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Da intellettuale impegnato a battitore libero

L’intransigenza pasoliniana tra gli anni Sessanta e Settanta

3.3. Da intellettuale impegnato a battitore libero

Venuto meno quel condizionamento iniziale di Pasolini nei confronti della rubrica che

ospita i suoi interventi, si sente più libero di smascherare le ambiguità che attraversano la società italiana dell’epoca, coinvolgendo spesso nella critica anche i comunisti e i membri del Pci, vittime della borghesia corruttrice, in grado di contagiare persino gli

oppositori. 258 Ivi, p. 29. 259 FERRETTI 1978, p. 31. 260 Ivi, p. 32.

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Sono molti gli articoli in cui Pasolini ritorna sul tema della crisi dell’impegno

intellettuale, sulle sue insufficienze e impossibilità dovute ai tempi mutati. Questo

discorso sulla caduta dell’impegno si unisce, sulla rubrica «Vie Nuove», «al discorso sulla crisi del marxismo e dei partiti marxisti di fronte alle cose che stanno accadendo in

Italia e nel mondo»261.

Contemporaneamente alla fine del suo ruolo di intellettuale impegnato si assiste anche a

un distacco da un pubblico collettivo, che «rivela un sostanziale processo di contrastata

privatizzazione»262.

Interessante l’articolo del ’64 in cui Pasolini esprime il suo parere circa il ruolo dell’intellettuale militante, spiegando il motivo della sua inefficacia nell’era neocapitalista:

Io credo si tratti di una crisi che non ha riscontri nel nostro passato. Siamo in un momento di zero storico […]. È finita un’epoca storica e ne comincia un’altra. Finisce l’Italia pseudo- nazionale dell’industria monopolistica, e comincia un’Italia nuova, che fonda la propria reale nazionalità sul reale potere dell’industria neo-capitalistica e tecnocratica. Ogni artista si adempie secondo un reticolato di proiezioni che partono dal momento storico che lo determina e che egli conosce ed esprime: quando questo momento storico è zero, l’artista impazzisce: è in uno stato di confusione [BB 270-271].

Un altro scritto, sempre relativo alla nozione di impegno, è apparso su «Vie Nuove» nell’agosto del ’65, al termine ormai della corrispondenza con i giovani lettori. Pasolini spiega il motivo dell’esaurirsi della cultura impegnata di molti scrittori a lui contemporanei. Secondo lo scrittore il responsabile della crisi del ruolo dell’intellettuale impegnato è anche il Pci che, a partire dagli anni Cinquanta,

261

Ivi, p. 33.

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ha abbandonato ogni atteggiamento protettivo, dogmatico e moralistico […]. Ha dato carta bianca a tutti gli esperimenti letterari possibili, una sorta di liberismo culturale, una dichiarazione ufficiale di mancanza totale di programmi e di idee […]. Ma la mancata dichiarazione di nuovi programmi culturali o di una nuova linea culturale, non garantisce affatto una reale libertà di giudizio […]. Ecco un segno di crisi: una vera a propria crisi della politica culturale marxista [Ivi 1084-1085].

Il discorso pasoliniano circa il ruolo dell’intellettuale nell’evo moderno continua anche nella rubrica Il Caos; mentre nella precedente esperienza su «Vie Nuove» egli constata

solamente la crisi dell’impegno a seguito della diffusione dell’industria neocapitalistica, senza trovare possibili soluzioni, in queste pagine egli si prepara a descrivere la nuova posizione assunta dall’intellettuale, che lui personalmente ha del resto vissuto; tipico, nei suoi articoli, è infatti «l’intreccio tra pubblico e privato, tra biografia e letteratura»263.

