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Ragionevole durata del processo e indagini preliminari

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Academic year: 2021

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Sommario

I CAPITOLO ... 3

Ragionevole durata del processo ... 3

1.1 La genesi della riforma ... 3

1.2 Le garanzie del giusto processo ... 11

1.2.1 Il giusto processo ... 12

1.3 I quattro principi fissati dall’art.111 2° co Cost ... 16

1.4 Rapporto tra la ragionevole durata del processo e

garanzia del giusto processo ... 19

1.5 Il valore sussidiario della ragionevole durata ... 21

1.6 Le garanzie del processo penale alla luce del 3° co.

dell’art. 111 Cost ... 22

1.7 4° co. art. 111Cost., il contraddittorio come garanzia

oggettiva ... 27

1.8 La Corte costituzionale promuove la regola d’oro ... 38

1.9 Deroghe al contraddittorio... 40

1.10 Le dichiarazioni irripetibili negli artt. 512 e 526, 1° co.

bis c.p.p. ... 56

1.11 Garanzia oggettiva vs garanzia soggettiva ... 59

II CAPITOLO ... 64

Polivalenza delle indagini preliminari ... 64

2.1 L’attività preliminare d’indagine. Le due aree dell’azione

penale e della prova ... 64

(2)

2

2.3 Il processo senza istruzione: la tecnica delle indagini

preliminari ... 66

2.4 La separazione delle fasi del procedimento e la

ripartizione dei ruoli ... 70

2.4.1 Segue:Il contraddittorio per la prova ... 71

2.4.2 Segue: garanzia costituzionale del contraddittorio nella

formazione della prova ... 73

2.5 Sanzione di inutilizzabilità ... 77

2.6 La polivalenza delle indagini preliminari ... 80

III CAPITOLO ... 81

Limiti cronologici delle indagini preliminari ... 81

3.1 Termine di durata delle indagini e principio della

ragionevole durata ... 81

3.2 Dall’inchiesta preparatoria al canone di doverosa

completezza ... 83

3.3 Obbligatorietà dell’azione penale ... 88

3.4 Notitia criminis ... 90

3.5 Interpretazione dell’art.407 co.3 c.p.p. orientata alla

garanzia della ragionevole durata ... 93

3.6 La proroga e completezza investigativa ... 97

3.7 Termine massimo e deroghe... 107

IV CAPITOLO ... 110

Meccanismo di integrazione delle indagini preliminari . 110

4.1 Artt.409 co.4 e 412-bis c.p.p. : tratti comuni ... 110

4.2 Avocazione: art.412 co.1 c.p.p. ... 116

4.3 La continuità investigativa dopo l’esercizio dell’azione

penale ... 121

(3)

3

4.4 Art. 414 c.p.p. e le esigenze di nuove investigazioni .. 131

Conclusioni ... 135

I CAPITOLO

Ragionevole durata del processo

1.1 La genesi della riforma

Con l’espressione “giusto processo” si può alludere sia ad un modello ideale di processo, sia ai connotati che caratterizzano il processo all’interno dei sistemi che a questa formula si richiamano: il fair trial e il due process of law della tradizione angloamericana, il

procèséquitable della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il giusto processo di cui all’art. 111 Cost.In Italia l’immediato

antecedente della riforma costituzionale sul “giusto processo” è il progetto presentato nella XIII legislatura dalla commissione bicamerale per le riforme costituzionali, al cui art. 130 attinge in larga misura il testo. Per capire il senso delle nuove disposizioni costituzionali e del progetto della bicamerale, bisogna partire dall’emanazione del nuovo codice di procedura penale che segna un radicale mutamento del modello e una svolta nel modo di concepire il contraddittorio sul terreno della prova dichiarativa1 efficacemente riassunto nello slogan <<dal contraddittorio sulla prova al contraddittorio per la prova2>>. Il contraddittorio, che nel sistema previgente si esercitava essenzialmente su prove già formate, come i

1

Determinante sulle scelte accusatorie del codice del 1988 il pensiero di F. Cordero,

ideologie del processo penale Milano

2 D. Siracusano vecchi schemi e nuovi modelli per l’attuazione di un processo di parti in LP 1989

(4)

4 verbali delle dichiarazioni raccolte dagli organi inquirenti, ora si realizza nel momento stesso di formazione della prova; di qui la netta separazione tra indagini preliminari, dove accusa e difesa provvedono unilateralmente alla ricerca delle fonti di prova, e il dibattimento nel quale le prove si formano in contraddittorio davanti al giudice con il contributo diretto delle parti. Due disposizioni assumono rilievo e non a caso su di esse si abbatterà, con la svolta inquisitoria, la scure della Corte cost.:

la prima norma-simbolo di un processo fondato sul contraddittorio, fissa una netta regola di esclusione probatoria in rapporto alle dichiarazioni raccolte nelle indagini e contestate al testimone che nel dibattimento abbia reso una diversa versione dei fatti: <<la dichiarazione utilizzata per la contestazione, anche se letta dalla parte, non può costituire prova dei fatti in essa affermati. Può essere valutata dal giudice per stabilire la credibilità della persona esaminata>> regola soggetta a limitate eccezioni per le <<dichiarazioni assunte dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nell’immediatezza del fatto>>3

;

la seconda riguarda il divieto di testimonianza indiretta della polizia giudiziaria: <<gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni>>4. Divieto pienamente solidale con l’irrilevanza probatoria di quelle stesse dichiarazioni, perché sarebbe del tutto inefficace vietare la lettura dei verbali se si consentisse a chi li ha formati di testimoniare sul loro contenuto.

La dichiarazione di incostituzionalità del 4°co dell’art. 195 c.p.p. apre una profonda contraddizione nel sistema. Il più autorevole esponente del ‘Movimento per la revisione del codice di procedura’ proponeva

3 Testo originario dell’art. 500 co. 3 e 4 c.p.p. 4

(5)

5 una <<revisione del meccanismo di formazione e di valutazione della prova>> in questi termini5: <<abrogare il disposto dell’art. 500 co.3 c.p.p. (…) diventato addirittura anacronistico dopo la sent. della Corte cost. (…). Ed infatti per effetto di tale pronuncia, è adesso possibile recuperare al dibattimento buona parte degli atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria; diventa assurdo e mortificante che lo stesso non possa avvenire – ovviamente in altre forme - per quelli del pubblico ministero>>. “ovviamente in altre forme” vuol dire, non certo con la testimonianza indiretta del pubblico ministero, ma attraverso la lettura dei verbali. E poiché di questi verbali già l’art. 512 c.p.p. consentiva la lettura in caso di irripetibilità sopravvenuta, la disposizione su cui concludere la manovra di ‘recupero’ degli atti svolti nelle indagini preliminari non poteva che essere il 3° co. dell’art. 500 c.p.p. che regolava l’uso in chiave puramente ‘critica’ delle precedenti dichiarazioni difformi contestate al teste nel corso dell’esame : <<la dichiarazione utilizzata per la contestazione, anche se letta dalla parte, non può costituire prova dei fatti in essa affermati. Può essere valutata dal giudice per stabilire la credibilità della persona esaminata>>. La prevedibile risposta arriva con due successive sent. costituzionali: l’una dichiara illegittimo l’art. 513 co.2 c.p.p. <<nella parte in cui non prevede che il giudice, sentite le parti, dispone la lettura dei verbali delle dichiarazioni di cui al co.1 dello stesso art, rese dalle persone indicate nell’art. 210, qualora queste si avvalgano della facoltà di non rispondere>>6; l’altra censura la norma-simbolo del processo accusatorio, dichiarando illegittimo l’art 500 3° e 4° co c.p.p. <<nella parte in cui non prevede l’acquisizione nel fascicolo per il dibattimento, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dai

5 M. Maddalena i termini di un impegno, in Magistratura indipendente 1992 6

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6 commi 1 e 2, delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico ministero>>7.

