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Dallo Shah a Ahmadinejad: la questione nucleare nelle relazioni tra Iran e Stati Uniti

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di Laurea Magistrale in Studi Internazionali

Dallo Shah a Ahmadinejad: la questione

nucleare nelle relazioni internazionali tra

Iran e Stati Uniti

Candidato: Manuele Poli

Relatore: Prof.ssa Marinella Neri Gualdesi

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2

Indice

Sigle e Acronimi p.4

Introduzione p.5

Capitolo Primo

.

La Rivoluzione Islamica 1.1 L’Operazione Ajax p.9

1.2 Le radici della rivoluzione islamica e l’ascesa di Khoemeini p.14 1.3 La Rivoluzione p.25

1.4 “The Embassy is taken” p.31 1.5 Gli Atomi per la Pace p.38

Capitolo Secondo. La Lunga Guerra 2.1 Un contesto particolare p.41

2.2 La mobilitazione totale p.46

2.3 Fine della neutralità americana p.50 2.4 La Lunga Guerra p.53

2.5 Lo scandalo Irangate p.57

Capitolo Terzo. Dual Containment e Programma Nucleare: Clinton e Rafsanjani 3.1 La successione di Khoemeini p.63

3.2 I rapporti tra Stati Uniti e Iran all’indomani della “Lunga Guerra” p.66

3.3 Obiettivi della politica estera iraniana agli inizi degli anni Novanta: un quadro generale p.70 3.4 La capacità nucleare p.73

3.5 Le infrastrutture nucleari iraniane p.77 3.6 “Dual Containment” di Iran e Iraq p.80 3.7 Iran e Russia: accordi nucleari p.88

Capitolo Quarto. Muhammad Khatami e George W. Bush: questione afgana e sfida nucleare

4.1 Il nuovo Presidente Muhammad Khatami p.92

4.2 Il secondo mandato di Khatami e l’amministrazione Bush p.103 4.3 La questione afgana p.105

4.4 La sfida nucleare p.110 4.5 Il Grande Affare p. 115

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3 Capitolo Quinto. Dal radicalismo di Ahmadinejad alla diplomazia di Obama 5.1 L’avvento di Ahmadinejad al potere p.118

5.2 La politica estera di Ahmadinejad: scontro con l’Occidente p.120 5.3 L’Occidente contro il programma nucleare iraniano p.126 5.4 Barack Obama: “A New Beginning” p.132

Conclusioni p.142

Bibliografia p.153

Sitografia p.156

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4

Sigle e Acronimi

CIA, Central Intelligence Agency

AIOC, Anglo Iranian Oil Company

NIOC, National Iranian Oil Company

SIS, Secret Intelligence Service Pri, Partito Repubblicano Islamico

Cri, Consiglio della Rivoluzione Islamica

TOW, Tube-launched Optical-tracking Wire-guided

NSA, National Security Agency

NSC, National Security Council

CSN, Consiglio per la Sicurezza Nazionale

TNP, Trattato di Non Proliferazione

AEOI, Atomic Energy Organization of Iran

ILSA, Iran-Libya Sanctions Act

AIEA, Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica

IAEA, International Atomic Energy Agency

AIC, American Iranian Council

CWC, Chemical Weapons Convention

OPCW, Organization for the Prohibition of Chemical Weapons

MEK, Mojahedin-e-Khalq

NCRI, National Council of Resistance of Iran

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5

Introduzione

Iran. Per gli americani questo nome porta alla mente immagini differenti: gli Ayatollah che incolpano gli Stati Uniti di tutti i mali del mondo; sequestro di ostaggi; terrorismo; avversario principale negli ultimi trent’anni nell’area del Golfo Persico. Per gli americani inoltre l’Iran è simbolo di frustrazione, negazione dei diritti e delle libertà fondamentali, sfruttamento, corruzione, fondamentalismo. Infine, è la più grande minaccia dal punto di vista del perseguimento delle armi nucleari.

America. Per gli iraniani questo nome significa “Operazione Ajax”, interferenza negli affari interni, civiltà impura, ostacolo nello sviluppo delle suoi obiettivi, amico degli assassini “israeliani”; ostacolo al progresso energetico, che secondo i governi iraniani dai tempi dello Shah Muhammad Reza Pahalavi ad Mahmud Ahmadinejad, si incarna nello sviluppo dell’energia nucleare. In una parola l’America per gli iraniani è il “Grande Satana”.

L’unico modo per capire gli ultimi 50 anni di confronto acceso tra i due paesi è studiare la storia della loro relazione.

A partire dal fatidico 1953, anno del colpo di Stato architettato dalla CIA per rimettere al governo lo Shah Reza Pahlavi, amico da sempre degli Stati Uniti. Questo è stato il “casus belli” che ha generato un rancore talmente forte nell’orgoglio iraniano che in seguito ha portato al definitivo collasso dei rapporti tra Teheran e Washington.

Nel settembre 2008, in occasione dell’assemblea delle Nazioni Unite, così come riportato da Kenneth M. Pollack nel suo libro “The Persian Puzzle”, Ahmadinejad non ha mancato di ricordare come alla radice dell’ostilità iraniana contro gli Stati Uniti vi sia il noto colpo di Stato contro Mohammad Mossadeq nel 1953. Questa è la prova che il trauma di quell’episodio, non è stato ancora superato e anche in America molti oggi ritengono che l’occupazione dell’Ambasciata americana di Teheran del 1979 fu, in qualche modo, una risposta diretta ai fatti del 1953. Ed è proprio a partire dal 1979 che cessarono le relazioni diplomatiche tra i due paesi. In questo anno infatti, in Iran si è instaurata una teocrazia con forti basi populiste, nutrita da riti apparentemente

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6 democratici, come le elezioni, al vertice della quale regna quasi incontrastato il clero sciita, unico esperimento del genere al mondo.

Seguendo quindi il processo storico che segna le relazioni tra Stati Uniti e Iran, il lavoro che segue è diviso sostanzialmente in tre parti.

Nella prima parte viene ricostruita la vicenda del 1953 con il susseguente governo dello Shah che durerà ben 26 anni, periodo nel quale gli Stati Uniti potevano contare sull’Iran come uno dei “twin pillars” del Golfo Persico.

Dopodiché attraverso un’analisi che riguarda le vicende interne iraniane, soprattutto l’ascesa al potere di Ruhollah Khoemeini e il suo “Velayat e-Faqih”, e il rapporto con gli Stati Uniti con le presidenze John Kennedy, Richard Nixon e Jimmy Carter, si arriva al fatidico 1979 caratterizzato dalla Rivoluzione Islamica e dalla presa dell’Ambasciata statunitense; evento quest’ultimo che fa cessare le relazioni diplomatiche tra i due paesi. Un’analisi a parte sarà fatta per la questione nucleare già esistente ai tempi dello Shah: sviluppo dell’energia nucleare che in quell’epoca fu sponsorizzato anche dagli Stati Uniti con il famoso programma del Presidente Dwight Eisenhower “Atomi per la

Pace”, e da vari partner europei, come Francia e Germania.

Un anno dopo la rivoluzione scoppiava la “Lunga Guerra” tra Iran e Iraq, caratterizzata dalla perdita di migliaia di vite. Una guerra che consentì a Khoemeini di “islamizzare” fino in fondo la rivoluzione, con l’eliminazione di quelle correnti sociali e politiche che, assieme al clero, avevano detronizzato la dinastia Pahlavi. Un focus particolare è dedicato alla vicenda Irangate, che mise in pericolo la credibilità americana a livello nazionale e internazionale.

La seconda parte ripercorre invece le presidenze di Akbar Hashemi Rafsanjani , Presidente della Repubblica dal 1989 ( anno della morte di Khomeini) al 1997, e il doppio mandato di Mohammad Khatami, dal 1997 al 2005, ovvero, i tentativi di segno diverso (pragmatico il primo, riformista il secondo), di tenere in vita l’esperimento rivoluzionario dopo la morte del padre della rivoluzione. In particolare, sarà data sempre più attenzione alla politica estera sia dell’Iran che degli Stati Uniti. Durante la Presidenza Rafsanjani viene messo in evidenza come la questione nucleare divenne una delle priorità della politica iraniana. Le minacce provenienti dai confini, il processo di pace messo in atto in Medio

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7 Oriente e la volontà di diminuire l’influenza americana nel Golfo, portarono il governo iraniano a riprendere in mano la possibilità di raggiungere la capacità nucleare. Russia, Cina, Pakistan e Nord Corea, saranno i referenti iraniani per sviluppare la capacità nucleare. L’America attraverso i suoi presidenti George Bush, e soprattutto Bill Clinton iniziò ad attuare quella politica del “Containment” che gli Stati Uniti hanno portato avanti quasi fino ai giorni nostri.

