La critica degli anni Cinquanta: Passione e ideologia
2.5. Sull’espressionismo di Gadda
Le particolarità linguistiche introdotte da Pascoli hanno gettato le basi anche per la
produzione letteraria di Carlo Emilio Gadda, altra figura emblematica per gli studi di
Pasolini; è ancora Cesare Segre a sottolineare come la reazione antimonolinguistica di
Pascoli «si sia diramata in […] direzione prosastica con l’espressionismo di Gadda»154.
Come vedremo, la scelta di dedicare alcune delle sue pagine saggistiche al prosatore è
data dalla necessità di una riflessione sulla prosa e lo stile di Gadda, che ha
rivoluzionato le convenzioni letterarie attraverso la mescolanza linguistica e stilistica.
154 SEGRE 1999, p. XXIX.
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Nel primo testo saggistico, Pasolini introduce la scrittura dell’autore lombardo, che, a
suo avviso, si differenzia da quella dei contemporanei, tanto da descriverla come
caratterizzata da un «barocco realistico, categoria di stile anteriore al Seicento» [PI
274].
A questo punto riporta nuovamente sulla scena Contini, il quale collega il concetto di
barocco realistico a quello di plurilinguismo, entrambi antitetici rispetto al
monolinguismo, quella «lingua assoluta che si è sempre posta come modulo della
letteratura italiana-fiorentina» [ibidem].
Prima di proseguire con l’analisi dei due saggi dedicati a Gadda, è interessante
soffermarsi a indagare la posizione assunta da Contini in riferimento al prosatore, in
modo da poterla confrontare con quella pasoliniana. Le divergenze tra i due emergono
su vari punti, quali la possibilità di considerare o meno lo scrittore coinvolto nel flusso
della tradizione neorealista, l’interpretazione del suo uso del dialetto e le sue origini letterarie.
Tra Contini e il prosatore, sin dal primo incontro nel ’34, si creò un’amicizia «che
durò, per Gadda, fino alla morte» [QA 3].
Nonostante il rapporto nato al di fuori dell’ambito strettamente letterario e linguistico, Contini non perde occasione di considerare Gadda un pretesto «necessario per definire
il quadro [relativo] alla contrapposizione tra monolinguismo e plurilinguismo»155. Per Contini la scrittura gaddiana si presenta all’insegna del pastiche, caratterizzata dalla commistione di diversi livelli linguistici e stilistici. Nello scritto edito nel ’34 sulla
rivista «Solaria», Primo approccio al castello di Udine, Contini si interroga sull’uso di
«scritture mescidate e scandalose» [ibidem] proprie del prosatore; tenta così di
individuarne l’antecedente, che rileva nella Scapigliatura milanese, in particolare nello scrittore comasco Linati, in quella «contaminazione espressiva tipica di Linati, che
155 DONNARUMMA 2001, p. 194.
90
consiste nell’innestare su un primo purismo un suo privato dialetto fatto di onomatopea, d’imitazione della natura» [QA 4].
È bene sottolineare come il concetto di pastiche inteso dal critico, in riferimento alla
scrittura gaddiana, si caratterizzi per una sfumatura espressionista; è dunque lontano da
quello, per esempio, francese, che implica «l’imitazione di un’altra scrittura senza che ne derivi di necessità il mistilinguismo»156. Contini non riconosce questa tipologia di
pastiche, caratterizzata da «mimetismo o [da] avere contatti con una letteratura che gli è
estranea: quella naturalista»157. Contini, inoltre, cercherà di dimostrare l’inappartenenza
di Gadda alla letteratura verista, di ascendenza verghiana e, di conseguenza, a quella più
recente neorealista:
la concordanza superficiale, nello sfruttamento delle risorse vernacole, con la narrativa chiamata neo-realistica non deve vietare di riconoscere che tutt’altre sono le affinità elettive di Gadda […]. Un autentico precedente nostrano fu additato in Carlo Dossi e negli altri scapigliati settentrionali; mentre la rottura e la manipolazione delle forme linguistiche ereditarie in rispondenza a una lacerazione morale e conoscitiva rivela una connivenza con l’ultimo Joyce, con l’espressionismo tedesco [QA 13].
