divulgatore, critico del costume sociale e culturale»19.

A eccezione dell’ultimo ventennio, il genere saggistico ha avuto una grande diffusione nel Novecento, «un secolo di crisi proclamata della poesia e del romanzo. Un secolo in

cui il rimescolamento e la fusione dei generi letterari hanno accentuato e accelerato una

tendenza già manifestatasi nel Settecento»20; così Berardinelli, data la disposizione del

saggio alle più varie influenze di altri generi letterari, oltre a indagarne le diverse

tipologie, ha definito la specificità del tema e del linguaggio saggistico:

16 DOLFI 2013, p. 13. 17 BERARDINELLI 2002, p. 9. 18 DOLFI 2013, pp. 18-19. 19 Ivi, p. 22. 20 Ivi, p. 90.

(11)

7

Il tema di un saggio, più che essere un oggetto è un rapporto in atto fra quello stesso oggetto di conoscenza e di riflessione e un soggetto pensante con il suo particolare punto di vista e la sua particolare esperienza. Questo rapporto mobile viene espresso dal saggista in un linguaggio che non aspira a essere di neutra e vitrea trasparenza, ma piuttosto in uno stile che porta i segni tanto della situazione in cui l’esperienza dell’oggetto è stata vissuta, quanto della situazione nella quale l’autore la pensa e la scrive […]. Il linguaggio di tipo saggistico dichiara la situazione in cui riflessione e comunicazione avvengono: sottolinea il rapporto comunicativo, persuasivo, polemico con un pubblico […], tematizza in vario modo il riferimento a teorie e l’applicazione di metodi di conoscenza e di analisi21.

Quanto sottolineato da Alfonso Berardinelli circa il linguaggio e il tema del saggio è

facilmente riscontrabile in tutta la produzione saggistica pasoliniana; nei suoi scritti egli

non sembra mai perdere di vista il senso del referente, così come evidenti sono i rimandi

a esperienze personali, i richiami a metodi analitici intrapresi oppure agli insegnamenti

ricevuti da alcuni dei più grandi studiosi di linguistica e stilistica italiani, Contini e

Devoto in particolare.

La saggistica, secondo Berardinelli, può essere definita come «la forma del pensiero

vissuto, è pensiero in situazione esistenziale, pensiero circostanziale, occasionale, che

prende forma mentre cerca di definire le sue condizioni comunicative e pragmatiche»22.

Per quanto riguarda le tipologie saggistiche, Berardinelli ne ha individuate tre; come

vedremo, a due di queste possiamo ricondurre la scrittura saggistica di Pasolini.

La prima tipologia di saggio è quella «di invenzione e di illuminazione

epistemologica»23, la cui particolarità consiste

nell’inventare un metodo di lettura e di conoscenza il più possibile esauriente, penetrante e obiettivo delle opere letterarie. Qui l’invenzione di un metodo di analisi e di lettura si esprime nella forma saggistica in quanto pathos della ricerca e dell’approssimazione gnoseologica […]. Ciò che occupa l’attività del critico è l’autobiografia dello scopritore e dell’inventore, il diario di un cammino che va dall’oscurità e dal dogma verso l’illuminazione intellettuale e la visione 21 BERARDINELLI 2002, pp. 28-29. 22 BERARDINELLI 2007, p. 19. 23 BERARDINELLI 2002, p. 29.

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8

di un’opera come monade. In questo caso le scelte di valore e di linguaggio derivano dal rapporto con l’elaborazione di un metodo e di una teoria o nascono dall’intensità del rapporto che il critico stabilisce con la realtà-verità dell’opera letteraria24.

Interessante la descrizione della seconda tipologia saggistica, «saggio di storia e

critica della cultura»25, le cui caratteristiche rispondono al saggismo praticato da

Pasolini; in proposito, Berardinelli afferma:

Il saggista letterario che pratica le vie della storia e della critica della cultura non guarda all’opera come si guarda a una via d’accesso privilegiata per giungere alla rivelazione di un individuo […]. Per quanto ne difenda il significato storico, questo tipo di saggista ha una visione più disincantata dell’arte: la serve cercando di servirsene, per condurre la sua polemica sociale. In cima ai suoi pensieri non c’è il desiderio di strappare alla poesia il suo segreto conoscitivo […]. C’è piuttosto l’aspirazione del legislatore e del pedagogo, della guida […]. I suoi interessi si dirigono verso scelte di valore e verso la creazione di un pubblico da orientare e persuadere. I suoi fini sono perciò la chiarificazione della coscienza pubblica, la critica della menzogna sociale, la lotta contro la decadenza della morale […]. Questo saggista ha una vocazione storica e moralistica piuttosto che estetica e contemplativa26.

Questa tipologia saggistica rispecchia la scrittura dell’ultimo Pasolini, il cui atteggiamento, nei confronti della società, è di colui che combatte per esortare i cittadini

ad aprire gli occhi sul mondo, in cui ormai trionfano corruzione, criminalità e ipocrisia;

con la sua voce Pasolini rappresenta «l’acceso polemista […] che si assume il compito di orientamento illuministico della coscienza pubblica attraverso il discorso sull’arte ma

al di là di esso»27.

Infine l’ultima tipologia è quella del «saggio come autobiografia e pedagogia letteraria, di cui fanno parte romanzieri […], poeti e autori poliedrici»28

. Spunti

autobiografici, così come la vocazione pedagogica, in Pasolini non mancano, come

24 Ivi, pp. 29-30. 25 Ivi, p. 38. 26 Ivi, pp. 38-39. 27 Ibidem. 28 Ivi, p. 43.

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9

testimonia la raccolta semipostuma Lettere luterane, in cui egli concretizza questa funzione grazie all’educazione del giovane Gennariello. Pasolini è uno di quegli autori «testimone ancora della vitalità scettica e disperata con cui gli scrittori-saggisti sono

costretti ad aprirsi il loro spazio di sopravvivenza e di ascolto: spostandosi, di volta in

volta, dal dibattito politico all’autobiografia»29 .

