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Nonostante il problema del nucleare, il Presidente Bush credeva che un cambio di regime in Iraq avrebbe influenzato di conseguenza anche il vicino Iran. Un Iraq libero avrebbe stimolato gli iraniani a cambiare il loro governo, rendendo la regione più stabile243.

Il Consiglio Nazionale di Sicurezza, al contrario, consigliava prudenza. Il cambio di regime in Iraq, secondo gli esperti, avrebbe accresciuto l’insicurezza in Iran e la possibilità di raggiungere il prima possibile la capacità nucleare. Anche se Teheran vedeva di buon occhio l’uscita di scena di Saddam, dall’altro lato, dopo il cambio di regime in Iraq, sarebbe stato accerchiato da alleati degli Stati Uniti e questo destava preoccupazione e insicurezza nelle fila del governo iraniano244.

Tuttavia, inaspettatamente, nel maggio 2003 gli Stati Uniti ricevettero una lettera proveniente da Teheran contenente un quadro operativo riguardante i rapporti tra i due paesi; quest’agenda prese il nome di “Grand Bargain”, il grande affare. Il documento era di notevole importanza per i contenuti che portava al suo interno. Sul tavolo venivano messe tutte le questioni più importanti, a partire dal nucleare fino ad arrivare al problema del terrorismo e del processo di pace in Medio Oriente. Questa apertura da parte dell’Iran, sarebbe potuta sembrare una vittoria della pressione politica e militare americana in Afghanistan e Iraq, tanto da far ripensare Teheran nel suo modo

242

Mark Lendler, “Iran Threatens to restart Nuclear Work”, The New York Times, June 17, 2004, http://www.nytimes.com/2004/06/17/world/iran-threatens-to-restart-nuclear-work.html 243 Scott McClellan, “What Happened: Inside the Bush White House and Washington’s Culture of

Deception”, Public Affairs, New York, 2008, p.229.

244 “Although Tehran would certainly be happy to see Saddam go, Iran's government also worries that

the establishment of a pro-American regime in Baghdad would leave Iran encircled by U.S. allies”,

116 di agire, ma la reazione degli alti funzionari americani andò nella direzione contraria245. Nessuno nell’amministrazione credeva fosse una seria apertura; tutti la consideravano “troppo buona per essere vera”.

Le motivazioni del rifiuto a negoziare, furono sostanzialmente dovute al fatto che in quel momento gli Stati Uniti godevano del successo militare in Iraq, contro il quale avevano mosso una guerra per motivazioni che in buona parte risultavano essere gli stessi problemi nei confronti dell’Iran, in primis la questione nucleare. Gli Stati Uniti quindi, in quel momento si trovavano in superiorità militare e diplomatica e vedevano l’Iran come una potenza contenibile e vulnerabile alle pressioni esterne, tanto che secondo alcuni avrebbe potuto collassare sotto il suo stesso peso. Inoltre, la convinzione di Bush che l’Iran sarebbe stato influenzato dal cambio di regime in Iraq era sempre valida246.

Nonostante le difficoltà americane, il 15 novembre 2004, EU3 (Germania, Francia e Gran Bretagna), riuscirono a raggiungere un accordo con Teheran riguardo le attività nucleari. La disposizione nota come “Paris Agreement”, prevedeva la sospensione delle attività di arricchimento dell’uranio e di attività di ritrattamento, come la separazione del plutonio. La sospensione sarebbe stata implementata attraverso negoziati che avrebbero dovuto portare a un accordo a lungo termine.

245

“And in fact, what we've seen on the Iranian side is, particularly after the missed opportunities -- and

both Barbara and I write extensively about the 2003 proposal that was sent that the Bush administration rejected. The effect of rejected offers from Iran has been that those in Tehran who argued that you cannot make friends with the United States by offering goodwill gestures or offering negotiations, you can only do so by making it as costly as possible for the United States not to negotiate”, Trita Parsi,

President of the National Iranian American Council, “US-Iranian Relations: Present, Past and Future”, Council of Foreign Relations, http://www.cfr.org/iran/us-iran-relations-past-present-future-rush- transcript-federal-news-service/p15210

246

Donette Murray, “U.S. Foreign Policy”, op.cit., pp.126-129; Kenneth M.Pollack, “The Persian Puzzle”,

117 Tutto questo sarebbe stato attuato con la supervisione della IAEA e, attraverso il monitoraggio di quest’ultima, si doveva giungere alla conclusione che gli impianti nucleari presenti in Iran erano a scopo pacifico247.

Il cambiamento delle posizioni iraniane riguardo la questione nucleare era dovuto al fatto che possibili azioni, anche militari, per un rovesciamento politico sembravano essere nell’aria, soprattutto da parte degli americani. Inoltre, anche il Consiglio Sicurezza delle Nazioni Unite aveva fatto intendere che di lì a poco avrebbe sanzionato l’Iran per il suo comportamento. Queste preoccupazioni indussero l’Iran a sospendere il suo programma nucleare tre giorni prima del meeting a Vienna della IAEA, il 25 novembre.

Gli Stati Uniti tuttavia, espressero una totale sfiducia nei confronti delle promesse iraniane. Il 17 novembre 2004, il segretario di Stato, Colin Powell dichiarò che l’Iran non aveva dimostrato di voler rinunciare al perseguimento dell’arma atomica, nonostante le tante promesse248.

Agli inizi di dicembre, esperti dell’intelligence americana attraverso loro fonti, confermarono l’impressione di Powell. Indicarono infatti, che Teheran stava cercando in tutti i modo di costruire testate nucleari. Gli ufficiali degli Stati Uniti affermarono che queste informazioni non provenivano dall’opposizione iraniana al regime, bensì da altre fonti, ma non dissero quali249.

247

Anthony H. Cordesman, "Iran’s weapons of mass destruction: the real and potential threat”, Centre for Strategic and International Studies, Washington D.C., 2006, pp. 136-137; Robin Wright Editor, “The

Iran Primer: power, politics and US Policy”, David Albright and Andrea Striker, “Iran’s Nuclear Program “

United States Institute of Peace, 2010 , Washington D.C., p.79. ; IAEA, “Iran-EU Agreement on nuclear

program”, http://www.iaea.org/newscenter/focus/iaeairan/eu_iran14112004.shtml

248

Anthony H. Cordesman, "Iran’s weapons of mass destruction”, op.cit., p.136. 249

Bill Gertz, “U.S. told of Iranian effort to create nuclear warhead”, Washinton Times, December 2, 2004, http://nl.newsbank.com/nl-

search/we/Archives?p_product=WT&p_theme=wt&p_action=search&p_maxdocs=200&p_text_search- 0=bill%20AND%20gertz&s_dispstring=bill%20gertz%20AND%20date%2812/02/2004%20to%2012/02/20 04%29&p_field_date-0=YMD_date&p_params_date-0=date:B,E&p_text_date-

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Capitolo Quinto. Dal radicalismo di Ahmadinejad alla

diplomazia di Obama