SOMMARIO
I CAPITOLO ... 4
I.1.ILTEATRONEGLIANNI’80E’90INSPAGNA...4
I.1.2CONTESTOSTORICODOPOILFRANCHISMO ...4
1.1.3.ITEATRIUNIVERSITARI ...12
1.1.4.TEATROD’AUTORE ...14
I.2.DRAMMATURGHESPAGNOLECONTEMPORANEE...17
I.2.1.LARIVOLUZIONEFEMMINILE...17
I.2.2.LALETTERATURADRAMMATICA...18
I.2.3.LAVOCEDELLEDONNE...25
I.2.4.ILNUOVOTEATRODELLEDONNEINSPAGNA ...30
II CAPITOLO... 35
II.PALOMAPEDRERO...35
II.1.BIOGRAFIA...35
II.2.ASOCIACIÓNDEMUJERES ...36
II.3.LEOPERE ...42
II.4.TEMATICHEGENERALI...50
II.5.LEPROTAGONISTE...56
II.6.TEATROINTIMO...60
II.7.LINGUAGGIO:REALISMOEINFLUENZE ...62
III CAPITOLO ... 65
III.NOTESTILISTICHE ...65
III.1.ILTEATROBREVE ...65
III.2.L’ATTOUNICO ...67
III.2.1ARGOMENTIPRINCIPALI...69
III.2.3.ILLINGUAGGIO ...80
III.3.METATEATROEPSICODRAMMA ...84
IV CAPITOLO ... 94
IV.LENOTTIDIAMOREEFFIMERO...94
IV.1.ILLEITMOTIVDELLANOTTE ...96
IV.2.IPERSONAGGINELLOSPAZIO ...100
IV.3.IDIALOGHI ...114
IV.4.GLIOGGETTISIMBOLICI ...117
V.CONCLUSIONI ...121
V.1.SOCIETÁATTUALERIFLESSANEITEMI ...121
V.2.LEOPINIONIDELLACRITICA ...124
V.3.TRADUZIONI...132
APPENDICE... 135
INTERVISTAAPALOMAPEDRERO ...136
TRADUZIONE ...143
BIBLIOGRAFIA ... 149
“Amo el teatro, lector amigo, lo amo porque se lo merece, lo amo sin esfuerzo, porque él no es el que me hace sufrir. El teatro es inocente, como tú y como yo. Y vivirá para gozo y transformación de las gentes”1.
1 “Amo il teatro, lettore amico, lo amo perché se lo merita, lo amo senza sforzo, perché egli non è colui che mi fa
soffrire. Il teatro è innocente, come tu ed io. E vivrà per compiacere e trasformare la gente. PALOMA PEDRERO, Palabras para tí. Nueve obras en un acto, CÁTEDRA, Madrid, 2005.
I CAPITOLO
I.1. IL TEATRO NEGLI ANNI ’80 E ’90 IN SPAGNA
I.1.2 CONTESTO STORICO DOPO IL FRANCHISMO
Con il passaggio dalla dittatura alla democrazia monarchica, nel 1975, la Spagna si risveglia: tutta la società è intenta al cambio politico; gli intellettuali in particolare partecipano ai fermenti innovativi, con la speranza di far udire nuovamente le loro voci, e protestano quando non vengono ascoltati da autorità troppo concentrate su altri affari2. La transizione politica toccò anche il teatro: la lotta per il predominio della scena rappresentava il passaggio dalle vecchie alle nuove forme sceniche. In termini artistici il passaggio verso la democrazia includeva la perdita di non poche illusioni da parte di chi voleva rinnovare l’arte drammatica spagnola. Il mutamento avvenne, però vennero inflitte delle ferite tuttora non rimarginate, come la piccola, ma evidente, diminuzione di pubblico, avvenuta in parte per l’aumento del prezzo del biglietto e in parte a causa della competizione col cinema (ora più che mai presente, a seguito del miglioramento del sonoro)3.
2 Le riviste che si occupano di teatro sono piene di titoli come La peripezia del disincanto nel teatro spagnolo: la
colpa è di tutti e di nessuno, “Estreno”, VI, n.2, 1980, pp.7-10; o Il nuovo teatro spagnolo è morto. Muoiano i suoi assassini!, “Estreno”, XII, n.2, 1986, pp.21-24. Le parole del drammaturgo López Mozo nel suo Dónde está el nuevo teatro espanol?, “Estreno”, XII, n.1, 1986, p.37, spiegano bene questa situazione: «Le poche opere che
debuttarono nei primi momenti della transizione non sfruttarono l’appoggio di coloro che le programmarono, i quali lo fecero per rispondere più ad un compromesso morale, che al desiderio reale di riscattarle dal silenzio. Per questo motivo essi utilizzarono pochi mezzi tecnici per il montaggio e per la loro diffusione, relegando le rappresentazioni ai giorni e agli orari in cui vi era meno pubblico. Ma soprattutto, e questo forse è ancora più grave, dimostrarono che non credevano nel nostro teatro: non erano nemmeno disposti a fare il minimo sforzo per capirlo».
3 CÉSAR OLIVA (a cura di), El arte escénico en España desde 1940, in JAVIER HUERTA CALVO, Historia
In questo processo l’arte, e il teatro in particolare, aveva un ruolo molto importante nell’aiutare a formare un “cambio dello spirito pubblico”4 e per preparare una riforma, in cui, secondo lo scrittore Díaz Fernández, lo spettatore diventa un coautore del dramma, il quale, a sua volta, si basa su una realtà concreta. Questo significa che il teatro non si limita ad offrire un’interpretazione dei fatti storici, ma che si converte esso stesso in interprete nella dinamica della storia5.
Una pièce che divenne emblema per la storia teatrale dell’epoca è ¡Ay,
Carmela! (1987) di José Sanchis Sinisterra, esempio di rivendicazione della
memoria storica di chi si oppone all’oblio e alla negazione di un passato imposto dalla dittatura. La vicenda raccontata è una tragicommedia - con la guerra come sfondo - nella quale i due protagonisti si schierano con due atteggiamenti, persino due morali diverse: Carmela, che paga la ribellione, istintiva, umana, con la propria vita e Paolino che, di fronte alla stessa barbarie, cerca di sopravvivere, fingendo una partecipazione alla causa politica, attraverso la sua sottomissione.
Il dramma, sostenuto da note umoristiche, aveva attirato molti spettatori che provavano solidarietà verso il personaggio femminile. Ancora una volta si parlava della guerra civile e se ne faceva una cronaca storica, a suo modo sentimentale6. La continua presenza, in scena, di Carmela, ormai morta, per parlare con Paulino, è un modo per mantenere viva la memoria; la vicenda è anche un’attuale riflessione sull’impotenza dell’arte di fronte all’irrazionalità della violenza senza fine della guerra.
4 JOSÉ DÍAZ FERNÁNDEZ, El nuevo romanticismo, polémica de arte, política y literatura, Ed. J.M. Lopez de
Abiada, Madrid, 1930 (edito nuovamente nel 1985), p.135. Nel libro l’autore esamina tutte le problematiche del momento, cercando di orientare il lettore verso una società più giusta, nella quale anche la letteratura deve contribuire alla “umanizzazione della società”; ivi, p.56.
5 MANFRED LENTZEN, En torno a la discusión sobre el teatro en España a principios de los años treinta, in
Actas del X Congreso de la Asociación Internacional de Hispanistas (Tomo III), PPU, Barcelona, 1992, pp. 43-51.
Si cercava, dunque di affrontare i problemi generali della Spagna attuale con umorismo, il che era una novità in letteratura, e di rappresentare le storie piccole, reali, molto spesso di povertà, all’ordine del giorno nel postfranchismo, dalle quali si voleva evadere. Gli autori - ed in particolare Sánchis Sinisterra con i suoi protagonisti “umili”7, vittime di vicende appena sfiorate dalla storia - portarono in scena il crudo oggettivismo riuscendo, a volte, a sdrammatizzarlo.
Gli scrittori spagnoli volevano rimediare ai quaranta anni di silenzio forzato, di soppressione delle voci contrarie: la loro occasione arrivava ora con il teatro, con la cultura in generale, tramite le cosiddette operazioni “rescate” e “restitución”8.
Dice lo scrittore Lopez Mozo:
Fuimos una generación castigada por una censura que se mostró muy severa con quienes nos oponíamos con mayor o menor fuerza, más o menos directamente, al sistema franquista.Contra lo que esperábamos, la llegada de la democracia no supuso el reconocimiento de nuestra obra ni, por tanto, la salida de la marginación. Quienes podían y debían asumir la revisión del teatro escrito antes de 1975 y recuperar sus textos más valiosos no lo hicieron y si hubo algún intento fue tan contrario a nuestros intereses que causó más daño que beneficio9.
Il drammaturgo Domingo Miras lamenta il disprezzo sociale e un certo disconoscimento del pubblico verso gli autori che, pur avendo diverse personalità, età e condizioni, sono accomunati dal fatto di appartenere alla transizione, e dalla sensazione di confrontarsi con un sistema disattento che cerca di isolarli. Una riprova il fatto che le opere proibite durante il franchismo non furono rappresentate; gli spettatori, d’altra parte, erano ancora disorientati
7 ANDREA PORCHEDDU, La vita nascosta di Ay Carmela!, in JOSÉ SANCHIS SINISTERRA, Ay Carmela!,
Ed. Corsare, Perugia, 2003, p.5.