Qualche anno dopo, in un’intervista rilasciata a Matteo di Gesù, Berardinelli avanza i

motivi che lo hanno spinto a elaborare riflessioni sulla forma del saggio, la cui

diffusione, dalla fine degli anni Settanta, si è come arrestata. Berardinelli lamenta la

scarsa importanza attribuita agli autori di saggi, quasi fossero «inisistenti [e la] cosa è

paradossale, dal momento che il secolo scorso ha meritato di essere definito il secolo

della critica […]. È davvero strano che anche nel ventennio dominato dalla Teoria della Letteratura si sia così dimenticata la saggistica»30. Circa l’indebolimento, intorno ai primi anni Ottanta, della figura del saggista ha insistito anche Marielle Macé, secondo la

quale «oggi [sembra esserci] bisogno di più persone, di più modi di scrivere e di

intervenire, di più voci, per incarnare, nella vita delle idee, gli stili e le funzioni che

scrittori come Sartre, Barthes riunivano in una sola voce»31. Tuttavia, è alla teoria della

letteratura che Berardinelli attribuisce la responsabilità della perdita di autorevolezza

della critica letteraria:

Il fatto è, credo, che la teoria aveva sequestrato la critica letteraria sottraendola alla forma più letteraria, più libera, informale, soggettiva, del saggio. Fino agli anni Cinquanta, prima dell’ondata strutturalistica, tutta la grande critica classica era stata elaborata in forma di saggio. A un certo punto invece la teoria aveva paralizzato la prosa critica. Già allora si vedeva comunque che anche i più attrezzati e spavaldi teorici, quando dovevano scrivere una

29 BERARDINELLI 2002, p. 48. 30 BERARDINELLI 2007, p. 15. 31 MACÉ 2013, p. 50.

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10

recensione, non riuscivano neppure a dire la metà delle cose che in poche pagine sapevano dire critici come Cecchi, Debenedetti e Pasolini32.

Sempre nel corso dell’intervista, egli ricorda di aver tracciato un discrimine tra «la Critica (che si esprime nella forma del saggio) dallo Studio letterario (che usa una prosa

più neutra e segue procedimenti analitici più lineari) per evitare confusioni»33; egli è

convinto del fatto che «il critico saggista non ha per oggetto esclusivo la letteratura in

sé, ma la letteratura, soprattutto contemporanea, come parte di una cultura e di un intera

società»34.

Sicuramente nel corso del Novecento la scrittura saggistica ha ottenuto molti esiti

positivi, ma, come ricorda Matteo di Gesù, qualcosa è cambiato con l’avvento, in Italia, «del poststrutturalismo, che rappresenta l’esito compiuto della svolta sul versante della

teoria letteraria»35.

È così che Berardinelli, date le difficoltà incontrate dalla forma saggistica negli ultimi

tempi, difficoltà accentuate dal suo aspetto mutevole, frammentario e inafferrabile, ha

deciso di impegnarsi per una definizione di questo genere, ricordando come grazie alla

«saggistica fosse possibile compiere più esperimenti. In fondo anche Calvino e Pasolini,

così narratore il primo e così poeta il secondo, avevano concluso in saggistica, con

Lettere luterane e con Palomar»36.

Tra gli altri studiosi che si sono dedicati all’analisi del genere saggistico e delle sue

particolarità, si ricorda Graziella Pulce che, nel suo scritto Elogio della discontinuità. Di

alcuni tratti della scrittura saggistica nella letteratura italiana novecentesca, enuncia le

finalità pratiche della forma saggistica, i temi ricorrenti, dalla cronaca al commento di

32 BERARDINELLI 2007, p. 16. 33 Ivi, p. 17. 34 Ibidem. 35 DI GESÙ 2007, p. 60. 36 BERARDINELLI 2002, p. 13.

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11

un’opera d’arte fino alla discussione su questioni di attualità, senza tuttavia giungere a formulare una definizione di questo genere.

Circa il carattere mutevole e incerto del saggio si è espresso anche Pierre Sorlin,

secondo il quale «il saggio condivide la stessa radice con assaggio, nel doppio senso di

campione e di prova, implica molte cose e un poco di tutto. Il termine è utilizzato per

caratterizzare un libro, ma tale limitazione è arbitraria, ci sono anche saggi pittorici,

cinematografici»37. Così Sorlin prosegue ricordando come Pasolini abbia dato prova di

esperimenti saggistici anche con «Appunti per un’Orestiade africana, un montaggio di

immagini mobili e sonorizzate […] destinato a preparare un film […]; inoltre nei saggi che costituiscono Empirismo eretico, Scritti corsari e Lettere luterane»38.

Come abbiamo visto, durante il secolo scorso molti critici si sono interrogati sulla forma

del saggio, sulla sua capacità, come ricorda Berardinelli, di rendere «la critica un genere

letterario e un’attività nella quale convivono conoscenze fondate, giudizi soggettivi e perfino spunti autobiografici»39. Si tratta di un genere letterario particolare, che «conserva qualcosa di immaturo […]. Regola i rapporti fra altri generi, si insinua tra loro»40.

Non a caso la scrittura saggistica non impegna soltanto critici, ma anche molti poeti e

narratori, per i quali «la forma saggistica assume la funzione di moderare, tradurre

esperienze artistiche solipsistiche, rimediando in parte al franare delle regole e dei

codici tradizionali»41.

Per tornare al mio oggetto di discussione, si ricorda come Pasolini sia stato uno dei

tanti poeti e prosatori italiani contemporanei che è ricorso alla scrittura saggistica:

«inizialmente, con Passione e ideologia, è analisi di testi soprattutto poetici, in seguito

37 SORLIN 2013, p. 197. 38 Ibidem. 39 BERARDINELLI 2002, p. 12. 40 Ivi, p.17. 41 Ivi, p. 27.

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12

unifica diversi oggetti di discorso, opere letterarie e moralità pubblica, fino a diventare

una forma particolarissima di saggistica globale»42. Dunque il saggismo pasoliniano può

essere inteso come «esercizio riflessivo autonomo, libero e marcato da una ricerca

espressiva altamente letteraria, spesso coniugata a finalità militanti e a dialettiche

storico-sociali»43.

Così, dall’analisi dei capitoli, sarà possibile osservare l’evoluzione della scrittura saggistica di Pasolini: da intellettuale impegnato è diventato critico intransigente della

società e della politica italiana. Se in un primo momento egli è stato spinto al saggismo

«dall’idea della prassi, dall’impulso del fare, del mutare il mondo»44

, in seguito sono state «la devozione al vero, la consapevolezza dell’impotenza e dello scetticismo»45

a

condurlo alla pratica saggistica.

Nel primo capitolo saranno ripercorsi gli esordi saggistici di Pasolini: come ho

anticipato, si tratta di testi di critica letteraria e socio-culturale in cui a prevalere è

l’entusiasmo per la percezione del nuovo, la passione per la descrizione dettagliata di un’opera d’arte, di una scultura o di un testo poetico. Nella prima fase saggistica pasoliniana non si riscontra alcun fine programmatico, alcun intento didascalico; egli,

ancora immaturo a livello ideologico, elabora testi la cui unica finalità è la celebrazione

della cultura nelle sue varie sfumature.

