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Difficolta nel rispetto e nell'applicazione degli strumenti di pianificazione urbanistica:il caso Waterfront di La Spezia

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PREFAZIONE

Con il presente lavoro si intende analizzare lo sviluppo del progetto di riqualificazione del fronte a mare della città della Spezia, definito “Waterfront”, alla luce delle norme urbanistiche e non, a carattere nazionale, regionale e locale.

La motivazione della scelta deriva dal fatto che un progetto di riqualificazione urbanistica nato circa dieci anni fa non ha ancora trovato una realizzazione concreta completa, a causa dell’intersecarsi di norme che hanno consentito, e consentono ancora, ai principali attori (Comune ed Autorità Portuale) di cercare di far prevalere, anche a termini di legge, la propria posizione in merito.

Appare infatti evidente che, contrariamente alle previsioni del

Masterplan e successivamente ad esso non vi sia stato tra i soggetti

attuatori interessati l’adeguato consenso né la necessaria condivisione di obiettivi e di strategie comuni che potessero portare alla realizzazione del progetto in tempi compatibili con la dimensione del progetto stesso.

La difficoltà nel realizzare la convivenza di interessi legittimi riguardanti l’ambiente, il territorio, il patrimonio culturale, le attività socio-economiche e le infrastrutture della città della Spezia si è rivelata, finora, elemento insormontabile per la realizzazione del progetto.

La compatibilità tra le esigenze di riqualificazione e valorizzazione dell’ambiente urbano a vantaggio della cittadinanza, portate avanti dal Comune e dalle varie associazioni ambientaliste e civiche, e le esigenze di sviluppo commerciale, portate avanti dall’Autorità Portuale, ha trovato, di volta in volta, barriere normative e ideologiche.

La finalità della trattazione, pertanto, è di evidenziare come la pluralità delle norme esistenti, sia dal punto di vista del livello esecutivo (nazionale, regionale, provinciale e comunale) che dal punto di vista degli interessi che le stesse intendono tutelare (urbanistico, ambientale,

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portuale, economico, ecc.) abbia potuto portare ad uno stallo decisionale che tuttora impedisce la realizzazione del progetto.

L’intenzione finale sarebbe quella di indurre una riflessione sulla necessità che soggetti attuatori di diritto pubblico trovino, ad ogni livello, strumenti normativi e decisionali più semplici e condivisi per evitare che, come purtroppo accade per la maggior parte dei progetti pubblici nel nostro Paese, la realizzazione di opere migliorative della qualità della vita dei cittadini diventi motivo di scontro normativo e ideologico che non porta ad alcun risultato concreto.

Il testo si suddivide in tre parti.

Nella prima parte viene innanzitutto descritto come in tutte le città portuali, sia in Italia che in Europa, sia in corso una azione di riqualificazione del fronte a mare delle città stesse, con riferimento al rapporto di integrazione tra tessuto urbano ed attività portuali. Viene successivamente esposto il progetto “Waterfront” della città della Spezia, seguendone lo sviluppo dalla nascita allo stato attuale. L’analisi del progetto tende a mettere in risalto i punti nei quali le disposizioni normative hanno permesso ai diversi portatori di interesse (stakeholders) di orientare lo sviluppo del progetto verso le proprie posizioni. Vengono trattati nel dettaglio tutti gli aspetti del progetto sulla base dei documenti originati dal Comune della Spezia e dall’Autorità Portuale, preceduti dalla descrizione del contesto storico-ambientale nel cui ambito il progetto “Waterfront” interviene. A maggior chiarimento della descrizione del progetto, vengono inserite in appendice figure relative alle modifiche dell’ambiente urbanistico e portuale previste dal progetto stesso.

Nella seconda parte vengono esposte ed analizzate tutte le normative in vigore a livello nazionale, regionale, provinciale e comunale che risultano avere impatto sulla realizzazione del progetto

“Waterfront”, con un ulteriore riferimento alle normative ed alla

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influenzare l’intero procedimento. L’inquadramento giuridico del progetto vede la trattazione specifica delle norme e delle disposizioni legislative di carattere urbanistico, ambientale e portuale che, nel corso degli anni, si sono susseguite e sovrapposte.

Nella terza ed ultima parte sono esposte le considerazioni inerenti lo stallo del progetto e le conclusioni, ipotizzando eventuali possibili soluzioni di carattere normativo in base a quanto precedentemente descritto.