8 CÉSAR OLIVA, El teatro español desde 1936, Alhambra, Madrid, 1989, p.426.
9 “Siamo stati una generazione castigata da una censura che si mostrò molto severa con chi si opponeva, più o
meno direttamente, al sistema franchista [..]. Contro le nostre aspettative l’arrivo della democrazia non sottintese il riconoscimento del nostro lavoro, né l’allontanamento dall’emarginazione. Chi poteva, o doveva assumere la revisione del teatro scritto prima del 1975 e recuperare i suoi testi più validi, non lo fece, o se ci fu qualche tentativo, fu contro il nostro interesse, causando più danni che benefici”. JERÓNIMO LÓPEZ MOZO, in CÉSAR OLIVA, El teatro desde 1936, cit., p.426.
Tutte le traduzioni presenti nel testo sono state eseguite da chi scrive, con il gentile ausilio della dott.ssa Mari Carmen Llerena.
per i cambi che stavano avvenendo10: educati al teatro realista degli anni ’50 ora, nel dopo dittatura, rifiutavano i cambi repentini, come le avanguardie, aspetti del nuovo teatro in cerca della propria strada.
Il governo, da parte sua, pur dando un minimo di stabilità ai gruppi di lavoro, ad esempio con la creazione di istituzioni quali il Centro Dramático Nacional (CDN del 1978) o il Centro Nacional de Documentación Teatral (CDNT)11, con la fondazione dei teatri stabili sull’esempio di quelli italiani e polacchi, non aiutava il singolo scrittore esordiente12. Ne consegue un teatro senza autori13, secondo Miras, destinato a diventare un museo: il governo di Felipe González14 aveva elevato l’arte scenica a fatto culturale di Stato ma, con la legge del 1985 in cui esercitava un controllo su ciò che circolava, l’amministrazione socialista si trasformò nell’unico impresario teatrale, il che servì ad ottenere grossi finanziamenti, ma d’altro canto, trasformò il teatro in ambiente di lusso e lo mantenne esclusivo (sembrava di aver ottenuto una seconda censura); il pubblico, che aveva delle aspettative, ne rimase deluso e spesso disertò i teatri.
Lo spettatore medio di inizio anni ’80 vedeva con distacco i continui segnali di riabilitazione - rispetto all’oblio passato - che il teatro cercava di mandare, si lasciava trascinare dal ricordo, dai grandi maestri che segnarono la storia del teatro spagnolo (García Lorca, Valle-Inclán, Buero Vallejo, Rafael Alberti, Alfonso Sastre) e aveva difficoltà ad aprirsi al presente. Gli stessi autori denunciano che i critici parlano solo di ciò che capiscono15: è normale, perciò che essi apprezzino le storie reali e rifiutino, in modo anche violento, gli
10 VIRTUDES SERRANO (Teatro breve entre dos siglos, CÁTEDRA, Madrid, 2004, pp. 11-24), lamenta la
disattenzione critica verso il teatro che, dagli anni della democrazia ad oggi non è cambiata molto: manca sempre il contatto tra autori e pubblico, oltre al fatto che la critica non dà il giusto peso al lavoro teatrale, come accade invece per gli altri generi letterari.
11 SONIA SÁNCHEZ MARTÍNEZ, Aspectos semiológicos en la dramaturgia de Paloma Pedrero, tesi di
dottorato, Madrid, 2005, p.35.
12 CÉSAR OLIVA, El teatro desde 1936, cit., p. 426. 13 EMILIO COCO, Teatro spagnolo, cit., p.12.
14 Primo Ministro spagnolo a seguito delle elezioni del 1982, avviò la Spagna sulla strada della modernizzazione
e dell’integrazione europea.
elementi di novità. Il Partito popolare (il PPE16), all’opposizione e più conservatore, timoroso del forte cambio culturale che stava avvenendo, non vedeva di buon occhio questo tipo di teatro (da sempre schierato, e infatti ostacolato, durante la dittatura17), e non lo spingeva ad una reale rinascita. In effetti, tra fine anni’70 e inizio anni’80, sussiste un lavoro che non evolve, sviluppato per compiacere il pubblico, ma privo di qualità. Esiste anche un teatro “politico” realizzato da autori con ideologie di destra, che tende a fare dei personaggi della sinistra politica (come Santiago Carrillo18) delle caricature.
Secondo il drammaturgo Alfonso Sastre urge un rinnovamento sociale e culturale: a questo scopo ripropone l’interrogativo sulla funzione, sul compito dell’arte e dello scrittore e sulla necessità che l’opera provochi, al medesimo tempo, una modificazione nella società e nell’autore, capace di dimostrare, così, la sua capacità di apprendistato19.
Per spiegare il rapporto tra la sinistra in carica e la cultura sono di aiuto pochi dati: alle elezioni del 1977 vince Adolfo Suárez, con l’Unión de Centro Democratico (UCD); il Ministero della Cultura darà vita al Centro Dramático Nacional (CDN) nel 1978, con sedi nel Teatro María Guerrero e all’Accademia delle belle Arti di Madrid20. Nel 1979 viene creato il Centro de Documentación Teatral (CDT), diretto da César Oliva che, dal marzo del 1980, editò un Boletin
de información teatral coordinato da Fermín Cabal, pubblicato fino al maggio
del 198121. Attraverso i finanziamenti vennero allestiti e divulgati spettacoli
16 Partido Popular Español, sorto dall’evoluzione di Alleanza Popolare, movimento di centro-destra fondato nel
1977 da Manuel Fraga Iribarne, ministro di Franco negli anni ’70, diventato in seguito la forza principale della destra spagnola.
17 Il drammaturgo Alfonso Sastre, ad esempio, scrive un articolo dedicato alle Ventitré difficoltà per essere un
autore teatrale anticonformista, apparso su “Cuadernos para el Diálogo”, Madrid, maggio 1967. Afferma inoltre:
“Noi, nel nostro lavoro in Spagna, siamo passati da varie alternative che, in qualche modo, si riflettono nella nostra opera teorica e nei nostri tentativi pratici di un teatro politico, che operi ed intervenga nella vita reale del nostro paese”. ALFONSO SASTRE, La rivoluzione e la critica della cultura, Cappelli, Bologna, 1978, p.114.
18 Uomo politico che, durante la Guerra civile, aderì al Partito comunista spagnolo e che, dopo il franchismo,
agevolò il processo di democratizzazione del paese con la sua azione moderata e riformista.
19 ALFONSO SASTRE, La rivoluzione e la critica della cultura, cit., p.176.
20 Il CDN verrà inizialmente diretto da Adolfo Marsillach; da Nuria Espert insieme a José Luis Gomez e Ramon
Tamayo nel 1979, cui seguì José Luis Alonso dal 1981.
21 Anche i governi autonomi appoggiano le compagnie: viene creato, ad esempio, il Centre Dramatic de la
grandiosi: con la nomina di Lluís Pasqual - proveniente dal teatro Lliure di Barcelona - nel 1983 come nuovo direttore del Centro Dramático Nacional, si esercitò una politica teatrale con sguardo aperto verso l’Europa (esempi di rappresentazioni costose sono Luces de bohemia di Valle-Inclán, a Parigi nel 1984; El Público di García Lorca a Milano nel 1986; Comedia sin título sempre di Lorca, nel 1989) per saldare un lungo debito che la società spagnola aveva con la sua miglior tradizione teatrale prima della guerra civile22; si dà avvio, quindi, ad una politica di premi e di sovvenzioni che, ciononostante, deluse ogni aspettativa: tutta la società si era evoluta velocemente, influendo sulla drammaturgia. Ne deriva un teatro costituito, in parte, da autori della vecchia generazione, che hanno cercato di adattarsi ai nuovi tempi, contaminato però da autori più giovani, portatori di novità e di rottura; è anche un teatro variegato: c’è, infatti, chi si fa influenzare da testi stranieri e usa una terminologia poco attuale, rispetto alla situazione democratica vigente, e chi è interessato più alla messa in scena spettacolare, rispetto ai testi. Ne consegue un disappunto generale nel mondo artistico23.
L’aspetto positivo di tutto il trambusto socio-politico è che la scena teatrale si trasforma in luogo di scontri e di dibattiti con posizioni spesso anche molto controverse: c’era chi andava a teatro per ascoltare riferimenti politici di cui nessuno ancora osava discutere in pubblico o chi era attratto da temi (quello sessuale, ad esempio, il famoso “destape”, o nudità), che continuavano a subire i controlli governativi24.
22 La nuova politica teatrale raggiunse il suo apogeo nel 1992 con l’Esposizione Internazionale celebrata a
Siviglia, nella quale si organizzò un ciclo di teatro di autori contemporanei, tra i quali Fernán Gomez, Antonio Gala, Martín Recuerda, Domingo Miras, Francisco Nieva, Alfonso Sastre, con proiezioni di circa cinquecentomila «atti culturali» (secondo quanto dice RAFAEL SÁNCHEZ FERLOSIO, Las cajas vacias, in El
alma sin verguenza, Destino, Barcelona, 2000, p.72) nel Teatro Central di Siviglia, uno dei più moderni al
mondo, oggi inspiegabilmente chiuso.