La paura di un Iran nucleare cominciava a essere seria. Solo con l’elezione di Khatami nel 1997, la ripresa delle relazioni sembrava essere possibile.

Significativo e importante fu il discorso pronunciato dal presidente Bill Clinton il 12 aprile 1999, con cui l’America porgeva le sue scuse per gli avvenimenti di 50 anni prima.

Nonostante la buona volontà però, le relazioni tra i due paesi non riuscivano a fare passi avanti importanti. Inoltre, con l’elezione di George W. Bush nel novembre 2000 a Presidente degli Stati Uniti e l’avvento dei “neo-con” al potere, la politica estera americana cambiò anche in conseguenza degli eventi che caratterizzeranno la politica americana di lì a un anno.

La terza parte del lavoro infatti, riguarda i rapporti tra Stati Uniti e Iran dal 2001 a oggi.

L’11 settembre 2001, con l’attentato alle torri gemelle, inaspettatamente fece migliorare i rapporti tra i due paesi. La causa afgana, infatti, accomunava entrambi e la collaborazione iraniana all’operazione Enduring Freedom in Afghanistan fu notevole. Il nuovo Presidente Bush, inoltre, attivò una politica estera volta a distruggere il terrorismo. In questo periodo infatti, non era utile all’Iran mettersi contro l’America.

Il supporto al terrorismo, e soprattutto il perseguimento della capacità nucleare, però non erano mai cessati. Il famoso discorso del Presidente Bush che indicava Iran, Corea del Nord e Iraq come l’ “Asse del Male”, precedette di poco le rivelazioni del 2002 da parte del NCRI (National Council of Resistance of

Iran) dei nuovi impianti nucleari di Natanz e Arak del 2002. I rapporti si

raffreddarono di nuovo. La IAEA (International Atomic Energy Agency), Stati Uniti e Europa chiedevano all’Iran maggiori ispezioni e più trasparenza.

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8 La situazione precipitò nel giugno 2005, quando inaspettatamente le elezioni presidenziali iraniane furono vinte dall’ex Pasdaran Mahmud Ahmadinejad. Il neo Presidente non tardò a mostrare tutta la sua ostilità nei confronti dell’Occidente. Nelle sue prime uscite parlò di cancellare Israele dalle mappe della Terra e dichiarò che nessuno poteva permettersi di bloccare la “naturale” e pacifica ricerca dell’energia nucleare dell’Iran. Questo portò dritti alla decisione da parte della IAEA nel febbraio 2006 di rimettere la situazione in mano al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Da questo momento in poi si susseguirono una serie di risoluzioni da parte delle Nazioni Unite e sanzioni da parte del governo americano nei confronti di Teheran. La politica estera americana e iraniana stava andando in direzione di uno scontro pericoloso. Soltanto con l’elezione di Barack Obama nel 2008 scaturivano le speranze di una nuova via diplomatica e pacifica. “Diplomacy first” e “Diplomacy Without

Preconditions” erano gli slogan della nuova politica estera americana.

Sembrava l’inizio di una strada diretta verso la riappacificazione tra i due paesi, quando a Vienna, due settimane dopo i negoziati di Ginevra nell’ottobre 2009, Teheran, soprattutto a causa delle pressioni interne, mise in discussione la proposta internazionale di inviare una buona percentuale di uranio arricchito in Russia.

Questa notizia ha segnato la fine dei negoziati e ha spianato la strada alla Risoluzione 1929 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che impose il quarto round di sanzioni finanziarie ed economiche

La Risoluzione segnò il punto di cambiamento dell’attitudine americana nei confronti dell’Iran. Di qui a poco ulteriori sanzioni sarebbero state intraprese. La politica della “diplomazia prima”, arrivati a questo punto, non aveva raggiunto i risultati sperati.

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Capitolo Primo. La Rivoluzione Islamica

1.1 L’Operazione Ajax

Per capire le cause, le ragioni e le motivazioni che portarono alla Rivoluzione Islamica del 1979, è utile, se non indispensabile, ricostruire il percorso storico che precedette quel fatidico anno.

Il 19 agosto 1953 è la data da cui iniziare; proprio quel giorno gli Stati Uniti, con l’appoggio del Regno Unito, portarono a termine la cosiddetta “Operazione

Ajax”, una missione organizzata dalla CIA, appoggiata dal Regno Unito, che

aveva come obiettivo il rovesciamento del regime iraniano guidato da Mohammed Mossadeq.

La crisi che portò al rovesciamento del regime iraniano ebbe inizio nel marzo 1951, quando la commissione petrolifera presieduta da Mossadeq, decise di nazionalizzare la Anglo-Persian Oil Company1. Il 3 marzo il Primo Ministro Ali Razmara (pro-occidente), si presentò in Parlamento per cercare di bloccare la nazionalizzazione, ma venne sconfitto. Decise allora di rivolgersi direttamente

1

“Nel 1908 una compagnia petrolifera britannica, dopo tanti tentativi a vuoto, ordinò di fermare le

ricerche, ma il determinato ingegnere in carica, convinse la compagnia che una ricca zona sarebbe stata presto trovata. Abbastanza sicuro, almeno fino all’ultimo momento, le trivelle urtarono un pozzo. Il primo tenente dell’ammiragliato Winston Churchill capì subito il potenziale della scoperta. La flotta britannica, in competizione con la marina imperiale, fu convertita dal carbone al petrolio, come parte del suo programma modernizzatore. Il petrolio persiano diventò un bisogno strategico primario,e di

conseguenza il governo britannico comprò la parte di maggioranza della compagnia. Il governo persiano in cambio ricevette il 16% . Una volta organizzata la distribuzione del potere, la corporazione prese il nome di Anglo-Iranian Oil Company.” Barry Rubin, “Paved with Good intentions”, Oxford University

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10 alla nazione; ma allo stesso tempo Mossadeq e l’Ayatollah2 Kashani risposero organizzando manifestazioni in piazza. Lo stesso giorno Razmara venne assassinato. Con la morte di Razmara ogni velleità di bloccare la nazionalizzazione dell’AIOC, venne meno.

All’indomani dell’assassinio, il Comitato del Majlis3 sulle questioni petrolifere,

approvò all’unanimità una mozione a favore della nazionalizzazione.

La decisione drastica del Comitato scaturì dopo la bocciatura del cosiddetto “Accordo Supplementare” (assicurazione sulle condizioni di vita, aumento del 50% delle royalties, aumento prospettive di carriera per gli impiegati iraniani4) alla concessione del 19335, proposto dagli inglesi.

Il Regno Unito rispose molto duramente sostenendo che la nazionalizzazione era illegale secondo il diritto internazionale e ricorse al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, che finirono tuttavia per riconoscere il diritto di Teheran ad agire. Al contempo, l’Inghilterra intraprese un’intensa attività diplomatica che portò presto a un boicottaggio mondiale del petrolio iraniano. I britannici ostacolarono il commercio estero e gli affari dell’Iran, esercitando contemporaneamente una pressione diplomatica sui loro alleati affinché facessero lo stesso.

2

“Gli Hojatoleslam, chierici che hanno compiuto un ciclo completo di studi religiosi e sono autorizzati a

interpretare la legge islamica, selezionano, mediante consenso interno, dei teologi di alto rango o Ayatollah (Segni miracolosi di Dio). Tra gli Ayatollah , coloro che hanno redatto un “Trattato di vita pratica” o di “Spiegazione dei problemi religiosi” , sono riconosciuti come “modelli di imitazione”. Essi portano il titolo di “grande Ayatollah” (ayatollah ol-ozma) e rappresentano il ristretto vertice di questa ierocrazia in turbante.” Renzo Guolo, “La Via dell’Imam”, Edizioni Gius Laterza&Figli Spa, Roma-Bari,

2007, p.34. 3

Termine arabo che significa Parlamento. 4

Stefano Beltrame, “Mossadeq. L’iran, il petrolio, gli Stati Uniti e le radici della rivoluzione islamica”, Rubbettino Editore, Catanzaro, 2009., p.124.

5

“ Il 29 aprile 1933, il Presidente dell’APOC, John Cadman, e il Ministro delle Finanze iraniano,

Taquizadeh, firmarono una nuova concessione; fu concordato un aumento delle royalties dal 16 al 20% e un miglioramento della paga e delle condizioni di vita degli impiegati iraniani nella Compagnia. Queste condizioni non furono tuttavia mai rispettate.” Stefano Beltrame, “Mossadeq”, op.cit., p.100.

