La critica degli anni Cinquanta: Passione e ideologia
2.9. Una critica letteraria militante
La critica di Pasolini degli anni Cinquanta, riassumibile, come abbiamo visto, nei saggi raccolti in Passione e ideologia, è principalmente di tipo letterario, come si evince
dalla sua «volontà e capacità di inserirsi in una società letteraria e di agirvi come
operatore organico»206.
Sono gli anni in cui egli si presenta ancora nelle vesti di critico letterario militante,
impegnato a promuovere un nuovo tipo di letteratura che in qualche modo superi da un
lato la tradizione ermetica, dall’altro quella neorealista.
Sebbene Pasolini riconosca un personale avvicinamento, in età giovanile, alla poesia
ermetica, nella raccolta Passione e ideologia «il motivo ricorrente è [invece una]
polemica contro il movimento ermetico»207. In quegli anni, infatti, suo intento
principale era la creazione e diffusione di un tipo di letteratura etico-civile, impegnata
nell’affrontare determinati temi e problemi che avessero un riscontro anche in ambito sociale, una letteratura caratterizzata da un linguaggio finalizzato a una resa oggettiva
della realtà. I saggi raccolti nel volume «appartengono agli anni 1955 e seguenti, nei
203
Ibidem.
204 MENGALDO 1996, p. 156. 205
ASOR ROSA 2009, p. XXI.
206
MENGALDO 1987, p. 417.
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quali Pasolini diresse […] l’importante rivista letteraria bolognese «Officina» [sulla
quale] anticipò personalmente o agitò con vigore parecchi temi conduttori della rivista, i
quali ne divennero bandiere programmatiche»208. Verso la metà degli anni Cinquanta si
avverte, infatti, «una rottura radicale sul piano delle poetiche […], in coincidenza con il
miracolo economico della seconda rivoluzione industriale: una rivista come «Officina»
portava sulla scena una concezione della letteratura profondamente nuova»209. È
possibile dunque rilevare, tra gli anni Venti e la metà degli anni Cinquanta «l’esistenza
di un’unica prospettiva culturale e ideologica, riassunta come ideologizzazione dello statuto letterario. È un’aspirazione alla separatezza del ceto intellettuale che si esprime nell’attribuzione di responsabilità etiche, esistenziali e politiche all’attività letteraria»210
.
L’ermetismo, al contrario, si presentava come un tipo di letteratura dal fine puramente estetico: «gli ermetici venivano così accusati di evasione aristocratica e mistica in un
ideale astratto di poesia pura, di ridurre la vita alla sola funzione poetica, di esaurire
l’atto del conoscere in quello del poetare»211
. Pasolini rifiuta una simile letteratura,
priva di un fine pratico e sociale; infatti alla tradizione ermetica si rimproveravano certi
«atteggiamenti mostrati verso la realtà storica contingente: la colpa degli ermetici
sarebbe consistita nel disimpegno contenutistico nei confronti del fascismo»212.
Tra i suoi bersagli letterari, oltre alla tradizione ermetica, troviamo il neorealismo, da
cui prende le distanze pur condividendone alcuni aspetti; si tratta del «neorealismo fatto
propria bandiera dalla critica engageé»213. Pasolini si rende conto dell’impossibilità propria della letteratura neorealista di dar voce alle classi popolari e contadine, di dare
origine a una letteratura nazional-popolare, dal momento che individua, rispetto alla sua
idea di letteratura impegnata, «una diversità nel concepire, sul piano del linguaggio, il
208 Ivi, p. 422. 209 CATALDI 1994, p. 121. 210 Ivi, p. 122. 211 MENGALDO 1987, p. 436. 212 CATALDI 1994, p. 122. 213 SEGRE 1999, p. XXXII.