Il risultato è che quando il teste depone in dibattimento, la dichiarazione già resa al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria resta inutilizzabile a meno che egli la riproduca fedelmente; se tace o rende una dichiarazione ‘difforme’ la precedente, per il tramite della contestazione, è regolarmente acquisita al fascicolo per il dibattimento; cosi il giudice sarà chiamato ad effettuare una scelta tra due versioni dei fatti, una segreta ed una pubblica…l’esperienza insegna che è quasi sempre la prima a prevalere, perché più vicina alla commissione dei fatti e per i sospetti di intimidazioni o pressioni che gravano sulla seconda.L’effetto sul sistema è alquanto dirompente, tale da mutare l’indagine preliminare in una sorta di gigantesca istruzione sommaria8

destinata a pesare invariabilmente sul dibattimento; un processo fondato sul contraddittorio può ammettere che, quando divenga impossibile assumere la testimonianza nel giudizio, si utilizzino le dichiarazioni rilasciate in precedenza. Ma quando il teste depone nel dibattimento, la sola alternativa che si apre sul piano della prova è se egli dica il vero o menta in tale sede. Sta in ciò la forza dell’esame incrociato: accertare se siano vere o false le dichiarazioni assunte nel contraddittorio, non quelle rese altrove, cristallizzate nei verbali che servono solo ai fini delle contestazioni.Due tardivi tentativi di recupero del contraddittorio sopraggiungono in una diversa atmosfera nel 1997. La prima iniziativa si svolge a livello di legge ordinaria. Sulla base di un progetto presentato il 16 luglio 1996 dal sen. Melchiorre Cirami ed altri, la l. 7 agosto 1997 n. 267 (modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove) riformula

7

Sent 255 del 1992

8 Secondo l’efficace definizione di L. Pepino, legalità e diritti di cittadinanza nella democrazia maggioritaria, relazione al X congresso nazionale di magistratura democratica, Chianciano 29 ottobre/1 novembre 1993 in questione giustizia 1993

(7)

7 interamente l’art. 513 c.p.p. già dichiarato parzialmente incostituzionale nel 1992; le dichiarazioni rese nell’indagine preliminare dall’imputato o dal coimputato in processi separati, che si avvalgano del diritto al silenzio in dibattimento, non possono essere utilizzate nei confronti di altri ( a meno che vi sia il loro consenso o l’accordo delle parti) ; parallelamente si liberalizza l’incidente probatorio per l’esame dei coimputati, ammettendolo anche oltre gli originali limiti fissati dall’art. 392 c.p.p.,sarebbe un’iniziativa meritoria se non fosse per due fattori : la settorialità e l’inevitabile incoerenza di una legge che riafferma il valore del contraddittorio solo in vista del silenzio del coimputato già dichiarante sul fatto altrui, disinteressandosi del regime inquisitorio prevalso sul terreno della prova testimoniale, con l’efficacia probatoria delle contestazioni e testimonianze indirette della polizia.

La seconda iniziativa si sviluppa a livello costituzionale, con l’inserimento della giustizia tra i temi affidati alla Commissione bicamerale per le riforme costituzionali, istituita con l. cost. 22 gennaio 1997 n.1; scelta avversata da gran parte della magistratura che la interpreta come una rivincita sulla giurisdizione da parte di un potere politico insofferente dei controlli di legalità. Il fallimento della Commissione è ufficialmente decretato nel giugno del 1998, ma i principi e le regole del giusto processo, definiti nell’art. 130 del progetto da questa elaborato, saranno poi ripresi dalla riforma costituzionale dell’art. 111 Cost.9

Quanto a garanzie processuali, il

9

Art. 130 del progetto di legge costituzionale C/3931 trasmesso alle Camere il 4 novembre 1997 nel testo risultate dalla pronuncia della Commissione sugli emendamenti presentati ai sensi del 5° co dell’art. 2 l. cost. 24 gennaio 1997 n.1 <<la giurisdizione si attua mediante giusti processi regolati dalla legge, ispirati ai principi dell’oralità, della concentrazione e dell’immediatezza. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità e davanti a giudice terzo. La legge ne assicura la ragionevole durata. Nel procedimento penale la legge assicura che la persona accusata di un reato si informata, nel più breve tempo possibile, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; abbia la facoltà di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a discarico nelle stesse

(8)

8 progetto della Bicamerale, per un verso va oltre la tutela offerta dall’art. 111 Cost e per altro ne resta al di sotto10

. Così nel primo testo si menzionano i principi dell’oralità, della concentrazione e dell’immediatezza che non figurano nel secondo.Nel progetto della Bicamerale, non si accenna né alla regola del contraddittorio nella formazione della prova che sarà, invece, al centro del nuovo art. 111 Cost; né alle più dettagliate previsioni legate a quella regola. Come prevedibile, appena entrato in vigore, il nuovo testo dell’art.513 c.p.p. viene devoluto all’esame della Corte cost da ben otto giudici di merito. Tutte le questioni di legittimità si incentrano sull’irragionevole dispersione della prova che deriverebbe dall’inutilizzabilità della dichiarazione resa erga alios nell’indagine preliminare da parte del coimputato rimasto in silenzio nel dibattimento; è costante il richiamo alla sent. 254 del 1992. Con la sent 361 del 1998, la Corte cost dichiara illegittimo l’art. 513 c.p.p. <<nella parte in cui non prevede che, qualora il dichiarante rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su fatti concernenti la responsabilità di altri già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni, in mancanza dell’accordo delle parti alla lettura si applica l’art.500 commi 2°bis e 4°, del codice di procedura penale>>. In altri termini, davanti al silenzio del coimputato, scatta lo stesso meccanismo di recupero probatorio previsto per l’esame dei testimoni, vale a dire, la contestazione e l’acquisizione al fascicolo dibattimentale delle dichiarazioni rese in precedenza.

Sulla Corte costituzionale si abbatte una valanga di critiche, talora prossime alla contumelia: dall’accusa di aver demolito con una

condizioni di quelle di accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata. La legge assicura che la custodia cautelare in carcere venga eseguita in appositi istituti. La legge istituisce pubblici uffici di assistenza legale al fine di garantire ai non abbienti il diritto di agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione>>.

10 In vario senso M. Chiavario la bicamerale chiude il capitolo giustizia: ora bisogna operare con spirito costruttivo in guida dir. 1997 fasc. 42, 10 s;

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9 sentenza dal forte contenuto politico la garanzia del contraddittorio, a quella di aver usurpato la funzione legislativa uscendo fuori dalla propria competenza. In breve ci si accorge che ciò che sarebbe stato con buone ragioni sacrosanto denunciare all’epoca della svolta inquisitoria, esplode sei anni dopo contro una sentenza che delle precedenti è solo un corollario.Così le Camere penali proclamano immediatamente una settimana di astensione dalle udienze ( dal 9 al 14 novembre) per protesta verso la sentenza della Corte che ha sprofondato la difesa <<in un abisso>>. Ma chi reagisce con determinazione è anzitutto il mondo politico, ben lontano da quello che era nel 1992; ad inasprire lo scontro già acceso tra politica e giustizia, ci dice Ferrua11, concorre il fatto che la dichiarazione di incostituzionalità non coinvolge disposizioni del codice di rito, ma una legge approvata direttamente e a larga maggioranza dal Parlamento stesso, che vede minacciato il suo prestigio dalle censure della Corte12. Si riapre il dibattito sulla giustizia che si era chiuso con il fallimento della Bicamerale, immediatamente vengono presentati ben dodici progetti di leggi costituzionali, uno di essi modifica l’art. 136 1°co Cost, specificando che <<le sentenze di accoglimento [della Corte costituzionale] sono decisioni di mero accertamento della illegittimità13. La Corte si limita a cancellare le disposizioni ritenute incostituzionali. Gli altri undici, poi confluiti attraverso il disegno di legge costituzionale S/3619 nella riforma dell’art. 111Cost, provvedono in vario modo a costituzionalizzare le garanzie processuali

11

P. Ferrua il giusto processo, Zanichelli Bologna( 2012) 3° ediz

12presso la Commissione giustizia della Camera il 3 dicembre 1998 si avvia un procedimento formale di esame della sent costituzionale, ai sensi dell’art. 108 del regolamento. L’esame si concluderà il 14 aprile del 1999 con l’approvazione del documento presentato dal relatore Antonio Borrometti (allegato 2 della seduta del 18 febbraio 1999), dove si esprimono forti perplessità sull’uso del principio di ragionevolezza da parte della Consulta e si sottolinea l’opportunità di una costituzionalizzazione delle garanzie sul giusto processo.