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INDICE

PARTE PRIMA: IL PROGETTO WATERFRONT

Capitolo 1 - Città portuali e porti

1. Il porto e il tessuto urbano: un’integrazione complessa Pag.7 2. La nuova tendenza in Europa e in Italia:

riqualificazione del fronte a mare delle città pag.10

Capitolo 2 - Genesi del progetto Waterfront di La Spezia

1. Premessa pag.14

2. L’ambito territoriale pag.16

Capitolo 3 - Descrizione del progetto

1. Gli obiettivi del progetto pag.21

2. Lo sviluppo del porto commerciale e delle attività

crocieristiche pag.25

PARTE SECONDA: IL QUADRO NORMATIVO

Capitolo 1 - Le norme a carattere nazionale

1. La Legge Urbanistica n.1150 del 17 agosto 1942 e la

sua evoluzione pag.30

2.

La riforma della legislazione portuale (Legge 28

gennaio 1994, n.84) pag.34

2.1 La riforma del Titolo V della Costituzione e le conseguenti proposte di riforma della Legge n.84

del 1994 pag.38

2.2 Le Autorità portuali pag.44

3. La legislazione ambientale pag.48

3.1 Premessa pag.48

3.2 Evoluzione del diritto ambientale pag.49

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Capitolo 2 - Le norme a carattere regionale

1. Generalità pag.54

2. La Legge urbanistica regionale n.36 del 4 settembre

1997 della Regione Liguria pag.55

3. Il Piano di Bacino della Regione Liguria (Legge

regionale n.18 del 21 giugno 1999) pag.60

Capitolo 3 - Le norme a carattere provinciale e comunale

1. Il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale pag.63

2. Il Piano Urbanistico Comunale (PUC) pag.67

3. Il Piano Regolatore Portuale (PRP) pag.72

4. Strumenti non urbanistici pag.75

4.1 Piano Strategico pag.75

4.2 Piano Generale di Sviluppo pag.79

PARTE TERZA: CONSIDERAZIONI E CONCLUSIONI

Capitolo 1 - Lo stallo del progetto

1. Il confronto tra Comune e Autorità Portuale pag.83 2. Le modalità procedurali per l’approvazione del

progetto Waterfront previste dal Comitato Portuale pag.85

3. Le prescrizioni esistenti sul progetto pag.88

4. Sentenze comunitarie e nazionali, nuove direttive

comunitarie come ulteriori prescrizioni pag.91

Capitolo 2 - Analisi della controversia

1. Confronto delle posizioni pag.96

1.1 La prima fase: il PRP del 2001 e l’intesa tra Comune

e Autorità portuale pag.96

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1.3 Il Masterplan, le contestazioni al progetto e il primo

ripensamento del Comune pag.102

1.4 La contrapposizione Comune-Autorità Portuale, la soluzione provvisoria sulla stazione crocieristica ed il

nuovo PUC pag.104

2. Considerazioni sullo sviluppo futuro del progetto pag.109

3. Conclusioni pag.113

APPENDICE pag.118

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CAPITOLO 1 – CITTÀ PORTUALI E PORTI

1. Il porto e il tessuto urbano: un’integrazione complessa

Il rapporto esistente tra le città portuali e i loro porti può essere analizzato tenendo conto di due aspetti. Il primo aspetto riguarda la tipologia di sviluppo della città rispetto al proprio porto: in un caso il tessuto urbano si è sviluppato insieme al porto come entità integrate una nell’altra, dando vita alle cosiddette “città-porto”; nell’altro caso la presenza del porto, creato a seguito di condizioni ambientali favorevoli dettate dalla natura della costa, ha fatto sì che intorno ad esso si sviluppasse un tessuto urbano che, altrimenti, non sarebbe sorto. In questo caso si parla delle cosiddette “città con il porto”.

Appare evidente da quanto detto che ciascuna città deve rapportarsi con la propria realtà portuale in maniera differente e non standardizzata. Grandi città portuali come Genova, Barcellona o Marsiglia, appartenenti alla tipologia di “città-porto”, hanno una necessità di integrazione differente rispetto a quella che può avere una città come La Spezia, nata intorno al porto e all’arsenale militare e successivamente a tutte le infrastrutture portuali e cantieristiche che hanno caratterizzato e caratterizzano tutt’ora il suo golfo.1

Il secondo aspetto dell’analisi riguarda ciò che da sempre ha caratterizzato le città portuali, ossia la coesistenza degli interessi legati alle attività commerciali del porto con l’ambiente urbano circostante, coesistenza che si è evoluta insieme all’evoluzione delle realtà “porto”. Infatti, nel corso del tempo i porti si sono evoluti dalla caratteristica di porto emporio a quella di porto industriale e, infine, all’attuale connotazione di porto moderno, con un impatto significativo sul rapporto con il tessuto urbano e la comunità locale.