Per avvalorare la propria tesi circa la distanza dello scrittore dal neorealismo, Contini
pone l’attenzione sulla mancata compiutezza di alcune opere gaddiane, quali la
Cognizione del dolore, Il Pasticciaccio e altre raccolte, «composte di finitissimi disegni
e cartoni per insiemi non eseguiti […], compendiabili nella definizione di frammento narrativo […]; la sua narrativa tiene meno del romanzo tradizionale, inclusa l’appendice neorealistica, che del poème en prose» [QA 18-19].
In seguito, come vedremo, ritornerà sull’argomento mantenendo ferma la propria
posizione, sebbene costretto a qualche concessione verso una possibile correlazione tra
la scrittura gaddiana e la letteratura naturalistica.
156
Ivi, p. 195.
91
L’analisi continiana si muove su un duplice binario: uno relativo al concetto di pastiche, l’altro alla nozione di espressionismo, destinati a intersecarsi nell’ambito della prosa di Gadda. In un articolo pubblicato nel ’42, Gadda traduttore espressionista,
Contini ricorda come il prosatore lombardo sia, tra gli scrittori italiani attivi, «quello a
cui si potrebbe applicare con maggior proprietà un predicato piuttosto inconsueto,
quello d’espressionista» [QA 55]. Prosegue con la descrizione delle particolarità della sua scrittura, sottolineando ancora una volta la sua provenienza dall’ambiente letterario settentrionale di fine Ottocento:
Lombardo, venuto alla letteratura dalla tecnica (è ingegnere industriale), la sua deformazione linguistica egli la ottiene con l’intervento di immagini tecniche e con il ricorso alle più varie tradizioni del linguaggio, dall’aulica alla dialettale, lombarda prima e più tardi toscana […]. Quanto ai precedenti di Gadda […] è più ovvio fare il nome di Carlo Dossi […], ma rigorosamente spontanee sono le affinità che lo legano a certa sconosciuta zona stilistica dell’ultimo Ottocento nel nord Italia, anche fuori Milano [QA 56].
Contini offre così un esempio di questa prosa venata di espressionismo, caratterizzata
dalla compresenza di arcaismi, termini moderni e da diversi piani linguistici,
considerando, però, Gadda nelle vesti di traduttore; il brano è di Quevedo, scrittore
spagnolo. Egli, tuttavia, non si limita alla traduzione obiettiva, preferisce una mutazione
della forma originaria, cosícché lo stesso Contini ricorda come Gadda «abbia osato
varcare i limiti imposti da un certo mito di normalità. [La sua traduzione] è dominata da
un fiorentinismo caricaturale, che non esclude gli arcaismi […]. E non sono esclusi i
prestiti dal settore pratico-scientifico» [QA 57]. Modello di riferimento è ancora,
secondo Contini, l’ambiente letterario lombardo, in particolare Clemente Rèbora, le cui «versioni dal russo [rivelano] la presenza di termini dialettali» [ibidem]. Anche
Mengaldo riconosce come «i caratteri di espressionismo e di mistione dei registri
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letteratura lombarda moderna, da Dossi a Gadda, segnata dalla deformazione e violenta
invenzione verbale»158.
Ancora sull’espressionismo del prosatore lombardo, Contini mette in luce un aspetto
caratterizzante, ossia quella «deformazione che è termine tecnico della sua riflessione,
atto a indicare la modificazione che ogni sistema di relazioni subisce nel flusso
eracliteo» [QA 62].