13 C/5371 (modifica all’art. 136 della Costituzione, in materia di poteri della Corte costituzionale) presentato il 5 novembre 1998 dai deputati Soda e altri.

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10 abbattute dalla Consulta14. Il leit-motiv di tutte queste proposte è il richiamo polemico alle sentenze della Corte, in particolare alla sent n. 361 del 1998 che hanno trasformato, di fatto, una riforma garantista in uno strumento inquisitorio e coercitivo nei confronti degli imputati e il dibattimento in una fase puramente formale e quasi inutile. In breve tempo la riforma costituzionale è approvata alla Camera il 1 novembre 1999; la nuova legge costituzionale 23 novembre 1999 n.2 (<<inserimento dei principi del giusto processo nell’art. 111 Cost>>) si compone di due articoli; il primo relativo ai principi e alle regole del giusto processo, il secondo relativo al regime transitorio, in rapporto al quale si precisa che <<la legge regola l’applicazione dei principi contenuti nella presente legge costituzionale ai procedimenti penali in corso alla data della sua entrata in vigore>> ( vale a dire al 7 gennaio 2000). La dettagliata enunciazione delle garanzie processuali si spinge al punto da prevedere che <<la colpevolezza non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato>> (art. 111 Cost co°4 parte 2 Cost.). Dunque la regola del contraddittorio nella formazione della prova sarebbe perfettamente compatibile con l’utilizzazione in chiave probatoria delle dichiarazioni

14

S/3619 inserimento dei principi del giusto processo nell’art. 111 Cost presentato il 4 novembre 1998 dai senatori Pera e altri; S/3623 integrazione dell’art. 24 della Cost. presentato il 5 novembre 1998 dai senatori Follieri e altri; S/3630modifica all’art. 101 della Cost. presentato il 5 novembre 1998 dai senatori Pettinato e altri; S/3638 norme in materia di giusto processo e di garanzia dei diritti nel processo penale, presentato l’11 novembre 1998 dalla senatrice Salvato; S/3665inserimento nella Costituzione dell’art. 110 bis concernente i principi del giusto processo presentato il 24 novembre dai senatori Salvi e altri; C/5359 modifiche all’art. 24 della cost recanti principi per il giusto processo presentato il 4 novembre 1998 dai deputati Pecorella e altri; C/5370 introduzione dell’art.110 bis della Costituzione recante principi per il giusto processo presentato dai deputati Saraceni e altri; C/5377 modifiche all’art.111 della Costituzione in materia di esercizio della giurisdizione presentato il 9 novembre 1998 dal deputato Pisapia; C/5443disp. Concerneti la giustizia e la garanzia del giusto processo presentato il 25 novembre 1998 dal deputato Soda; C/5475 modifica all’art. 25 della Costituzione in materia di garanzie del contraddittorio presentato il 2 dicembre 1998 dal deputato Pecorella; C/5696 modifica agli artt 25 e 111 della Cost. in materia di giusto processo presentato il 17 febbraio 1999 dai deputati Pecoraro Scanio e altro.

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11 rese nell’indagine preliminare, quando siano contestate al teste o al coimputato nell’esame dibattimentale; e il richiamo all’impossibilità di formare la prova in contraddittorio consacrerebbe il principio di non dispersione della prova. In breve, la riforma dell’art. 111 Cost lungi dalpotenziare la difesa, già tutelata a sufficienza, le avrebbe imposto nuovi oneri e responsabilità15.

1.2 Le garanzie del giusto processo

Dei cinque commi che la legge cost in esame ha inserito nell’art. 111 Cost., i primi due riguardano il processo in genere (civile, amministrativo, penale) gli altri tre, specificamente il processo penale, in vista del quale, d’altronde, è nata la riforma e si è costantemente sviluppato il dibattito che l’ha accompagnata. Decisamente innovativi sono i commi 4° e 5° concernenti rispettivamente il contraddittorio nella formazione della prova e le sue eccezioni. Per il resto si tratta di principi enunciati già dalla Corte cost o presenti nell’ordinamento tramite le fonti soprannazionali (convenzione europea dei diritti dell’uomo..)16L’art.111 Cost. enuncia le garanzie del giusto processo

come garanzie oggettive della giurisdizione; naturalmente la formulazione oggettiva non esclude, ma assorbe e va oltre quella soggettiva in quanto ciò che oggettivamente è connotato del processo, diventa di per sé anche diritto dell’imputato, mentre non vale l’inverso. Tra le proposizioni di cui si compone l’art. 111 Cost, alcune sono estremamente generiche, altre dettagliate, dunque è utile richiamare la distinzione dworkiniana tra principi e regole17. I principi sono proposizioni normative ad elevato grado di genericità applicabili nella

15 P. Ferrua il giusto processo Zanichelli, Bologna( 2012) 3 ediz 16 P. Ferrua il giusto processo Zanichelli, Bologna(2012) 3 ediz 17

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12 forma del più-o-meno; sono principi quelli fissati dal 2° co. art. 111 Cost (il contraddittorio, genericamente inteso come diritto di difesa, la terzietà-imparzialità del giudice, la parità tra le parti, la ragionevole durata) le regole, sono proposizioni normative ad elevata specificità applicabili nella forma del tutto-o-niente; è una regola, la seconda frase dell’art. 111 Cost 4° co Cost.

1.2.1 Il giusto processo

<<La giurisdizione si esercita mediante il giusto processo>> è il solenne esordio dell’art. 111 1° co. Cost. l’idea di giustizia interviene due volte. Anzitutto con il riferimento alla giurisdizione, cioè ad una pratica sociale che consente ad una terza istanza di rendere giustizia in situazioni di conflitto o incertezza18. Poi, con il richiamo alla qualifica di giusto che deve connotare lo strumento attraverso cui si esercita quella pratica.“Giusto processo” è formula antica alle cui origini si trovano i concetti di fair trial e due process of law della tradizione angloamericana19. Ma il riferimento più immediato è la nozione di processo equo a cui sono informati l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e l’art. 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Due process of lawesprime soprattutto l’esigenza di legalità, di rispetto delle regole nella procedura20, l’attributo equo (o fair) vi aggiunge l’idea di un equilibrio

18

Sull’applicabilità dell’art. 111 Cost in alcuni settori della giurisdizione volontaria, M. Bove rito camerale e <<giusto processo regolato dalla legge>>( a proposito dell’ordinanza della Corte d’appello di Genova del 4 gennaio 2001) in

www.judicium.it ; A. Di Mura la riforma dell’art. 111Cost e i procedimenti speciali in materia civile, in www.digilander.libero.it