All’epoca del porto emporio il rapporto tra operazioni portuali e tessuto urbano non si presentava conflittuale, dato che le attività

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commerciali e la realtà abitativa della città erano strettamente collegate alle operazioni di carico e scarico delle merci. Non esisteva la necessità di collegamenti retroportuali poiché il concetto di logistica integrata non faceva ancora parte dell’organizzazione di commercio del tempo.

Il successivo sviluppo industriale in diverse aree abitative, ed in particolare in quelle vicine al mare, ha fatto sì che si espandessero sistemi portuali legati in particolare all’industria siderurgica ed energetica, con un notevole impatto sul tessuto urbano delle città interessate. Un tale sviluppo industriale ha comportato sia un notevole aumento demografico, per necessità di manodopera non legata strettamente al porto, sia la necessità di creare vie di comunicazione e di trasporto che, inevitabilmente, andavano ad impattare sul tessuto urbano delle città portuali. In questa fase si può individuare un primo momento di distacco tra l’ambiente cittadino ed il mare, anche visivo, nonché un inizio della perdita della cultura marittima da parte del tessuto sociale.

Gli ultimi sviluppi del commercio, dalla fine del XX secolo agli inizi di quello attuale, hanno portato alla creazione del cosiddetto “porto moderno”. La diminuzione dell’importanza dell’industria siderurgica ed energetica a fronte dello sviluppo del trasporto di container ha costretto le città portuali ad un adeguamento infrastrutturale a volte anche abnorme, con un forte impatto negativo sulla fruibilità del mare da parte della comunità locale e sulla vivibilità dell’ambiente urbano, a causa dell’aumentato volume di traffico legato al trasporto delle merci da e per il porto.2

L’evoluzione appena descritta ha reso conflittuale la coesistenza tra le attività portuali e le attività urbane a causa delle differenti posizioni dei relativi portatori d’interesse: da un lato gli operatori commerciali ed il collegato settore produttivo portuale, dall’altro la cittadinanza. La necessità di avere infrastrutture sempre più efficaci ed efficienti per lo sviluppo del porto, infatti, pur configurando

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un beneficio per il tessuto sociale sotto forma di maggiori opportunità occupazionali, ha costituito nel contempo una pesante limitazione al soddisfacimento di interessi legati alla vivibilità dell’ambiente cittadino. L’inquinamento prodotto dalle attività portuali, unito all’impedimento per il cittadino di fruire completamente della risorsa mare, ha originato fenomeni che si potrebbero definire quasi di rigetto nei confronti della coesistenza tra città e porto.

Risulta pertanto evidente la complessità che le autorità preposte alla gestione della città e delle attività portuali incontrano nell’affrontare le problematiche legate all’integrazione tra città e porto. Mentre da un lato sia logico che l’autorità cittadina debba puntare al soddisfacimento massimo possibile della fruibilità dell’ambiente urbano, dall’altro la stessa autorità non si può permettere di agire in tal senso senza confrontarsi con l’autorità di gestione del porto, in quanto fondamentale per il tessuto sociale di una città non è solo la qualità dell’ambiente ma anche un adeguato livello di occupazione e, di conseguenza, di sviluppo economico.3

Questa complessità è legata a diversi fattori. In primo luogo la presenza di vari stakeholders i cui interessi, connessi alle attività condotte sullo stesso ambito territoriale, possono essere spesso contrastanti tra loro. In questo ambito si possono inquadrare gli interessi portati avanti dai Comuni, quali rappresentanti della cittadinanza, e dalle Autorità Portuali, quali rappresentanti degli operatori commerciali legati al porto. In second’ordine l’esistenza di vincoli pregressi o di nuova creazione, derivanti nel primo caso dal contesto storico culturale delle città portuali e del loro hinterland, e nel secondo caso dall’introduzione di legislazioni più stringenti, in particolare per la protezione dell’ambiente e della salute umana. Infine, ma di non minore importanza, la difficoltà a collaborare che i diversi interlocutori

3 Giovinazzi, O. (2008). "Città portuali e waterfront urbani: costruire scenari di

trasformazione in contesti di conflitto". Tratto da rivista semestrale"Villes portuaires Horizons 2020", n.111, p. 69-70.