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11 Mossadeq, che nell’aprile 1951 diventò Primo Ministro, rispose con l’espulsione dei tecnici inglesi da Abadan prima (ottobre 1951) e con la rottura dei rapporti diplomatici con Londra e la conseguente espulsione di tutto il personale dell’Ambasciata britannica poi (ottobre 1952); inoltre attraverso una forte campagna di sensibilizzazione, Mossadeq cercò di portare dalla sua parte la popolazione nella lotta contro gli inglesi a causa delle “ingerenze” negli affari interni iraniani.

La reazione di Washington alla nazionalizzazione è molto diversa. Nonostante il solido rapporto di alleanza costruito con Londra nel corso della Seconda Guerra Mondiale, gli americani dimostrarono evidente simpatia per la causa iraniana e scarsa comprensione per la linea neocolonialista britannica6.

Primo intento di Washington fu di reprimere le velleità britanniche di risolvere il conflitto in modo armato, per non provocare i sovietici che avrebbero potuto intervenire in Iran in base al trattato Russo-Persiano di Amicizia del 1921, e che il Regno Unito non subordinasse la stabilità dell’area medio-orientale a questioni puramente commerciali.

Su pressione diretta del Presidente Truman, Londra fu invitata ad avviare al più presto un negoziato, ma gli inglesi rifiutarono ogni tipo di compromesso; anzi ricorsero prima al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e poi alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, bollando come illegale la nazionalizzazione messa in atto dall’Iran; purtroppo per gli inglesi tutti e due gli organismi rigettarono il ricorso. Gli Stati Uniti però, nonostante l’acutizzarsi della crisi, tentarono ancora di mediare tra i due contendenti, prima inviando un diplomatico di grande esperienza, Arvell Harriman, poi trattando direttamente con Mossadeq che si recò in America per discutere della questione nell’ottobre 1951 e infine proponendo la Banca Mondiale come “amministratrice fiduciaria” della NIOC7. Tutti questi tentativi si rivelarono vani. L’ultimo tentativo fu l’invio di una lettera congiunta Truman-Churchill nell’agosto 1952, primo

6

Le incomprensioni tra Londra e Washington si fecero sentire su molti punti anche a causa di alcune personalità americane, tra le quali spicca George MacGhee (Segretario di Stato aggiunto per il Medio Oriente).

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12 ricongiungimento anglo-americano dall’inizio della crisi. Ma anche questa volta, Mossadeq non riuscì a cogliere la necessità di fare un passo indietro nelle sue scelte.

Washington, che al contempo si trovava a combattere la guerra di Corea, nonostante rifiutasse ancora l’impostazione neo-imperialista britannica, di fronte alla ripetuta incapacità di Mossadeq di accettare le proposte di mediazione, dopo che il partito filo-comunista Tudeh si stava rafforzando sempre di più e data la grave crisi economica dell’Iran, aveva sempre più timore che tutto ciò potesse aprire le porte all’influenza sovietica.

A questo punto, la crisi nata dallo scontro tra il tardo imperialismo britannico e il nazionalismo iraniano, si trasformò nella logica della Guerra Fredda. Quest’ultima poggiava su tre livelli: lo scontro con l’ideologia comunista, il timore di una Terza Guerra Mondiale, e la salvaguardia dell’Europa Occidentale8. E’ proprio quest’ultimo punto che fece virare gli Stati Uniti verso la Gran Bretagna, alleato troppo importante per gli americani.

Inoltre sempre gli Stati Uniti con il cambio di amministrazione tra il Presidente Truman e il Presidente Eisenhower, passarono da una politica di contenimento9 del comunismo, al cosiddetto “Roll Back”, e cioè una ripresa dell’iniziativa per rintuzzare l’espansionismo sovietico nel mondo.

La Casa Bianca in poco tempo arrivò quindi alla determinazione che Mossadeq non era in grado di gestire la grave crisi del suo paese e che ciò costituiva un pericolo.

Con l’amministrazione Eisenhower la CIA acquisì un maggior accesso alla Casa Bianca, e una maggior libertà d’azione per quanto riguardava coinvolgimenti in operazioni per rovesciare stati non inclini alla causa americana10.

E proprio la CIA e il SIS inglese (Secret Intelligence Service), erano in contatto già dopo l’espulsione del personale diplomatico inglese nell’ottobre 1952, per discutere della proposta inglese di rovesciare il governo di Mossadeq; dopo

8 Barry Rubin, “Paved with..”, op.cit., p.56. 9

La cosiddetta “Dottrina Truman”. 10

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13 l’elezione di Eisenhower, Washington finì per accettare la richiesta britannica di organizzare congiuntamente un intervento clandestino per la rimozione di Mossadeq. Nonostante le perplessità iniziali, nell’aprile 1953, la CIA e il SIS britannico avviarono la pianificazione dell’operazione. La stesura del piano che durò fino a fine maggio, si svolse a Cipro, sede della Stazione del SIS competente per l’Iran dopo l’espulsione da Teheran. Per la CIA l’esercizio di pianificazione fu condotto da Donald Wilber che un anno dopo il colpo di stato redasse il celebre resoconto interno della CIA: Overthrow of Prime Minister

Mossadeq of Iran, November 1952-ugust 1953 (Clandestine Service History 1954)11. Come comandante sul campo, in accordo con gli inglesi, venne

designato Kermit Roosevelt.

Dopo il via libera del Presidente Eisenhower, ma soprattutto dopo la firma da parte dello Scià12 Muhammad Reza Pahlavi (fondamentale per dare una copertura legale all’operazione) dei due decreti, uno di rimozione di Mossadeq, e uno di nomina di Zahedi come nuovo Primo Ministro, l’Operazione denominata “Ajax” ebbe inizio.

Nonostante l’accurata preparazione, il piano inizialmente fallì, costringendo lo Scià a lasciare il paese e a rifugiarsi a Roma. La resistenza dei nazionalisti e il sostegno di cui godevano nel paese erano stati sottovalutati; entro breve tempo, comunque, i lealisti sostenuti dagli anglo-americani la spuntarono. Ad una grande manifestazione pro-Mossadeq, alla notizia dello sventato colpo di Stato, seguì l’indomani una grande manifestazione contro Mossadeq e a favore dello Scià, sostenuta anche dal clero sciita militante guidato dall’Ayatollah Kashani. Partita dal Bazar di Teheran la manifestazione fu rinforzata da reparti militari e carri armati che diedero l’assalto alla residenza di Mossadeq. Il sovrano poté quindi fare ritorno a Teheran, Zahedi fu nominato Primo Ministro e Mossadeq, dopo un processo farsa, fu condannato a morte. Lo Scià commutò in seguito la condanna in esilio e arresti domiciliari perpetui.

11

Il documento segreto trapelò alla stampa nel 2000

12 Scià è il termine persiano che indica il re, quanto figura di comando che gode di assoluti poteri in campo politico, ma che può vantare anche di una notevole caratura spirituale, ergendosi anche al di sopra della classe sacerdotale

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14 Importante ricordare come nel settembre del 2008, il Presidente iraniano Ahmadinejad, a New York per l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, non ha mancato di ricordare come alla radice dell’ostilità iraniana contro gli Stati Uniti vi sia il colpo di Stato del 1953 orchestrato dalla CIA. In Iran il trauma del coinvolgimento americano nella caduta di Mossadeq non è stato ancora superato e anche in America molti oggi ritengono che l’occupazione dell’Ambasciata di Teheran del 1979 fu, in qualche modo, una risposta diretta ai fatti del 195313.

1.2 Le radici della rivoluzione islamica e l’ascesa di Khoemeni.

“Il clero è un ostacolo al progresso del paese”. Era il 1 aprile del 1963 e Muhammad Reza Shah fece questa dichiarazione. Anche se la maggior parte del clero appoggiò lo Shah contro Mossadeq, l’esperienza nazionalistica e l’esempio dell’Ayatollah Kashani ebbero l’effetto di far prendere coscienza al clero del proprio ruolo politico. Per tutti gli anni ’50 si tennero letture a Teheran sul ruolo che il clero era chiamato a giocare. Il tutto sarebbe rimasto a un livello di pura discussione intellettuale se nel frattempo Muhammad Reza non avesse deciso di consolidare la base di potere della dinastia Pahlavi e accelerare un forte processo di modernizzazione.