Il secondo capitolo, invece, sarà incentrato sul volume Passione e ideologia. Qui

Pasolini, nelle vesti di critico letterario militante, dopo aver scoperto, grazie a Gramsci,

la stretta connessione tra fenomeni linguistici e avvenimenti socio-politici, spinto appunto dall’idea del fare, della prassi, avvia un’analisi del panorama linguistico-letterario italiano finalizzata a un’indagine dettagliata della società a lui coeva. Oltre

42 Ivi, p. 152. 43 BIAGINI 2013, p. 29. 44 BENEDETTI 2002, p. 118. 45 Ibidem.

(17)

13

allo studio socio-linguistico, egli si impegna nella ricerca di modelli letterari da

contrapporre sia al filone ermetico, sia a quello neorealista, ormai in fase di declino.

Come vedremo, i suoi riferimenti all’interno del volume saranno: Pascoli, che incontriamo sin dall’inizio, scelto come modello sia per i poeti dialettali, sia per una letteratura antinovecentista e antiermetica; Gadda, anch’egli scelto come modello di riferimento per una letteratura antiermetica che sappia dare una rappresentazione

esaustiva delle classi meno abbienti. Sicuramente la scrittura di Gadda, caratterizzata da

una commistione di linguaggi, in cui ampio spazio è riservato al dialetto, ha

rappresentato un’alternativa al filone ermetico e neorealista, entrambi indifferenti ai particolarismi regionali, bensì soliti ricorrere alla lingua della borghesia al potere,

incapace di riprodurre obiettivamente la quotidianità del parlato.

Infine, nel terzo capitolo, la scrittura saggistica di Pasolini è all’insegna dell’intransigenza nei confronti della società, in particolare del nuovo Potere capitalista. La concomitanza di trasformazioni e mutamenti politico-culturali indussero lo scrittore

ad abbandonare il ruolo di intellettuale militante per intraprendere una lotta individuale

atta a denunciare i responsabili della situazione socio-politica ed economica del paese.

Così a partire dagli anni Sessanta, avviando la collaborazione con due riviste, «Vie

Nuove» e «Tempo», egli inizia a dar voce al suo polemismo che, sebbene in forma

potenziale, ha tutte le caratteristiche di quella che sarà la critica di Pasolini corsaro e

luterano. Tra i bersagli principali si ricordano la classe borghese al governo, quindi

l’avvento del capitalismo omologante, capace di annullare le differenze tra i cittadini imponendo loro nuovi imperativi da seguire, la Chiesa, accusata di essere scesa a

compromessi con il nuovo Potere, il disinteresse per la cultura da parte dei giovani, la

televisione.

A partire dagli anni Settanta, con la stesura degli articoli apparsi sul «Corriere della

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scrittore incalza raggiungendo punte estreme; la sua critica è rivolta al nuovo Potere e

alla conseguente diffusione del consumismo, ma il bersaglio principale è la classe

democristiana al governo, responsabile della triste e cupa situazione italiana a

quell’altezza storica. Sarà proprio in un articolo poi confluito nelle Lettere luterane che Pasolini arriverà a esprimere la necessità di processare i democristiani per tutti gli errori

commessi nella guida e gestione del paese.

Come ho brevemente anticipato, il genere saggistico ha permesso a Pasolini di

sperimentare diversi atteggiamenti critici in base al periodo e ai conseguenti

avvenimenti politici, sociali e culturali: «Pasolini immette nei suoi saggi una forza

concettuale selvaggia. La critica stilistica appresa alla scuola di Contini si dilata in

critica della cultura […], in semiologia politico-moralistica. Scritti corsari e Lettere

luterane mostrano un mutamento della poesia civile di Pasolini in saggistica di

opposizione»46.

46 BERARDINELLI 2002 p. 152.

(19)

15

Capitolo primo

Pasolini sceglie il genere saggistico. Gli esordi

1.1. Un poeta con la vena critica

«È vero che il mio primo libro, uscito nel ’42, è stato un libro di poesie. Ed è anche

vero che ho cominciato a scrivere poesie a sette anni di età […], ma, chissà perché quando penso agli inizi della mia carriera letteraria, penso a me come a uno che

proviene dalla critica»47.

Da queste parole si evince come l’ispirazione poetica di Pier Paolo Pasolini, avvertita

come innata, sia stata quasi subito affiancata dalla propensione alla scrittura saggistica.

La mia attenzione, nel corso di questa tesi, sarà focalizzata proprio sugli sviluppi della

sua carriera di critico e saggista, nel tentativo di individuare e di rendere esplicite le

motivazioni dei diversi atteggiamenti critici da lui assunti, come vedremo, nei confronti

della società, delle istituzioni pubbliche, della letteratura, della cultura e della politica.

I primi interventi saggistici, risalenti agli anni Quaranta, sono di gran lunga differenti

dagli scritti degli anni seguenti, sia per quanto riguarda le posizioni ideologiche, le

tematiche esaminate, sia le modalità e il tono espressivo con cui le affronta; mentre nei

primi scritti la critica di Pasolini è rivolta soprattutto all’ambito artistico-letterario, col passare del tempo e il maturare di un personale atteggiamento ideologico, con l’evolversi della situazione politico-economica della nazione, si allargano le sfere d’intervento, e il suo atteggiamento diventa sempre più intransigente e provocatorio nei confronti della società italiana.

47 SEGRE 1999, p. XIII.

(20)

16

1.2. Uno sguardo alla forma del saggio

Come potrà emergere nel corso di questa ricerca, Pasolini, nelle vesti di saggista

debuttante, è ricorso alle più svariate forme saggistiche per esprimere il proprio punto di

vista sulla contemporaneità. Egli si è così dedicato alla stesura di brevi articoli di

giornale, di recensioni a opere letterarie, di saggi di rivista, di testi di critica d’arte e

musicale, mostrando in tutti questi casi le proprie competenze in materia. Lo scrittore,

sin dalla giovane età, si mostra eclettico, ricco di esperienza e conoscenza nei più

svariati ambiti, dalla letteratura alla politica; in virtù di questo riesce anche, di volta in

volta, ad assumere un tono e un linguaggio adeguati in base al pubblico e alla sede

editoriale cui dedica gli scritti: si passa da testi puramente descrittivi nei quali emerge la

sua passione per l’arte, a testi di materia socio-politica in cui assume un tono, se non ancora provocatorio, almeno esortativo, nei confronti del destinatario. Anche il pubblico

cui si rivolge non è fisso, ma varia in base al tema oggetto di discussione oppure al

genere di rivista su cui scrive.