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incontrano per effetto sia di posizioni ideologiche sia per il contrasto che l’applicazione di norme di differente natura e rango può creare.

Il mutamento della relazione tra la città portuale e il proprio porto, oltre che riguardare lo sviluppo urbanistico, lo sviluppo economico, la tutela dell’ambiente e del contesto storico locale, per essere reale ed efficace deve riguardare anche un nuovo concetto di vivere realtà che, ormai, non possono prescindere una dall’altra se non in maniera armonica tra loro.

2. La nuova tendenza in Europa e in Italia: riqualificazione del fronte a mare delle città

Il fenomeno contemporaneo legato al mutamento del predetto rapporto città-porto si è concretizzato in un’azione di riqualificazione urbana delle città portuali e marinare che si pone sia l’obiettivo di rimettere il porto all’interno della città, ravvicinando queste due entità separatesi nel tempo, che quello di riaccostare la città all’acqua, quindi anche al proprio profilo costiero indipendentemente dalla presenza o meno del porto.

Tale fenomeno, nato alla fine del XIX secolo negli Stati Uniti e successivamente estesosi al Canada ed alle maggiori città portuali europee, è conosciuto con il nome di waterfront redevelopment. Il concetto di waterfront, letteralmente fronte d’acqua, può essere interpretato in due modi: in un primo modo come zona d’interfaccia tra porto e città sotto forma di recinzione portuale, quindi di separazione fisica tra le due entità; in un altro modo come linea di costa, ossia come punto d’incontro tra la città e l’acqua. Comunque lo si voglia intendere, il waterfront redevelopment mira all’integrazione di porto ed acqua nel tessuto urbano, o ancora meglio alla “riconquista” da parte della

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cittadinanza delle zone degradate ed inaccessibili spesso presenti negli ambiti portuali e delle zone genericamente affacciate sull’acqua.4

Questo nuovo modo di vivere l’interazione tra città e porto ha dato vita a progetti di riqualificazione urbana che, soprattutto in Europa, hanno ottenuto notevole successo restituendo alla collettività la fruizione di zone precedentemente inutilizzabili. L’Europa, infatti, è fonte di diversi esempi di valorizzazione del waterfront in città portuali. In Olanda, dove Rotterdam ha ristrutturato le funzioni portuali di concerto con il processo di rinascita del centro urbano; in Inghilterra, dove Liverpool ha puntato sulla conservazione del patrimonio storico-culturale lungo le rive del fiume Mersey; in Spagna, dove Bilbao è cresciuta insieme al proprio porto senza che nascessero interferenze tra esso e il tessuto urbano, trasformando le rive in spazi urbani qualificati; in Francia, dove Marsiglia ha portato a termine un lungo processo di riqualificazione di uno dei porti più degradati del Mediterraneo, grazie all’azione congiunta e coordinata degli attori politici, industriali e sociali della città. 5

Anche in Italia vi è stata un’ampia diffusione di questo fenomeno, tanto che diversi sono i progetti di riqualificazione che coinvolgono le nostre città portuali, ma pochi sono quelli che hanno avuto un’attuazione concreta a causa delle difficoltà che Comuni e Autorità Portuali hanno incontrato nel coordinarsi a tale scopo. Ciò deriva innanzitutto dalla modifica della legislazione portuale, avvenuta nel 1994 con la legge n. 84 del 28 gennaio6, la quale ha frapposto alcuni

4 Fonti L., “Porti-Città-Territori. Processi di riqualificazione e sviluppo”, AlineaEditrice, Firenze, 2010, p. 12-14.

5 Giovinazzi O., & Moretti M., “Città portuali e waterfront urbani:trasformazione e

opportunità”. Tratto da TeMa- Trimestrale del Laboratorio Territorio Mobilità e

Ambiente, vol.2, n.3, 2009, p.13.

6 Prima della modifica alla legislazione portuale c’era una netta separazione tra la programmazione urbanistica comunale, tenuta a rispettare la gerarchia dei piani ai sensi della L. 1150/92, e il piano regolatore portuale che tendeva a non sottostare appieno a quanto previsto dal piano regolatore generale. Tutto ciò portava a delle difficoltà nella gestione del porto. Con la modifica avvenuta nel 1994 il piano

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ostacoli ai progetti di waterfront perché se da un lato ha richiesto giustamente un maggior coordinamento tra il piano regolatore portuale e gli altri strumenti urbanistici, dall’altro non ha precisato l’iter e gli indirizzi da seguire.7 Questa indeterminatezza ha portato a vari conflitti tra Regioni, Comuni ed Autorità Portuali che si sono creati in molti casi, così come si vedrà più dettagliatamente nella disamina del Waterfront di La Spezia.