19 Per i raccordi storici e comparativi, M. Chiavario, voce <<giusto processo>> 20 Secondo una concezione della legalità, peraltro, non ancorata al riconoscimento di una supremazia della legge scritta: cfr M. Chiavario voce <<giusto processo>> . sui

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13 simmetrico, di una parità in cui dovrebbero trovarsi davanti al giudice i soggetti che esercitano le opposte funzioni( accusa e difesa nel processo penale, attore e convenuto in quello civile)21; la qualifica di giusto va oltre, suggerendo un assetto processuale “cognitivo”, fondato su un sapere dialetticamente elaborato, capace di produrre una decisione giusta. Che il processo debba essere giusto è ovvio e fondamentale… ovvio perché ogni istituzione sociale deve essere giusta22; fondamentale perché la decisione, è socialmente accettata, in quanto il processo da cui scaturisce è percepito come ‘giusto’; Chiara Berti nella sua psicologia sociale della giustizia23 ha ampiamente dimostrato che un giudizio positivo sulla procedura seguita aumenta la disponibilità ad accettare misure sulle quali non si è d’accordo o che comportano svantaggi. L’ingiustizia di una procedura è molto più dannosa che l’ingiustizia di una decisione, per la semplice ragione che l’una ha carattere durevole, si reitera con impatto sistematico, l’altra è soltanto un evento singolo, un fatto occasionale.

È alquanto difficile individuare i connotati che un processo deve avere per potersi dire ‘giusto’; dunque ci si chiede cosa significa ‘giusto’ sul terreno del processo. Un significato non arbitrario di ‘giusto’ va definito sulla base di valori ampiamente condivisi, universalizzabili24, tali cioè da ottenere l’assenso qualificato di tutti i possibili interessati. Giusto processo, può essere definito quello che sarebbe scelto da persone razionali in situazione di ideale imparzialità, perché ignare del

rapporti tra giusto processo e due process v. G. Lozzi, la realtà del processo penale, ovvero il <<modello perduto>> in questione giustizia 2001

21

Qui palesemente ci si riferisce al primo dei due sensi in cui può essere intesa l’equità a) come fairness ,parola che nel linguaggio corrente designa la correttezza nelle competizioni sportive e negli affari; b) come giustizia del caso singolo, contrapposto ad un’inesorabile applicazione di regole generali, ossia come virtù che deve compensare l’astratto rigore della legge.

22

La giustizia è il primo requisito delle istituzioni sociali, così come la verità lo è dei sistemi di pensiero ( J. Rawls, una teoria della giustizia 1971 Milano)

23CfrC. Berti psicologia sociale della giustizia Bologna 2002

24 Sul principio di universalizzazione come regola dell’argomentazione J.Habermas etica del discorso a cura di E. Agazzi Roma-Bari 2000

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14 ruolo che le attende: attore, convenuto, imputato, giudice, accusatore o vittima del reato.

Vi è chi ritiene che giusto processo implichi un giudice privo di ogni potere probatorio, l’assoluta inutilizzabilità di qualsiasi prova illecitamente ottenuta, la separazione delle carriere tra giudice e p.m. ecc. ecc.opinioni degne di attenzione ma che non reggono su un concetto, condiviso ampiamente, di giusto processo.La realtà è che i caratteri universalizzabili del giusto processo, quelli così solidi da rappresentare un valido parametro per il giudizio di legittimità costituzionale, sono già tutti enucleati dall’art. 111 Cost. e da altre disposizioni di rilevanza processuale ( artt. 13, 14, 15, 24, 25, 27 Cost.). Dichiarazioni di illegittimità costituzionale, per puro e semplice contrasto con la garanzia del giusto processo dovrebbero essere di fatto assai improbabili. La formula del giusto processo esplica una notevole forza connotativa e simbolica su tre diversi piani: il primo, di un effetto pressoché esaurito, riguarda i processi già svolti secondo le vecchie regole e dunque definiti sulla base delle dichiarazioni unilateralmente raccolte nell’indagine preliminare. Se fra i caratteri del giusto processo rientrano anche le regole del 4° co. dell’art. 111 Cost relative al contraddittorio nella formazione della prova e allo specifico regime delle dichiarazioni rese da chi per libera scelta si è sempre sottratto al controesame, è difficile sostenere che quei processi fossero ‘giusti’; è anche vero che nel momento in cui si includono certi connotati nella nozione di <<giusto processo>> è come se si qualificassero ‘ingiusti’ i processi privi di quei connotati, pur se legalmente svolti.

Il secondo piano riguarda la legge ordinaria. La costituzionalizzazione delle regole e dei principi del giusto processo implica un impegno prioritario del legislatore nella loro attuazione; purtroppo ad oggi si è intervenuti solo settorialmente sul fronte del contraddittorio, trascurando del tutto quello della durata ragionevole, che comunque la

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15 legge tende ad assicurare ai sensi dell’art. 111 2° co. Cost.Ma la formula <<giusto processo>> assume per il legislatore un significato più pregnante rispetto a quello esemplificativo di specifiche direttive, che vale per la Corte costituzionale. Questa formula dunque viene a coinvolgere l’intera disciplina del codice di rito, sollecitando particolare attenzione nel bilanciamento tra garanzie ed efficienza; inutile aggiungere che leggi adpersonam volte a realizzare trattamenti privilegiati o a sottrarre alla giustizia singoli imputati sono agli antipodi di ciò che dovrebbe suggerire la nozione di giusto processo.

Il terzo piano riguarda gli operatori del processo, giudice, pubblico ministero, polizia giudiziaria e difensore, per i quali il principio del giusto processo dovrebbe rappresentare un potente richiamo alla correttezza e lealtà, pur nell’esercizio di funzioni diverse25

. Ora, poiché l’idea di giustizia traspare più dall’esempio pratico che dalla disciplina legale, diventa essenziale il contegno degli attori, soprattutto nel processo penale dove giudice e pubblico ministero sono investiti di poteri autoritativi; la disponibilità dei giudici al dialogo e all’ascolto, il rispetto della persona da parte degli organi inquirenti, l’adempimento né arrogante né burocratico delle formalità legali, la consapevolezza che, nonostante l’esercizio dei poteri coercitivi, il processo resta una pratica comunicativa, basata sul confronti di argomenti e ragioni, contribuiscono a realizzare gli ideali di giustizia non meno di quanto vi concorrano le riforme legislative.

25 Per un collegamento tra giusto processo e doveri di lealtà e correttezza, M. Pivetti, per un processo civile giusto e ragionevole in G. Civinini e C.M. Verardi (a cura di) il nuovo articolo 111;

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1.3 I quattro principi fissati dall’art.111 2° co Cost

Il 2° co art. 111 Cost fissa quattro importanti principi riferiti ad ogni processo (civile ,penale, amministrativo) : contraddittorio, condizioni di parità, giudice terzo ed imparziale, durata ragionevole. I primi tre sono valori primari di giustizia; il quarto esprime una condizione di efficienza della giustizia. La stessa Corte ha sempre riconosciuto questi principi: il contraddittorio desunto dall’art. 24, 2° co, la parità dagli artt. 3 e 24, la terzietà-imparzialità dall’art. 101. 2° co Cost; la durata ragionevole, già tutelata dall’art.6 della Convenzione europea, dai principi costituzionali che regolano l’esercizio della funzione giurisdizionale e dall’esigenza di razionalità delle norme processuali.