23 Famoso l’esempio del regista Angel Facio che denunciava gli autori contemporanei poiché «scrivono molto
male». CÉSAR OLIVA, Teatro español del siglo XX, Editorial Sintesis, Madrid, 2002, p. 428.
24 Ricordiamo che la censura scompare con la monarchia costituzionale, nel 1978; all’interno del nuovo governo,
si costituisce la Comisión de Teatro del PSOE, gestita dai drammaturghi José Luis Alonso de Santos, Fermín Cabal e Domingo Miras, i quali, cercarono di concedere più autonomia ai teatri pubblici e privati e di incentivare le attività culturali, con una libertà finora sconosciuta. MANUEL AZNAR SOLER, Teatro español y sociedad
Il critico José Monleón lamenta un generale regresso della vita teatrale spagnola subito dopo la fine della dittatura; gli spettatori diminuirono in modo consistente poiché, abituati ad un teatro convenzionale, non riuscivano ad accettare le nuove formule, come quelle attuate dai Teatri Indipendenti (gruppi che provano a cambiare il teatro spagnolo dalla fine degli anni’6025). Così, animati dal desiderio di realizzare un modello di azione diversa da quella corrente, gli autori, soprattutto i più giovani, usavano spazi atipici, davano importanza alla messa in scena, studiavano metodi e gruppi europei o americani, quali l’Actor’s Studio, Brecht, Grotowsky, Barba, il Living Teatret, Bread and Puppet, esploravano le possibilità fisiche del corpo umano, esprimevano il gusto per i riti e per il gioco, volgevano lo sguardo ai testi drammatici classici, come a quelli contemporanei. Questi erano dei gruppi inquieti, innovatori, tanto nell’aspetto ideologico, quanto in quello economico; i loro principi erano il rifiuto assoluto del teatro conservatore e l’intento dell’autofinanziamento. Apparvero già verso gli anni ’70 (poiché derivavano dai teatri universitari, di cui ci occuperemo dopo), con caratteristiche distinte per ogni gruppo26. Essenziale era per loro vendere lo spettacolo anche all’estero, perciò usavano una scenografia semplice da smontare. Il pubblico che li seguiva era spesso popolare, apparteneva ai sobborghi cittadini e ai paesini, finché non si cercò di avvicinare anche lo spettatore borghese; l’impresa fu raggiunta con rappresentazioni quali, ad esempio, Castañuela 70, del gruppo Tábano (1970), o
El retablo del flautista che rimase quasi tutto l’anno 1971 nel Teatro Capsa di
Barcelona. A lungo andare, però, la formula del teatro indipendente cominciò a sparire e qualcuno pensò di fermarsi, aprendo un locale proprio dove potersi esercitare, soprattutto perché aiutato dalla nuova amministrazione socialista, che
25 La rivista “Primer Acto” testimonia la presenza di questo nuovo teatro, pubblicando alcuni testi significativi,
come quello di PÉREZ DANN, Mi guerra, nel n.80 del 1966, e articoli dedicati al tema, ad esempio La nuova
faccia del teatro indipendente, di MONLEÓN, nel n.103 del 1969 (CÉSAR OLIVA, El teatro desde 1936, cit.,
p. 351).
26 Tra essi si notarono “Els Joglars”, “Els Comediants”, “Akelarre”, “Teatre Lliure”, “Goliardos”, “Teatro
tendeva ad inglobare i nuovi nomi nelle imprese statali o nelle comunità autonome27.
Il lungo processo avvenne per riabilitare degli spazi teatrali, soprattutto delle principali città spagnole, di cui trassero beneficio anche alcuni locali di provincia abbandonati. Sempre negli anni ‘80 si costruirono nuovi auditorium, utilizzati soprattutto da autori giovani e perlopiù sconosciuti, che non riuscivano a raggiungere - almeno non subito - i grandi teatri. Si chiamano sale alternative, più economiche da gestire, in risposta alla vecchia concezione del teatro con alti costi di mantenimento e sono delle sale situate nei sotterranei di edifici convenzionali, che possono contenere fino ad un centinaio di spettatori. Sono dunque piccole, ma versatili: una delle principali conseguenze è che, al loro interno, si possono rappresentare solo drammi costituiti da pochi personaggi; proprio per la particolare conformazione, determinano un tipo di pubblico più vicino e più popolare, perché i costi dei biglietti - nonché gli abbonamenti in voga negli anni ’20 e ’30 - diminuiscono28. Tali spazi scenici, distribuiti per tutto lo Stato, sono numerosi, circa 28, tra i quali si ricordano la “Sala Beckett” di Barcellona diretta da Sánchis Sinisterra, la “Sala Quarta Pared” di Madrid, il “Teatro de la Abadía” creato da Luis Gómez29; viene perfino inaugurata, nel 1993, un’associazione culturale30, al fine di regolarne le numerose attività: gli artisti si incontrano e discutono sulle nuove proposte o sulla divulgazione delle proprie idee; viene inoltre creata una rete di collegamenti con le istituzioni, quali SGAE (Società Generale di Autori di Spagna), i vari comuni o i Ministeri di Cultura, anche di altri Paesi. Il fine è quello di provocare i teatri convenzionali - fondamentale la creazione di una “Red Nacional de Teatros Públicos”, che ha reso possibile la decentralizzazione del sistema teatrale - e di svegliare il
27 Solo il TEI (Teatro Experimental Independente) di Madrid si mantenne totalmente autosufficiente e sviluppò
degli spazi personali con programmazioni indipendenti all’interno della città (Sala Cadarso) e lo stesso avvenne anche a Barcellona, con la Sala Villarroel.
28 JAVIER HUERTA CALVO, Historia del teatro español, cit., pp. 2608-2609.
29 MANUEL AZNAR SOLER, Veinte años de teatro y democracia en España (1975-95), cit., p.13. 30 SONIA SÁNCHEZ, Aspectos semiológicos, cit., p.46.
pubblico, affinché comprenda le questioni sociali, religiose, economiche ora descritte in modo crudo e senza censura.
1.1.3. I TEATRI UNIVERSITARI
Predecessore del teatro indipendente è stato il Teatro Universitario (TEU, Teatro Español Universitario), costituito da studenti riuniti in gruppi (circa 100), che esistevano già negli anni ’60 e i cui partecipanti possedevano un’amplia conoscenza di autori e tecniche, da Stanislavski, a Max Reinhard, Copeau, Fuchs, Piscator31; e intendevano offrirla al teatro professionale, tramite una collaborazione reciproca.
Il teatro del dopoguerra spagnolo, infatti, fu una sorta di esperimento i cui partecipanti, col tempo, riuscirono a formarsi una buona cultura; quando però la vecchia formazione rimase una minoranza, la nuova generazione degli anni ’70 trasformò questo svago in un sistema più commerciale, perdendo la qualità e la fede che aveva animato i predecessori e ottenendo consenso davanti ad un pubblico borghese. Con la transizione politica che seguì, si produssero varie modifiche all’interno dei gruppi, tra cui una maggiore attenzione agli aspetti economici, attenuante che portò alla decisione di alcuni membri di diventare dei professionisti, stabilendosi in sedi fisse e unendo le reciproche conoscenze ed esperienze.
Si perdeva così anche l’altro obiettivo del teatro universitario delle origini: di essere divulgativo. Mezzo d’informazione diretto infatti, nell’epoca in cui sorse raggiungeva il popolo anche nelle località più sperdute (i famosi antecedenti del Teatro Universitario Spagnolo sono “La Barraca”, di Lorca e Casona32, fondato nel 1932, e il “Teatro de las Misiones Pedagógicas” del
31 LUCIANO GARCÍA LORENZO, Documentos sobre el teatro español contemporaneo, Sociedad General
Española de Libreria, Madrid, 1981.
193133): ora non esisteva più il contatto col pubblico, o almeno con quel tipo di pubblico vivo, interessato; proprio nel periodo in cui la Spagna cominciava ad aprirsi all’Europa34, continuavano a sussistere forme di conoscenza esclusive, tendenti a conservare gelosamente il sapere.
I gruppi rimasti erano dunque deboli, isolati e disinteressati alle attività altrui: la soluzione fu di adoperarsi per una revisione critica riguardo alla situazione generale (attraverso delle giornate di studio35), dando vita a cattedre di teatro universitarie, cercando sovvenzioni e relazioni coi teatri universitari stranieri, migliorando la qualità delle rappresentazioni, ecc. Le varie riforme miravano al ritorno di un teatro popolare, i cui partecipanti fossero stabili, a rivendicare opere e autori didattici, a fissare una linea continua nella programmazione e a giungere, finalmente, ad un pubblico popolare, ovvero non più monopolizzato dalle poche classi sociali. Secondo Alfonso Guerra si poteva risollevare il teatro dal letargo, così come l’università, modificando strutture, mezzi e i fini di entrambi36.