In riferimento alla lettura di un saggio di Rossana Rossanda, L’anno degli studenti,

esprime quello che, secondo lui, è il ruolo dell’intellettuale moderno:

Descrivendo la differenza che divide l’intellettuale classico (cioè l’umanista che ha fatto la Resistenza) dagli studenti, la Rossanda osserva come gli studenti esperimentino nella propria persona e nella propria condizione la miseria della mercificazione e l’alienazione: mentre l’intellettuale no, egli si limita a esserne testimone: in esso si tratta del risveglio di una coscienza alle ragioni di una classe non sua, e ne deriva la collocazione di compagno di strada con i suoi margini di libertà e i suoi conflitti, la sua irriducibile alterità di testimone esterno […]. Cacciato dai centri della borghesia, per il mondo operaio è solo un testimone esterno […]. Una decina di anni fa [al contrario] egli era un’autorità; era il Pci che determinava e decretava il successo letterario di un autore. L’Italia era allora un paese paleocapitalistico e il letterato vi poteva assumere il ruolo di guida. Ora l’egemonia culturale è passata nelle mani dell’industria, dunque l’intellettuale è dove l’industria culturale lo colloca [SPS 1098-1099].

Il ruolo di testimone esterno è dunque quello scelto da Pasolini, che, rifiutando ogni tipo

di autorità, nella sua solitudine si sente in dovere di denunciare la borghesia come una

263 BELPOLITI 2010, p. 31.

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recensione»249. In questa seconda esperienza giornalistica, Pasolini non è più costretto

in una corrispondenza con i giovani lettori comunisti, non è più vincolato al ruolo di

guida, ma si presenta come figura solitaria, libero dalle limitazioni dovute all’impegno;

sono gli anni in cui «non si trova più a rispecchiare le posizioni ufficiali o maggioritarie

del Partito, ma agisce, con metafora sportiva, da battitore libero»250. Egli si sente così

autorizzato ad affrontare temi della politica, della cultura e del costume italiani e a esporre il personale punto di vista. Nell’articolo inaugurale della rubrica Il Caos scrive:

Io non sono un qualunquista e non amo neanche quella che si chiama posizione indipendente. Se sono indipendente lo sono con rabbia, dolore e umiliazione. E se dunque mi preparo, in questa rubrica, a lottare contro ogni forma di terrore, è, in realtà, perché sono solo. Il mio non è qualunquismo, né indipendenza, è solitudine. Non ho alle spalle nessuno che mi appoggi […]. Il lettore sa che io sono comunista: ma sa anche che i miei rapporti di compagno di strada col Pci non implicano nessun impegno reciproco. Se provo delle simpatie politiche sono simpatie che non comportano nessun patto [Ivi 1095-1096].

Ferretti ha ricordato che Pasolini corsaro inizia a farsi sentire in questa rubrica, che, a

differenza della precedente, «prende spunto da avvenimenti di cronaca, fatti letterari,

sociali e politici. Pasolini si spoglia del ruolo confidenziale e si trasforma in una voce

che predica nel deserto, in un profeta. Sente crescere la propria solitudine e la

determinazione ad affrontare di petto i problemi»251. Come vedremo, uno dei suoi

bersagli preferiti sarà la borghesia, che egli si impegna «ad analizzare come male

ovunque essa si trovi […]. Sintomo della presenza del male borghese ė il terrorismo,

moralistico e ideologico» [C 33].

L’incontro con i giovani, grazie alla corrispondenza su «Vie Nuove», coincide con la

presa di coscienza, da parte dello scrittore, di una diffusione ormai inarrestabile del

«neocapitalismo corruttore [e della] desistenza rivoluzionaria, termini di una visione

249 BELPOLITI 2010, p. 31. 250 MENGALDO 1987, p. 423. 251 BELPOLITI 2001, p. 57.

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senza speranza»252. Da qui il suo impegno a scuotere le nuove generazioni a lottare per

non cadere nella trappola oppressiva del finto benessere neocapitalistico, causa

principale dell’«abbassamento del livello culturale sottoproletario»253 .

