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Un atteggiamento semiologico-visivo

L’intransigenza pasoliniana tra gli anni Sessanta e Settanta

3.11. Un atteggiamento semiologico-visivo

L’analisi degli ultimi scritti saggistici di Pasolini ha permesso alla critica di rilevare

come al fondo del suo discorso, di stampo etico e politico, vi fosse una base estetica. La

sua propensione a cogliere il dettaglio della quotidianità, l’osservazione degli

avvenimenti socio-culturali oppure degli atteggiamenti delle nuove generazioni, ha indotto a considerare il suo metodo d’indagine di tipo «semiologico-visivo»311

. Molte

delle sue argomentazioni partono dalla considerazione di un dato estetico, dal quale poi

309 BELPOLITI 2010, p. 35. 310 PISCHEDDA 2011, p. 24. 311 BELPOLITI 2010, p. 38.

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riesce a ricavare una conclusione etica relativa alla situazione drammatica dell’Italia tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta.

I suoi approfondimenti in ambito semiologico hanno sicuramente accentuato la sua

capacità di interpretare i comportamenti umani; come lui stesso ricorda in uno scritto

pubblicato nel giugno del ’74, «il comportamento è un linguaggio; in un momento storico in cui il linguaggio verbale è tutto convenzionale e tecnicizzato, il linguaggio del

comportamento (fisico e mimico) assume una decisiva importanza» [SC 55].

Interessante a riguardo è l’articolo che inaugura la sua collaborazione al «Corriere della sera», Contro i capelli lunghi, del gennaio ’73, incluso poi nel volume con il titolo

Discorso dei capelli. Come emerge dal testo, Pasolini parte da un’esperienza personale,

un viaggio a Praga prima del ’68, dove, nella hall di un albergo, nota una particolarità fisica di alcuni giovani presenti, la lunghezza dei loro capelli. Il nostro scrittore scorge

subito in quel carattere un tipo di linguaggio «che trova collocazione nell’ampio dominio dei segni» [SC 6] e che sostituisce il linguaggio verbale. Egli intuisce, grazie a quell’intelligenza per cui «sa ricavare una visione d’insieme da una base empirica limitata alla propria esperienza personale»312, che i capelli lunghi di quei giovani

rappresentano un atto di protesta contro il potere borghese; il loro è un gesto di

anticonformismo, che fin qui trova l’appoggio anche dello scrittore. Le cose cambiano dopo il ’68, quando i capelli lunghi non rappresentano più un segno distintivo di chi è contro il potere, quindi di chi si professa comunista, bensì questa moda si è estesa anche

tra i giovani di destra, rendendo impossibile il discrimine: «capii che il linguaggio dei

capelli lunghi non esprimeva più cose di Sinistra, ma esprimeva qualcosa di equivoco»

[SC 9]. Pasolini era consapevole del fatto che la responsabilità di tutto questo fosse del

nuovo Potere, che ambiva a una omologazione totalizzante dei cittadini italiani: «la

sottocultura al potere ha assorbito la sottocultura all’opposizione e ne ha fatto una moda

312 BERARDINELLI 1990, p. VIII.

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[…]. La libertà [dei giovani] di portare i capelli come vogliono non è più difendibile, perché non è più libertà» [SC 11-12].

Vediamo come il nostro scrittore, partendo da un dato estetico e fisico come i capelli,

sia giunto a esprimere il suo rammarico per la società a lui coeva, che, apparentemente

incline alla libertà dei cittadini, in realtà li condiziona con l’imposizione di modelli estetici e comportamentali da osservare ed emulare. Il fatto che gli italiani siano indotti

a compiere determinate azioni o ad atteggiarsi in un certo modo prestabilito impedisce

una loro distinzione sociale; secondo Pasolini è diventato impossibile distinguere un

operaio da uno studente o da un borghese; l’omologazione auspicata dal nuovo Potere ha avuto luogo, i valori sui quali si era costruita la società contadina e paleoindustriale

sono stati soppiantati da nuovi valori, che puntano alla distruzione dell’individuo, alla

perdita della sua personalità, a farlo diventare membro di una massa indistinta, incline

esclusivamente a soddisfare gli imperativi del consumismo.