Avvalendosi della sua formazione tipicamente accademica, nei suoi scritti egli riesce a

essere chiaro e conciso, attento al particolare, in grado di individuare l’argomento centrale del discorso e a trattarlo nella maniera più esaustiva. L’analisi testuale che seguirà all’interno di questo capitolo renderà più facile cogliere questi aspetti della sua scrittura.

Uno dei motivi che hanno spinto Pasolini a scegliere la forma saggistica per esprimere

le proprie considerazioni è la volontà di indagare il rapporto tra cultura e società,

essendo questo un genere «più legato alla tradizione letteraria e nello stesso tempo più

inventivo e libero […], in cui fosse possibile compiere più esperimenti»48 .

Nonostante la vocazione poetica, il nostro scrittore mostra sin dalla giovinezza l’interesse a indagare la realtà, cercando di coglierne pregi e difetti; è così che si appella

48 BERARDINELLI 2002, pp. 12-13.

(21)

17

alla saggistica che molto spesso, «prendendo spunto dall’analisi di opere letterarie e

artistiche, aiuta a interpretare il mondo sociale, la sua attualità e la sua storia»49.

È lo scritto di Alfonso Berardinelli, La forma del saggio, a illuminarci circa la fortuna di

questo genere e a fornire alcuni spunti utili per comprendere il motivo che ha indotto

Pasolini a scegliere la forma saggistica.

Il critico delinea una breve storia di questo genere letterario, nato e diffusosi a partire

dal Settecento, «secolo in cui la forma saggistica dispiega tutte le sue potenzialità»50;

poi continua cercando di spiegare i motivi dell’incontrollata divulgazione del saggio nel Novecento:

Come in tutte le epoche di crisi e di rimescolamento dei generi letterari maggiori, cioè più tradizionali […], nel Novecento la forma saggistica serpeggia e si diffonde più incontrollatamente che mai. […], il Novecento vede un’estensione e una penetrazione del saggio anche all’interno del romanzo. Nel caso della poesia lirica, che tende a recidere i suoi legami col pubblico abbassando il tasso di comunicatività, il saggio assume una funzione giustificatoria51.

Poco oltre, troviamo una descrizione del poeta lirico in cui, a mio avviso, è possibile

rintracciare la figura di Pasolini degli anni Quaranta, già proteso, come vedremo, a

cogliere le storture della propria epoca; infatti secondo Berardinelli «il poeta lirico sente

il bisogno di autocommentarsi, di illustrare saggisticamente le difficoltà della propria situazione storica […], definendo ciò che in poesia non è più possibile dire»52

.

Ho già fanno cenno alle svariate forme di testo cui Pasolini si appella per il suo debutto

in veste di critico-saggista; soltanto a partire dagli anni Sessanta la sua scrittura

49 Ivi, p. 10. 50 Ivi, p. 22. 51 Ivi, p. 26. 52 Ibidem.

(22)

18

saggistica assumerà una forma precisa, ascrivibile a due tipologie: il saggio di storia e

critica della cultura e il saggio come autobiografia e pedagogia letteraria.

È ancora Berardinelli a fornire esaurienti descrizioni della forma-saggio. Per quanto

concerne il saggio di storia e critica della cultura egli presenta il saggista come colui che

continua a inseguire l’arte come meta desiderabile […]. Per quanto ne difenda il significato storico, questo tipo di saggista ha una visione più disincantata dell’arte: la serve cercando di servirsene, per condurre la sua guerra ideologica, la sua polemica sociale. In cima ai suoi pensieri c’è l’aspirazione del legislatore e del pedagogo, del giudice e della guida53

.

Sembra proprio la rappresentazione della personalità di Pasolini, ma come ho già

anticipato, del Pasolini provocatorio degli anni Sessanta-Settanta, critico nei confronti

del degrado socio-culturale italiano, ma anche delle istituzioni pubbliche, incapaci di

agire in nome della giustizia.

La scrittura saggistica del nostro poeta risponde anche alle caratteristiche dell’altra

tipologia di forma-saggio, intesa come autobiografia e pedagogia letteraria. Berardinelli

ricorda come «di questo tipo saggistico faccia parte la critica degli scrittori»54. Non a

caso, gran parte degli scritti critici maturi di Pasolini sono caratterizzati da una iniziale

riflessione su un aspetto biografico, per poi aprirsi alla polemica e alla denuncia sociale. Anche l’aspetto pedagogico si farà in lui sempre più vivo, fino all’apice raggiunto con

Lettere luterane, in cui, nelle vesti di educatore di un ragazzo ancora inesperto della

vita, coglie l’occasione per evidenziare e condannare le storture che affliggono il paese. La scrittura di Pasolini, dalla metà degli anni Sessanta in poi, «convergerà in questo tipo

di saggistica che si serve di qualunque occasione per arrivare all’autobiografia e alla

denuncia sociale»55. 53 Ivi, pp. 38-39. 54 Ivi, p. 43. 55 Ivi, p. 152.

(23)

19

Da queste diverse forme saggistiche che accompagnano il nostro poeta sin dagli inizi

della sua carriera, vedremo emergere, di volta in volta, una voce diversa, ossia quella

del poeta, del politico, dell’intellettuale; anche questa distinzione dipende

dall’argomento oggetto di analisi, dall’ambito cui fa riferimento, se politico, artistico o sociale, dal tono assunto e dalle finalità dello scritto-critico.

1.3. L’esordio saggistico

Siamo negli anni Quaranta e Pasolini, quasi contemporaneamente alla pubblicazione

della prima raccolta lirica Poesie a Casarsa, edita nel luglio del ’42, si dedica alla

stesura di articoli e recensioni che assumono la forma di saggi critici, pubblicati sulle

riviste del tempo.

Questi scritti si caratterizzano per i temi più disparati: grande spazio è riservato alla

critica letteraria, come si può desumere dagli articoli dedicati a quei poeti assurti da

Pasolini a ruolo di maestri: si ricordano Ungaretti, Montale, Pascoli, Giotti per citare i maggiori; ricorrenti anche gli scritti di critica d’arte, con riferimenti ai più noti pittori e scultori del tempo, quali Gentilini, Minguzzi, Weiss, a testimonianza dell’interesse dello scrittore per l’arte in tutte le sue sfumature. Non mancano interventi di critica sociale e filologico-linguistica, questi ultimi relativi soprattutto alla questione del dialetto

friulano.