Quello che egli rileva dall’analisi delle varie opere dello scrittore è un metodo narrativo particolare, che non mira certo ad adeguarsi alle forme tradizionali, bensì a scardinarle,
tanto da considerare appunto le sue opere «non compiute, ma caratterizzate da una serie
di mirabili frammenti. I circoli di questo mondo eracliteo non si chiudono, ma è
possibile solo contemplarne l’intrico che, nei punti più interni, acquisiscono una parvenza di immobilità» [QA 65].
La scrittura di Gadda si caratterizza per
una rappresentatività [che] non si esaurisce nel suo aderire con trasporto a uno dei poli della tradizione italiana; c’è una rappresentatività riferita al mondo linguistico del secondo dopoguerra, così largamente connotato da sollecitazioni della norma, da violenze fuori della media […]. L’espressività è l’equivalente di una realtà non pacifica [QA 31].
Contini, tuttavia, lamenta il fatto che la concomitanza della prosa gaddiana, distinta da
mescolanza linguistica, con la nuova ondata narrativa del dopoguerra, di ascendenza
naturalistica, ha indotto molta critica ad ascriverlo al filone letterario neo-realistico.
Con la pubblicazione del Pasticciaccio nel ’57, qualcosa in Contini cambia; egli è
infatti indotto a un ripensamento, dovuto soprattutto al «clima che circonda il
romanzo»159; siamo ancora nel flusso dominante del neo-realismo che, sebbene vicino
al tramonto, ha lasciato le proprie tracce in ambito linguistico-letterario e
158
MENGALDO 1996, p. 146.
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cinematografico. La produzione poetica neorealista ha infatti favorito «la mescolanza
dei generi e il plurilinguismo, aprendo ai linguaggi settoriali e al lessico della
cronaca»160. Contini, tuttavia, preferisce il silenzio a qualsiasi giudizio a riguardo.
Soltanto nel’63, in occasione della stesura del saggio introduttivo alla Cognizione del
dolore, parla di un «espressionismo naturalistico, che presenta qualche connessione con
il naturalismo linguisticamente regionale che sopra è stato scartato» [QA 26].
Con la sua reticenza «è come se Contini prendesse le distanze dal Pasticciaccio»161,
considerato l’ultimo esito della stagione neo-realistica per la presenza di un plurilinguismo, ricco di dialetto, che riproduce la realtà linguistica del luogo. Sappiamo,
però, che Contini considerava il dialetto dei nuovi realisti, continuatori del verismo, di
tipo mimetico. Egli ritiene che il dialetto utilizzato da Gadda sia, al contrario, contraddistinto da una nota d’espressionismo; lo stesso Contini ricorda come «il dialetto degli espressionisti, se di dialetto si può parlare, non sia veicolo di mimesi, ma un
idioma privato» [Ivi 25].
Le concessioni di Contini, relative a una possibile connessione tra l’espressionismo
gaddiano e il naturalismo linguistico, sono state probabilmente agevolate dall’intervento di Pasolini, che nel ’54, nel saggio Osservazioni sull’evoluzione del Novecento, avvicina Gadda a Verga, «per via di quei suoi brani di realtà immediatissima […]: composizione
di verismo materialistico e di poeticità, la cui violenza espressiva travolge ogni forma di
stabilità conoscitiva» [284]. Siamo nel periodo in cui Pasolini è impegnato nella stesura
di Ragazzi di vita e nella ricerca di una poetica reattiva all’ermetismo, «di impianto
realistico, che miri a sussumere ampiamente la dimensione della prosa e del discorso
intellettuale e a rivendicare la necessità di un linguaggio più esplicito, al servizio di un
160
CATALDI 1994, p. 143.
94
maggior impegno di interpretazione della realtà»162. In proposito si è espresso Curi, che considera il romanzo pasoliniano, nato dall’interesse per un’analisi oggettiva delle borgate romane, «il frutto di una poetica del plurilinguismo»163.