A Genova, per esempio, l’occasione delle “Colombiadi” del 1992 (le celebrazioni in onore di Cristoforo Colombo a 500 anni dalla scoperta dell’America) è stata sfruttata come punto di partenza di un grande progetto di waterfront redevelopment che deve tuttora concludersi non per contrasti tra i principali attori coinvolti, ma per la grandiosità del progetto stesso. Negli anni molte aree portuali precedentemente inaccessibili sono state rese disponibili alla cittadinanza mediante la realizzazione di strutture di interesse generale, culturale e turistico quali l’Acquario, il Bigo con ascensore panoramico e il Centro Congressi.8

I progetti di altre città, invece, non hanno avuto lo stesso percorso positivo, sia per le problematiche legate al reperimento dei fondi necessari per opere così imponenti, sia per la tendenza degli enti istituzionalmente competenti a sfruttare le differenti disposizioni legislative per cercare di ottenere sempre qualcosa di più o di diverso rispetto a quanto previsto nei progetti iniziali.

Considerando che in alcune città, come Trieste e Ravenna, le iniziative di waterfront redevelopment risalgono agli anni ’90, si comprende come la complessità normativa, politica ed economica dei

regolatore portuale è divenuto un vero e proprio strumento urbanistico la cui adozione deve avvenire d’intesa tra Comune e Autorità Portuale. Disponibile all’indirizzo http://www.lab-ip.net

7 Fonti L., “Porti-Città-Territori. Processi di riqualificazione e sviluppo”, AlineaEditrice, Firenze, 2010, p.15.

8 Giovinazzi O., & Moretti M., “Città portuali e waterfront urbani:trasformazione e

opportunità”. Tratto da TeMa- Trimestrale del Laboratorio Territorio Mobilità e

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progetti italiani, ed il loro procedere disomogeneo, mal si coniughi con alcuni dei “10 Principi per lo Sviluppo Sostenibile dei Waterfront

Urbani”, presentati dal Centro Città d’Acqua di Venezia alla

Conferenza Globale sul Futuro Urbano, tenuta a Berlino nel luglio 2000. Tra di essi, con riferimento alla situazione di stallo dei progetti italiani, ed in particolare a quella oggetto di questa trattazione, assumono una certa rilevanza i seguenti:

 Principio 2 “i waterfront sono parte del tessuto urbano esistente”, ossia si deve integrare l’acqua con il territorio: vedremo come a La Spezia la questione sia particolare oggetto di confronto e contrasto  Principio 5 “l’accesso pubblico è un requisito irrinunciabile”, tutti

devono poter avere l’accesso visivo e fisico all’acqua, con spazi di qualità per un maggiore utilizzo: anche questo principio è motivo di controversia nel progetto spezzino

 Principio 6 “i progetti sostenuti da partnership pubblico-private procedono rapidamente”, sotto questo aspetto quel ruolo di coordinamento che gli enti pubblici dovrebbero avere non sembra trovare riconoscimento nel caso in esame.9

9 Giovinazzi O., & Moretti M., “Città portuali e waterfront urbani:trasformazione e

opportunità”. Tratto da TeMa- Trimestrale del Laboratorio Territorio Mobilità e

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14

CAPITOLO

2

– GENESI DEL PROGETTO

WATERFRONT DI LA SPEZIA

1. Premessa

Come già anticipato precedentemente, questo capitolo e i successivi saranno dedicati alla descrizione e allo studio del progetto

Waterfront di La Spezia realizzato dall’architetto J.M.T. Llavador. 10

Nel 2006, con l’approvazione di un nuovo Piano Regolatore Portuale11, venne prevista la necessità di un intervento all’interno

dell’ambito 5 del porto di La Spezia (comprendente Calata Paita, Molo Italia, Calata Malaspina, Molo Garibaldi)12 con l’obiettivo di dare una nuova destinazione d’uso ad un’area destinata ad attività portuali, in particolare Calata Paita, in modo da permettere di restituire un ulteriore sbocco a mare alla città. A questo si è giunti grazie ad un lungo iter di contrattazione tra Comune ed Autorità Portuale durante la revisione del nuovo Piano Regolatore Portuale.