La collaborazione di Pasolini con «Vie Nuove» dura cinque anni, ma è possibile

scandire il periodo in due fasi, che si distinguono sia per i temi affrontati, sia per

l’atteggiamento e il tono con cui egli li affronta. Sarà proprio un lettore a mettere in evidenza la differenza tra i due momenti, in un articolo del giugno ’65; egli infatti fa notare a Pasolini di aver trattato in passato argomenti più interessanti rispetto a quelli

attuali, che non attirano più l’attenzione dei lettori, soprattutto anche per l’uso di un linguaggio spesso inaccessibile. Lo scrittore si difende abilmente, cercando di trovare

una giustificazione al minor interesse suscitato dai suoi ultimi testi, dettato

probabilmente dai temi affrontati o dalle frequenti interruzioni per gli impegni

cinematografici:

Sono pronto a sottopormi a esami di coscienza, a vivisezioni anche laceranti. L’egoismo che mi protegge nel mio vero lavoro, per cui questa rubrica è spesso una faticosa interruzione. Una certa confusione nella mia posizione, che agli occhi semplici di molti lettori di Vie Nuove può parere antipatica (il Vangelo). Uno scadimento in me di una certa purezza e passione, residuo degli anni della Resistenza [SPS 1067].

Tra le righe è possibile scorgere, a mio avviso, una critica alla rigidità di chi si professa

comunista, su argomenti che chiamano in causa la religione cattolica; a Pasolini preme

che «il Pci superi le sue rigidità dottrinarie e il suo moralismo e affronti temi ancora

tabù»254. Inoltre tende a sottolineare quanto sia venuto meno il suo impegno intellettuale

di insegnare al prossimo, i suoi obiettivi ora sono altri; egli infatti «sembra privilegiare

certi problemi ideali e politici, culturali e letterari più generali, che gli consentono di

252 FERRETTI 1978, p. 9. 253 Ivi, p. 10. 254 BELLOCCHIO 1999, p. XXVI.

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portare avanti un discorso spregiudicato e più producente sul suo rapporto con la società

e con la storia»255.

Il discrimine tra un prima e un dopo sono evidenti, come ricorda ancora Ferretti,

secondo il quale, nei primi articoli, fino al ’62, «la crisi degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta affiora lentamente e in forme attutite, in un contesto fiducioso e positivo,

quasi che Pasolini risenta di un condizionamento della sede in cui scrive […]. Egli accetta il ruolo che gli viene assegnato dal settimanale del Pci»256. Anche la scrittura e

lo stile sembrano rispondere di questo limite, presentandosi più convenzionali. Così

nella prima fase Pasolini presenta «un tono arretrato nel dialogo con i lettori, portato più

sui ritardi e antichi vizi della società italiana e su posizioni e autori datati»257, come

dimostrano gli articoli incentrati su D’Annunzio piuttosto che sui poeti avanguardisti. Interessante l’articolo Un monumento a D’Annunzio, del novembre ’60: al centro della discussione c’è il monumento eretto al poeta, in segno della sua commemorazione, nella città friulana Ronchi dei Legionari. Pasolini non perde occasione per esprimere il suo disaccordo circa la cerimonia commemorativa e focalizza l’attenzione sul fatto che D’Annunzio, che lui personalmente non apprezza, «rappresenti ed esprima l’Italia nel suo momento involutivo: nel momento in cui il Risorgimento ha mostrato i suoi limiti

[…] e la classe borghese è cominciata a diventare quella che è» [SPS 916].

Tra i bersagli contro cui polemizza nei primi articoli si ricordano il perdurare in Italia di

forme di governo fascista, nonostante alla guida del paese vi sia la Democrazia

Cristiana, l’eccessivo moralismo del marxismo, l’ottusità della Chiesa, la mancata obiettività della stampa borghese.