Come si potrà ricavare dall’analisi di alcuni di questi primi esperimenti saggistici, è

possibile constatare, tra l’inizio e la fine degli anni Quaranta, un mutamento di Pasolini nell’approccio agli argomenti affrontati e nel suo atteggiamento nei confronti della contemporaneità. Il trasferimento a Casarsa, la morte del fratello Guido, la caduta del

(24)

20

sono tra le cause principali di questo cambiamento, che si riflette anche nella

successione cronologica delle riviste su cui pubblica gli scritti.

Uno sguardo a queste ultime, sulle quali Pasolini ha dato alla luce i propri

articoli-recensioni, mostra come lo scrittore sia dovuto scendere a compromessi con il fascismo

per pubblicare gli articoli: i suoi primi esperimenti saggistici appaiono nell’aprile del

’42, quindi ancora in pieno regime, sulle riviste «Architrave», foglio della Nuova Gioventù fascista di Bologna, nato nel ’40 e «Il Setaccio», rivista ufficiale del Comando federale di Bologna della Gioventù italiana del Littorio, fondata nel ’42. Pasolini, oltre a

essere stato uno dei fondatori di questa rivista, vi collaborò anche come disegnatore, nell’esclusivo interesse artistico-letterario, senza mostrare alcun coinvolgimento o condivisione politica. Infatti con la fine della dittatura vedremo lo scrittore più libero di

affidare i propri articoli a periodici di orientamento filo-comunista, strumenti di

propaganda di quella sinistra verso la quale Pasolini avvertiva una maggiore

condivisione, seppur ancora agli albori, di sentimenti e ideali.

Per quanto riguarda le due riviste sopra citate, si tratta di periodici locali di genere

artistico-letterario e politico, considerati strumento di risonanza del regime dittatoriale,

ai quali giovani scrittori e giornalisti, in quegli anni, dovevano rivolgersi per poter

pubblicare i propri articoli.

Tra gli scritti apparsi su «Architrave» si ricordano due saggi di critica letteraria:

Microcosmo, dedicato al romanzo omonimo di Siria Masetti, scrittrice a lui

contemporanea e Umori di Bartolini, dedicato all’analisi delle prose di Bartolini, un

eclettico artista conosciuto, oltreché come poeta e narratore, anche come pittore e

incisore, all’apice dell’attività tra gli anni Quaranta e Cinquanta. In questo secondo testo lo scrittore lamenta che della produzione di Bartolini non sia stata ancora data una

definizione critica che la ponga all’attenzione letteraria; poi procede alla descrizione del tipo di prosa dell’autore:

(25)

21

Non basterà chiamare la scrittura bartoliniana semplicemente prosa, in quanto non narrativa, perché questo sarebbe un porre la questione e non risolverla, […]. D’altra parte se l’ispirazione bartoliniana è essenzialmente lirica, lo è al di fuori di ogni liricità, in quanto purezza o essenziale perfezione […]. La sua prosa è sempre sostenuta e tesa da un frasario vigorosamente poetico [SLA1 17].

Emerge in questo scritto, anche se in forma potenziale, quella vivacità nell’argomentare che caratterizzerà tutta la saggistica successiva di Pasolini. Con la sicurezza del critico,

nutrito di una formazione accademica, egli espone il proprio punto di vista circa la prosa

dello scrittore, caratterizzata da «una maturità più attenta e sofferta» [SLA1 15],

opponendosi in questo al giudizio di De Robertis, che notava la persistenza, negli scritti

più tardi di Bartolini, di un atteggiamento giovanile. In questo saggio di storia e critica

della cultura, oggetto di analisi è l’arte, cui l’autore ricorre per condurre la propria battaglia ideologica e sociale. Pasolini, in quel periodo, era infatti solito scrivere articoli

e interventi nel tentativo di uscire dall’appiattimento culturale che il regime aveva

provocato.

Per quanto riguarda i saggi di critica socio-culturale apparsi su «Architrave» si ricorda

Cultura italiana e cultura europea a Weimar, in cui Pasolini, nel ruolo dell’intellettuale

attento ai fenomeni letterari italiani e internazionali, focalizza l’attenzione sull’importanza della cultura odierna che, secondo lui «si è venuta automaticamente maturando, al di fuori di qualsiasi finalità politica, quasi a dimostrazione della libertà

della creazione poetica e dell’amore alla poesia» [SPS 5]; invita così italiani ed europei, attivi culturalmente, a porre l’attenzione, per esempio, sull’ultima generazione di scrittori cercando di abbandonare l’idea di tradizione. Lo stesso Pasolini afferma di

voler parlare di una cultura i cui nomi sono, per la Spagna, Garcίa Lorca, Machado, per noi Ungaretti, Montale […]. La tradizione non è un obbligo, bisogna ormai intendere questo termine in senso antitradizionale, cioè di continua e infinita trasformazione. È del tutto

(26)

22

antistorica quella tradizione ufficiale che, ora, in tutte le nazioni, si va esaltando da una malintesa propaganda, come unica risoluzione in arte dell’odierna condizione politica e sociale europea […]. Ecco la tradizione, tanto cara agli stessi mediocri, risolta nella migliore gioventù e amata come se fosse nata di nuovo. Una tradizione che è passata attraverso il filtro dell’antitradizione, una tradizione che è stata studiata sui nuovi poeti [SPS 6-7].

Sempre su questa rivista Pasolini pubblica un altro articolo di critica socio-culturale,

Filologia e morale, in cui esorta i giovani a formare le coscienze degli individui

attraverso l’educazione:

Se ora esiste tra i più giovani letterati italiani una più accentuata ricerca etica, questa ci sembra del tutto giustificata, anzi necessaria, […]. I giovani dell’ultima generazioni usino le loro energie a un’opera educativa che sola potrà dare coscienza alle opinioni comuni e maturare una futura grande cultura italiana: educare sarà forse il più alto compito affidato alla nostra generazione [SPS 18].

Da questi due testi di storia e critica culturale è possibile intravedere il profilo di un

saggista che «ha una vocazione storica e moralistica più che estetica e contemplativa

[…], che si assume un compito di orientamento illuministico dell’opinione e della coscienza attraverso il discorso sull’arte, ma al di là di esso»56. È l’immagine di un poeta-intellettuale che fa sentire la propria voce attraverso pubblicazioni su riviste di

eco nazionale, cosicché possa contribuire alla «lotta contro la decadenza della morale e

del gusto»57.