Per portare avanti il suo programma di modernizzazione lo Shah ebbe bisogno dei finanziamenti e dell’aiuto concreto degli Stati Uniti, i quali, non esitarono a interferire sulle scelte di politica interna dell’Iran in funzione anti-comunista. I consiglieri americani, sotto diretto impulso da parte del Presidente Kennedy, suggerirono a Muhammad Reza di avviare una serie di riforme che, oltre a ristrutturare l’esercito e l’apparato dello Stato, incidessero direttamente sul tenore di vita dei suoi sudditi. Le pressioni dell’amministrazione Kennedy erano volte a impedire che le masse iraniane si rivolgessero all’Unione Sovietica. A parere di Washington non bastava tenere a bada i partiti comunisti, ma bisognava andare alla radice dello scontento. L’elezione di Kennedy a

13

K.M. Pollack, “The Persian Puzzle. The conflict between Iran and America”, Random House, New York, 2004, p.68

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15 Presidente degli Stati Uniti ebbe infatti un profondo impatto anche in Iran. La politica estera dell’amministrazione Kennedy era caratterizzata da un approccio differente rispetto a quella del suo predecessore, il Presidente Eisenhower. In particolare, Kennedy spingeva per lo sviluppo economico, il cambiamento sociale e la riforma della politica, più che l’assistenza militare14.

Nel 1963 ebbe inizio quella che venne chiamata la “Rivoluzione

Bianca”(enqelab-e sefid), che prevedeva la riforma agraria, la nazionalizzazione

delle foreste e dei pascoli, la privatizzazione di imprese pubbliche, la concessione di alcuni diritti e forme di partecipazione ai profitti d’impresa ai lavoratori nel settore industriale, l’alfabetizzazione di massa, anche attraverso la creazione di un “esercito del sapere”15 con il compito di portare l’istruzione fin nelle isolate zone rurali, e la concessione dell’elettorato attivo e passivo alle donne.

Riforme che ottennero largo consenso16 ma scontentarono alcuni importanti attori sociali; le opposizioni più dure riguardarono la riforma agraria e non provennero solo dai latifondisti e dai settori delle classi medie ma anche dal clero, detentore di un vasto patrimonio di beni religiosi, il waqf.

L’opposizione del clero investì anche la creazione dell’”esercito del sapere”, perché mise in discussione il ruolo del clero locale minando il monopolio dei

mullah17.

Anche il suffragio universale, il ruolo della donna e la riforma del divorzio, che equilibrò i rapporti tra i coniugi, furono motivo di opposizione da parte del clero. Muhammad Reza sapeva delle difficoltà a cui stava andando incontro e si pose in maniera consapevole l’obiettivo di incanalare la pressione popolare. Gli strumenti che decise di privilegiare, furono sostanzialmente due: da una parte il rafforzamento dell’esercito come baluardo della stabilità della monarchia,

14

In un discorso alla Casa Bianca del 1962, Kennedy mise in guardia:” Those who make peaceful

devolution impossible, will make violent revolution inevitable”, James A. Bill, “The Eagle and the Lion. The tragedy of American-Iranian Relations”, Yale University Press, London-New Haven, 1988, p.150.

15 Formato in prevalenza da giovani appartenenti alle classi medie urbane, laiche e secolarizzate 16

Furono approvate in un referendum popolare nel gennaio 1963 17

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16 nonché la creazione di un moderno sistema di servizi segreti che gli garantisse un controllo poliziesco sulla popolazione, noto con l’acronimo persiano SAVAK; dall’altra la campagna in favore della “Rivoluzione Bianca”. Sul rafforzamento dell’esercito lo Shah trovò piena collaborazione e aiuto negli Stati Uniti, convinti del ruolo filo-occidentale che l’Iran poteva giocare nella Guerra Fredda. L’Iran infatti già nel 1955 aveva aderito al Patto di Baghdad assieme a Turchia, Iraq e Pakistan, in funzione anti-sovietica. Fu dunque con il pieno consenso degli Stati Uniti che Muhammad Reza nel decennio 1953-1963 portò gli effettivi del suo esercito da 120.000 a 200.000 uomini divenendo uno dei principali acquirenti dell’industria bellica americana; quello che gratificava lo Shah era l’esser considerato uno dei pilastri della politica estera americana in Medio Oriente18 assieme a Israele.

Ritenendo di avere ormai la situazione sotto controllo Muhammad Reza permise che sull’arena politica si confrontassero due partiti controllati direttamente dalla Corona: il Partito Nazionale e il Partito del Popolo. Si trattava di una farsa democratica da cui la popolazione non si fece minimamente illudere; inoltre l’identificazione della politica estera iraniana con quella americana aumentò l’impopolarità dello Shah, in un paese in cui è forte l’orgoglio nazionale e dove il sentimento anti-americano non è mai venuto meno dopo il colpo di stato del 1953.

Sempre nel 1963 l’improvviso assassinio di Kennedy si rivelò molto importante per le relazioni tra Stati Uniti e Iran; per il Presidente e i suoi collaboratori, esportare lo sviluppo agli altri paesi era uno dei punti cardine della politica estera. Il successore, Lyndon Johnson, era molto attento a questo punto ma in primo piano metteva la situazione interna degli Stati Uniti. Per quanto riguarda la politica estera nei confronti dell’Iran, Johnson, decise di continuare con la linea dettata da Kennedy ma lo slancio perse di intensità, perché in quel periodo la priorità venne data alla guerra in Vietnam e al miglioramento delle

18

“Per la prima volta, l’ambasciatore americano a Teheran dipinse quel paese come un valoroso alleato

degli Stati Uniti. Nel marzo 1959 venne firmato un patto di difesa bilaterale tra Iran e Stati Uniti che promuoveva l’indipendenza del paese, l’integrità, gli aiuti economico-militari e rinforzi in caso di aggressione contro l’Iran.” Barry Rubin, “Paved with..”, op. cit., p.102

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17 condizioni di vita dei cittadini americani. Lo Shah, infatti, non sentì più a lungo la pressione americana per la realizzazione dei programmi a sfondo politico e sociale e intraprese un cammino che portò al fallimento della “Rivoluzione

Bianca” e a una deriva dittatoriale incentrata solo sullo sviluppo militare19. Proprio nel biennio cruciale per l’avvio della “Rivoluzione Bianca”, 1961-63, cominciò a manifestarsi tutto il carisma politico di Ruhollah Khoemeini che fece dell’opposizione alle riforme imposte dallo Shah il proprio trampolino di lancio, sia tra le fila del clero, che nella devozione popolare. Rompendo con la tradizionale pratica sciita della “dissimulazione”20, il 3 giugno 1963 Khoemeini attaccò pubblicamente il regime affermando che il silenzio giovava solo ai “nemici dell’Islam”. Fu una scelta di rottura rispetto al principio, sia sunnita che sciita, del quietismo che assicura l’obbedienza al principe nell’intento di evitare la “fitna”, il conflitto, che può sfociare nella guerra civile: purché, naturalmente, il governante non rinneghi la religione.

A suo avviso l’intera “Rivoluzione Bianca” era frutto dell’influenza che l’Occidente, in particolare gli Stati Uniti, stavano esercitando sullo Shah. Egli proponeva lo stesso Islam sciita come una barriera contro la “gharbzadegi”21 (intossicazione da Occidente).

Indicando nei Pahlavi i nemici della fede, il grande Ayatollah venne arrestato e rilasciato due mesi dopo. Ma nel 1964, poiché incitava al boicottaggio delle elezioni previste per l’autunno,venne nuovamente arrestato; uscirà dal carcere nella primavera del 1964. Sempre nell’autunno dello stesso anno, Khoemeini si scagliò contro una legge approvata dal parlamento che garantiva l’immunità diplomatica a tutti gli americani presenti sul suolo iraniano, qualunque fosse la loro mansione. Facendo leva sull’orgoglio nazionale condusse una battaglia che gli assicurò consenso e rispetto anche in ambienti non clericali. Per il regime

19

Kenneth M. Pollack, “ The Persian Puzzle”, op.cit., pp.68-78.

20 La taqiyya o “dissimulazione” permette di non rendere palese il dissenso verso l’autorità quando la sua manifestazione comporti un grave pericolo per chi lo esprime

21 Neologismo coniato negli anni Sessanta da Jalal Al-e Ahmad, uno dei più importanti intellettuali della letteratura persiana. Questo intellettuale è uno dei maggiori contribuenti alla nascita della “ideologia islamica”, Hamid Dabashi, “Theology of Discontent”, New York University Press, 1993

(18)

18 questo era troppo e decise di sbarazzarsene; costretto a lasciare il paese Khoemeini si rifugiò per un anno in Turchia. Successivamente si trasferì in Iraq, a Najaf, città sacra per gli sciiti e luogo di importanti centri di studi teologici. L’opposizione del clero fu un fatto relativamente nuovo per i Pahlavi; in passato gli scontri non erano mancati, ma la dinastia era riuscita a stabilire compromessi duraturi. Con la “Rivoluzione Bianca” vennero messi in discussione privilegi e ruolo del clero. Il dissenso nei confronti del regime però crebbe anche tra la popolazione, a causa della dura repressione nei confronti degli oppositori politici, della corruzione dilagante e per la crisi economica caratterizzata da alta inflazione e disoccupazione22.