In uno dei primi articoli, scritto nel giugno del ’60, Pasolini insiste sul rigore della

stampa di sinistra, in particolare su temi legati alla sessualità, che spesso sembrano

255 FERRETTI 1978, p. 28. 256 Ivi, p. 23. 257 Ivi, p. 25.

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scritti «con l’angoscia proibizionistica di una vecchia zitella» [Ivi 882]. La causa va rintracciata nelle «origini della scelta marxista di un borghese, [caratterizzata] da un

irrazionale impeto morale. E questa moralità, spesso indignata, informa di sé tutto il

successivo comportamento» [ibidem].

Dopo la pausa di circa un anno, nel ’64 Pasolini riprende la collaborazione su «Vie

Nuove», tuttavia il suo atteggiamento è mutato. Egli è sempre più convinto del fatto che

in Italia vi siano «una società borghese tanto più immutabile quanto più impegnata a

rinnovare se stessa […], un universo capitalistico vincente, un futuro inferno del potere e del consumo, della stupidità e del nuovo fascismo»258. Il cambiamento dello scrittore implica anche l’incrinatura del rapporto tra Pasolini e la rubrica; infatti, già a partire dal ’62, si assiste a una sfiducia nella reale efficacia del discorso fin qui svolto, e la ricerca di nuove forme di dialogo che riflettano la nuova carica problematica, critica e anche

polemica di Pasolini»259. Il rapporto tra scrittore e rivista ha subito una lesione, non si

presenta più «fondato sul suo ruolo di intellettuale impegnato e di ammaestratore

ideologico. È l’approdo alla tendenziale rinuncia iniziata a suo tempo: che si manifesta

in quanto egli scrive a proposito delle sue opere, delle molte cose nuove accadute nel

mondo»260.

3.3. Da intellettuale impegnato a battitore libero

Venuto meno quel condizionamento iniziale di Pasolini nei confronti della rubrica che

ospita i suoi interventi, si sente più libero di smascherare le ambiguità che attraversano la società italiana dell’epoca, coinvolgendo spesso nella critica anche i comunisti e i membri del Pci, vittime della borghesia corruttrice, in grado di contagiare persino gli

oppositori. 258 Ivi, p. 29. 259 FERRETTI 1978, p. 31. 260 Ivi, p. 32.

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Sono molti gli articoli in cui Pasolini ritorna sul tema della crisi dell’impegno

intellettuale, sulle sue insufficienze e impossibilità dovute ai tempi mutati. Questo

discorso sulla caduta dell’impegno si unisce, sulla rubrica «Vie Nuove», «al discorso sulla crisi del marxismo e dei partiti marxisti di fronte alle cose che stanno accadendo in

Italia e nel mondo»261.

Contemporaneamente alla fine del suo ruolo di intellettuale impegnato si assiste anche a

un distacco da un pubblico collettivo, che «rivela un sostanziale processo di contrastata

privatizzazione»262.

Interessante l’articolo del ’64 in cui Pasolini esprime il suo parere circa il ruolo dell’intellettuale militante, spiegando il motivo della sua inefficacia nell’era neocapitalista:

Io credo si tratti di una crisi che non ha riscontri nel nostro passato. Siamo in un momento di zero storico […]. È finita un’epoca storica e ne comincia un’altra. Finisce l’Italia pseudo- nazionale dell’industria monopolistica, e comincia un’Italia nuova, che fonda la propria reale nazionalità sul reale potere dell’industria neo-capitalistica e tecnocratica. Ogni artista si adempie secondo un reticolato di proiezioni che partono dal momento storico che lo determina e che egli conosce ed esprime: quando questo momento storico è zero, l’artista impazzisce: è in uno stato di confusione [BB 270-271].

Un altro scritto, sempre relativo alla nozione di impegno, è apparso su «Vie Nuove» nell’agosto del ’65, al termine ormai della corrispondenza con i giovani lettori. Pasolini spiega il motivo dell’esaurirsi della cultura impegnata di molti scrittori a lui contemporanei. Secondo lo scrittore il responsabile della crisi del ruolo dell’intellettuale impegnato è anche il Pci che, a partire dagli anni Cinquanta,

261

Ivi, p. 33.