In entrambi i saggi emerge inoltre l’importanza che Pasolini ha da sempre attribuito alla cultura in genere, alla letteratura in particolare, come strumento di formazione delle

coscienze, un mezzo per elevarsi senza rischiare di farsi nuovamente assoggettare da un

potere disumano quale appunto risultava il fascismo.

56

BERARDINELLI 2002, p. 39.

(27)

23

Le prime esperienze saggistiche, in particolare quelle di critica letteraria, se confrontate, mostrano quale fosse la disposizione d’animo di Pasolini nei confronti dell’arte, ossia un coinvolgimento totale nella descrizione dell’oggetto dettato dallo stupore della scoperta. È stato Asor Rosa a ricordare, nella prefazione al volume

Passione e ideologia che «il primo movimento d’interesse [di Pasolini] verso un

oggetto, anche culturale, è di natura sempre passionale, quasi fisica»58. Non troviamo in

questi primi scritti, a carattere critico, alcun intento didascalico, nessuno specifico

metodo di analisi, soltanto partecipazione a tutto ciò che di artistico stimoli la sua

curiosità.

Per quanto riguarda le recensioni a testi poetici o narrativi di autori che reputa suoi

maestri notiamo, come ricorda il Cesare Segre, «una posizione quasi complice di un

recensore che non si accontenta di descrivere e definire un libro, ma cerca di rendere

evidenti le sue spinte interne, sentendosi più o meno fraterno all’autore»59.

Un simile atteggiamento si può osservare già a partire dai testi apparsi sul «Setaccio», in cui Pasolini si abbandona all’analisi della produzione poetica di scrittori quali Ungaretti, Penna, Giotti.

In Per una morale pura in Ungaretti, del novembre ’42, Pasolini è immerso nello studio

della poesia O notte, con tutto il coinvolgimento che un simile esame presuppone; in un

primo momento si focalizza sull’aspetto grafico del testo, soffermandosi sul presunto valore delle pause:

Ora le lunghe pause ungarettiane a me sembrano il corollario di una poesia che assuma come sua forma un processo a illuminazioni sommamente decise, necessarie ed essenziali e che, quindi, si rifiutino di essere collegate fra loro a un comune procedimento logico; le pause così verrebbero a essere l’abolizione dei legami logici […], come principale mezzo di una poesia intensa [SLA1 19-20].

58

ASOR ROSA 2009, p. VII.

(28)

24

Poi passa all’esame tematico, per concludere con una nota sulla lezione etica ungarettiana, che «si volge in un terreno di umana comunicatività rinverginata da una

illogicità di sogno che la riconduce, però, a un ritmo di schietto insegnamento»[SLA1

23].

Nell’articolo Collezioni letterarie, sempre del ’42, egli pone l’attenzione sulla poesia

di Giotti e Penna, caratterizzata da una candida purezza. Per quanto riguarda la poesia di

Penna lo scrittore ritiene trattarsi di una «una poesia tutta disciolta nel suo candore, è

purezza poetica, la cui amoralità non depone affatto in suo sfavore, se è tutta densa di

precedenti sofferenze umane, che solo la poesia momentaneamente conclude» [SLA1

27].

Sul conto di Giotti, che eleva al rango di maestro per quanto concerne la poesia

contemporanea in dialetto, afferma di

non esitare a indicare la purezza di Giotti a una più semplice adeguazione del suo cuore al linguaggio: una freschezza che è pura in quanto tale e, con conseguente estrema naturalezza si ritrova nel dialetto. Mentre nell’altro puro, Penna, la definizione critica di tale purezza avrà bisogno di numerosi studi con successivi approfondimenti, in Giotti è facile risalire alla sua origine [ibidem].

Ritroveremo riferimenti a questi poeti anche nei testi della cosiddetta seconda fase

critica pasoliniana, dominata dal volume Passione e ideologia in cui ampio spazio è

riservato soprattutto alla poesia di Giotti; per quanto riguarda Penna, nel ’50 Pasolini pubblica una recensione per l’ultima opera pubblicata dal poeta, Gli Appunti di Sandro Penna, in cui torna nuovamente sul concetto di purezza della sua poesia e ne scopre

l’origine

in un moto di gratitudine che spinge [il poeta] a scrivere i suoi versi sensuali, […]. Penna riceve i suoi versi dagli improvvisi empiti in cui il tempo si purifica, travasa nell’assoluto, […]. Ora

(29)

25

questo libretto di Appunti può servirci a cogliere il momento creativo di Penna, di un attimo anteriore al risultato indiscutibile [SLA1 350].

Una recensione segnata dal puro piacere della descrizione si può riscontrare nel testo

Personalità di Gentilini, dedicata a Franco Gentilini. Nato a Faenza nel 1909,

«cominciò da ragazzo a dipingere angeli, fiori, delfini, vasi, piatti [inserendo] nel paesaggio sempre qualcosa di autobiografico. Più tardi è a Bologna, all’Accademia […] dove rafforza certi estri suoi»60. Nei primi anni Trenta si trasferisce a Roma, ove, grazie

alla «compostezza formale, narrativa e autobiografica [si diffuse] uno stile Gentilini

[…]. Non c’è stato giornale letterario o rivista di tono artistico e mondano che non l’abbia voluto collaboratore. Era diventato per Roma un numero d’attrazione»61

.

Si tratta di un pittore che«ha fatto del tempo il protagonista della propria arte […]. Arte

che non cade mai nel grottesco, conservando nella più ambiziosa posizione, una linea di

raffinata eleganza e di naturalezza, attraversata talora da una sottile venatura d’ironia»62.

In questo saggio Pasolini, nelle vesti di critico, si diletta nello studio dei disegni, del

tratto grafico e della disposizione etica dell’autore; giunge così a scoprire «un mondo morale del [pittore] che si mostra con chiarezza laddove emerge l’intellettualismo: un

mondo guardato ironicamente e giudicato crudelmente» [SLA1 32]. Si tratta di un testo di critica d’arte in cui, tuttavia, Pasolini non perde occasione per dare uno sguardo alla situazione sociale italiana.

Nel Commento allo scritto del Bresson si nota un altro tentativo di esposizione artistica;

questa volta oggetto di analisi sono la pittura postimpressionista francese e quella

italiana degli ultimi anni, e azzarda una superiorità della nostra pittura su quella

francese: 60 GIANI 1949, p. 20. 61 Ivi, pp. 21-22. 62 PALAZZESCHI 2008, p. 48.