Nonostante l’esilio Khoemeini riuscì ad allargare le alleanze aggregando religiosi e laici secolari, tenuti insieme dalla comune avversione al sovrano. I suoi scritti e le audiocassette dei suoi sermoni raggiungevano regolarmente l’Iran e venivano distribuiti in tutto il paese.

Nell’alimentare l’opposizione al regime un ruolo fondamentale lo giocarono gli intellettuali; quelli di estrazione liberale e i mossadequiani che invocavano il ritorno allo Stato di diritto e alla democratizzazione; quelli di sinistra che rifiutavano una politica filoamericana e un modello di sviluppo occidentalizzante. A quest’ultima categoria si rifaceva soprattutto la gioventù, che era molto sensibile anche ai richiami del marxismo e con il Tudeh in clandestinità e l’impossibilità di trovare un canale politico di rappresentanza prese vita un fenomeno inedito nel panorama islamico: la contaminazione tra linguaggio e fini marxisti con la tradizione rivisitata dello sciismo23.

22

“La CIA concluse che il piano per la “Rivoluzione Bianca” era debole e che lo sviluppo economico a

lungo termine rimase a livelli di bassa priorità per lo Shah. Il 25% del budget era devoluto alla spesa militare.” Barry Rubin, “Paved with..”, op.cit., p.112.

23

“In merito la maggior influenza sui giovani iraniani la esercitò indubbiamente il pensiero di Ali Shariati.

Egli trasformò lo sciismo in un’ideologia rivoluzionaria accollandosi addosso il compito di riscrivere l’intera storia dell’Islam. La sua opera principale che si chiama “Islamshenasi” (Islamologia), smantella le credenze più radicate sull’Islam sciita: che sia una religione quietista, del dolore, del rapporto individuale con Dio, del nascondimento. Shariati con questa opera finì per islamizzare il marxismo. Borghesia e piccola borghesia erano il cancro della società e il sistema capitalista corrompe la natura umana.”

(19)

19 Intanto l’opera di persuasione e protesta di Khoemeni continuava dalla città sacra di Najaf. Nel 1971 in Iran veniva pubblicato “Velayat-e Faqih” (Il governo islamico), un’opera che raccoglieva una serie di 19 lezioni tenute da Khoemeni a Najaf dal 21 gennaio all’8 febbraio del 1970, che sarebbe diventato la pietra miliare per la costruzione della teocrazia sciita post-rivoluzionaria. In quest’opera la prima preoccupazione di Khoemeni è di dare un fondamento giuridico sciita alla propria teoria del governo islamico. A suo parere, già i Crociati si erano resi conto di quale forza avesse l’Islam nell’unificare le genti, e per questo le potenze coloniali dopo i Crociati avevano fatto di tutto per abbattere la carica politico-rivoluzionaria dell’Islam, tanto da riuscire a spingerlo verso il quietismo e instillando nei musulmani l’idea che la loro religione fosse una fede “deficiente, incompleta, limitata a una ritualità esteriore”24. Con queste argomentazioni, Khoemeni disegnò il suo pensiero della “grande cospirazione” ai danni dell’Islam da parte dell’Occidente. L’unica cura era il ritorno all’Islam originario. Era necessaria alla Umma25 , secondo il grande Ayatollah, una guida non solo spirituale; ma governarla era un dovere che non poteva essere delegato a chiunque, ma solo a chi conosceva nel profondo le leggi islamiche. Secondo Khoemeni era impensabile che dopo l’occultazione del “Dodicesimo

Imam”26, Dio avesse abbandonato gli uomini a se stessi, lasciando la comunità

Marcella Emiliani, Marco Ranuzzi De’Bianchi, Erika Atzori, “Nel nome di Omar: rivoluzione clero e potere

in Iran”, Odoya Editore, Bologna, 2008.

24

Khoemeni citato in Dabashi, “Theology of..”, op.cit, p.439 25

Comunità di fedeli 26

Secondo la credenza alide (“seguace di Alì”, equivale al termine “sciita”), il potere spetta solamente al Profeta e ai suoi successori per linea di sangue. I primi dodici leader prendono il titolo di “Imam”, cioè guida politica e religiosa della comunità. L’imam rappresenta il delegato del Profeta nella dimensione temporale. La linea di successione che dopo Alì e i suoi figli, funziona sempre di padre in figlio, si interrompe misteriosamente nell’874. Il Dodicesimo Imam scompare e la credenza religiosa vuole che egli non sia morto ma solo occultato. Per gli sciiti la comunità dei fedeli non potrebbe sopravvivere senza la presenza dell’imam. Secondo la credenza, l’era dell’ Imam Nascosto, terminerà alla fine dei tempi, quando tornerà nella veste del Mahdi, l’Atteso. Inoltre la teologia imamita impone agli sciiti l’obbedienza al potere mondano sino all’avvento del Mahdi. Quindi viene relativizzata l’importanza del governante e viene fatto finta di accettare la sua autorità solo esteriormente

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20 sotto il dominio dei nemici dell’Islam. In assenza del Dodicesimo Imam, affermava Khoemeini, erano i dotti religiosi, gli ulama27, in particolare il migliore

tra essi per sapere e capacità politica, a dover governare. Ciò non significava che, durante l’Occultazione, il “giusto faqih” avesse la medesima autorità e lo status dei primi dodici successori del Profeta, ma che ne esercitava, temporaneamente, la funzione. Questo principio prenderà nome, appunto, “Velayat-e Faqih”.

Inutile dire che lo stesso Khoemeini si considerava un”giurista giusto”, ma più in generale attribuiva all’intero clero una duplice missione: guidare la rivolta contro i “governi corrotti e corruttori” per abbatterli28; creare un governo islamico e assumerne la leadership politica per renderlo stabile e perenne. Con questo l’Islam di Khoemeini diventò davvero un Islam rivoluzionario, un’ideologia rivoluzionaria della fede29.

L’esule di Najaf disegnò anche il suo progetto di state building islamico dichiarando che “il governo islamico era il governo della Legge divina sulla

popolazione”30. E siccome tutta la popolazione era musulmana, le leggi divine erano più democratiche di quelle di una repubblica o di una monarchia costituzionale in cui i membri del parlamento, che dicevano di rappresentare il popolo, in realtà legiferavano imponendo il proprio volere al popolo sotto forma di leggi31.

Al vertice del potere nel governo islamico svettava il faqih, che assommava a sé la perfetta conoscenza delle leggi islamiche e un profondo senso della giustizia. Khoemeini non aveva dubbi sul fatto che dovesse essere lui il candidato a ricoprire la carica di faqih. Non osava mettersi allo stesso livello spirituale di

27

Sono i dotti che ricoprono il sapere essoterico e esoterico necessario alla comprensione del mondo visibile e invisibile che circonda i credenti. Gli ulama non ricoprono il ruolo di sostituti politici dell’Imam Nascosto, ma ne perpetuano la funzione sul piano religioso.

28

Khoemeini citato in Dabashi,, “Theology of..”, op.cit., p.441 29 Rannuzzi, De’Bianchi, Atzori, “Nel Nome di Omar”, op.cit., p.102 30

Khoemeini citato in Dabashi, “Theology of..”, op.cit., p9. 442-444 31

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21 Maometto o del primo imam Alì, ma al livello politico sì. Assumere su di sé la responsabilità del governo islamico non era un privilegio, diceva Khoemeini, bensì una pesante responsabilità di cui non tutti potevano farsi carico. Lo poteva fare solo il “faqih-e asr”, il “giurista del tempo”, cioè il migliore tra i sapienti e i giusti del momento storico che si stava vivendo32.

Cominciò così a delinearsi agli inizi degli anni Settanta quella rivoluzione interna al clero iraniano per la quale era (ed è tutt’oggi) la convinzione politica, più che i titoli di studio, a fare la fortuna dei mullah. La teoria del “Velayat-e Faqih” ha aperto nuove possibilità di carriera e promozione in campo politico all’interno dell’establishment religioso. Inoltre sempre a partire da questo momento Khoemeini individuò i due gruppi sociali che venivano maggiormente colpiti dalla crescita tumultuosa voluta dallo Shah: le classi medie tradizionali e i giovani immigrati provenienti dalla campagna. La religione svolse un ruolo essenziale di inquadramento e stabilizzazione sociale33. Khoemeini, infatti, si accorse che l’unica forza su cui poteva contare per rovesciare la monarchia non era né militare (che non possedeva), né clericale (sapeva di non avere grande seguito), bensì popolare.