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realismo e il rispecchiamento del sociale»214. Le difficoltà incontrate dal neorealismo
erano dettate dal fatto che «la politica linguistica e culturale del marxismo ortodosso e il
progetto politico della sinistra di un’alleanza coi ceti borghesi, comportavano diffidenza verso le tendenze particolaristiche, umili, che l’animus neorealistico conteneva
potentemente in sé»215. La produzione letteraria neorealista, come abbiamo osservato, si
caratterizzava infatti per l’uso di una lingua di koinè strumentale «di uno stato ancora senza tradizione linguistica se non limitato alle élites aristocratiche» [PI 291]. Pasolini
non accetta che la lingua utilizzata per una letteratura popolare sia la lingua della
borghesia al potere, incapace di rappresentare in modo obiettivo la quotidianità dei ceti
popolari. Egli, tuttavia, non si arrende; all’interno dei saggi di Passione e ideologia,
infatti è possibile scorgere «un momento costruttivo [inteso] come riscoperta di quegli autori contemporanei all’ermetismo ma irriducibili alla sua idea di letteratura e perciò capaci di precorrere più attuali ricerche letterarie»216.
Così si spiega l’attenzione che Pasolini ha rivolto a Gadda all’interno della raccolta saggistica.
In nome del realismo e di una letteratura militante, entrambi promossi dalla cultura
italiana di sinistra e dal gruppo di «Officina», Pasolini individua nel prosatore lombardo
il profilo di un uomo che, per esprimere il disaccordo nei confronti dei fatti storici in
atto, affida la propria voce alla scrittura. Le narrazioni di Gadda «si ingorgano e si
ramificano in digressioni analitiche e in metadescrizioni filosofiche di vario tipo. Nei
suoi capitoli l’impossibilità di narrare dà luogo a una indagine sulle possibilità e i limiti delle categorie linguistiche e di pensiero comunemente accettate»217.
214 MENGALDO 1987, p. 458. 215 Ibidem. 216 Ivi, p. 440. 217 BERARDINELLI 2002, p. 91.
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Abbiamo visto come la produzione letteraria dell’autore lombardo si caratterizzi per una
contaminatio di linguaggi, da quello letterario al linguaggio utilizzato dai personaggi
nel dialogo della quotidianità. Pasolini ritrova così in Gadda anche un uso mimetico del
dialetto, sul modello veristico. Sono gli anni in cui il nostro scrittore lavora ai romanzi
sulle borgate romane, Ragazzi di vita e Una vita violenta, nei quali il dialetto romano,
con funzione di mimesi, consente una riproduzione autentica di quel mondo; non può quindi mancare di riconoscere il debito verso l’autore del Pasticciaccio che, con il suo plurilinguismo e la sua violenza linguistica espressiva, ha sicuramente rappresentato
un’alternativa al filone neorealista.
Da quanto emerge in Passione e ideologia scopriamo che il fine della raccolta è la
ricerca di una letteratura impegnata alternativa a quella diffusa a quell’altezza storica. Mengaldo parla di «strategia antinovecentistica»218 che ruota su due cardini: «la
riscoperta di autori contemporanei all’ermetismo e la valorizzazione di momenti e
tendenze tra Otto e Novecento che contenevano alcune potenzialità di realismo,
impegno, apertura linguistica»219.
Ho già evidenziato come dietro alla critica letteraria pasoliniana si nasconda anche
quella socio-politica, dal momento che ogni questione linguistica o letteraria
presuppone sempre problemi più ampi, di ordine sociale o ideologico.
Quella di Pasolini è un tipo di saggistica che «si serve di qualunque occasione per arrivare all’autobiografia e alla denuncia sociale […]. La critica stilistica appresa da Contini si dilata in critica della cultura, degli stili di vita, in semiologia politico-
moralistica»220. 218 MENGALDO 1987, p. 452. 219 Ivi, 440. 220 BERARDINELLI 2002, p. 152.
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A partire dagli anni Sessanta la saggistica di Pasolini si trasforma in «saggistica d’opposizione»221; la sua polemica non sarà più mediata dall’arte e dalla letteratura in particolare, ma diretta nei confronti dei responsabili del degrado sociale, politico e
culturale italiano di quegli anni.
221 Ibidem.
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