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ha abbandonato ogni atteggiamento protettivo, dogmatico e moralistico […]. Ha dato carta bianca a tutti gli esperimenti letterari possibili, una sorta di liberismo culturale, una dichiarazione ufficiale di mancanza totale di programmi e di idee […]. Ma la mancata dichiarazione di nuovi programmi culturali o di una nuova linea culturale, non garantisce affatto una reale libertà di giudizio […]. Ecco un segno di crisi: una vera a propria crisi della politica culturale marxista [Ivi 1084-1085].

Il discorso pasoliniano circa il ruolo dell’intellettuale nell’evo moderno continua anche nella rubrica Il Caos; mentre nella precedente esperienza su «Vie Nuove» egli constata

solamente la crisi dell’impegno a seguito della diffusione dell’industria neocapitalistica, senza trovare possibili soluzioni, in queste pagine egli si prepara a descrivere la nuova posizione assunta dall’intellettuale, che lui personalmente ha del resto vissuto; tipico, nei suoi articoli, è infatti «l’intreccio tra pubblico e privato, tra biografia e letteratura»263.

In riferimento alla lettura di un saggio di Rossana Rossanda, L’anno degli studenti,

esprime quello che, secondo lui, è il ruolo dell’intellettuale moderno:

Descrivendo la differenza che divide l’intellettuale classico (cioè l’umanista che ha fatto la Resistenza) dagli studenti, la Rossanda osserva come gli studenti esperimentino nella propria persona e nella propria condizione la miseria della mercificazione e l’alienazione: mentre l’intellettuale no, egli si limita a esserne testimone: in esso si tratta del risveglio di una coscienza alle ragioni di una classe non sua, e ne deriva la collocazione di compagno di strada con i suoi margini di libertà e i suoi conflitti, la sua irriducibile alterità di testimone esterno […]. Cacciato dai centri della borghesia, per il mondo operaio è solo un testimone esterno […]. Una decina di anni fa [al contrario] egli era un’autorità; era il Pci che determinava e decretava il successo letterario di un autore. L’Italia era allora un paese paleocapitalistico e il letterato vi poteva assumere il ruolo di guida. Ora l’egemonia culturale è passata nelle mani dell’industria, dunque l’intellettuale è dove l’industria culturale lo colloca [SPS 1098-1099].

Il ruolo di testimone esterno è dunque quello scelto da Pasolini, che, rifiutando ogni tipo

di autorità, nella sua solitudine si sente in dovere di denunciare la borghesia come una

263 BELPOLITI 2010, p. 31.

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malattia, capace di «assorbire ogni contraddizione […]. Sintomo sicuro della presenza

della borghesia è appunto il terrorismo, moralistico e ideologico, anche nelle sue forme

ingenue (per esempio tra gli studenti)» [ibidem]. L’unica soluzione possibile che lo

scrittore intravede «di fronte all’onnipotenza del sistema borghese è la sua indipendenza

solitaria e disperata diversità, deciso a trasformarla in condizione di lotta, approfittando

unicamente delle strutture capitalistiche in cui opera»264. È così che si delinea il

carattere polemico e intransigente di Pasolini corsaro e luterano, tanto che «rileggendo

gli interventi sul «Tempo» e raffrontandoli con quelli degli Scritti corsari, si scoprono

molti punti di contatto, tante anticipazioni, ma anche più moderazione nell’esprimere le proprie tesi»265.

Nella rubrica Il Caos si nota, da parte dello scrittore, «un’accettazione consapevole

della crisi in cui vivere e con cui misurarsi da solo»266. Il suo discorso diretto contro il

bersaglio si articola «nel pronunciamento ideologico o politico oppure nella lettera

aperta: non soltanto quest’ultima, a personaggi della letteratura o del cinema, ma anche a uomini politici»267.