La progettazione del nuovo fronte a mare spezzino nasce anche dall’esigenza di dare una nuova immagine alla città, riqualificando il lungomare, e dalla necessità di cercare di potenziare le risorse del territorio stesso avendo un occhio di riguardo per la tutela dell’ambiente pur senza andare ad intaccare l’attività portuale. Guardando a quanto indicato dal Masterplan 13 con tale progetto si cerca di trovare una sorta

10 Nel 2006 fu indetto un concorso internazionale di progettazione da parte di Comune di La Spezia, Regione Liguria ed Autorità portuale che vide vincitore l’architetto spagnolo J.M.T. Lavador.

11 Il Piano regolatore portuale è stato redatto ai sensi dell’articolo 5 comma 4 della Legge n.84 del 28 gennaio del 1994 ed approvato dalla Regione Liguria ai sensi dell’articolo 1 della Legge Regionale n.9 del 12 marzo del 2003.

12 Cfr. con fig. 1 e 2 in Appendice.

13Il Masterplan è un documento nel quale vengono individuate le strategie di indirizzo che permettono la realizzazione di un intervento razionale ed efficace. Questo, chiamato spesso “piano d’azione”, definisce gli obiettivi, le competenze, le responsabilità e gli strumenti che i singoli attori interessati (pubblici o privati) devono compiere. Nonostante la definizione attribuitagli e il fatto che sia un documento di indirizzo, il Masterplan va tenuto ben distinto dagli altri strumenti urbanistici

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di compatibilità tra le attività portuali e industriali, già esistenti nell’area di interesse, e lo sviluppo di nuove attività commerciali, turistiche e ricreative. Si parla di compatibilità e coordinamento tra queste diverse attività proprio perché il waterfront si trova in una posizione di mezzo tra due realtà fortemente diverse ma entrambe necessarie per lo sviluppo di una città, e per questo si interviene cercando di valorizzare e integrare alcune aree portuali al tessuto urbano. Quindi questa mediazione può portare, oltre che ad una qualità spaziale del tutto nuova, anche ricchezza, occupazione e nuove forme di welfare sociale.14

Inoltre si vuole tentare di ridare il primato ad una risorsa come il mare cercando di migliorare tutte le tipologie di esercizi che si affacciano sull’acqua ed in particolare l’attività turistica. Né è l’esempio concreto l’attività crocieristica, una tipologia di esercizio che porta un grande sviluppo economico alla città. Il progetto di Llavador prevede la costruzione di un nuovo molo15 che permetta una maggiore affluenza

delle navi da crociera e, come vedremo di seguito, proprio tale punto risulta essere un primo ostacolo che oggi non permette la realizzazione del progetto stesso a causa di un cambiamento di rotta del Comune.

In realtà, l’idea di porre fine al distacco che si è creato tra la città e il porto non è nata nel 2006 ma deriva da un lungo periodo di

tradizionali (cioè i piani urbanistici) perché questi ultimi vengono sottoposti ad un procedimento di adozione e approvazione al quale, invece, non è soggetto il

Masterplan. Esso, pur essendo un documento informale, cioè non regolamentato da

norme, viene comunque presentato pubblicamente per ottenere un maggior coinvolgimento da parte della comunità interessata e per dimostrare come i diversi attori sono riusciti a dialogare tra loro. Il Masterplan, oggi risulta essere una novità solo per l’Italia perché siamo di fronte ad uno strumento non normato che, come ha sottolineato l’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU), riesce, grazie alla sua semplice comprensibilità, a coinvolgere in maniera attiva la comunità la quale spesso viene invitata a conoscere e a dare opinioni sul progetto tramite la rete. Tale documento è visto pertanto come uno strumento che è in grado, contemporaneamente, di dare una risposta urbanistica, economica e di appello al mercato. Disponibile agli indirizzi: http://www.archweb.it/master_plan

http://www.ediliziaeterritorio.ilsole24ore.com/art.

14 Pavia R., “L’interfaccia del conflitto”, in Michelangelo Savino, “Waterfront d’Italia.

Piani politiche e progetti”, FrancoAngeli, Milano, 2009, p. 17.