I gruppi, che derivavano dai vecchi TEU, sussistevano ancora negli anni ’80: erano autodidatti, non avevano una formazione professionale; i loro registi sceglievano le opere da rappresentare in base a coincidenze, per esempio perché un testo si stava rappresentando a Parigi, o era stato tradotto al cinema; lavoravano, dunque per un pubblico ridotto, offrendo un tipo di teatro spesso anche riadattato. Dimostravano, ancora una volta, mancanza di organizzazione assoluta. L’idea di tali giornate era di riunire i TEU rimasti, istituire accordi coi locali commerciali, municipali, privati o con le Università, approfittare dei numerosi paesini spagnoli e rappresentare all’aria aperta, cercare di procurarsi
33 MANFRED LENTZEN, En torno a la discusión, cit., p.51. 34 Ricordiamo che è nel 1982 l’adesione della Spagna alla NATO.
35 A questo scopo furono organizzate delle giornate nella città di Murcia dal Dipartimento Nazionale di Attività
Culturali, con informazioni teorico-pratiche, corsi sul mimo e sull’espressione corporale da parte del professor Antonio Malanda, conferenze sul teatro del dopoguerra e sulle responsabilità della critica di fronte alla società.
36ALFONSO GUERRA, Renovación del Teatro Universitario, in LUCIANO GARCÍA LORENZO,
Documentos sobre el teatro español contemporaneo, cit., p.349: proposte di soluzioni a seguito delle giornate,
dei permessi speciali da parte delle autorità. Il fine ultimo era variegato: creare un’associazione nazionale, ottenere maggiore stabilità e tornare ad avere uno spettatore popolare cosciente e responsabile (aiutato, ad esempio, da corsi, conferenze)37. Tale speranza, però, rimase vana e il ritorno, tanto desiderato, al teatro delle origini, non avvenne; anzi, le cose non cambiarono affatto: i T.E.U.S. continuarono a sussistere come puro divertimento tra amici, nei quartieri.
1.1.4. TEATRO D’AUTORE
Un’altra conseguenza, dovuta al periodo di transizione, per il teatro spagnolo, fu la scomparsa dell’autore contemporaneo: per ottenere un teatro di qualità, gli impresari preferivano ricorrere ai testi classici o ad autori difficili, parte integrante, però, della storia spagnola, come Valle-Inclan (nello specifico,
Luces de bohemia) o García Lorca38.
Una scelta importante fu di rappresentare, finalmente, alcuni autori attraverso l’operazione rescate, o restitución39: gli esempi più noti sono quelli di Rafael Alberti e di Fernando Arrabal (le cui opere non vennero capite in patria, ma apprezzate in Francia, e da lì in tutta Europa). Essi vennero recitati nei CDN (Centro Dramatico Nacional) come una sorta di espiazione, “riscatto” appunto, per la mancanza di attenzione che ricevettero, per il silenzio, per l’esilio. Vengono “restituiti” alle scene anche altri scrittori discriminati nei difficili anni passati: Alejandro Casona, Martín Recuerda, Rodríguez Méndez, Lauro Olmo,
37 I principi fondamentali di queste giornate, all’insegna del rinnovamento del teatro universitario, furono
pubblicate nella rivista “Primer Acto” del 1965. Le conclusioni rimasero valide come basi per un rinnovamento futuro, ed esistono degli esiti positivi a livello nazionale ed internazionale, come la messa in scena di
Fuenteovejuna da parte di Alberto Castilla al Festival Mondiale di Teatro Universitario di Nancy, o La camisa di
Lauro Olmo, portata alla Sorbona da Jaime Azpilicueta.
38 La Compañia Nacional de Teatro Clasico, una produzione nazionale diretta Adolfo Marsillach, affermato
regista, eseguì, per citarne alcune, delle nuove versioni di La dama duende, di Calderón, Il caballero de Olmedo, di Lope de Vega, La Celestina, di Fernando de Rojas, El burlador de Sevilla, di Tirso de Molina, tutte con successo e che rimasero a lungo nella programmazione del 1983. (JOSÉ GARCIA TEMPLADO, El teatro
español actual, Anaya, Madrid, 1992, p. 86).
Alfonso Sastre, Antonio Gala e anche gli stranieri proibiti, quali Brecht, Dario Fo, Ibsen, Pirandello. Riappaiono, infine, autori che avevano scritto già in tempo di dittatura, ma non si erano rivelati alle scene, perché conosciuti come scenografi (Francisco Nieva), registi o attori (José Sanchis Sinisterra, Paco Melgares, Teófilo Calle, José Luis Alonso de Santos, Ignacio Amestoy, Rodolfo Sirera, Fermín Cabal)40.
Una considerazione a parte meritano i “nuovi autori”, che si fanno notare all’inizio degli anni ’80, come il catalano Josep Maria Benet i Jornet, Concha Romero, Manuel Gomez García, Miguel Murrillo, Pilar Pombo, Jerónimo López Mozo, Ernesto Caballero, Paloma Pedrero, Ignacio del Moral, Manuela Reina, Nancho Novo, Marisa Ares, Antonio Onetti, Sergi Belbel, tra i molti. Caratteristica principale distintiva, rispetto ai loro predecessori, è il fatto di esser nati durante il risorgimento economico del paese: essi non hanno dunque vissuto il periodo peggiore del dopoguerra e non sentono il peso tagliente della censura statale (emergono, infatti, dopo il 1978). I nuovi drammaturghi ruppero con l’immagine del passato e cercarono nelle sale alternative il potere della parola: non più grandi decorazioni, ma piccoli palcoscenici semplici sui quali poter inserire le loro opere.
Tra di loro hanno in comune la tematica urbana e le relazioni personali, la rapidità delle azioni e il ricorso a diversi linguaggi scenici, quali il video, la danza, ecc. Inoltre, come ricorda sempre Oliva, provengono tutti da una formazione ottenuta da autori della generazione precedente, cercano essi stessi il luogo dove poter realizzare le proprie opere e sono i diretti collaboratori della messa in scena, essendo, oltre che scrittori, anche attori, registi, produttori, gestori, ecc. L’aspetto più importante è che provano a facilitare il contatto col pubblico, a rendere il teatro meno distante, a pubblicizzare i loro testi; in definitiva, a promuovere il teatro come un’attività moderna e giovanile.
La differenza fondamentale rispetto ai loro predecessori è la formazione culturale: tutti provengono dalle università, o comunque da corsi di scrittura teatrale come il Centro Nazionale di Nuove Tendenze Sceniche (CNNTE, per la sperimentazione teatrale, grazie ai quali molti giovani si fecero conoscere41), impartiti da grandi personalità del mondo teatrale, che condizionano inevitabilmente il loro modo di scrivere. Creano, in più, delle associazioni di autori di teatro, per difendere i propri interessi di drammaturghi (ad esempio, in Andalusia, si dà vita all’ACTA, l’Associazione d’Impresa di compagnia di teatro).
I.2. DRAMMATURGHE SPAGNOLE CONTEMPORANEE
“Ser mujer hoy y querer serlo y, por tanto, expresarse como tal, exige un largo proceso de concienciación que pide ser contado, porque es un referente poco presente en nuestro universo patriarcal, es un largo camino que lleva toda la vida recorrer, y que la mujer se siente impelida a contar.”
Redondo Goicoechea 42
I.2.1. LA RIVOLUZIONE FEMMINILE
La conclusione della dittatura coincide anche con la fine dell’isolamento domestico, ovvero dell’emarginazione della donna dallo spazio pubblico43, ma è con la generazione immediatamente seguente a questo periodo che si viene a delineare la prima consapevolezza della donna anche scrittrice: solo ora, infatti, ha più occasione di esprimersi e di essere parte attiva nel campo dell’edizione e della critica spagnola44. Anche se la donna, oggi, vede i suoi diritti riconosciuti, le rimane comunque difficile imporsi nel mondo artistico, come se la tradizione volesse indicarle un’altra via. Ancora all’inizio del secolo XX non risultava
42 “Essere donna oggi e volere esserlo e, dunque, esprimersi come tale, esige un lungo processo di
consapevolezza che richiede di essere raccontato, perché è un riferimento poco presente nel nostro universo patriarcale, è un lungo cammino che costringe tutta la vita a rincorrerlo e che la donna si sente stimolata a raccontare”. REDONDO GOICOECHEA, Introducción literaria, Teoría y crítica femminista, Narcea, Madrid, 2001, p. 26.
43 GIULIANA DI FEBO, Il tempo delle donne nella Spagna franchista, per una ricerca sulla manualistica e
sulla narrativa, in NICOLA BOTTIGLIERI e GIANNA CARLA MARRAS (a cura di), A più voci. Omaggio a Dario Puccini, All’insegna del pesce d’oro, Milano, 1994.
44 YMELDA NAVAJO, Prologo a Doce relatos de mujeres, Alianza Editorial, Madrid, 1982: in realtà la donna,
in Spagna, comincia a divulgare la propria parola al principio degli anni ’50, ma vive ancora una fase di pubertà creativa, ancorata all’imitazione del discorso maschile e solo alcune, verso gli anni ’70, cominciano a sviluppare uno stile personale, distintivo.
facile, per l’uomo spagnolo, accettare che una donna potesse essere scrittrice, poiché veniva considerata come colei che le storie le narrava soltanto e non le scriveva. A causa di questo pregiudizio, sostenuto dalla mentalità comune e da antichi concetti rafforzati dalla religione, era l’uomo l’unico destinatario del talento creativo45.