1) <<ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti…>> nel progetto della Bicamerale, accanto al contraddittorio, figuravano l’oralità e l’immediatezza. Nessun accenno viene fatto alla pubblicità delle udienze che dovrebbe caratterizzare ogni processo; il silenzio si può spiegare in base alle stesse ragioni che indussero i Costituenti a sopprimere nel testo definitivo il richiamo alla pubblicità…originariamente contenuta nell’art. 101 del progetto presentato all’Assemblea costituente il 31 gennaio 1947. L’espressa enunciazione infatti fu ritenuta superflua adducendo la motivazione che la pubblicità delle udienze era implicitamente prescritta dal sistema costituzionale come conseguenza del fondamento democratico del potere giurisdizionale, esercitato in nome del popolo (art. 101 Cost); ma insieme a questa motivazione, ve n’è un’altra meno nobile, cioè l’ampiezza che avrebbe assunto di li a poco il giudizio abbreviato con la legge 479 del 1999. Il contraddittorio, in questo caso, corrisponde al principio dell’

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17 nella formazione della prova, contemplato dal successivo comma 4, ma un contraddittorio genericamente inteso come partecipazione dialettica delle parti. Nella sua accezione tipica, il contraddittorio postula una struttura triadica fondata sul rapporto dialettico tra le parti davanti ad un giudice imparziale; esso si stempera in una serie di garanzie e diritti, il cui numero e contenuto non sono mai definibili a priori. In genere il contraddittorio precede la decisione del giudice, ma non si esclude che la legge possa anticiparlo, come accade nel processo penale con l’impugnazione delle misure coercitive, emesse inaudita altera parte, davanti al tribunale del riesame. 2) <<in condizioni di parità…>>

Essere in condizioni di parità non significa possedere i medesimi strumenti; già con riguardo al processo civile, come notava un’illustre dottrina26

, <<il principio di uguaglianza delle parti non può distruggere la diversità di posizione iniziale, derivante dal fatto che la invocazione del giudizio proviene non da tutt’e due le parti insieme, ma da una parte che colla proposizione della domanda prende volontariamente l’iniziativa del processo contro l’altra parte che senza sua volontà si trova coinvolta nel rapporto processuale ed è costretta a subirne gli effetti>>; questa differenza originaria si ripercuote nel corso del processo sugli oneri di cui sono gravati attore e convenuto. A maggior ragione un livellamento delle situazioni soggettive sarebbe irrealizzabile nel processo penale dove il pubblico ministero esercita poteri autoritativi inconcepibili per il

26

p. Calamandrei istituzioni di diritto processuale civile, 1940 in M. Cappelletti ( a cura di ) opere giuridiche, IV Napoli 1970. Sull’impossibilità di concepire la parità tra le parti come <<meccanica e automatica identità di diritti e doveri per l’accusa e per la difesa>>. M. Chiavario ,le garanzie della giurisdizione e il processo penale, in Le

garanzie della giurisdizione e del processo nel progetto della Commissione bicamerale (atti del XV convegno di studio su <<problemi attuali di diritto e di

procedura civile>> Courmayeur, (19-20 giugno 1988) Milano,1999; id, voce <<giusto processo>>

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18 difensore. La difesa difende l’imputato in quanto tale, l’accusa lo persegue in quanto sia colpevole, o meglio in quanto così appare dalle prove. Tuttavia, ad inseguire il mito dell’uguaglianza, la difesa si troverebbe investita di obblighi palesemente in conflitto con l’essenza della sua funzione o, all’opposto, il pubblico ministero si convertirebbe in uno spietato accusatore, pronto ad occultare ogni dato favorevole all’imputato. Invece, la parità esige una relazione di necessaria reciprocità tra la parte che accusa e la parte che resiste; insomma si può essere pari anche disponendo di armi diverse, purché appropriate alla funzione esercitata.

3) <<..davanti a giudice terzo e imparziale..>>

Nel progetto della Bicamerale si parlava soltanto di giudice <<terzo>>; il testo in esame aggiunge la qualifica di <<imparziale>>. A primo acchito i due termini appaiono sinonimi, l’endiadi sarebbe quindi ridondante o meglio, ciascun termine avrebbe un valore puramente rafforzativo dell’atro. Tuttavia è compito dell’interprete impegnarsi nella ricerca di un possibile significato autonomo. L’ipotesi più attendibile è che la terzietà riguardi lo status, ossia il piano ordinamentale, l’imparzialità concerne la funzione esercitata nel processo. Del tutto conciliabile con l’imparzialità è invece un potere probatorio esercitato dal giudice in extremis, al fine di rimediare alle negligenze delle parti. È importante che la legge circoscriva i tempi e modi dell’intervento giudiziale, inserendolo in una dimensione sussidiaria rispetto all’iniziativa delle parti; a riguardo si può far riferimento all’art. 507 c.p.p.

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19

1.4 Rapporto tra la ragionevole durata del processo e

garanzia del giusto processo

Sintatticamente la ragionevole durata è riferita al processo svolto nel contraddittorio, davanti al giudice terzo ed imparziale, con la conseguenza che nel settore penale riguarderebbe solo il processo in senso stretto che inizia con l’esercizio dell’azione.

Il principio della ragionevole durata è già contemplato nella Convenzione europea (art.6) con una differenza di rilievo: mentre in quest’ ultima la garanzia è costruita come un diritto soggettivo, immediatamente azionabile, la disposizione costituzionale impegna la legge ad assicurare la durata ragionevole del processo. Nel complesso il controllo della Corte, incontra un limite nel potere discrezionale del legislatore di scandire tempi e modi delle fasi processuali27; e la cronica lentezza della nostra giustizia dipende da difetti di gestione, da ragioni organizzative. È tutt’altro che illogica, pur nella difficile compatibilità con le risorse, la previsione di un risarcimento all’imputato assolto dopo inammissibili ritardi processuali28

. L’impegno alla ragionevole durata non rappresenta solo un diritto della persona coinvolta nel processo, ma anche una garanzia oggettiva di buon funzionamento della giustizia; anche se qualcuno ritiene arbitraria questa lettura della ragionevole durata. La critica muove dalla volontà di evitare che in nome della speditezza processuale si vanifichi l’inviolabile diritto di difesa, un rischio degno della massima attenzione al pari del suo opposto e cioè, dell’incontrollata proliferazione delle garanzie difensive tali da paralizzare il corso del

27 La Corte cost ha ripetutamente affermato che <<il legislatore, nel regolare il funzionamento del processo, dispone della più ampia discrezionalità, sicché le scelte concretamente compiute sono sindacabili solo ove manifestamente irragionevoli 28 Un rimedio in questo senso si deve alla l. 24 marzo 2001 n. 89 (previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’art. 375 del codice di procedura civile)

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20 processo. Sennonché si può pacificamente escludere che una corretta impostazione del travagliato rapporto tra garanzie difensive e ragionevole durata possa essere raggiunta, negando a quest’ultima la natura di canone oggettivo. Il vero problema, dunque, è quello di definire il rapporto tra la ragionevole durata e le altre garanzie del ‘giusto processo’. Un punto fermo deriva dalla distinzione dworkiniana tra principi e regole29; nessuna influenza può esercitare l’impegno alla ragionevole durata sull’attuazione dei precetti costituzionali espressi in forma di regola, perché le regole , a differenza dei principi, sono soggette ad eccezioni ma sfuggono, per loro stessa struttura, al bilanciamento che è la tecnica di attuazione dei principi. Ma il discorso per i principi del giusto processo contemplati nel 2°co art.111 Cost., è ben diverso: si parla di imparzialità-terzietà del giudice, contraddittorio genericamente inteso come proiezione del diritto di difesa, parità delle parti, ragionevole durata del processo. In quanto principi essi fungono da norme volte a prescrivere che qualcosa sia realizzato nella misura del possibile; per questa ragione sono inderogabili, rappresentando per essi il bilanciamento o la ponderazione ciò che è l’eccezione rispetto alle regole30. Se attentamente bilanciati, i principi del ‘giusto processo’ si compongono in un rapporto di solidarietà che li rafforza reciprocamente; anche perché almeno tre di essi sono strettamente interdipendenti (funzione cognitiva, imparzialità, diritto di difesa). Questi principi, sono primari valori di giustizia.