Pasolini non può infatti disconoscere «il debito verso Gadda […]. Egli è tra i primi responsabili di una lettura di Gadda che attualizza il problema stilistico sulla crisi del
neorealismo»164. Nella ricerca pasoliniana di una letteratura diversa, «la componente antiaccademica, anticonvenzionale […] del plurilinguismo»165
gaddiano ha sicuramente
rappresentato un esempio.
Il ’54 è anche l’anno della recensione pasoliniana alle Novelle dal Ducato in fiamme,
in cui è evidenziata la compresenza di residui dal patrimonio letterario ottocentesco:
accanto alle componenti manzoniana e dialettale, Pasolini elenca una «componente scapigliata, la cui funzione Gadda è stata indicata da Contini […], e una componente veristica di procedenza verghiana» [PI 276]. Riconosce e accetta le considerazioni
continiane, ma non può fare a meno di mettere in evidenza anche le influenze
naturalistiche che hanno condizionato la prosa gaddiana.
Secondo Pasolini, Gadda rappresenta spesso uno di quei casi in cui «l’autore borghese rivive il discorso parlato dal suo personaggio, che appartiene alla classe operaia o
contadina»166. Il dialetto in questo caso ha valore mimetico, di resa oggettiva del reale.
Contini è così costretto «a scendere sullo stesso piano, con tutto il fastidio per la moda neoverista. La formula di espressionismo naturalistico può avere a che fare […] con l’individuazione, nelle Novelle, di una componente veristica di procedenza verghiana»167. Tuttavia, insistendo sulla caratteristica della scrittura gaddiana volta al
162 MENGALDO 1996, p. 156. 163 CURI 1965, p. 63. 164 DONNARUMMA 2001, p. 210. 165 CURI 1965, p. 62. 166 PARLANGELI 1971, p. 86. 167 DONNARUMMA 2001, p. 211.
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frammento narrativo, tende a sottolineare il «valore oppositivo e polemico [delle sue
opere] al neorealismo»168.
A differenza di Contini, Pasolini riconosce il debito che Gadda ha nei confronti dei
veristi e della filosofia positivista, che gli consentono «la certezza di una realtà
oggettiva che può essere mimetizzata e rappresentata» [PI 282]; tuttavia, questa
sicurezza viene meno se si considerano i tempi mutati, dominati «dall’incertezza, dal senso lirico della vanità del nulla, che caratterizzano la cultura in cui Gadda è vissuto e
ha operato» [ibidem]. Conseguenza immediata è il ricorso a un «massimo di violenza
linguistica: un estremo sguardo alla vita nella sua beata, irraggiungibile realtà» [Ivi
278].
Sebbene Pasolini e Contini si trovino in qualche modo discordi circa il valore del
dialetto utilizzato da Gadda, tuttavia riconoscono entrambi la portata straordinaria della
sua scrittura, propria di una «personalità isolata, anche culturalmente indipendente, che
strappa l’assenso e che isolata, in sostanza, rimane» [QA 61]. Quello di Gadda è l’atteggiamento di colui che «si muove fra i poli sentimentali della reazione furente a una determinata vita borghese e della disperata elegia innanzi al volto più mortale della condizione umana» [Ivi 56]. È ciò che ha rilevato anche Pasolini dall’analisi delle opere gaddiane; in lui infatti «esiste una accettazione della realtà sociale italiana com’è stata
codificata dalla borghesia post-risorgimentale […]; ma con questa accettazione coesiste
la coscienza della negatività delle strutture di quella realtà sociale» [PI 283].
Come è stato anticipato, Pasolini ha dedicato alcune delle sue pagine critiche all’autore del Pasticciaccio, anche la sua analisi linguistica inizia con un discorso sul pastiche.