La conseguenza più ovvia era che la donna, nel momento in cui cominciò a confrontarsi con la scrittura, lo fece con premesse maschili; è naturale che, scoraggiata dalle componenti più aggressive, sessuali del teatro e dovendo obbedire alle proibizioni di sempre (nessuno voleva una donna materialista e troppo erotica), si ritirò di propria volontà, mettendosi poco in gioco, poiché il campo era un’esclusività degli uomini46.
Vigeva, infatti, l’opinione comune, da parte delle drammaturghe che iniziarono l’attività verso gli anni ‘80, della consapevolezza dell’uomo (lettore, critico, spettatore qualsivoglia), incredulo verso il cambio che stava avvenendo, incapace di riconoscere il nuovo linguaggio: ciò che non gli appartiene, non lo accetta e non lo usa.
I.2.2. LA LETTERATURA DRAMMATICA
Fino a pochi decenni fa, la Spagna lamentava una carenza di drammaturghe: si opponevano alla presenza o alla diffusione dei testi femminili non solo i produttori o i gestori dei teatri, bensì anche gli storici teatrali47, i quali ne tralasciavano appositamente i nomi, raggruppandole nella rubrica “letteratura femminile” (caso contrario per gli storici della novella, abili a riconoscerne
45 PATRICIA O’CONNOR, Dramaturgas españolas de hoy, Fundamentos, Madrid, 1988, pp. 9-24.
46 Nel 1984 la rivista “Estreno”, vol. X, n.2, pp. 13-25, propone un’inchiesta: Por qué no estrenan las mujeres en
España? (Perché le donne non debuttano?), alla quale risposero le drammaturghe Mercedes Ballesteros, María
Campo Alange, Ana Diosado, Lidia Falcón, Carmen Martín Gaite, Consuelo de la Gandara, Luisa María Linares, Lourdes Ortiz, María-José Ragué Arias, María Manuela Reina, Carmen Resino, Concha Romero, Dora Sedano e Isabel Suarez de Deza.
47 Torrente Ballester, Díaz Plaja, Valbuena Prat, Sainz de Robles, Monleón, Domenech, Ruiz Ramón, García
l’esistenza almeno dagli anni ’50), ovvero un’unica categoria generica. In un bilancio dal 1939 ad oggi nessuna opera scritta da una donna è stata proclamata esemplare nel genere; il fatto è certamente dovuto alla pesante situazione storica e alla mentalità dominante: la possibilità che la donna potesse scrivere qualcosa di distinto - rispetto alle epistole, o ai diari - non veniva presa in considerazione; tutt’al più veniva accettata una donna attrice, mai autrice. D’altronde il contesto era così limitante, da mettere a dura prova chi osava sfidare tali presupposti: si trattava di una questione di educazione culturale. Come gruppo, inoltre, non potevano confrontarsi tra di loro, perché troppo isolate48, senza contare la remota possibilità di conoscere un editore. Le donne più ricche ed acculturate, se decidevano di scrivere, prediligevano altri stili, non avendo tante possibilità di andare a teatro, di conoscere la dinamica della costruzione drammatica o della relazione spettacolo-pubblico. Il problema era dunque anche pratico. Si aggiunga la critica: chi avrebbe sostenuto degli scritti che non appoggiavano i gusti maschili? Guadagnare avrebbe potuto mettere in dubbio la virilità del marito, persino rovinare la reputazione di una famiglia. Ecco la scelta di alcune donne di usare degli pseudonimi, o di collaborare con altri drammaturghi, di scrivere testi a tematica soprattutto sentimentale e con una morale, al fine di giustificare il loro operato, da qualcuno giudicato non “etico”49.
Vigeva, poi, un altro aspetto, ancora vivo nella mentalità comune: il
machismo - il maschilismo - un peso culturale presente anche nella
drammaturgia spagnola: negli ultimi decenni viene denunciata la costruzione sociale dell’identità sessuale maschile, attraverso l’allontanamento della matrice culturale del machismo. I drammaturghi cominciano (molto tardi) ad utilizzare una serie di modelli attuali, che hanno reso possibile una nuova definizione del
48 La scrittrice Erica Jong nel suo Fear of Flying (Paura di volare, del 1973) dice che “la donna ha problemi più
grandi dell’uomo per riuscire ad essere artista, perché ha problemi molto più grandi ad essere persona”. ERICA JONG, The Artist as Housewife/The Housewife as Artist. Here Comes and Other Poems, New York, New American Library, 1975.
49 I nomi di Dora Sedano, Julia Maura, Mercedes Ballesteros, Luisa Linares, Carmen Troitiño e Ana Diosdado,
ruolo femminile: tra il 1999 e il 2003 escono con successo numerosi testi50, soprattutto commedie, in cui vengono costruite delle figure atte a cambiare gli appellativi negativi della donna sola o della “femme fatal”, vista ora come la “professionista che ha successo” o descrizioni più attualizzate della ormai nota “guerra tra i sessi”. Inutile sottolineare la grande affluenza di pubblico femminile.
Ci si chiede come mai le tematiche legate alle professioni o ai sentimenti femminili vengano sciolte con notevole libertà ed ironia, caratteristica invece non ripetuta quando vengono narrate le problematiche sociali generali, quali l’immigrazione, la droga: ipotesi plausibile è che forse la donna, quando scrive, riesce meglio a sdrammatizzare e a fare autocritica.
Con la fine della dittatura, dunque si è aperto un varco, una coscienza collettiva, che ha richiesto, ottenendoli, il miglioramento delle scuole e l’accesso all’università per tutti i cittadini. Altre novità furono la creazione dell’Instituto de la Mujer (paragonabile alla nostra Casa della Donna), la nomina di donne in vari incarichi ufficiali e la moltiplicazione delle rappresentazioni di giovani autrici (solo a partire dal 1985). Bisogna arrivare dunque agli anni ’80, all’interno di una Spagna ormai democratica, affinché le autrici si inserissero in quello che verrà chiamato il “rinascere della drammaturgia femminile”51. Le loro voci, anche se timide, cominciano a farsi sentire nel 1984 grazie alla rivista “Estreno”, ma è il 1986 l’anno decisivo in cui queste donne si uniscono nella “Associazione di Drammaturghe”52, la quale aiutò coloro che volevano scrivere
50 La llamada de Lauren, di Paloma Pedrero, del 1986, è un esempio pertinente; altri testi, invece di autori
maschili, sono: Cuando las mujeres no podían votar, di Alberto Miralles (2000); Cierra bien la puerta, di Ignacio Amestoy (2001); dello stesso anno è Un busto al cuerpo, di Ernesto Caballero; La comedia de Carla y
Luisa, di Alonso de Santos (2003).
51 Esistevano già delle scrittrici, come Suor Juana Ines de la Cruz (1651-1695), che apportarono concetti e
linguaggi innovativi in un’area dominata dagli uomini, sin dal Siglo de Oro; la loro tradizione verrà continuata da un piccolo gruppo, trattato però dalla critica con un certo distacco, come è capitato a Matilde Rias, Sofia Casanova, Ana Diosdado, María de la O Lejárraga, autrici di inizio ‘900. ALFREDO RODRIGUEZ LOPEZ-VASQUEZ, La mujer en el teatro español del siglo XX: de Maria Martinez Sierra a Paloma Pedrero, Estudios
sobre mujer, lengua y literatura, Santiago de Compostela, Universidad de Santiago de Compostela, 1996.
52 Risale al 1926 il “Lyceum Club”, il primo movimento di associazionismo femminile spagnolo, luogo di
riunione politico-social-culturale, da cui si dissocerà un gruppo dagli intenti meno elitari, l’Asociación Femenina de Cultura Cívica, per coloro che non avevano l’accesso alla cultura (dalla quale nascerà il Club Teatral
di teatro a conoscersi, relazionarsi tra loro, a presentarsi non più solo come le
casalinghe. Il cambiamento complessivo è ormai irreversibile e si riflette nei
testi: la donna, come personaggio drammatico è ora emancipata e l’uomo non corrisponde più al canone sociale predominante. Tale constatazione, grazie ad una maggior attenzione verso gli aspetti storici, viene applicata alla ricerca teatrale: vi è la considerazione generale della necessità di una revisione globale della drammaturgia spagnola.
María Victoria Oliva definisce i nuovi obiettivi53:
Promover el teatro español, en general, y el femenino en particolar; incentivar el intercambio y los contactos culturales para un mayor desarollo y divulgación del quehacer teatral; promocionar el papel de la mujer en el ámbito escénico y contribuir a su integración en la vida cultural española54.