Intanto nel 1968 in America vinse le elezioni presidenziali il repubblicano Richard Nixon. Egli e il segretario di Stato, Henry Kissinger, diedero vita a una strategia di politica estera che in seguito sarà chiamata “Dottrina Nixon”. Questa dottrina all’inizio fu impiegata per la risoluzione del problema vietnamita e prevedeva il progressivo disimpegno delle forze armate statunitensi dal conflitto a favore di un maggior impegno di forze sudvietnamite. Per questo motivo si parla a proposito della “Dottrina Nixon” di “Vietnamizzazione” del conflitto34. Lo stesso principio fu successivamente applicato in generale come strategia di politica estera dove gli Stati Uniti appoggiavano sì i paesi alleati ma erano questi ultimi che si preoccupavano di difendere loro stessi e i loro vicini, mantenendo la stabilità e assicurando gli interessi americani in

32

Come fa notare Dabashi, faqih-e asr ha una forte assonanza con vali-e asr (il signore del tempo), appellativo riservato solo al Dodicesimo Imam. “Theology of..”, op.cit., p. 445

33

Kepel G., “Jihad. Expansion et decline de l’islamisme”, Edizione Gallimard, Parigi, 2000, p.117 34

(22)

22 contrapposizione all’Unione Sovietica. Nel Golfo Persico, la Dottrina Nixon, fu messa in pratica attraverso una strategia chiamata “Twin Pillars” e i “pilastri” in Medio Oriente scelti dagli Stati Uniti per controllare e preservare gli interessi americani nell’area furono l’Arabia Saudita e appunto l’Iran35. In questo modo gli Stati Uniti, in cambio di un ruolo da “sceriffo” da parte dell’Iran al fine di agevolare gli interessi americani nel Golfo Persico, lasciarono il paese in mano a Muhammad Reza, che si dimostrò un ottimo alleato e intraprese azioni motu

proprio forte dell’alleanza con gli Stati Uniti; in politica interna però si allontanò

sempre più dagli obiettivi prefissati dalla ormai accantonata “Rivoluzione Bianca”. Questo gli valse l’appellativo di “servo” degli Stati Uniti36, soprattutto dai giovani, dal clero e da tutta quella parte di popolazione in contrasto con le sue scelte politiche.

Gli inizi degli anni Settanta furono per il Medio Oriente anni in cui, a causa dell’eccessiva domanda di petrolio da parte dell’Occidente, la domanda superò le richieste. I paesi dell’Opec decisero quindi di innalzare alle stelle il prezzo del greggio; tra questi paesi anche l’Iran fece lo stesso, e impadronendosi delle compagnie petrolifere del paese, innalzò i prezzi . Nel 1973 inoltre dopo lo scoppio della guerra del Kippur, i paesi arabi dell’Opec, iniziarono un embargo nella vendita del petrolio nei confronti degli Stati Uniti. L’Iran quale alleato americano e di Israele, non prese parte all’embargo, ma continuò a incrementare i prezzi dei barili. Quando la crisi finì nel 1974 tutto l’Occidente era caratterizzato da una profonda recessione e Muhammad Reza, nonostante la ricchezza proveniente dalla vendita del petrolio a prezzi stratosferici, si trovò di fronte un paese dilaniato dalla crisi economica.

Nel biennio della recessione lo Shah decise di potenziare il suo controllo sulla società con una serie di riforme politiche che segnarono l’inizio della sua fine. Nel 1975 eliminò innanzitutto il bipartitismo di facciata, con cui aveva mascherato la dittatura, e creò un partito unico, il Partito della Rinascita, cui tutti

35

Alla fine degli anni’60 la Gran Bretagna decise di ritirare le forze militari dal Golfo Persico e concedere l’indipendenza ai suoi 10 protettorati lasciando così l’area priva di un controllo strategico

36

Ali Ansari, “The History of Modern Iran since 1921: the Pahalavis & after”, Longman Pearson Education, London, 2003, p. 178

(23)

23 gli iraniani furono costretti a iscriversi. Nelle intenzioni dello Shah, un unico partito ben ordinato sotto lo stretto controllo della Corona e della SAVAK, avrebbe favorito e potenziato la partecipazione popolare alla gestione della cosa pubblica. Per convincere i propri sudditi che stava facendo sul serio, nell’agosto dello stesso anno, decise di far partecipare gli operai ai profitti delle fabbriche in cui lavoravano. In questa maniera, a suo avviso, sarebbe stato eliminato tanto lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo tipico del capitalismo, quanto la dittatura economica dello Stato tipica del comunismo.

A partire dal 1977 però Muhammad Reza si dimostrò più allarmato che mai in seguito all’elezione a presidente degli Stati Uniti di Jimmy Carter, in quanto fin dalla campagna elettorale, nel 1976, lo stesso Carter, aveva fatto del rispetto dei diritti umani la bandiera del proprio operato che intendeva trasformare in una missione a livello mondiale. Ai suoi occhi lo Shah rischiava di essere la prova vivente del fallimento di questa missione, necessaria anche per cancellare l’eco della disfatta americana in Vietnam37. Muhammad Reza si apprestò ad applicare timide aperture, come la limitazione dei ricorsi ai tribunali militari, garanzie per la difesa nei tribunali civili, sospensione delle torture da parte della Savak, riforma della giustizia ecc. Le aperture avvennero non soltanto in seguito al timore per il cambio di programma americano in politica estera, ma anche perché Muhammad Reza proprio in questo stesso periodo contrasse un cancro e perciò cominciò anche a pensare alla sua successione, che secondo i suoi piani doveva ricadere sul figlio. Proprio per creare un’ atmosfera migliore per l’accettazione del figlio da parte del popolo, Muhammad Reza varò alcune riforme di apertura democratica. Ma a dispetto delle aspettative, il Presidente Carter e la sua amministrazione non dettero molto peso alle istanze sociali interne dell’Iran, riguardanti soprattutto il rispetto dei diritti umani. Anzi decisero di proseguire con la strategia del “Twin Pillars” dell’ex Presidente Nixon e con la vendita di armi38.

Quello che però veniva percepito dalla popolazione iraniana era assai diverso; essi infatti pensavano che lo Shah, “servo” degli Stati Uniti, era stato obbligato

37

Ranuzzi de’Bianchi, Emiliani, Atzori, “Nel Nome di Omar”, op.cit., p.109 38

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24 dagli americani a concedere qualche apertura interna e a fare da sentinella nel Golfo Persico, pena un altro possibile colpo di Stato uguale a quello messo in atto nel 1953 per destituire Mossadeq. Iniziarono così a formarsi gruppi di protesta, tra i quali i giovani, che diventarono subito la vera forza di traino delle piazze. Ad amareggiarli oltre la disoccupazione, la recessione, la dittatura e le sue feroci repressioni, si aggiunse la morte del loro idolo, Ali Shariati, avvenuta in circostanze a dir poco misteriose a Londra, il 19 giugno 1977. Alla morte di Shariati seguì, il 23 ottobre 1977 in Iraq, quella del figlio primogenito di Khoemeini, Mustafa, anch’egli in circostanze misteriose. Per gli iraniani l’ombra lunga della SAVAK aveva raggiunto anche l’Iraq39.

Il 14 novembre 1977 Muhammad Reza e l’imperatrice Farah si recarono in visita a Washington alla Casa Bianca. L’accoglienza con la quale fu salutato lo Shah fu del tutto inaspettata; fuori dalla Casa Bianca una folla di studenti iraniani lo aspettava con cartelli diffamatori, protestando contro di lui. C’era anche un esigua parte di sostenitori, che nel corso della protesta vennero alle mani con i manifestanti; la polizia così fu costretta a fare uso di lacrimogeni che a causa del vento si riversarono anche sulle facce dello Shah e del Presidente Carter, i quali tagliarono corto la cerimonia e si ritirarono dentro la Casa Bianca40. L’incontro apparentemente andò più che bene e famosa fu la frase utilizzata da Carter, che descriveva l’Iran come “un isola di stabilità in angolo

turbolento della Terra”41.