29

Al riguardo v. P. Gaeta, durata ragionevole del processo e giurisprudenza della

Corte costituzionale, in Questione giustizia, 2003

30 Qui ci si riferisce al bilanciamento operato dal legislatore e non a quello svolto in sede interpretativa dal giudice o dal giurista.

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21

1.5 Il valore sussidiario della ragionevole durata

La ragionevole durata svolge un ruolo sussidiario; anche se il termine sussidiario non va inteso in senso riduttivo, ma designa un ordine logico, una cadenza nella definizione dei valori. Come afferma P. Ferrua31 il concetto di ragionevole durata implica già la scelta di un modello processuale, caratterizzato da certe garanzie, quali il contraddittorio davanti al giudice imparziale ecc.. e può essere definito quindi, solo a partire da quel modello che va

prioritariamenteindividuato32. Anteposta al contesto delle garanzie, l’idea di ragionevole durata risulterebbe assolutamente vuota, capace di sospingere verso esiti di giustizia assolutamente sommaria. Ma il rapporto di priorità non esclude l’esigenza del bilanciamento che anzi traspare dalla stessa qualifica di ‘ragionevole’33

. Occorre individuare per ciascun valore primario, il nucleo essenziale delle garanzie, coerenti con il modello di riferimento, in relazione alle quali la durata del processo non può mai dirsi irragionevole. L’impegno del legislatore al bilanciamento tra i diversi principi è importante proprio perché , una volta definite le garanzie, non si può pretendere che siano l’imputato e la sua difesa a regolarne l’uso in termini compatibili con la ragionevole durata del processo. Da parte del difensore e dell’imputato non esiste alcun dovere di contribuire ad agevolare la pronuncia di una sentenza nel merito, anzi, quando la condanna appare probabile è prevedibile che la difesa si avvalga di ogni mezzo legale per ritardarla o schivarne gli effetti, incluso quello di decelerare deliberatamente il corso del processo allo scopo di guadagnare la

31

P. Ferrua, il giusto processo, Zanichelli, Bologna 3° ediz 2012

32 Per un’opposta letturadel rapporto di priorità v. V. Grevi alla ricerca di un

processo, secondo cui l’esigenza della ragionevole durata riveste, tra le garanzie

qualificanti del modello desumibile dall’art. 111Cost un rango logicamente prioritario rispetto alle altre. Se cosi fosse queste ultime sarebbero a forte rischio. 33Sulla ragionevole durata, anche in rapporto agli orientamenti della Corte di Strasburgo M. Chiavario, voce <<giusto processo>>

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22 prescrizione del reato. Tantomeno si potrebbe immaginare un intervento del giudice per sindacare l’esercizio dilatorio delle garanzie difensive o per bilanciarlo con le esigenze di ragionevole durata. Non a caso l’invito ad assicurare la ragionevole durata è rivolto al legislatore e non ai soggetti del processo.

1.6 Le garanzie del processo penale alla luce del 3° co.

dell’art. 111 Cost

Più specifiche, perché relative al solo processo penale, sono le direttive fissate dal 3° co. art. 111Cost, che sulla scia del testo della Bicamerale riproduce le garanzie dell’art. 6 della Convenzione europea. La costituzionalizzazione delle garanzie della Convenzione europea acquista dunque formale rilevanza, proprio perché la Corte costituzionale ne ha sempre negato il valore costituzionale; la Corte costituzionale ha affermato che la normativa della Convenzione europea, pur non essendo assimilabile a quella della Costituzione, assume un rilievo costituzionale in forza dell’art. 117 1° co. Cost. Una volta ammesso che la Convenzione europea sia una fonte in qualche modo sovraordinata rispetto alla legge ordinaria, l’interpretazione del ‘diritto di difesa’, l’individuazione del suo contenuto minimo alla stregua delle norme pattizie, diventa un atto doveroso al quale la recente giurisprudenza costituzionale si è più volte sottomessa34

1) <<nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico…>>

34

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23 Il significato di processo, nell’art. 111 Cost va definito in funzione della singola garanzia, potendo a seconda dei casi comprendere o meno anche la fase antecedente all’esercizio dell’azione penale35. In questo caso l’esegesi è resa più difficile

dal richiamo doppio all’accusa e alla persona accusata. Ad intendere i termini in senso tecnico, la disposizione opererebbe solo nella fase del processo vero e proprio, con il pubblico ministero che formalizza l’imputazione esercitando l’azione penale con la richiesta di rinvio a giudizio.

È invece probabile, e in tale direzione depongono l’avverbio <<riservatamente>> e la stessa clausola<<nel più breve tempo possibile>>, che si alluda a qualunque fase del procedimento in cui si registri la sostanziale attribuzione di un fatto costituente reato ad una persona da parte degli organi inquirenti36; dunque anche alle indagini preliminari, specie se l’indiziato sia detenuto, non essendo concepibili misure coercitive senza una tempestiva conoscenza dell’accusa.

Importante sottolineare come il diritto alla tempestiva conoscenza dell’accusa rappresenti una condicio sine qua non per l’efficace svolgimento della difesa ; di qui << la necessità di una continua corrispondenza tra l’accusa comunicata e quella per cui si procede, non potendosi restringere il significato dell’informazione al dato accusatorio di partenza>>37. A differenza della Convenzione europea, il precetto costituzionale non accenna all’esigenza che l’informazione sia data <<in una lingua comprensibile>>

35

In tal senso, C. Conti, voce <<giusto processo>>; P. Tonini, <<giusto processo>>:

riemerge l’iniziativa del parlamento, in dir. Pen. Proc. 2000

36 Idealmente il diritto all’informativa dovrebbe scattare quando siano stati acquisiti elementi a carico; da quel momento il diritto <<potrà compresso solo se il pubblico ministero avrà adeguatamente motivato circa la sussistenza di specifiche cautele attinenti all’attività d’indagine>> così E. Marzaduri la riforma dell’art. 111 Cost cit. 37E. Marzaduri, la riforma dell’art. 111 Cost ,cit; M. Chiavario, voce <<giusto

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24 all’accusato. Ma alla lacuna può rimediarsi agevolmente in via interpretativa; il diritto all’assistenza di un interprete quando l’accusato non parla o non comprende la lingua impiegata nel processo, ha come presupposto logico che anche l’atto di accusa sia portato a conoscenza dell’interessato in una lingua a lui comprensibile. La stessa Corte costituzionale nella sent. 10 del 1993 ha precisato che <<il diritto dell’imputato ad essere immediatamente e dettagliatamente informato nella lingua da lui conosciuta della natura e dei motivi dell’imputazione contestatagli dev’essere considerato un diritto soggettivo perfetto, direttamente azionabile. E, poiché si tratta di un diritto la cui garanzia, ancorché esplicitata da atti aventi il rango della legge ordinaria, esprime un contenuto di valore implicito nel riconoscimento costituzionale, a favore di ogni uomo (cittadino o straniero), del diritto inviolabile alla difesa (art. 24 2°co. Cost), ne consegue che, in ragione della natura di quest’ultimo quale principio fondamentale, ai sensi dell’art. 2 Cost, il giudice è sottoposto al vincolo interpretativo di conferire alle norme, che contengono le garanzie dei diritti di difesa in ordine alla esatta comprensione dell’accusa, un significato espansivo, diretto a render concreto ed effettivo, nei limiti del possibile, il sopra indicato diritto dell’imputato>>.