Nuova consapevolezza, dunque, e più sicurezza in generale: la donna si integra lentamente nella vita culturale spagnola, le autrici vengono incentivate a riunirsi, nel 2001, nella ”Asociación de Mujeres en las Artes Escenicas de Madrid Maria Guerreras”, senza scopo di lucro, a cui partecipano anche attrici, ricercatrici, produttrici, ecc. Un’attività tutta al femminile che genera nuove iniziative, a cominciare dagli spazi: “Sonambulas” ad Alicante; “Proyecto Vaca y Margaritas” a Barcellona, “Federicas” a Granada, “AMAEM” a Malaga, “Compañia de Teatro del Norte” nelle Asturie e “Caminos de mujer” nei Paesi Baschi. Sono dei collettivi basati sulla collaborazione, affinché le nuove autrici possano partecipare a rassegne, mostre di teatro, pubblicazioni, ricerche. Altro dato interessante è la necessità di creare un Festival de Mujeres, ed ecco
Anfistora). Le donne che scrissero teatro nel secolo anteriore rimasero sempre isolate e non si può parlare di una vera unione con progetti comuni, almeno fino agli anni ‘20 e ’30, durante i quali si consolidano coloro che già scrivevano e si formano nuove autrici, quali María Teresa León, Concha Méndez, Pilar de Valderrama. Dimenticate per decenni, sono state riportate alla luce grazie agli studi di Pilar Nieva de la Paz, Patricia O’Connor, Carolyn Galerstein, Juan Antonio Hormigón e altri. JAVIER HUERTA CALVO, Historia del teatro
español, del siglo XVIII a la epoca actual, cit. pp. 2503-05.
53 MARĺA VICTORIA OLIVA spiega gli obiettivi dell’Associazione di drammaturghe in El espaldarazo de
Tirzo, “El Público”, n.52, gennaio 1988, p. 41.
54 “Promuovere il teatro spagnolo, in generale, e quello femminile in particolare; incentivare lo scambio e i
contatti culturali per un maggior sviluppo e una divulgazione del fare teatro; promuovere la funzione della donna nell’ambito scenico e contribuire alla sua integrazione nella vita culturale spagnola”. VIRTUDES SERRANO, in Paloma Pedrero, Juego de noches. Nueve obras en un acto, CÁTEDRA, Madrid, 2005, p. 14.
apparire la prima “Mostra di Teatro Internazionale Femminista” nel 198755, e l’istituzione di premi teatrali, vinti da donne nate dopo il 1950, il che è un inizio.
La nuova drammaturgia si presenta con un altro protagonista: il testo. Le scrittrici rifiutano la spettacolarità per rimanere legate a tematiche realiste e attuali, cercano il potere della parola perché “el teatro contiene en sí mismo cuerpo, gesto, espacio, luz, pero sobre todo y de manera exclusiva, posee palabras”56; desiderano instaurare profondi valori tematici, attraverso il testo, convinte che esso possieda una vita autonoma e rimangono fedeli al compromesso con la problematica umana (storie di uomini e donne vittime del destino), soprattutto se legata alla difesa dei diritti femminili.
Da questo punto di vista, non esiste una rottura tra di loro e gli autori precedenti, come ricorda Manuel Gómez García57: considerata collettivamente, la produzione dei drammaturghi costituisce, in effetti, una difesa delle libertà dell’uomo, che cerca di essere esemplificata mediante il ricorso a personaggi e situazioni presi dal mondo dei sobborghi, della droga, della solitudine e della marginalità. D’altronde, il teatro di fine secolo spagnolo è:
este nuevo teatro, liberado de condicionantes estéticos, políticos y económicos del pasado, dispone de una completa libertad artística para producir su escritura, Por eso inventa espacios, comprime relatos, alarga tiempos, alterna acciones y, en general permite soñar desde su escenario58.
Per avere un’idea chiara dei capovolgimenti sociali, avvenuti negli ultimi venti anni, è meglio dividere il teatro spagnolo contemporaneo in due categorie. Esiste un teatro professionale, che ricerca una continuità col teatro tragico,
55 SONIA SÁNCHEZ, Aspectos semiológicos, cit., p. 60.
56 “Il teatro contiene in sé corpo, gesto, spazio, luce, ma, prima di tutto ed in modo esclusivo, possiede parola”.
LOURDES ORTIZ, Los horizontes del teatro español, Nuevas autoras, in “Primer Acto”, n.220, settembre-ottobre, 1987.
57 MANUEL GÓMEZ GARCÍA, El Teatro de Autor en España (1901-2000), Asociación de Autores de Teatro,
Valencia, 1996.
58 “Questo nuovo teatro, liberato dai condizionamenti estetici, politici ed economici del passato, dispone di una
completa libertà artistica per poter produrre la sua scrittura. Per questo inventa spazi, comprime racconti, allarga tempi, alterna azioni e, in generale, lascia sognare dalle sue scene”. CÉSAR OLIVA, Teatro Español
messo in scena nei locali rinomati, che raggiunge tanto lo spazio pubblico come quello privato e che costituisce la colonna vertebrale del teatro spagnolo59. Vi poi è il teatro da camera, sperimentale, marginale, realizzato da attori professionisti e non, che ha il desiderio di avvicinare la scena spagnola a quella europea, con drammi e commedie a tematiche attuali, riservato ad un tipo di pubblico selezionato; nella cui specificità sorge la nuova drammaturgia femminile, spesso aiutata dall’amministrazione locale60.
Ecco dunque apparire le principali nuove autrici: María Manuela Reina, che esordisce nel 1984 nel Centro Culturale de la Villa di Madrid con La
libertad esclava, un dialogo tra Erasmo e Lutero all’interno di una precisa
struttura drammatica che - secondo César Oliva - ricorda il miglior teatro europeo61. Nel 1992, nel Teatro Reina Victoria appare Un hombre de cinco
estrellas, nel quale il protagonista, un cavaliere di sessanta anni, attraente per le
signore di mezz’età (e non solo), viene soddisfatto nel vedere quanto seduce, e come lo fa bene.
Ciò che colpisce dell’autrice è il suo percorso. Dopo Lutero, Reina mise in programmazione altre opere, nelle quali i temi erano presi dalla vita quotidiana; scritte in stile realista, mostrano i problemi di una classe media e trionfatrice, schiava dei suoi condizionamenti sociali. La scrittrice segnala in modo tagliante e freddo, senza alcun timore, l’ipocrisia e la crudeltà della classe considerata, in cui le donne hanno troppa intelligenza e poca anima, così come i loro mariti o amanti non hanno sensi di colpa.
Tra le innovatrici emerge Maribel Lázaro, premio Calderón, per Humo de
beleño (1985): è un testo difficile, con numerosi personaggi, tra i quali le streghe
e Satana, disegnato come uno stimolo alla vita; i temi, quali la magia, la sensualità, il piacere e il linguaggio, pur se impregnati di poesia, rivolgono
59 DOMINGO PÉREZ MINIK, Teatro español contemporaneo, Guadarrama, Madrid, 1961, pp. 275-286. 60 FRANCISCO RICO, Historia y critica de la literatura española, Los nuevos nombres: 1975-1979, Ariel,
Barcelona, 1992, pp. 579-582.
61 CÉSAR OLIVA, in Temática y forma en el teatro de las mujeres en España, in “Estreno”, vol. XXI, n.1,
molte allusioni alla Spagna ribelle degli anni Settanta (probabilmente anche per motivi autobiografici). Risultato: non venne mai rappresentato62.
Pilar Pombo, invece, comincia a scrivere nel 1988 una serie di monologhi (i cui titoli sono i nomi delle protagoniste: Amalia, Remedios, Purificación,
Isabel, Sonia) il cui scopo è cercare un’introspezione nell’animo femminile.
Viene premiata nel 1990 per No nos escribas màs canciones, nonostante il testo non venga rappresentato in Spagna, bensì in Inghilterra. L’autrice presenta, attraverso tredici personaggi, un teatro tradizionalista, di costume, poco comune oggigiorno e riflette un mondo solitario: da una casa di un quartiere modesto è uscito un cantante, un vincitore, che usa le sue origini umili come tema per le proprie canzoni, ma che nasconde molta superficialità; egli è totalmente lontano dalla sua vita, dai suoi problemi.
Un esempio calzante di come la storia, da secoli narrata dall’uomo, sia sempre stata “maschile” (gli eroi più conosciuti erano uomini, così come gli storici e i critici, con i loro pensieri, le loro personali considerazioni63) è il testo di Concha Romero, Las bodas de una Princesa, pubblicato nel 1987, in cui la libertà poetica è usata per narrare la vita personale di Isabella di Castiglia, vittima del sistema imperiale che le impone un matrimonio combinato, al quale si sottrarrà scappando. L’autrice descrive dal proprio punto di vista - femminile - e denuncia l’abuso di potere sulle persone, in particolar modo sulla donna, quando viene trattata come oggetto di scambio.
Un’altra scrittrice che ama confrontarsi col tema femminile attuale è Yolanda Pallín, vincitrice di premi ufficiali per gli autori giovani, come il Maria
62 JULIA GARCÍA VERDUGO, Tematica y forma en el teatro de las mujeres en España, cit., p.18.
63 Gran parte di ciò che conosciamo delle donne del passato ci viene trasmesso dagli uomini: opere letterarie,
testi normativi, espressioni artistiche, trattati morali costituiscono il discorso degli uomini sulle donne. Testimonianze importanti, ma che devono essere decodificate e affiancate ad altri tipi di fonti capaci di trasmettere in modo più diretto l’esperienza e il pensiero delle donne, come le fonti orali o quelle processuali (ad esempio inquisitoriali e criminali, ma anche archivi di magistrature ecclesiastiche e civili). Per non parlare di tutta una serie di lettere, testimonianze dirette, che ci permettono di ricostruire aspetti ed episodi di vita femminile: sono soprattutto monache ed aristocratiche, donne cioè acculturate e con un’estesa rete di relazioni. Esempi famosi per la letteratura femminile spagnola sono le lettere di Santa Teresa de Avila (1515-1582) e di Suor Juana Inés de la Cruz (1651-1695), note per i loro testi audaci.