In Iran tutto ciò fu letto come un tradimento da parte degli Stati Uniti, come un segnale che agli americani non importava niente dei tanto sbandierati diritti umani, in quanto importava loro solo il mantenimento della stabilità nell’area del Golfo Persico, anzi, vista la crescente opposizione al regime dello Shah, si pensava che dagli Stati Uniti provenisse l’ordine di reprimere ogni dissenso42. Nel dicembre 1977, intanto, da Najaf Khoemeini avvisava i suoi seguaci, tra cui il fidato Morteza Mottahari, di cominciare a prepararsi in vista della cacciata

39

Ranuzzi de’Bianchi, Atzori, Emiliani, “Nel Nome di Omar”, op.cit. p. 110 40 Kenneth M. Pollack, “The Persian Puzzle”, op.cit., p.113

41

Kenneth M. Pollack, “The Persian Puzzle”, op.cit., p.124 42

(25)

25 dello Shah e dello scioglimento di quello che veniva definito “il governo di

Satana”. Khoemeini ruppe definitivamente con qualsiasi tattica attendista e,

cosa altrettanto importante, fornì un elenco di religiosi da coinvolgere nella creazione di uno speciale comitato segreto che, sotto la guida di Mottahari, aveva il compito di organizzare l’insurrezione a livello nazionale; in altre parole il messaggio di Khoemeni era chiaro e cioè che doveva essere il clero a guidare la rivolta. I 7 religiosi che presero a riunirsi nella casa di Mottahari costituirono il nocciolo duro di quello che pochi mesi dopo sarebbe diventato il Consiglio della Rivoluzione Islamica (Shuray-e-Enqelab-e-Eslami).

Nella variegata e complessa galassia del clero iraniano, ancora nel dicembre 1977, i veri e propri seguaci di Khoemeini, disposti a seguirne gli insegnamenti e la guida incondizionata, non erano comunque molti. Il grande Ayatollah comunque aveva chiarito ai suoi collaboratori più vicini che l’unica forza su cui contava per rovesciare la monarchia era quella popolare, in particolare gli scontenti e i giovani. Infatti nella mente degli iraniani, Khoemeini, stava riuscendo a congiungere insieme tutte le diverse proteste in una grande unica alleanza di opposizione; questo fece sì che Khoemeini venne elevato a simbolo della rivoluzione, raggiungendo quel ruolo di leader che gli avrebbe permesso di guidare la rivoluzione nella direzione che egli voleva.

1.3 La Rivoluzione

L’anno cruciale per le sorti della dinastia Pahlavi fu il 1978 quando il regime, a corto di strumenti di repressione che non fossero la sola forza bruta, mostrò chiaramente di non aver più strategie per tener testa a un’opposizione di massa che, giorno dopo giorno, riempiva le principali piazze della capitale e delle città iraniane.

Il ricorso a tecniche diverse di contenimento, infatti, si trasformò ben presto in un clamoroso autogol, come l’articolo intitolato, “L’Iran e i reazionari rossi e

neri”, pubblicato su suggerimenti della Corte da uno dei maggiori quotidiani di

Teheran, Ettela’at, il 7 gennaio. Si trattava di un attacco al clero e a Khoemeini, il quale, veniva definito una spia della Gran Bretagna, un comunista, un

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26 reazionario che voleva bloccare lo sviluppo dell’Iran e vendere il paese agli stranieri. Per gli studenti, i bazarì e la borghesia religiosa di Qom43 quell’articolo calunnioso rappresentò un vero e proprio affronto, nonché la dimostrazione più palese di quanto fosse corrotto il regime dello Shah e non ebbero esitazioni a scendere in strada e bloccare tutta la cittadina di Qom. L’intervento della polizia lasciò sul terreno un numero imprecisato di morti e migliaia di feriti44.

Il copione di Qom tornò a ripetersi a cadenza regolare e spietata per tutto il ’78 con punte di repressione esasperata. Di fronte alla ostinazione della protesta, nell’agosto del 1978, Muhammad Reza cercò di intervenire in campo economico nel tentativo di porre un freno all’inflazione galoppante che impoveriva indiscriminatamente la popolazione, fatta eccezione per la cerchia degli affari legata alla famiglia regnante. Ma il rimedio fu peggiore del male: l’austerity generalizzata, il blocco dei salari e delle assunzioni, la contrazione dei consumi, causarono una pesante recessione, che si tradusse in un aumento della disoccupazione. Fu proprio la recessione a spingere in strada classi, come quella operaia, che fino all’autunno del 1978 si erano tenute ai margini delle dimostrazioni in piazza.

Gli americani nel frattempo non erano ciechi nei confronti di quello che stava avvenendo in Iran. Nell’autunno ’78 infatti il Presidente Carter chiamò al telefono lo Shah rinnovandogli il suo appoggio45. Muhammad Reza fu molto gratificato da questa chiamata e rilasciò anche un intervista alla stampa, sottolineando i buoni rapporti tra Stati Uniti e Iran. Questo però valse a inferocire ancora di più la popolazione, che tradusse questa telefonata come se Carter avesse chiamato lo Shah per congratularsi della repressione messa in atto dal regime.

43

La città è uno dei luoghi sacri per i musulmani sciiti, non solo iraniani, poiché è il luogo dove si trova la tomba di Fatima al-Ma’suma, figlia dell'Imam sciita Musā al-Kazim

44

Ervand Abrahamian, “Storia dell’Iran. Dai primi del Novecento a oggi”, Donzelli Editore, 2009, Roma, p.187

45

“The United States cannot be expected to leave all its stake piled on one throne. There must be avenue

of retreat, one of which lead toward making the Shah a constitutional monarch acceptable to a broad coalition”, Editoriale del 14 dicembre 1978, New York Times, Kenneth Pollack, “The Persian Puzzle”, op.cit., p.128

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27 Per quanto riguarda gli Stati Uniti, inoltre, in questo periodo la politica estera americana si trovava ad affrontare situazioni delicate come le negoziazioni di pace a Camp David e il Trattato SALT II con la Russia; inoltre, gli esperti sull’Iran a Washington, a torto, pensavano che lo Shah sarebbe stato capace di gestire le proteste come già aveva fatto in passato46.

La protesta intanto si andava sempre più radicalizzando, generalizzando e islamizzando e a nulla valse nemmeno la legge marziale col relativo bando per qualsiasi manifestazione pubblica, che rappresentò l’acme della legislazione repressiva del regime. L’8 settembre 1978 (il “Venerdì nero”, come venne ribattezzato dai manifestanti, che ricordava la domenica di sangue della rivoluzione russa del 1905-0647) Teheran divenne teatro di una mattanza generalizzata in cui centinaia di persone disarmate persero la vita negli scontri con l’esercito che dilagarono in tutta la capitale. Il “Venerdì nero” rappresentò il punto di non ritorno per quella che stava configurandosi come una rivoluzione vera e propria, capace di coinvolgere tutti gli strati della popolazione.

Muhammad Reza il 6 ottobre ’78, vista la crescente opposizione nei suoi confronti e l’aumento costante di popolarità di Khoemeni, richiese al dittatore iracheno Saddam Hussein di espellere proprio l’esule Ayatollah da Najaf, credendo così di ostacolare e far diminuire la sua influenza su ciò che stava accadendo in Iran48. Khoemeini pochi giorni dopo si trasferì a Neuphle-le-Chateau, alla periferia di Parigi, dove la pubblicità grazie ai media e alla stampa, gli diede maggior spicco, una maggior facilità nel comunicare con i suoi seguaci e pertanto una maggior influenza, a differenza di quanto pensasse lo Shah.

Nei primi 15 giorni di dicembre, intanto, la protesta crebbe a dismisura, coinvolgendo quasi tutte le città del paese. Il 12 dicembre si riversarono nelle

46

“Our friendship and our alliance with Iran is one of our important bases on which our entire foreign

policy depend; the Iranian government is capable of managing the present difficulties, although continuing violence and strikes pose serious problems.”, Presidente Jimmy Carter, The New York Times,

November 1, 1978; citato in Barry Rubin, “Paved with..”, op.cit, p.223. 47

Ervand Abrahamian, “Storia dell’Iran..”, op.cit., p.188 48

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28 piazze della capitale almeno due milioni di persone e questa muraglia umana fece capitolare anche l’esercito. I giovani militari cominciarono a disertare, a rifiutare di sparare sui loro coetanei disarmati e in alcuni casi aprirono il fuoco contro i propri ufficiali. L’esercito in tutto contava 700.000 uomini e da scudo e orgoglio dei Pahlavi , stava spaccandosi al suo interno e una parte si stava schierando con i rivoluzionari.

La situazione quindi stava toccando l’apice della crisi e anche gli Stati Uniti realizzavano che lo Shah stava capitolando; il 28 dicembre infatti il Presidente Carter inviò un telegramma urgente a Muhammad Reza esortandolo un’ ultima volta ad agire con fermezza. Il telegramma raccomandava con forza allo Shah di evitare vacillamenti e di agire con decisione, sottolineando che sarebbe stato utile e preferibile un governo civile che restaurasse un equilibrio necessario. Se non fosse stato possibile attuarlo, egli avrebbe dovuto instaurare un saldo governo militare. Infine, se nessuna di queste opzioni fosse risultata possibile, doveva istituire un Consiglio di Reggenza, ossia dimettersi dal trono in favore di suo figlio, così da supervisionare il governo militare49.

