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La consapevolezza mancata dei potenti democristian

L’intransigenza pasoliniana tra gli anni Sessanta e Settanta

3.17. La consapevolezza mancata dei potenti democristian

Prima di passare alla critica serrata di Pasolini nei confronti della Democrazia

Cristiana, è bene osservare come anche i progressisti abbiano contribuito al degrado

sociale, politico e culturale italiano.

Nel volume sono due i passi in cui lo scrittore si sofferma sulla colpa degli intellettuali

progressisti e illuministi, che hanno contribuito alla scomparsa dei sentimenti umani,

sostituiti dall’adorazione delle merci. È nel Paragrafo secondo del trattato pedagogico che Pasolini si scaglia contro gli intellettuali di sinistra per la loro tendenza a «de-

sentimentalizzare la vita» [LL 21]. Questa abitudine dipende dal fatto che «i vecchi

intellettuali progressisti sono stati educati in una società clerico-fascista che predicava

false sacralità; la reazione era quindi giusta. Ma oggi il nuovo potere non impone più

quella falsa sacralità, anzi è lui stesso a volersene liberare» [ibidem]. Quindi, secondo

Pasolini, «la polemica contro la sacralità dei sentimenti, da parte degli intellettuali

progressisti che continuano a macinare il vecchio illuminismo, è inutile. Oppure è utile

al potere» [ibidem].

È la stessa critica mossa a Calvino in Lettera luterana a Italo Calvino, apparsa sul

«Corriere» il 30 ottobre del ’75, in cui si scorge «un ulteriore richiamo alla definitiva crisi dell’illuminismo e del razionalismo»354

. Carla Benedetti, nel saggio Pasolini

contro Calvino, si è impegnata a descrivere come questi due autori, di fronte al crollo

354 BELPOLITI 2010, p. 55.

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delle poetiche e all’avvento del nuovo Potere insinuatosi anche nell’ambito artistico- culturale, abbiano assunto posizioni e atteggiamenti diversi. Entrambi supersiti al venir

meno delle certezze poetiche che li avevano guidati nella scelta «di una certa forma di

espressione piuttosto che un’altra»355

, intraprendono strade diverse per uscire

dall’impasse letteraria verificatasi verso la fine degli anni Cinquanta.

Mentre Pasolini «non ha mai rinunciato a un’idea forte di arte, quindi il suo rapporto con l’istituzione [letteraria] non è mai pacifico, Calvino intrattiene con essa un rapporto di accondiscendenza, accettando di giocare entro i suoi confini»356. Pasolini aveva

intuito come il nuovo Potere avesse trasformato anche i prodotti letterari in merce, in

oggetti di consumo; così, in un articolo del ’65, esorta l’amico scrittore a guardarsi

intorno, a capire come il consumismo abbia imposto proprie regole anche in ambito letterario. Pasolini tenta una soluzione avanzando idee che permettano «l’uscita dal cerchio depotenziato [della letteratura], dalla sua finta autonomia [attraverso] il rifiuto

di rifinire l’oggetto in modo che possa parlare da solo al lettore, il sottrarsi all’obbligo dello stile, il rifiuto di confezionare l’oggetto estetico»357

. Calvino, al contrario, ricorre

«a codici […] interni e ammessi dal gioco della letteratura»358

. Ciò di cui viene accusato

Calvino è il rigore formale tipico del suo atteggiamento; Benedetti ha parlato, in

proposito, di «scrittore scienziato naturalista ridotto a occhio che osserva, [che si

contrappone] allo scrittore predicatore che parla per raggiungere un qualche effetto sul

pubblico»359.