2) <<..disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa>>

Classica direttiva espressa nella forma di un principio, già desumibile dall’art. 24 2° co. Cost. Sarebbe derisorio definire inviolabile il diritto di difesa se il suo titolare non fosse posto in grado di esercitarlo efficacemente, sia in via personale sia attraverso il proprio difensore; con il quale deve, dunque, avere diritto all’immediato contatto la persona in vinculis, come le è

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25 riconosciuto dall’art. 104 1° co. c.p.p.38

parlando del ruolo del difensore nel processo penale non si possono non citare le tre leggi che ne hanno ridefinito la figura: la l. 7 dicembre 2000 n. 397(disposizioni in materia di indagini difensive), la l.6 marzo 2001 n. 60 (disposizioni in materia di difesa d’ufficio), la l.29 marzo 2001 n. 134 ( modifiche alla l. 30 luglio 1990, n. 217, recante istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti)

3) <<…abbia facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogazione di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore>>

tre varianti rispetto alla norma convenzionale:

l’espresso richiamo al <<giudice>> come autorità davanti alla quale vanno effettuati gli interrogatori; il riferimento alle <<persone>>> e non solo ai <<testimoni>>; il diritto dell’accusato di acquisire <<ogni altro mezzo di prova a suo favore>>39. Si tratta della più significativa tra le garanzie previste in questa parte, l’unica nettamente orientata verso un processo accusatorio. Qualche giudice di merito ha ritenuto che con la formula in esame <<sia stato introdotto il principio della possibilità, per l’imputato, di interrogare direttamente quantomeno i testimoni a carico>>, come denoterebbe anche il successivo richiamo ad un <<interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore>>40. Non c’è dubbio che il

diritto alla prova non sia indiscriminato, tale cioè da imporre l’accoglimento di ogni richiesta difensiva. Ragionevolezza vuole che resti subordinato ad un vaglio giudiziale di

38E. Marzaduri la riforma dell’art. 111Cost.cit

39Già implicito nel testo convenzionale, G. Ubertisverso un giusto processo cit. 40

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26 ammissibilità e rilevanza come previsto dall’art. 190 c.p.p. laddove dice che <<il giudice provvede senza ritardo con ordinanza escludendo le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti>>. Ricordiamo i disegni di legge presentati volti a comprimere il potere del giudice di escludere prove manifestamente irrilevanti o superflue41. Non essendo stato costituzionalizzato il principio dell’oralità, deve ritenersi pienamente ammissibile l’istituto dell’incidente probatorio che potrebbe anzi assumere maggiore rilevanza. Questo 3° co. si riferisce al giudice davanti al quale non dovrebbe mai essere negato di esercitare il diritto alla prova ex art.111 3° co. Cost, il giudice di merito, o meglio quello investito del potere di condannare. Dunque la conseguenza del discorso e chiara: le testimonianze assunte in incidente probatorio restano pienamente valide e utilizzabili a fini decisori, perché formate in contraddittorio. Salvo il caso di sopravvenuta irripetibilità, l’imputato può chiedere che siano rinnovate nel dibattimento, ovviamente in quanto non manifestamente superflue o irrilevanti (art. 190 1° co. c.p.p.); dopodiché le une e le altre saranno oggetto di valutazione da parte del giudice.

Si concilia scarsamente con i principi costituzionali a questo punto l’art. 190-bis c.p.p., secondo cui <<nei procedimenti per taluno dei delitti indicati nell’art. 51 co. 3°bis, quando è richiesto l’esame di un testimone o di una delle persone indicate nell’art. 210 e queste hanno già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio o in dibattimento nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate ovvero dichiarazioni i cui verbali

41 Così da ultimo il d.d.l S/2567 sul c.d. processo lungo in cui art.1 co.2 riconosce al giudice il potere di escludere solo le prove vietate dalla legge e quelle manifestamente non pertinenti (dunque non quelle manifestamente superflue)

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27 sono stati acquisiti a norma dell’art. 238, l’esame è ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengano necessario sulla base di specifiche esigenze>>42

4) <<…sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo>>

In questo caso processo va inteso nel senso più ampio, non essendovi motivo per negare il diritto all’assistenza dell’interprete sin dalla fase delle indagini preliminari ogniqualvolta vi intervenga l’indiziato.

1.7 4° co. art. 111Cost., il contraddittorio come garanzia

oggettiva

Partendo dal solenne incipit della sentenza costituzionale 255 del 1992:<<fine primario ed ineludibile del processo penale non può che rimanere quello della ricerca della verità>> la Corte costituzionale demolì la fondamentale regola di esclusione probatoria che limitava gli effetti delle contestazioni al solo controllo di attendibilità della testimonianza dibattimentale (art.500 3° co. c.p.p.) . Tutto questo perché la ricerca della verità esige il recupero delle dichiarazioni raccolte dagli organi inquirenti, sentenziò la Corte costituzionale battezzando l’inedita massima <<principio di non dispersione della prova>>. L’ errore sta nel ritenere che l’ostacolo al perseguimento di

42

Il comma 1°bis dell’art. 190 bis c.p.p. estende la medesima disciplina all’esame di un testimone minore degli anni sedici<<quando si procede per uno dei reati previsti dagli artt. 600bis primo comma, 600ter,600quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’art.600quater, 600quinquies, 609bis, 609ter, 609quater ,609quinquies e 609octies del codice penale>>

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28 quel fine sia il contraddittorio, nell’instaurare un’antitesi tra i due valori per effetto della quale destinato a soccombere è poi inevitabilmente il contraddittorio.

Questa antitesi crolla con il nuovo 4° co. dell’art. 111 Cost. <<il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova>>. È una formula breve ma potente, dove il contraddittorio figura come condizione di regolarità del processo. Si è voluto riferire il contraddittorio alla formazione della prova, fissando così un’idea forte. Come nell’originaria versione del codice 1988, questo valore torna alleato della verità e si apre per il legislatore ordinario la possibilità di ricostruire regole di esclusione probatoria per il materiale ritenuto inaffidabile, senza incubo della declaratoria di illegittimità. Ovviamente la prova non và dispersa, ma di questa regola la Corte non potrà più approfittarne per stabilire cosa meriti la qualifica di prova, perché il concetto stavolta l’ha determinato la Costituzione stessa identificandolo in ciò che si ottiene con il contributo dialettico delle parti. Non si tratta solo di una questione di trasparenza, di garanzia della genuinitàdelle dichiarazioni. Il problema è che la prova dichiarativa si forma attraverso una fitta rete di interazioni tra interrogante e interrogato, in un processo comunicativo dove il massimo influsso è esercitato da chi (pubblico ministero o giudice) sia dotato di poteri autoritativi43. È difficile pensare che le aspettative dell’organo inquirente, definite dall’ipotesi accusatoria che sostiene, non eserciti alcuna influenza sulle dichiarazioni raccolte; l’esame incrociato si può dire che bilancia questi influssi, opponendo alla parzialità dell’accusatore quella del difensore in un dialogo che si svolge sotto il controllo del giudice. La verità non si manifesta né per

43

La testimonianza non è più, come ai tempi di Bentham, al centro del processo, essendo non di rado surrogata da videoregistrazioni ed altre prove tecniche ad elevato grado di affidabilità; ma proprio per la sua fragilità, nei casi in cui resta decisiva, è essenziale il rispetto del contraddittorio.