(30)

26

A un confronto tra i diversi testi pittorici degli ultimi quarant’anni, ci sembra che la cultura italiana ci guadagni, […]. La cultura francese è ancora immersa in un mondo pittorico post-impressionistico e pare senza vie di scampo, [...]. Di qui tutta l’apittoricità, tutta la disposizione morale a confessarsi, a sfogarsi: manca la violenza la freschezza di quei primi pittori, […]. Siamo lontano dalla serenità, dalla saggezza pittorica di un Carrà, di un Morandi. Se i maestri furono gli stessi, il loro linguaggio

trapiantato in Italia ha acquistato un nuovo vigore [SLA1 53].

Ma approfondendo l’analisi italiana, Pasolini si rende conto che l’ultima produzione pittorica è cosciente della sua condizione di precarietà; infatti prosegue affermando

di notare come i più giovani pittori italiani abbiano avuto l’idea di riallacciarsi all’inizio delle esperienze dei modernissimi pittori francesi e fare in Italia un duplicato della strada che quelli hanno battuto in Francia, […]. Ma questa strada già battuta da altri e senza sbocco, ha un valore disperato di ricerca, che non si placa affatto in benevoli consensi critici, ma, circondata da una maligna severità, sembra abbastanza cosciente della sua precaria condizione [ibidem].

Pasolini in quegli anni inizia ad avvertire un’analoga situazione di instabilità anche per

quanto riguarda la letteratura italiana, che nel giro di pochi anni sarà costretta a

ripiegare nella dimensione dell’autoreferenzialità. Anche in questo caso emerge il

profilo di un intellettuale che si serve dell’arte per alimentare la polemica sociale; siamo

in presenza di un saggista «critico della civiltà […], che formula diagnosi

storico-politiche, indaga la natura e la qualità dei rapporti fra linguaggi artistici e codici

socio-culturali»63. Si tratta di un testo che, seppur pubblicato su una rivista di risonanza

nazionale, è a mio parere indirizzato a un pubblico abbastanza istruito in materia

artistico-letteraria; lo si evince dal lessico utilizzato, dai nomi degli artisti citati, che

soltanto chi è esperto in ambito pittorico può riconoscere.

Un tono così dimesso egli lo ha assunto in un altro articolo pubblicato sul «Setaccio»,

I giovani e l’attesa, del novembre’42, nel quale attraverso un’analisi circa la precarietà

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27

dell’età della giovinezza, segnata dall’attesa logorante per il futuro, giunge a paragonare l’angoscia dei giovani al travaglio interiore della generazione di intellettuali di fronte alla situazione socio-politica e culturale italiana: è lo stesso Pasolini ad affermare che

ormai «l’epoca delle riviste, delle correnti è tramontata. Si è sentito parlare negli ultimi mesi di nuovi movimenti, o meglio di condizioni letterarie […], ma tutte false alle origini» [SPS 12-13].

Sicuramente lo scoppio della guerra ha comportato una involuzione culturale e ha posto

gli intellettuali in una condizione scomoda, non sentendosi liberi di poter dare

espressione alle proprie creazioni. È questa la situazione che Pasolini delinea in un

articolo apparso nel marzo del ’43 sempre sulla rivista «Il Setaccio», Ultimo discorso

sugli intellettuali, in cui esprime il proprio disaccordo circa il rapporto tra intellettuali e

la guerra, dunque sull’esercizio di propaganda a essi richiesto dalla stampa dell’epoca. Il nostro scrittore, invece, ricorda di

rispettare negli intellettuali l’aspetto e l’opera più utile, cioè il lavoro di creazione, di poesia, ma anche la fatica più umile di letteratura. […]. Ma ora si va appunto chiedendo agli intellettuali di adeguarsi allo stato di guerra esercitando proprio un utile mestiere: quello della propaganda. Ma qui sta l’equivoco, […]. Per fare della buona propaganda occorrono un’indole e una preparazione non inferiori a quelle che occorrono per fare un buon letterato. Si tratta di una professione, non ci si può improvvisare.[…]. Gli intellettuali possono dar corpo alla loro fede in altri modi che con la propaganda, e che da essi è lecito pretendere che manifestino la loro fede intensificando il lavoro che è di loro competenza [SPS 26-27].

Il discorso di Pasolini, presenta con chiarezza il problema: egli cerca di argomentare e

giustificare le proprie obiezioni, senza per questo assumere toni provocatori o di monito

nei confronti del bersaglio polemico, come invece sarà inevitabile riscontrare nei suoi

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28

Ma sono molti altri i saggi di critica sociale elaborati in questo periodo e pubblicati

sul «Mattino del Popolo», rivista veneta antifascista, in cui principalmente si notano tra

gli argomenti di critica, le istituzioni quali la scuola pubblica, il proletariato come classe

sociale, oppure la riflessione intorno alla poesia studiata nelle scuole.

Nell’articolo Scolari e libri di testo apparso sulla rivista nel novembre ’47, Pasolini descrive quale dovrebbe essere, secondo il suo punto di vista, l’atteggiamento degli

insegnanti nei confronti degli studenti; nel fare questo si contrappone a uno dei capisaldi

tipici dell’atteggiamento adulto nei confronti del ragazzo, secondo lui diseducativo. Lo scrittore così argomenta:

Col ragazzo bisogna comportarsi come chi si muova dall’alto verso il basso, cioè bisogna regredire nel suo mondo. È una vera sciocchezza: con il ragazzo bisognerebbe al contrario essere difficili, difficili in quanto ciò che egli ricerca non è nel suo mondo. È fuori dal suo mondo; è nel nostro: i suoi problemi sono i nostri, è inutile lasciarlo in una vacanza che lo minora. I fanciulli detestano le cose ragionevoli: è per questo che la scuola è detestata, e i ragazzi non studiano, […]. Bisogna provocare la curiosità, poi qualsiasi obiettivo è buono [SPS 51-52].