Il rigore formale, l’incapacità di reagire e di accettare passivamente il corso degli eventi hanno spinto Pasolini a rimproverare l’autore del Sentiero dei nidi di ragno, in quanto ancora legato a quelle «certezze che hanno confortato [gli intellettuali] in un contesto

355 BENEDETTI 1998, p. 37. 356 Ivi, p. 22. 357 Ivi, p. 23. 358 Ivi, p. 49. 359 Ivi, p. 131.

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clerico-fascista. Le certezze laiche, razionali, democratiche e progressiste così come

sono non valgono più. Il divenire storico è divenuto, e quelle certezze sono rimaste

com’erano» [LL 181]. Pasolini vuole dimostrare come in una società moderna, ormai proiettata esclusivamente alla produzione e al consumo di merci, «gli argomenti laici e

razionalisti siano inefficaci [e facciano] il gioco del potere»360. Così come la

desacralizzazione dei sentimenti umani non ha fatto che sostenere il nuovo Potere nella

creazione di una società caratterizzata da falsi principi e modelli, nella quale ad avere

valore sono l’apparenza, l’immagine e i beni materiali; una società di cui il Potere si compiace perché caratterizzata da un abbassamento del livello culturale dei cittadini,

cosicché possano apparire meglio controllabili e manovrabili; sicuramente la diffusione

di programmi televisivi privi di senso e contenuto ha facilitato questa trasformazione.

Per ovviare alla situazione Pasolini propone «un rilancio del sacro, un nuovo culto del

cuore e delle sue ragioni»361; in proposito Carla Benedetti ricorda come

il sacro in Pasolini sia piuttosto qualcosa che si definisca per posizione o per funzione. Il sacro altro non è che un punto di vista non conciliabile con il Nuovo Potere, non dominabile dalla razionalità strumentale, non colonizzato dal consumismo, non ridotto a spettacolo. Perciò esso non è mai dato una volta per tutte. È piuttosto il frutto di una conquista: una fessura da scavare, una zona franca da conquistare fuori dallo sclerotizzarsi delle ideologie e delle istituzioni362.

Secondo Contini infatti «la sostanza di Pasolini è anti-illuminista»363. Ancora Marco

Belpoliti tende a precisare come il nostro scrittore aderisse solo parzialmente «ai valori

laici e illuministi degli intellettuali»364.

Come ho già anticipato, anche i potenti democristiani sono responsabili della

situazione attuale dell’Italia, che appare in fase di regresso. Nel Paragrafo quarto del

360 BELPOLITI 2010, p. 54. 361 PISCHEDDA 2011, p. 97. 362 BENEDETTI 1998, p. 186. 363 BELPOLITI 2010, p. 53. 364 Ivi, p. 57.

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trattato egli esprime le sue critiche nei confronti della Democrazia Cristiana, ma, come

vedremo, i toni sono più pacati, rispetto agli articoli successivi apparsi sul «Corriere

della Sera». Egli accusa i potenti democristiani «di non amare questi uomini degradati

dal falso progredire della storia» [LL 28]. Interessante quanto ricorda Pischedda circa la

visione pasoliniana della storia e del progresso capitalistico: «Pasolini appare poco

interessato al divenire stesso, che spesso fa coincidere con il decorso dell’evo borghese, e a cui sa opporre unicamente un’idea di ciclicità mitica, ancestrale, e per altro verso la catastrofe. Tale è la filosofia della storia per l’ultimo Pasolini»365

.

Secondo Pasolini è anche necessario lottare, esprimere le proprie riserve critiche verso il

degrado sociale e civile, per far sì che gli individui migliorino le proprie condizioni.

Invece i potenti democristiani hanno commesso un duplice errore servendo senza

opposizione, dapprima il potere clerico-fascista, in seguito quello consumistico; per

questo sono colpevoli della situazione catastrofica in cui verte l’Italia, contraddistinta dalla criminalità diffusa, dal terrorismo. È grazie alla sua posizione di intellettuale

informato sui fatti che Pasolini arriva ad accusare i democristiani al governo,

responsabili, a suo avviso, delle stragi terroristiche:

I potenti democristiani sono i diretti responsabili o mandanti della strategia della tensione e delle bombe […]; se i potenti democristiani non sapessero tuttavia tutto, o quasi, sarebbero degli incapaci che non si accorgono di ciò che accade sotto il loro naso. I potenti democristiani sanno tutto delle stragi, ma fingono di non saperlo e tacciono. In tutti e tre i casi i potenti democristiani […] dovrebbero andarsene, sparire [LL 28-29].

L’articolo si conclude con un invito rivolto agli intellettuali affinché si impegnino a insegnare agli italiani «a non ascoltare le mostruosità linguistiche» [ibidem] dei politici.