Il 29 dicembre, il giorno dopo il telegramma pervenuto da Washington, Muhammad Reza giocò la sua ultima carta con la nomina a Primo Ministro di Shapour Bakhtiar, un politico liberale del Fronte Nazionale, che aveva fatto parte del governo Mossadeq e che venne a ritrovarsi immediatamente isolato. Abbandonato dal proprio partito, diventò anzi un simbolo di “tradimento”. Da Parigi Khoemeini cominciò a tuonare contro di lui e contro chiunque altro Muhammad Reza avesse nominato Premier. Per l’Ayatollah, lo Shah, non ne aveva più il potere. Khoemeini però, consapevole di quanto stava accadendo in Iran, si guardò bene dal chiarire i suoi disegni sullo stato islamico che voleva creare, proprio per attirare più simpatizzanti possibile nella società e anche tra le fila dello stesso clero non rispolverò mai la sua dottrina del “Velayat-e Faqih” in quanto avrebbe spaventato le classi medie laiche, le sinistre e anche i vertici della piramide religiosa sciita.

La situazione nel frattempo in Iran si fece sempre più caotica. Il nuovo premier, Bakhtiar, la cui nomina fu approvata dal Parlamento il 3 gennaio ’79, il 10

49

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29 successivo annunciò che lo Shah si sarebbe recato negli Stati Uniti per una vacanza di una settimana50. La reazione più tempestiva arrivò da Parigi, dove il 12 gennaio Khoemeini nominò un Consiglio della Rivoluzione Islamica (Cri), il cui compito era procedere al più presto alla nomina di un governo provvisorio per poi presentarlo ufficialmente alla nazione. Il Cri doveva inoltre organizzare le elezioni per l’Assemblea costituente che avrebbe dovuto redigere la nuova Costituzione e organizzare le elezioni politiche per trasferire il potere ai rappresentanti del popolo.

Si trattava del nocciolo della nuova classe politica pronta ad assumere il potere. Il 16 gennaio 1979 lo Shah Muhammad Reza Pahlavi, malato, sconvolto e arreso, partì per l’esilio e, ignaro che sarebbe stato un viaggio senza ritorno, si rifugiò nell’Egitto di Sadat.

Rimasto solo a gestire il fallimento Pahlavi, il premier Bakhtiar si affrettò a liberare tutti i prigionieri politici, eliminare la censura e soprattutto la Savak e interrompere le relazioni diplomatiche con Israele; questo perché doveva inviare al Paese segnali rassicuranti, convincere gli iraniani che un’epoca era finita e candidarsi a essere il “traghettatore” verso la democrazia. Inoltre, furbescamente, non mancò di salutare gli esponenti del clero come leader legittimi della Rivoluzione. Purtroppo per lui, tutto questo buonismo non gli valse a niente e il 29 gennaio, un giorno prima del suo ritorno in patria, Khoemeini dichiarò illegali il governo Bakhtiar e il parlamento in carica.

Il primo febbraio 1979, due settimane dopo la fuga di Muhammad Reza Pahlavi, verificato che le forze armate non intendessero attuare un colpo di stato militare, Khoemeini tornò in patria, salutato da una folla immensa. Il 4 febbraio, Khoemeini e il Consiglio della Rivoluzione Islamica (Cri), nominarono primo ministro provvisorio Mehdi Bazargan51, il cui governo al principio ebbe un profilo moderato; non ne facevano parte né il clero radicale, né le sinistre. Anche le sue prerogative rispecchiavano quelle di un normale governo alle prese con un

50

“Si trattò probabilmente di un’iniziativa per vedere come avrebbe reagito la piazza alla notizia di un

allontanamento del sovrano dalla scena politica in un momento tanto delicato.”, Ranuzzi de’Bianchi,

Emiliani, Atzori, “Nel Nome di Omar”, op.cit, p.120 51

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30 paese economicamente prostrato. In altre parole, il governo Bazargan, frutto dell’alleanza tra liberali e clero, nacque con la principale funzione di fornire una “vetrina rassicurante” tanto alla comunità internazionale (soprattutto gli Stati Uniti52), quanto all’insieme delle forze politiche che avevano contribuito alla cacciata dello Shah. In realtà, il clero militante e ideologico della rivoluzione, dal quale dipendeva la legittimità del governo, perseguiva il suo obiettivo e cioè la liquidazione delle forze liberali e nazionaliste dalla nuova scena politica53. Lo stato Pahlavi infatti, andò sgretolandosi pezzo dopo pezzo e venne progressivamente rimpiazzato da una miriade di comitati rivoluzionari (Komiteh) che si formarono spontaneamente o vennero creati da esponenti del clero nelle principali città, inizialmente per coordinare i servizi di base e garantire l’ordine pubblico, poi per procedere a vere e proprie purghe nelle forze armate, nella magistratura, nella burocrazia, nell’istruzione e persino nelle imprese pubbliche e private. Su di un ministero in particolare, quello della giustizia, Khoemeini e il Cri, focalizzarono la loro attenzione e il loro controllo. Si formarono i cosiddetti “Tribunali Rivoluzionari”, che nacquero spontaneamente, generalmente guidati da un Mullah che si faceva carico del ruolo di giudice, giuria e pubblico ministero e accusavano le persone di “comportamento anti-islamico”, “oltraggio alla Rivoluzione” ecc.

La rivoluzione manifestò tutto il suo carisma in occasione del referendum nazionale, indetto il 30 e 31 marzo, che sancì ufficialmente il rovesciamento della monarchia e la nascita della Repubblica Islamica dell’Iran con il 98,2% dell’elettorato.

Un mese dopo, nel maggio ’79, Khoemeini creò le Guardie della Rivoluzione, i cosiddetti Pasdaran, in seguito all’assassinio di Morteza Mottahari, il braccio destro di Khoemeini. I Pasdaran funzionavano come una milizia separata e distinta dalle forze armate; in altre parole erano il vero braccio armato della Rivoluzione.

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“La nomina di Bazargan fu accolta con sollievo e favore da parte dell’Ambasciata americana e dal

Dipartimento di Stato perché sembrava ciò che auspicavano e cioè un ritorno alle relazioni diplomatiche. Ma queste convinzioni ebbero vita breve”, Kenneth M. Pollack, “The Persian Puzzle”, op.cit, p.149

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31 Nel frattempo l’Ayatollah Beheshti organizzò il Partito Repubblicano Islamico (Pri) sulla base della nuova ideologia fondamentalista e sul principio khoemenista del “Velayat-e Faqih”. Dotandosi di un partito, il clero radicale pose fine alla fase populista della rivolta e insieme alla creazione dei Pasdaran, riuscì a istituzionalizzarsi e ad assegnare alla rivoluzione strumenti politico-organizzativi che consentissero di inquadrare la popolazione convertendola al verbo khoemenista.

Il risultato dell’istituzionalizzazione della Rivoluzione si concretizzò nella stesura della nuova Costituzione, che venne approvata, sotto l’effetto emotivo dell’assalto all’ambasciata americana del 4 novembre, il 2 e 3 dicembre dal referendum popolare con 15 milioni di voti. Il capolavoro di Khoemeini, il “Velayat-e Faqih”, si era compiuto.

1.4 “The Embassy is taken”

Fu proprio nel quadro della situazione interna iraniana, delle paure e dell’onda rivoluzionaria, che venne portato a termine il sequestro del personale diplomatico dell’Ambasciata americana a Teheran.

Un’indicazione importante per capire l’importanza del contesto politico in cui 300 studenti iraniani decisero di assaltare l’ambasciata, può essere fornito da un incidente accaduto solo 8 mesi prima. Il 14 febbraio 1979 infatti, solo due settimane dopo il ritorno di Khoemeini dall’esilio, 150 membri del “Marxist

Feda’iyan-e Khalq”, attaccarono e invasero l’Ambasciata statunitense a

Teheran. Khoemeini e il clero radicale denunciarono l’attacco immediatamente; l’Ayatollah ordinò subito all’esercito di intervenire e in poche ore liberò l’Ambasciata, ripristinando tutto il personale. Khoemeini criticò aspramente il comportamento dei “sinistroidi” autori dell’attacco54 ma nonostante questo, gli Stati Uniti chiusero l’Ambasciata per un mese e alla riapertura circa 1000 impiegati ritornarono negli Stati Uniti per ordine del Dipartimento di Stato; a prescindere dalla situazione, comunque, l’Ambasciata non venne chiusa permanentemente perché il Primo Ministro Bazargan, come dichiarò in futuro il

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