Teresa León (creato esclusivamente per donne) nel 1995 per Los restos de la
noche. Yolanda, come le sue colleghe, discute sul disamore, sui non-incontri,
sulla frustrazione; i suoi monologhi mostrano la solitudine, l’astio, l’incomunicabilità e la mancanza di un legame col mondo. Anche Maria José Ragué Arias ha come protagoniste dei suoi drammi donne decise a cambiare il proprio destino (tema tra i più ricorrenti anche in Paloma Pedrero).
I.2.3. LA VOCE DELLE DONNE.
Sul teatro scritto dalle donne è stato discusso a lungo: tra le varie questioni prevale il dubbio se la scrittura sia diversa o meno, a causa del sesso delle autrici, o se esista un’eredità matriarcale nei loro testi. A tal proposito la scrittrice Griselda Gambaro64, nel 1980, si interrogava proprio sul fatto se fosse possibile e desiderabile, una drammaturgia femminile nello specifico. La sua risposta è tuttora attuale:
la contribución al teatro que podemos hacer [..] nacerá de nuestra propria identidad, que también tiene sexo, naturalmente. Nuestra identidad nos viene de nuestra inserción en el mundo, de la mirada que lancemos a ese mundo intentando desentrañar sus riquezas, sus carencias, sus conflictos [..] Las mujeres deben escribir un teatro especial y hacer una contribución especial al teatro por el valor intrínseco de las obras, por la propuesta ética, por la riqueza de imaginación, de síntesis y de juego que encierran las obras 65.
64 Griselda Gambaro (Buenos Aires 1928), cominciò a scrivere in giovane età, narrativa e drammaturgia.
Durante la dittatura, un decreto del generale Videla proibì il suo romanzo, Ganarse la muerte (1976), considerato contrario alle istituzioni familiari e all’ordine sociale; esiliò dunque a Barcellona. Tra i suoi numerosi testi, ricordiamo Madrigal en ciudad (ed. Goyanarte, 1963), premio Fondo Nacional de las Artes; El Destino (Emecé Editores, 1965), Premio Emecé; Nada que ver con otra historia (Torres Agüero Editor, 1987).
65 “Il contributo al teatro che possiamo dare [..] nasce dalla nostra specifica identità, che ha anche un sesso,
naturalmente. La nostra identità proviene dal nostro inserimento nel mondo, dallo sguardo che mandiamo quando cerchiamo di scoprire le sue ricchezze, le sue mancanze, i suoi conflitti. [..] Le donne dovrebbero scrivere un teatro speciale e dare un contributo speciale al teatro per il valore intrinseco delle opere, per la proposta etica, per la ricchezza dell’immaginazione, di sintesi e di gioco che rinchiudono le opere.” GRISELDA GAMBARO, Es posible y deseable una dramaturgia específicamente femenina?, in “Latin American Theater Review”, 1980, p.21.
La stessa intenzione, di una scrittura esclusiva permeata di eredità maschile, viene avvertita oltre oceano; un esempio sono le parole della scrittrice messicana Sabina Barman66:
Yo tuve que pasar una revolución femenista por dentro, con respecto a la escritura..porque todo lo que había leído, o casi todo, había sido escrito desde un punto de vista masculino.. Sì, en el lenguaje está la ideología de una cultura. Ahorita estamos en una época de transición, sobre todo las mujeres, y tenemos que revisar todas esas cosas que nos enseñaron en primaria67.
Le nuove donne spagnole provano a mostrare la propria identità come autrici: tra il 1983 e il 1988 percorrono una strada isolata ed in salita, ma con discreto successo; la critica teatrale si accorge di loro ed hanno inizio le prime pubblicazioni68. Cercano in seguito l’appoggio di organismi come l’INAEM o l’Istituto della Donna per organizzare letture drammatizzate, mettere in scena e pubblicare i loro testi. Sono circa 15 le scrittrici (tra cui Pilar Pombo, Maribel Lázaro, Julia Jimenez, Yolanda García Serrano, Concha Romero, Paloma Pedrero) che si riuniscono in una libreria di teatro (La Avispa, coordinata da Julia García Verdugo) e commentano insieme le loro opere. Immediatamente sentono la necessità di definirsi, per “non essere qualificate come femministe”69, ma con un loro linguaggio specifico: gli storici del teatro affermano che quando le scrittrici spagnole contemporanee, dalle narratrici alle drammaturghe, si dichiarano apertamente femministe attraverso i propri testi e lo fanno in modo estremo, rischiano di assumere un tono più che polemico e di venir giudicate
66 Sabine Berman, nata nel 1952, viene definita una delle stelle più brillanti nel panorama della letteratura
messicana femminile. Vincitrice più volte del premio Nacional de Teatro, del Istituto Nacional de Bellas Artes, dichiara di non essere attivista, ma di avere il compito di scrivere.
www.literaturainba.com/escritores/entrevista_sabina_berman.htm 13k
-67 “Io dovetti superare una rivoluzione femminista dentro di me, rispetto alla scrittura, perché tutto quello che
avevo letto, o quasi tutto, era stato scritto da un punto di vista maschile [..]. Sì, l’ideologia di una cultura è proprio nel linguaggio. Ora siamo in un’epoca di transizione, soprattutto per le donne, e dobbiamo rivedere tutto ciò che ci insegnarono da piccole”. SABINE BARMAN, Entre fronteras, in “Dactylus”, n.13, 1994, pp. 34-35.
68 Il libro di PATRICIA ‘O CONNOR, Dramaturgas españolas de hoy. Una introdución, Madrid, Fundamentos,
1988, è il primo che si occupa di drammaturgia femminile di questa decade.
aggressive; tale è l’opinione delle scrittrici emerse negli ultimi anni; al riguardo Rosa Montero70 dichiara:
Me considero feminista o, por mejor decir, antisexista, porque la palabra feminista tiene un contenido semántico equívoco: parece oponerse al machismo y sugerir por tanto, una supremacía de la mujer sobre el hombre, cuando el grueso de las corrientes feministas no sólo no aspiran a eso, sino que evidencian justamente todo el contrario: que nadie resulte supeditado a nadie en razón de su sexo, que el hecho de haber nacido hombres o mujeres no nos encierre en uno estereotipo71.
Quando si parla di teatro femminista, infatti, è facile confondersi con l’accezione militante del termine ed è per simili considerazioni che le autrici non vogliono assumere l’etichetta di femministe (anche se il termine ha un significato ampio), ma di antisessista, e preferiscono essere tenute in conto per il proprio lavoro, indipendentemente dal sesso, come scrittrici di un “teatro delle donne”72, fatto cioè da donne e avente tematiche e specificità femminili. Di fronte al grande dilemma, ovvero se cercare di scrivere come tutti, cioè come gli uomini, o se trovare una propria voce, in mancanza di una strada maestra, rimanevano confuse e in disparte. Non è anche vero, tuttavia, che la voce di ogni artista è muta, fuori posto, spesso scomoda e perseguitata, proprio come la condizione femminile?
In Spagna le artiste da sempre si sono proposte, come obiettivo, quello di accentuare l’asessualità73 del testo e, allo stesso tempo, la differenza di scrittura rispetto a quella maschile: l’arte non ha sesso, dice Carmen Resino74, però
70 Rosa Montero (Madrid, 1951) si dedicò, sin da giovanissima, alla scrittura, collaborando con gruppi teatrali
indipendenti, come Tabano e Canon. Ottenne numerosi riconoscimenti per i suoi racconti e romanzi, sempre rivolti ad uno sguardo femminile, e il Premio Nacional de Periodismo per i suoi articoli a El País. Scrive sceneggiature per la televisione spagnola dal 1981. Da ricordare, per il teatro, Sólo los peces muertos siguen el
curso del río, del 1999.
71 “Mi considero femminista, o meglio antisessista, perché la parola femminista ha un contenuto semantico
equivoco: sembra opporsi al maschilismo e suggerire pertanto una supremazia della donna sull’uomo, quando il principio della corrente femminista non solo non aspira a questo, bensì evidenzia, giustamente, tutto il contrario: che nessuno risulta subordinato ad un altro in base al suo sesso e che il fatto di nascere uomo o donna, non deve costringerci in uno stereotipo”. SONIA SÁNCHEZ, Aspectos semiológicos, cit., p.54.
72 Secondo la definizione di PATRICE PAVIS, Dizionario teatrale, Zanichelli, Bologna, 1998, p.458.
73 WILFRIED FLOECK, El teatro español contemporáneo (1939-1993). Una aproximación panorámica, in
Alfonso de Toro y Wilfried Floeck (a cura di), Reichenberger, Kassel, 1995.
l’autore sì!, aggiunge Paloma Pedrero75. La critica le attacca (la stessa Pedrero viene definita “perversa”76; a Maribel Lázaro viene raccomandato molto riposo77, dopo la messa in scena), mentre loro desiderano che venga riconosciuto il fatto di avere un proprio linguaggio, perché non vogliono più adeguarsi al canone maschile; in poche parole non vogliono avere una voce neutrale, irriconoscibile tra tante, ma una propria specificità. Dunque solo mettendosi alla prova e vedendo gli spettacoli che scaturivano dai loro testi, si poteva comprendere la diversa sensibilità nell’approccio al teatro.