Con queste parole Pasolini tende a dimostrare quanto sia importante stimolare

l’interesse e la curiosità dell’individuo sin dalla fanciullezza, abituare i ragazzi agli imprevisti e alle difficoltà, in modo tale che possano crescere già istruiti e capaci di

reagire in quel variegato, poliedrico e spesso ingiusto teatro che è il mondo. Dopo aver

delineato quale dovrebbe essere il giusto comportamento nei confronti dei giovani,

cosicché siano motivati alla conoscenza e al piacere della scoperta, si abbandona a

parole pungenti nei confronti dei libri di testo scolastici, in particolare le antologie:

«ecco che ho qui tra le mani una di queste antologie, il cui straordinario titolo ne è già la

denuncia e insieme la quintessenza. Dove vadano a pescare i loro titoli questi

(33)

29

Ecco che possiamo scorgere, sebbene allo stato ancora embrionale, quella vocazione

pedagogica del nostro critico che lo accompagnerà fino alle Lettere luterane.

Un altro articolo relativo all’istituzione scolastica può risultare interessante, Scuola

senza feticci, nel quale constata la doppia natura del fanciullo che ha ricevuto la sua

prima forma d’istruzione:

una, la propria, che sta al livello di se medesima con tanta naturalezza da fornire, del fanciullo, la convenzionale idea di un tutto saturo di mistero e di innocenza; la seconda è quella formatasi con la tettonica esteriore delle intimidazioni e delle prevenzioni, che sono gli apriorismi dei suoi giudizi e delle sue scelte [SPS 55].

Prosegue con la presentazione delle caratteristiche di un buon educatore, che dovrebbe

aiutare il ragazzo a prendere coscienza delle proprie potenzialità ma anche delle

«eccezionalità altrui, venendo così a porsi nei confronti dell’esistenza in uno stato d’animo critico e polemico» [SPS 56].

Ritorna qui in primo piano il concetto di educazione inteso come momento

fondamentale per la formazione individuale, «educazione che è creazione di una

cultura» [ibidem], uno dei punti forti, come emergerà i seguito, del pensiero politico

gramsciano.

Cambiando ambito, Pasolini si sposta su quello politico e cerca di delineare la

situazione attuale del proletariato; si propone così di addurre le motivazioni che possano

riscattare questa classe, in modo tale che riesca a fuoriuscire da quello stato di

inferiorità rispetto alla borghesia al potere:

La presa di coscienza come terapia o rieducazione […]. Nessuno si meravigli se ora aggiungiamo che il complesso di inferiorità della classe proletaria può essere eliminato solo attraverso una presa di coscienza. E questo intendeva dire Marx già nel 1848 quando parlava del comunismo come coscienza di sé della classe lavoratrice […]. Il vero problema politico italiano, secondo il nostro parere di politici non militanti, ma appassionati, è quello di dare una coscienza

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30

alle masse italiane, rimaste fisse a uno stato di immaturità politica; coscienza che dando loro la nozione di autonomia le guarisca da quello stato di inferiorità che avvertono di fronte alla classe borghese [SPS 69-71].

Sono le parole di Pasolini nelle vesti del politico, dettate da sentimenti di condivisione

nei confronti delle classi umili, che proprio in quegli anni lo hanno portato ad aderire al

comunismo, con la speranza, inutile, che in un futuro non lontano la classe operaia

possa ottenere finalmente la guida della nazione.

1.4. Saggi critici per il dialetto friulano

Tra il ’42 e il ’43 Pasolini insieme alla madre e al fratello Guido si trasferirono in

Friuli, nella cittadina di Casarsa, dove sin da bambino era solito trascorrere le estati, un

luogo più tranquillo e sicuro dagli eventi bellicosi. Lo scrittore entra in contatto con la

piccola comunità del luogo, costituita per la maggioranza da contadini, una popolazione

umile, legata ancora a valori etici ancestrali, non coinvolta nel flusso della politica

nazionale.

Interessante come egli si avvicini anche al loro dialetto, che impara direttamente sul

campo attraverso il contatto umano con il popolo; decide allora di approfondirne lo

studio, poiché lo considera un valido strumento per rinnegare le proprie origini piccolo-borghesi, che non sente affatto sue. Così il «Friuli diventa un’esclusiva terra di elezione, che proprio per la sua verginità culturale eccita l’interesse di Pasolini nel senso di un impegno totale»64.

A questo periodo friulano risalgono gli interventi che egli pubblica su diverse riviste

locali, spinto dall’intreccio dell’interesse letterario e sociale di questo dialetto. Da un punto di vista letterario egli lo considera una lingua poetica in quanto «lingua appartata

64 NALDINI 1999, p. LXIII.

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e vergine»65, marginale proprio in quanto priva di una tradizione letteraria alle spalle; da

un punto di vista sociale, come ho anticipato, la giudica strumento di negazione delle

proprie origini piccolo-borghesi. Come ricorda lo studioso Fernando Bandini:

La madre non parlava il friulano, ma il dialetto veneto, come spesso accadeva nelle famiglie piccolo-borghesi che usavano la parlata veneta quasi come un blasone di classe rifiutando il friulano, lingua dei contadini poveri. Il friulano è quindi per Pasolini anche segnale di trasgressione. È una lingua che il poeta non parlava e che sceglie per farne il suo specchio privato e segreto, lontano dagli occhi materni66.

Sarà Pasolini stesso a promuovere la pubblicazione dell’opuscolo «Stroligut di cà da

l’Aga» nel’44, officina delle prime questioni linguistiche e poetiche, affiancato da altri giovani appassionati di poesia; si viene a creare così «un nuovo sodalizio culturale che

si proponga come atto primario la rivendicazione dell’uso letterario del friulano

casarsese […] e di fondare una nuova poetica antivernacolare»67 .

Negli scritti che affida alle riviste locali, tra le quali si ricordano, oltre allo «Stroligut di

cà da l’Aga», la rivista della Società Filologica Friulana «Ce fastu» e il successivo «Quaderno romanzo», Pasolini, nel ruolo di poeta-filologo, si impegna per promuovere

il dialetto friulano a lingua poetica appellandosi proprio al mito della verginità

originaria e della purezza di questa parlata; come ha evidenziato Segre, «[il mito della

verginità originaria] serve comunque a scartare le forme più corrive di poesia dialettale,

e a corroborare la coscienza di aver guardato a una lingua ideale più che reale»68.

Un primo articolo in favore di questa promozione linguistica è dell’aprile ’44,

pubblicato su «Stroligut di cà da l’Aga», Dialet, lenga e stil, in cui già il titolo in dialetto sia dell’opuscolo sia del testo sono emblematici. In questa sede Pasolini idealizza come il dialetto possa trasformarsi in lingua dal momento che «a qualcuno

65 BANDINI 2003, p. XVI. 66 Ivi, pp. XVIII-XIX. 67 NALDINI 1999, p. LXIII. 68 SEGRE 1999, p. XVIII.

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