Interessante anche quanto riportato in un articolo successivo, Ampliamento del bozzetto

sulla rivoluzione antropologica in Italia, del luglio ’74, in cui Pasolini fa capire quanto

sia degradante, per gli italiani, la situazione di presunta libertà di espressione e di comportamento che vivono. Egli infatti ricorda, sempre attraverso un’osservazione attenta degli atteggiamenti umani, come nelle città sovietiche l’uniformità dei cittadini, a livello mimico-fisico e comportamentale, sia il risultato di una conquista della libertà da parte del popolo, nel lontano 1917. In Italia, invece, l’uguaglianza della folla nel modo di vestire, di parlare, di atteggiarsi, rappresenta «un fenomeno negativo da gettare in uno stato di disperazione […]. È stato infatti il Potere a decidere che [gli italiani] sono tutti uguali […]. Ognuno in Italia sente l’ansia degradante, di essere uguale agli altri nel consumare, nell’essere felice» [SC 71-72]. Non perde così occasione per tracciare le conseguenze di questa omologazione forzata, imposta agli italiani a partire

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neocapitalistico si siano annullate le differenze di classe, e che ogni cittadino sia

invitato ad aderire e soddisfare certi tipi di modelli sociali, si assiste, soprattutto da parte

dei cittadini meno abbienti, al dilagare di umiliazione e frustrazione, in quanto

impossibilitati a rispondere alle esigenze richieste. In proposito è Pischedda a ricordare

come «da strumento utile a interpretare i linguaggi non verbali, la semiologia diviene

pretesto per sancire l’omologazione morfologica di tutti i corpi»313 .

Continua la requisitoria del nostro scrittore nei confronti del nuovo Potere,

responsabile anche della eliminazione delle culture particolaristiche da sempre

osservabili in Italia, un Potere che egli non conosce ancora, come afferma nell’articolo

Il vero fascismo e quindi il vero antifascismo. Al centro del discorso vi è appunto questa

nuova potente entità senza nome, che ha agito sui cittadini a livello culturale e psicologico, causandone sia l’omologazione a un unico modello, sia il cambiamento, ossia quella mutazione tanto discussa da Pasolini:

Decidere di farsi crescere i capelli fin sulle spalle, oppure tagliarsi i capelli e farsi crescere i baffi […]; seguire attentamente i programmi televisivi, conoscere i titoli di qualche best-seller, vestirsi con magliette e pantaloni alla moda […]: tutti questi sono atti culturali. Tutti gli italiani che compiono questi identici atti hanno lo stesso linguaggio fisico [SC 56].

In Italia questo cambiamento è avvenuto in modo repentino e improvviso, per questo

motivo gli effetti sui cittadini sono stati più devastanti. È Alfonso Berardinelli, nella

prefazione al volume, a ricordare come Pasolini fosse consapevole del fatto che già

Marx, nel Manifesto, avesse denunciato il genocidio culturale; tuttavia soltanto «ora

quei processi di cui aveva parlato la sociologia critica in Germania, in Francia e negli

Stati Uniti, arrivano a compimento in Italia, con una violenza concentrata e

improvvisa»314. Così anche l’esperienza e l’eredità contadina, ricca di tradizioni, a un

313

PISCHEDDA 2011, p. 35.

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tratto viene cancellata. Pasolini sa bene in quali condizioni si trovi il suo paese,

sconvolto dalla diffusione di una società massificata, consumistica e interclassista, in

cui non è più auspicabile «una tempestiva rivoluzione borghese in grado di attutire gli

effetti del benessere, e nemmeno si registra una rottura proletaria capace di volgere le

opportunità del modernismo industriale a favore di un vero progresso»315.

Tornando al testo, le uniche informazioni che Pasolini è in grado di fornire ai lettori

sono dettate, ancora una volta, dalla sua esperienza diretta, dal suo vissuto: «conosco,

perché le vedo e le vivo, alcune caratteristiche di questo nuovo Potere ancora senza

volto: il suo rifiuto del vecchio clericalismo, la sua decisione di abbandonare la Chiesa,

la sua determinazione a trasformare contadini e operai in piccolo-borghesi» [SC 54]. È

Bruno Pischedda a sottolineare come nel «binomio corpo-esistenza […] e nella formula

[di] esprimersi vivendo Pasolini si sforzi di raccordare saperi socioantropologici ed

esperienze intimamente laceranti»316.

Lo scrittore prosegue con la descrizione degli aspetti del nuovo Potere, alcuni in

qualche modo positivi, altri invece totalmente terrificanti per il benessere del cittadino:

L’identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce a esso dei tratti moderni, dovuti alla tolleranza e a una ideologia edonistica autosufficiente: ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è infatti falsa […]; quanto all’edonismo, esso nasconde una decisione a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto […]. Questo nuovo Potere è una forma di fascismo, ma ha anche omologato culturalmente l’Italia [SC 54-55].

Pasolini è dunque consapevole della portata persuasiva di questa oscura entità, capace di

cancellare quel mondo paleoindustriale, fondato su valori autentici, che egli ha sempre

celebrato, pur discendendo da una famiglia piccolo-borghese. Al contrario, la classe

dirigente democristiana ha ignorato, volontariamente o meno, la potenza di questo

315

PISCHEDDA 2011, p. 39.

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Potere che, secondo Pasolini, ha gettato l’Italia nell’abisso: «il trapasso brutale è avvenuto da un mondo di valori ereditati da modelli religiosi e arcaicamente contadini a

un mondo di valori determinati dal consumo, che sembrava assorbire le energie vitali

dell’individuo»317 .