Come ho già sottolineato, si tratta di un invito vano, dal momento che anche gli «intellettuali all’opposizione accettano sostanzialmente quello che accettano i

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democristiani. Essi non sono affatto scandalizzati dalle mostruosità della lingua dei

potenti democristiani» [ibidem].

La verve polemica dello scrittore si accentua negli articoli successivi, insieme a una

sempre maggior consapevolezza del fatto che la situazione italiana sia giunta a un punto

di non ritorno, in cui i processi di democratizzazione in atto non hanno fatto altro che

promuovere «uno sviluppo mostruoso e distruttore» [LL 79]. È già stato ricordato che il responsabile di ciò è stato l’avvento del nuovo Potere capitalistico, che ha sovvertito gli antichi valori, ha eliminato il tipo di società preesistente e ha contribuito a degradare

l’uomo, trasformandolo in un individuo privo di autonomia, asservito ai dettami del consumismo. Pasolini si era reso conto di come, a partire dagli anni Sessanta, in Italia vi

fossero due realtà coesistenti, sebbene inconciliabili tra loro: quella dei potenti al

governo, i privilegiati e quella dei cittadini comuni, i quali, illusi di vivere in un

contesto democratico, in realtà non fanno che sottomettersi e rispondere alle volontà del

potere.

È quanto denuncia nell’articolo Fuori dal Palazzo, apparso sul corriere nell’agosto del’75, in cui sottolinea la distanza diacronica tra la vita che si svolge nel Palazzo, ossia quella dei potenti al governo, e la vita fuori dal Palazzo, quella cittadina. Secondo

Pasolini è questa seconda realtà a essere stata travolta da «una fittizia forma di

progresso e tolleranza» [LL 96].

Nell’articolo Bisognerebbe processare i gerarchi DC egli ritorna sulla distanza storica tra la vita nel Palazzo e quella reale, immersa nel flusso degli eventi. È vero che fuori

dal Palazzo, a partire dagli anni Sessanta, i cittadini sono giunti per la prima volta a una

unificazione, ma si tratta di un risultato ottenuto attraverso una mutazione antropologica

che li ha resi tutti uguali, «li degrada e li deturpa» [LL 109]. In tutto questo i

democristiani al potere non sono intervenuti, anzi hanno contribuito ad assoggettare il

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stimoli ai quali non corrispondono più cause reali nel Paese. La meccanica delle

decisioni politiche nel Palazzo è impazzita» [ibidem]. Si tratta dell’articolo in cui il

polemismo di Pasolini raggiunge l’apice, in quanto arriva a proporre e ad auspicare un processo da intentare ai potenti democratici, responsabili del degrado italiano:

Parlo proprio di un processo penale, dentro un tribunale. Andreotti, Fanfani e almeno una dozzina di altri potenti democristiani dovrebbero essere trascinati, come Nixon, sul banco degli imputati […].accusati di una quantità sterminata di reati: indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione del denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali […], collaborazione con la CIA, responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna […], responsabilità della degradazione antropologica degli italiani […], responsabilità dell’esplosione selvaggia della cultura di massa e dei mass media, responsabilità della stupidità delittuosa della televisione [LL 113].

Nell’articolo successivo, Il Processo, egli riprende l’elenco di accuse da intentare ai

democratici; non li giudica colpevoli di immoralità, bensì di aver sbagliato a interpretare

«se stessi e il Potere di cui si erano messi al servizio» [LL 115]. Così i potenti

democristiani, sottoposti a processo, rivelerebbero agli italiani di non essersi resi conto

che «si era storicamente esaurita la forma di potere che essi avevano servito nei venti

anni precedenti e che la nuova forma di potere non sapeva più che farsene di loro» [LL

116].

Oltre all’inettitudine degli uomini al governo, Pasolini accusa e invita a processare anche i membri di altri partiti, responsabili di non «aver capito certi problemi, o peggio,

di aver condiviso certe decisioni» [LL 147]. È quanto lamenta nell’articolo del settembre ’75, Perché il Processo, in cui, approfittando delle richieste avanzate dai cittadini, elenca i motivi che lo hanno indotto a voler intentare un processo ai potenti

democristiani, responsabili del disastro ambientale, culturale e sociale. Sempre per