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pianificazione strategica iniziato negli anni ‘80 che ha portato alla formazione di diversi atti progettuali e piani d’area i quali, se uniti, danno concretezza alla volontà di ridisegnare il confine tra il tessuto urbano e il porto. Questo consentirebbe di risolvere quel rapporto conflittuale esistente da diversi anni tra città e porto, con lo scopo di coordinare le attività commerciali con il nuovo fenomeno di riqualificazione e rigenerazione del tessuto urbano.16

2. L’ambito territoriale

La città di La Spezia si trova nella regione Liguria, al centro di un golfo conosciuto come “Golfo dei Poeti”. Nata come borgo di pescatori, nella prima metà dell’800, con l’arrivo della Marina Militare e la costruzione dell’Arsenale Militare (1869) vede modificare in maniera incisiva il proprio paesaggio, soprattutto sulla linea di costa. Questa trasformazione urbanistica ha portato ad un’industrializzazione della città facendola diventare da semplice borgo a capoluogo di provincia grazie alla nascita di importanti industrie in diversi settori, come quello degli armamenti e cantieristico. Tra il 1890 e 1895 si realizzarono le prime opere che portarono ad uno sviluppo del porto commerciale che risultò essere sempre più autonomo e incurante del tessuto urbano. Negli anni ‘60 grazie al Piano Regolatore Portuale del 1958, approvato nel 1962, si previde un ulteriore espansione dell’area portuale mentre negli anni ‘70 con lo sviluppo di nuove tecniche di trasporto merci mediante container e la costruzione del raccordo autostradale, si iniziano ad aumentare sempre più i problemi di coordinamento tra lo sviluppo urbano e le strutture portuali. Da tale periodo a metà degli anni ‘80, durante i quali si registrarono una grande crescita del traffico portuale e uno sviluppo spontaneo del porto, senza

16 Virgilio D., & Vergano A., “Processo e progetto di centralità urbana: il waterfront

della Spezia”, in Michelangelo Savino, “Waterfront d’Italia. Piani politiche e progetti”,

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17

una programmazione generale di riferimento, si cominciò a cercare delle soluzioni per provare a risolvere tali problemi di compatibilità, ma i vari progetti presentati si dimostrarono tutti insufficienti e poco adeguati. Tutto ciò venne aggravato dall’insediamento nel territorio del golfo della raffineria IP (1929), della centrale termoelettrica ENEL (1968) e della stazione di rigassificazione SNAM (1971). Questi tre insediamenti industriali legati alla produzione di energia ebbero un forte impatto sull’intero territorio sia dal punto di vista ambientalistico che da quello paesaggistico.17

Con la crisi petrolifera degli anni ‘70 il settore industriale pagò un pesante tributo innanzitutto con il fermo e la dismissione della raffineria IP, ma nonostante ciò l’attività portuale continuò a crescere e a svilupparsi, tanto che alla fine degli anni ‘80 il porto di La Spezia divenne il principale porto italiano per il traffico di merci via container. Questo sviluppo completamente autonomo del porto commerciale avvenne in mancanza di minimi spazi di banchina e di adeguate infrastrutture ferroviarie. Il tutto venne aggravato dal fatto che la crescita del porto non fu pianificata, regolamentata e sostenuta dal punto di vista infrastrutturale, cosicché iniziarono, in questi anni, i primi conflitti con la città dato che i quartieri del Canaletto e di Fossamastra, zone limitrofe al porto, iniziarono a subire gli effetti negativi di tale crescita in termini di compatibilità ambientale.18

Vista la crescita dell’attività portuale, negli anni ‘90, si dovettero ricercare nuovi spazi da destinare all’uso portuale-industriale. Ciò venne realizzato da un lato estendendo il porto anche nelle zone limitrofe di Lerici e Portovenere, dove per anni operarono cantieri e si svilupparono attività commerciali, industriali ed insediamenti militari, e

17 Virgilio D., & Vergano A., “Processo e progetto di centralità urbana: il waterfront

della Spezia”, in Michelangelo Savino, “Waterfront d’Italia. Piani politiche e progetti”,

FrancoAngeli, Milano, 2009, p. 73.

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18

dall’altro creando un’area retroportuale per lo sviluppo del settore logistico nelle aree del comune di Santo Stefano Magra situato dietro le colline.19

Da quanto descritto finora si può affermare che La Spezia, per quel che riguarda l’attività portuale, sia una città che potrebbe essere definita come “città metropolizzata”, cioè una città che si è sviluppata vedendo il proprio porto crescere in maniera diffusa senza alcun limite o confine ben definito. Questo ha provocato diverse difficoltà nello stabilire in maniera chiara quale fosse il rapporto tra la città e il porto e nel corso degli anni i vari progetti e gli strumenti urbanistici tradizionali si sono dimostrati insufficienti per superare tale ostacolo.20

Oggi, invece, con il nuovo progetto waterfront si vuole intervenire per chiarire la relazione tra città e porto e per cercare di restituire alla città il rapporto con l’elemento acqua. Infatti, il nuovo piano regolatore del 2006 prevede la restituzione alla città di un’area, Calata Paita, in cambio dell’ampliamento delle banchine portuali nella zona di levante. Ciò è stato possibile grazie ad un lungo periodo di contrattazione tra Comune e Autorità Portuale ma l’intenzione di rivedere e ridisegnare la centralità urbana, oltre alla volontà di riorganizzare il sistema infrastrutturale e portuale, nasce a metà degli anni ‘80 con la presentazione di diversi progetti di riqualificazione urbana.