(29)

29 le intuizioni solitarie di un giudice omnisciente( secondo la logica inquisitoria) , né per la ricerca sincera e disinteressata delle parti; ma si ‘tradisce’ contro il volere stesso delle parti, proprio nel conflitto delle opposte prospettive44. Questo l’avvocato lo sa bene, quando prudentemente rinuncia a contro esaminare un teste affidabile, consapevole che anche svolgendo il più aggressivo controinterrogatorio otterrebbe solo l’effetto di avvalorare la deposizione. Nulla fortifica una tesi, quanto il tentativo fallito di falsificarla: sta qui il valore del contraddittorio45. Il maggior pregio dell’esame incrociato, non è di accertare la verità, quanto piuttosto di scoprire la menzogna; perché spesso è decifrando la menzogna che si raggiunge la verità. Che il teste dica il vero non si può mai essere sicuro ed è proprio quest’ansia di superare ogni dubbio che ha spianato la via alle pratiche inquisitorie, inclusa la tortura; che il teste menta, a date condizioni, lo si può ragionevolmente supporre; per individuare false dichiarazioni il metodo più efficace è senz’altro il serrato alternarsi di domande e risposte su fatti specifici in un dialogo condotto dalle parti, dove lo stesso tema è vagliato da opposte prospettive. La disciplina costituzionale sul contraddittorio nella formazione della prova si compone di tre proposizioni, rappresentate nell’ordine da : una disposizione generale (<<il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova>>) una speciale (<<la colpevolezza non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta , si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore>>) e una derogatoria a quella generale(<<la legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita>>). Affermando

44 P. Ferrua il giusto processo Zanichelli, Bologna (2012) 3° ediz 45

(30)

30 dunque che il processo penale è regolato dal contraddittorio nella formazione della prova, il 4° co. dell’art.111 Cost, impone al legislatore due generi di obblighi, strettamente connessi con due facce della stessa medaglia. Uno positivo, che consiste nell’apprestare tecniche e strumenti idonei a formare le prove nel contraddittorio; l’altro negativo, che consiste nell’estromettere dal quadro decisorio le prove non formate nel contraddittorio. Gli avversari della regola d’oro, all’indomani dell’entrata in vigore della riforma costituzionale, si sono subito impegnati nel tentativo di neutralizzare la forza innovativa. Oggetto dell’offensiva la prima parte dell’art. 111, 4° co Cost. che, non conteneva alcuna regola di esclusione, in quanto l’unico divieto probatorio sarebbe stato quello fissato dalla seconda parte della stessa disposizione relativamente alla ‘sottrazione per libera scelta’. La conseguenza era che la legge di attuazione del giusto processo, avrebbe dovuto limitarsi a negare valore probatorio alle dichiarazioni rese da persone poi sottrattesi al controesame difensivo, con il silenzio in sede dibattimentale; per il resto, una conferma delle scelte, prevalse all’epoca della svolta inquisitoria con il riconoscimento di efficacia probatoria alle dichiarazioni contestate al testimone, comunque questa lettura del precetto costituzionale è stata smentita dalla stessa Corte. Tuttaviasingolari argomenti su cui regge sono: il primo, si incentra sul tenore del divieto contenuto nella seconda parte dell’art.111, 4° co Cost, dove si afferma che <<la colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore>>; da questo esplicito divieto si ricaverebbe a contrario, l’implicita ammissibilità di un uso probatorio delle dichiarazioni rese da chiunque accetta il controesame46. Se il teste

46

In tal senso ad esempio, V. Grevi alla ricerca di un processocit.,XVII s.; ID. Qualche variazione sui rapporti cit.,95 s. (<<in queste ipotesi infatti, non essendosi il dichiarante ’sottratto’ al vaglio dell’interrogatorio, viene a mancare lo stesso presupposto di operatività della regola dettata nella seconda parte dell’art. 111 co.4

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31 non si sottrae al controesame è inapplicabile il divieto probatorio e le precedenti dichiarazioni possono provare la colpevolezza dell’imputato. Dunque, ad opporsi all’uso probatorio delle dichiarazioni raccolte segretamente sta la prima parte dell’art. 111, 4° co Cost. che esige <<il contraddittorio nella formazione della prova>>. Allora ci si chiede in che modo si potrebbe considerare rispettata questa direttiva se tutto quanto dichiarato nell’indagine, si trasformasse in prova per il solo fatto d’essere contestato a chi depone nel giudizio? E ancora, dire che le prove si formano in contraddittorio, non equivale forse a dire che ciò che non si è formato in contraddittorio non è prova? Il secondo enunciato altro non è che la traduzione in negativo del primo, nel quale resta implicito il divieto di usare a fini decisori le dichiarazioni raccolte segretamente. Non solo, se il richiamo al principio del contraddittorio non valesse anche in negativo, come regola di esclusione, lo stesso 5° co. dell’art. 111 Cost. risulterebbe in larga parte privo di significato. Non avrebbe senso prevedere deroghe al contraddittorio per la provata condotta illecita se un divieto probatorio operasse solo nel caso della libera sottrazione al controesame contemplata nella seconda parte dell’ art. 111, 4° co. Cost, questo perché entrambe le deroghe starebbero già al di fuori del divieto mancando il presupposto della libera scelta.

La stessa deroga al contraddittorio per consenso dell’imputato si giustifica proprio in quanto essa operi anche prima e indipendentemente dalla circostanza che il dichiarante si sottragga per libera scelta al controesame; dunque , come eccezione ad una regola di esclusione probatoria che deriva già dalla prima parte dell’art. 111, 4°

Cost, che sanziona come inutilizzabili soltanto le suddette dichiarazioni; e del resto( argomento a contrario) non si vede come potrebbe ricavarsi dalla prima parte del medesimo art.111 co. 4 Cost una più ampia regola di inutilizzabilità, tale da investire tutte le dichiarazioni anteriormente acquisite in difetto di contraddittorio, prescindendo dalla circostanza del successivo rifiuto del dichiarante di confrontarsi con l’accusato>>); P. Tonini necessario garantire spazi, cit

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32 co. Cost. Non è affatto detto che con il consenso dell’imputato, la prova della colpevolezza possa essere raggiunta anche sulla base delle dichiarazioni di chi si è sempre sottratto al controesame. Qualcuno obietta che , se già la prima parte dell’art. 111, 4° co. Cost, contenesse una regola di esclusione, <<diverrebbe superfluo il secondo periodo del medesimo comma>>: l’impossibilità di provare la colpevolezza sulla base delle dichiarazioni di chi si fosse sottratto al controesame sarebbe già implicita nel più generale divieto di utilizzare come prova, dichiarazioni raccolte fuori del contraddittorio. <<Ma una norma di legge non può essere interpretata in modo da diventare inutile>> di qui l’esigenza di negare la premessa e restringere ogni divieto probatorio alla sola fattispecie della sottrazione per libera scelta47. È possibile che il divieto contenuto nella seconda parte dell’art. 111, 4° co. Cost. sia in qualche misura ridondante rispetto a ciò che già si evince dalla prima parte. A dettarlo è stato il timore che anche la volontaria sottrazione al controesame fosse valutata alla stregua di un’impossibilità oggettiva di formare la prova in contraddittorio. Il costante assillo dei riformatori era quello di evitare che un’interpretazione estensiva del concetto di ‘irripetibilità’ fornisse lo spunto per acquisire, in caso di silenzio dibattimentale, le dichiarazioni già rese dal coimputato agli organi inquirenti. Con la clausola sulla sottrazione al controesame credevano di introdurre un supplemento di tutela; e non immaginavano che gli avversari della regola d’oro ne avrebbero immediatamente approfittato per affermare a contrario la piena efficacia probatoria delle dichiarazioni ‘difformi’ contestate al testimone48

. Ma ridondante o meno che sia , quella previsione non può certo demolire la preposizione precedente, vanificando il contraddittorio come metodo

47

Così P. Tonini, l’alchimia del nuovo sistema probatorio: un’attuazione del <<giusto

processo>>? In ID. (a cura di) giusto processo. Nuove norme, cit

48 Negligenza imperdonabile, perché quel rischio era facilmente prevedibile (cfr P. Ferrua, il processo penale dopo la riforma, cit. 64, 67; ID.l’avvenire del

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