Caratteristica principale della prosa gaddiana, infatti, è una commistione di stili e
linguaggi, tanto da poterla collocare sotto il segno del pastiche. Pasolini parlerà, in
168 Ivi, p. 213.
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proposito, di «contaminatio di linguaggi, […] ossia [di un incontro tra] il linguaggio
letterario, strabocchevole di terminologie colte, e il linguaggio veristico, vivente nel
dialogo, scarso e quasi sempre citato, con implicita colorazione dialettale» [Ivi 278].
Prima di giungere a questa conclusione, tuttavia, è bene osservare come lo scrittore,
anche in questo caso, abbia fatto uso di una questione linguistica per fornire una
rappresentazione della situazione socio-politica attuale della penisola. La sua analisi
risale indietro nel tempo; egli va a indagare quali esperienze poetico-letterarie
ottocentesche abbiano avuto un influsso su Gadda e in che modo esse siano giunte allo
scrittore: «una componente manzoniana […], una componente dialettale, in cui primeggiano il Porta e il Belli; una componente scapigliata […]; una componente veristica di procedenza verghiana. La presenza di tali componenti è accertata da una
patina che lasciano sulla pagina» [Ivi 276].
La riflessione pasoliniana non finisce qui; egli infatti cerca di comprendere le
particolarità attuali di simili esperienze letterarie e giunge a una conclusione
illuminante, soprattutto circa la condizione umana dello scrittore:
Queste componenti esterne raggiungono Gadda nel pieno del Novecento: passano cioè attraverso il filtro che ne trasforma la sostanza. C’è di mezzo il decadimento di tutti i miti ottocenteschi e moderni, e la crisi della nostra epoca, ossia della borghesia, che di quei miti è stata la produttrice. Quelle componenti stilistiche arrivano a Gadda svuotate di contenuto, non resta che la loro forza espressiva. Non c’è più fede in nulla se non un attaccamento alla passione dell’individuo […]. Gadda si trova ciecamente solo di fronte a un mondo ciecamente solo [ibidem].
In questo scritto Pasolini si è impegnato a far emergere la tenacia del prosatore, che,
grazie alla potenza espressiva della sua prosa, è riuscito «a ricreare un mondo destituito
di possibilità di razionalizzazione» [Ivi 277]. Si delinea così il profilo di un uomo che,
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classe al potere, affida la propria voce alla scrittura; lo stesso Pasolini, circa le
caratteristiche di ordine psicologico della prosa gaddiana, esalta il fatto che «l’unico
contenuto della sua violenza espressiva è un indifferenziato stato di sommovimento
psicologico e quindi lirico» [ibidem].
Per quanto riguarda, invece, le particolarità stilistiche del suo espressionismo, torniamo
al concetto, già anticipato, della contaminatio dei linguaggi, a quella mescolanza in cui
un ruolo, non secondario, spetta al linguaggio veristico, tipicamente dialettale. Pasolini
infatti non indugia a dimostrare come il realismo di Verga abbia trovato una possibilità
di sviluppo, nel Novecento, proprio grazie alla prosa gaddiana: «più vicino a Verga di
tutti i realisti è semmai Gadda, per via dei suoi brani di realtà immediatissima» [Ivi
284]. Ritorna qui la presa di distanza da Contini; secondo Pasolini in Gadda è presente la componente verista di stampo verghiano e l’uso mimetico del dialetto fornisce la prova. Tuttavia, egli mette in evidenza le diverse modalità attraverso cui i due scrittori
hanno consegnato una vivace rappresentazione del reale attraverso la violenza
linguistica:
Mentre in Verga era idealmente il dialogo (ossia la vita oggettivamente vista e ascoltata nella sua realtà) a produrre la complicazione del testo narrativo, sommovendolo liricamente col contrasto lingua parlata-lingua letteraria, in Gadda è invece il testo narrativo che produce il dialogo, come un corollario, un massimo di violenza linguistica, un supremo sberleffo [Ivi 278].