Il loro atteggiamento cerca però di non cadere nell’isolamento: la narratrice venezuelana Judit Gerendas78 afferma l’esistenza di una voce femminile, ma non di una letteratura al femminile perché “me parece absurdo: hay una sola literatura, pero sí hay una voz femenina dentro de la poesía y de la narrativa”79. C’è anche chi, come Alicia Redondo Goicoechea, riconosce che in Spagna le scrittrici agiscono in modo contraddittorio, quando rimangono dell’idea di una letteratura femminile per sostenere la propria singolarità; senza ombra di dubbio difendono la creatività della donna, e in questo senso sono femministe, perché rifiutano gli abusi e lo sfruttamento che possono derivare dall’appartenere al cosiddetto “sesso debole”. Affermano, dunque, il diritto ad essere donne.
Il gruppo emergente degli anni’80, accusato più volte di vicinanza al femminismo, risponde tramite la portavoce dell’Associazione Carmen Resino80:
75 WILFRIED FLOECK, El teatro español contemporáneo, cit., p.50. 76 LOURDES ORTIZ, Nuevas autoras, cit., p.15.
77 Ibid.
78 Judit Gerendas (venezuelana nata a Budapest nel 1940), è ricercatrice, saggista, docente e narratrice. Riceve
nel 1996 il Premio annuale del Concurso de Cuentos, dal periodico venezuelano “El Nacional” con La escritura
femenina, romanzo nel quale femminilità e maternità sono apparenti scuse per un testo riflessivo che naviga nei
meandri dell’essere umano; è la sua confessione dell’idea del senso della vita, accompagnata da ironia.
79 “Mi sembra assurdo: c’è una sola letteratura, però esiste una voce femminile all’interno della poesia e della
narrativa”. ANTONIO PARRA, Entrevista con Judit Gerendas, in “Kalatos”, 7 settembre 2000.
80 Premio Lope de Vega nel 1974: i suoi temi ruotano spesso attorno alla posizione della donna in una società
Mi postura es completamente abierta. Pero me parece también que el solo hecho de que nosotras, mujeres, estemos creando teatro, es un signo claro de feminismo. Lo interesante es el acto creativo, un acto que globalice los problemas que afectan tanto a hombres como a mujeres. Y a nosotras que no se nos considere como “mujeres que escibimos”, sino como creadores que somos81.
Il problema veniva sollevato nel momento in cui le persone, al termine degli spettacoli, o durante le interviste, si interrogavano su ciò che, per loro, era diventata una norma stabilita: quando, cioè il testo conteneva una sfumatura, un dettaglio particolare esaminato da un punto di vista femminile, veniva etichettato senza indugio come un libello femminista. Un aneddoto aiuta a comprendere il fenomeno che si era venuto a creare nel periodo analizzato: nel giorno per la difesa della donna, organizzato dall’Associazione a Siviglia, misero in scena un monologo di Carmen Resino e, tra le quattrocento signore presenti nel pubblico, una in particolare suggerì quanto sarebbe stata fondamentale la presenza dei reciproci mariti, per esprimere solidarietà con le problematiche femminili82.
Sostiene il cattedratico di storia del teatro César Oliva che spesso è il senso comune, o le idee che circolano nella società, a dare giudizi e punti di vista negativi, a processare degli spettacoli solo perché non corrispondono all’ideologia che si vuole mantenere: le donne ora hanno rotto questo silenzio83. Bisogna ammettere che la maggior parte di esse, comunque, rifiutò con forza il ‘femminismo dogmatico’, e si impegnò a sviluppare un parametro di drammaturgia nel quale lo sviluppo del personaggio femminile, ed i conflitti a lei legati, si allontanasse dai canoni stabiliti e collocasse la donna come individuo attivo, capace di decidere il proprio destino. L’influenza di tale
81 “La mia posizione è di completa apertura. Mi pare però anche che, il solo fatto che noi, donne, stiamo creando
teatro, sia un chiaro segno di femminismo. Interessante è l’atto creativo, un atto che unisce i problemi che colpiscono tanto gli uomini, quanto le donne. E non essere considerate come ‘donne che scrivono’, bensì come le creatrici che siamo”, CARMEN RESINO, Los horizontes, in “Primer Acto”, cit., pp. 14-15.
82 Il testo si intitola Tengo razon o no? (Ho ragione o no? ), nel quale si analizza la condizione femminile a
partire dal monologo di un uomo abbandonato dalla sposa; egli, sorpreso dal suo successo, descrive la propria vita, dando motivo in più per la decisione di abbandono.
83 CÉSAR OLIVA, in ENRIQUE CENTENO, La escena española actual, Cronica de una decada (1984-94),
attitudine non tardò ad avvertirsi nella drammaturgia maschile degli anni ’90, come conseguenza di un procedimento di uguaglianza tra autori ed autrici, non solo in ambito privato, bensì anche come un valore sociale.
I.2.4. IL NUOVO TEATRO DELLE DONNE IN SPAGNA
Le scrittrici cominciano dunque a muoversi: prime fra tutte María Manuela Reina, una delle autrici più giovani ad entrare nel circuito teatrale commerciale; Lourdes Ortiz, cosciente del fatto che il teatro è realizzato da meccanismi altri e che bisogna arrivare ad un compromesso per poter inscenare i propri testi; Ortiz dichiara di essere molto interessata al teatro come modo di espressione, ma che:
Me di cuenta inmediatamente de que el teatro tiene otros mecanismos. No basta con escribir unos textos, sino que después uno quiere que ese texto se represente.. No sé si con ingenuidad o con valentía decidí que lo que me interesaba entonces era probar eso y convertirme en directora de mis proprios textos84.
Bisogna ringraziare Patricia ‘O Connor se le drammaturghe emergenti Lourdes Ortiz, Manuela María Reina, Paloma Pedrero e Concha Romero vengono inserite tra le sette Drammaturghe spagnole di oggi85: è la prima volta, infatti, che esce un libro dedicato alla drammaturgia femminile in cui si è voluta evidenziare la prospettiva femminista rispetto a quella letteraria, come sottolinea la stessa Virtudes Serrano, narratrice delle trasformazioni avvenute dalla nascita dell’Associazione86. Viene documentata, inoltre, la resurrezione della letteratura drammatica: la Sociedad General de Autores Españoles (SGAE) pubblica nello stesso tomo opere che hanno fatto la storia (o che sono più commerciali, come
84 “Mi resi immediatamente conto che il teatro ha altri meccanismi. Non basta scrivere dei testi, in seguito si
desidera rappresentarli. Decisi, quindi, non so se con ingenuità o con coraggio, che ciò che mi interessava era di provare questa strada e di dirigere i miei propri testi.” Intervista in “Estreno”, vol. X, n.2, p.18.
85 PATRICIA ‘O CONNOR, Drammaturgas españolas de hoy, cit. 86 VIRTUDES SERRANO, Teatro breve entre dos siglos, cit., pp. 20-21.
quelle di Ana Diosdado) e quelle di autrici che si rappresentano per le prime volte negli anni ’80, come Pedrero, Lluïsa Cunillé o Carmen Resino. Anche la televisione pubblica, come la catalana TV3, dedica più attenzione al discorso teatrale, finora relegato a genere minore.
La differenza del loro modo di scrivere, rispetto alle generazioni precedenti, sta forse nel fatto che ora tutte provengono dal mondo universitario e hanno avuto la possibilità di frequentare corsi di scrittura o di teatro in generale; esse utilizzano un linguaggio semplice ed esplicito, anche quando si tratta di argomenti difficili, prima censurati. Rimangono appartenenti ad una collettività e continuano alcuni dei principi dell’Associazione, come osservare e descrivere le discriminazioni cui sono ancora sottoposte le donne odierne e le delusioni (spesso vissute in prima persona), denunciate attraverso i loro personaggi; infine la sensibilità verso certi argomenti, come la violenza subita in casa, che lo scrittore comune non considera affatto. Conferma la critica, ed esperta conoscitrice di teatro spagnolo, Virtudes Serrano, che esse scrivono i propri testi con un altro sguardo, è “otra forma de ver y de construir”87. Le nuove drammaturghe usano, inoltre procedimenti metateatrali, nei quali si fondono persona e personaggio in un costatante ritorno, o scambio, di essere ed apparire; il pubblico stesso viene implicato, come elemento ora di distanza, ora di partecipazione; la presenza di mondi inconsci, che confondono luogo e tempo nei quali si sviluppano le azioni, ricordano le atmosfere del Barocco, riviste in chiave contemporanea. Le nuove autrici hanno in comune la tematica urbana e le relazioni personali, una scenografia minimalista, la rapidità delle azioni e diversi linguaggi scenici, anche quelli più complessi, quali il video, la danza; mischiano, inoltre, il teatro con i mezzi alternativi, come gli audiovisivi; partecipano inoltre attivamente alle loro produzioni, essendo, oltre che autrici, anche attrici, registe, produttrici.
87 “Un’altra forma di vedere e di costruire”, Virtudes Serrano, in SONIA SÁNCHEZ, Aspectos semiológicos,