La peculiarità di questi articoli risiede nel fatto che Pasolini cerchi di «funzionalizzare i

temi particolari della sua vicenda privata e della vita culturale e politica ad alcune

costanti di fondo: le contestazioni studentesche, l’avvento di un orrendo universo del potere del consumo, le sopravvivenze del vecchio e amato mondo, la ricerca di un ruolo

nuovo»268.

Come ho già anticipato, Pasolini, in entrambe le rubriche, affronta più o meno gli stessi

problemi, le stesse questioni, spesso mostrando, nel Caos, una maggior consapevolezza

264 FERRETTI 1995, p. 15. 265 BELPOLITI 2010, p. 31 266 FERRETTI 1995, p. 8. 267 Ibidem. 268 Ivi, p. 9.

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circa i temi affrontanti, dettata anche dall’accentuarsi della sua posizione polemica nei confronti della società.

Tra i suoi bersagli principali vi è la borghesia al potere che, a suo avviso, non fa che

perseguire la politica del fascismo. Sono molti gli articoli in cui emerge la sua denuncia

nei confronti del governo, che, pur essendo di centro-sinistra, ha al vertice dirigenti

borghesi, tesi a promuovere il nuovo Potere neocapitalista. Si ricorda lo scritto apparso su «Vie Nuove» nell’ottobre del ’60, in cui il nostro scrittore, in risposta a una lettrice, sottolinea il carattere poco democratico del governo in carica, caratterizzato da una

«alleanza di Tambroni coi fascisti, protetta dalla polizia e benedetta dal Vaticano» [SPS

908].

A una lettrice che si rivolge a Pasolini per essere orientata circa la posizione da

assumere alle prossime elezioni, egli risponde con l’intento di indirizzarla verso i partiti

di sinistra, gli unici pronti a farsi carico dei problemi del popolo, «i soli che diano la

sicurezza delle piccole urgenti riforme particolari e amministrative [BB 81]. Anche in

questo caso non perde occasione per far luce sul tipo di governo fascista e clericale della

Democrazia Cristiana al potere che, con la sua politica, non fa che privilegiare la classe

borghese.

La polemica nei confronti del governo e della classe dirigente prosegue in un articolo

pubblicato nell’agosto del ’62. Qui lo scopo di Pasolini è mettere in evidenza, come ho anticipato, che il governo è appunto di centro-sinistra, ma la classe dirigente è borghese,

dunque fascista; nulla è cambiato rispetto al passato, il potere clerico-fascista continua a

dominare, attualmente ancora più forte. Esso si avvale infatti anche del potere

consumistico del neocapitalismo che, con la diffusione del culto del benessere, riesce

facilmente a plasmare a suo piacimento gli individui, a deviarli dai loro obiettivi e a

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Anche negli scritti editi sul Caos la critica pasoliniana è rivolta contro il potere

capitalistico borghese, responsabile del degrado culturale dei cittadini, della

trasformazione degli individui in soggetti alienati, della strumentalizzazione dei mass

media, della perdita di autorità da parte della Chiesa.

Interessanti le osservazioni che lo scrittore ha fatto circa l’intervento armato della

polizia a Venezia, nell’agosto del ‘68, contro i membri dell’Associazione nazionale degli autori cinematografici. A una richiesta democratica di autogestione, da parte degli

autori, della Mostra cinematografica veneziana, è intervenuto il governo con la forza. In

una lettera pubblica inviata al presidente del consiglio Govanni Leone, Pasolini

denuncia la mancanza di una democrazia reale in Italia: «non era una richiesta

rivoluzionaria che noi avanzavamo, era semplicemente una richiesta di democrazia reale […]. Perché dunque il suo governo non ha preso in considerazione la nostra più che giustificata pretesa di autogestione, ed è intervenuto con la violenza?» [SPS 116-117].

Ritorna qui la polemica pasoliniana contro la classe dirigente borghese, contro la