Nel secondo saggio dedicato allo scrittore lombardo, Pasolini avvia un’analisi
linguistica e stilistica del Paticciaccio, romanzo edito nel ’57, per giungere,
nuovamente, a una riflessione sulla difficile condizionale esistenziale dell’autore.
In un primo momento elenca i diversi tipi di dialetto che è possibile individuare
all’interno del testo, con le varie peculiarità che ognuno di essi presuppone: dal dialetto di specie verghiana, a quello di tipo belliano, fino a giungere a un dialetto di tipo
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letterario; prosegue con l’analisi sintattica, arrivando a parlare, per la prosa in questione, di una particolare costruzione sintattica, caratterizzata dalla ipertassi, ossia dall’unione di forme paratattiche e ipotattiche.
Per quanto concerne il tempo della narrazione, a Pasolini preme evidenziare come per lo
scrittore «il ritmo narrativo non si regga mai su un seguito di perfetti storici e di perfetti
logici» [Ivi 281]; i tempi della narrazione per l’autore sono o il presente, che implica la descrizione dell’evento nel suo accadere, oppure il tempo piuccheperfetto: «per fuggire all’impegno dei tempi logici, il Gadda finge di dare il suo referto in un momento, quando già le conseguenze dell’azione sono avvenute […]; in questo modo egli ripassa in scorcio tutti gli avvenimenti che hanno contribuito al risultato finale» [ibidem].
Dopo questa breve sintesi stilistica del romanzo, Pasolini focalizza l’attenzione sul ruolo del narratore, per giungere ancora una volta, come vedremo, a una riflessione
sulle problematiche politico-sociali che turbavano e dividevano la nazione. Il metodo
analitico adottato in questo volume da Pasolini è sempre in atto; la critica alla società
non è dunque diretta, ma passa attraverso un filtro linguistico o stilistico.
Tornando al Pasticciaccio, Pasolini informa che il ruolo del narratore presenta, qui,
alcune particolarità che lo differenziano dalla tipica figura, di solito «contemplante e
oggettivante» [Ivi 282]. Al contrario, ci troviamo di fronte a un essere altamente
drammatico, il cui profilo rispecchia il disagio vissuto dall’autore; Pasolini afferma
come «la drammaticità di tale narratore […] consista nell’urto violentissimo tra una
realtà oggettiva e una realtà soggettiva (il narratore) incompatibili ideologicamente e
stilisticamente» [ibidem]. Si tratta della medesima condizione in cui si trova a
combattere lo scrittore, sospeso tra «un’accettazione della realtà sociale italiana così
come è stata codificata dalla borghesia post-risorgimentale […] e la coscienza
dell’effettiva negatività delle strutture di quella realtà sociale» [Ivi 283]. Anche Gadda ha sicuramente riconosciuto i risultati positivi raggiunti dalla borghesia italiana post-
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risorgimentale; ma l’avvento del fascismo, il protrarsi del regime dittatoriale, hanno privato le coscienze della fiducia nei confronti delle istituzioni, questo vale soprattutto
per un antifascista quale il prosatore si presentava. Il disagio sociale si ripercuote così
anche sulla questione della lingua, infatti lo stile di Gadda è presentato da Pasolini come
«uno stile misto, ossessionato, poiché egli accettando le istituzioni che crede buone, è
costretto a infuriarsi senza requie contro gli istituti effettualmente cattivi» [ibidem].
Al termine del saggio, in maniera sintetica, il nostro scrittore presenta il Pasticciaccio
come uno strumento «non di critica militante, ma di esame storiografico» [ibidem].
Conclusione condivisibile, dal momento che all’interno del romanzo è possibile riscontrare non solo il problema linguistico, fonte di mancata coesione politica, e quindi
un’Italia presentata come «Babele di tre strati linguistici corrispondenti ai diversi livelli
sociali»[Ivi 282], ma anche l’angoscia sociale di tutti i cittadini, in bilico tra retaggi
positivisti e «l’impari lotta con lo stato» [Ivi 283].