Un elemento importante di tale processo di pianificazione è il

Documento interenti del 1995 che previde, in base ad un accordo tra

Comune, Autorità Portuale e Provincia, dei limiti all’espansione

19 Giovinazzi, O. (2008). "Città portuali e waterfront urbani: costruire scenari di

trasformazione in contesti di conflitto". Tratto da rivista semestrale"Villes portuaires Horizons 2020", n.111, p. 71

20 Giovinazzi, O. (2008). "Città portuali e waterfront urbani: costruire scenari di

trasformazione in contesti di conflitto". Tratto da rivista semestrale"Villes portuaires Horizons 2020", n.111, p. 71

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portuale.21 Questo fu il primo accordo che dette vita ad una lunga fase di co-pianificazione volta a chiarire la relazione tra la città e il porto, e a rivedere la linea di costa. Il contenuto del citato documento venne poi ratificato dalla successiva pianificazione regionale, comunale e provinciale, ed in particolare tali condizioni vennero inserite all’interno del Piano Urbanistico Comunale (2003), del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (2005) e del Piano Territoriale di Coordinamento della costa della Regione Liguria, adottato nel 1999.22

In realtà, prima dei lavori preparatori del nuovo Piano Urbanistico Comunale, iniziati nel 1996, vennero previsti tre piani per la definizione di un nuovo tessuto urbano:

1. Piano d’area dell’ex raffineria IP 2. Piano d’area del primo bacino portuale

3. Piano d’area degli ambiti territoriali del Levante

Tutti e tre vennero interamente inseriti all’interno del nuovo Piano Urbanistico Comunale, ma con diversi gradi di efficacia: il primo con un’efficacia prescrittiva e gli altri due con un’efficacia programmatica. In particolare il Piano d’area del primo bacino portuale venne usato come traccia per la stesura del nuovo Piano Regolatore Portuale e per la definizione del bando con il quale indire un concorso internazionale di progettazione del nuovo waterfront.23

Concludendo, notiamo che tutti gli interventi previsti dagli anni ‘90 ad oggi sono stati pensati per cercare di dare una nuova centralità alla città di La Spezia, per cercare di ridefinire e ridisegnare la linea di costa e per cercare di porre fine alla netta distinzione che per decenni

21 Virgilio D., & Vergano A., “Processo e progetto di centralità urbana: il waterfront

della Spezia”, in Michelangelo Savino, “Waterfront d’Italia. Piani politiche e progetti”,

FrancoAngeli, Milano, 2009, p. 75.

22 Virgilio D., & Vergano A., “Processo e progetto di centralità urbana: il waterfront

della Spezia”, in Michelangelo Savino, “Waterfront d’Italia. Piani politiche e progetti”,

FrancoAngeli, Milano, 2009, 76-77.

23 Virgilio D., & Vergano A., “Processo e progetto di centralità urbana: il waterfront

della Spezia”, in Michelangelo Savino, “Waterfront d’Italia. Piani politiche e progetti”,

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c’è stata tra la città e il mare, tra la città e il porto. Si vuole evitare un continuo sviluppo autonomo del porto rispetto al tessuto urbano perché ormai porto e sviluppo urbano sono due elementi che devono avanzare in modo parallelo tra loro, integrandosi, e senza ostacolarsi l’uno con l’altro. Infatti, il PUC si pone come scopo fondamentale quello di coniugare i due poli in conflitto tra loro, sviluppo portuale e sviluppo nautico-turistico, definendo con precisione dei limiti che gli permettano di convivere e di diventare fonte di sviluppo dell’economia della città di La Spezia.24

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CAPITOLO 3 – DESCRIZIONE DEL PROGETTO

1. Gli obiettivi del progetto

La città della Spezia non ha mai avuto un buon rapporto con il mare perché in passato non venne colta l’importanza che tale risorsa porta dal punto di vista economico, territoriale, paesaggistico. Per esprimere meglio il concetto, negli ultimi decenni tutte le attività imprenditoriali che si sono sviluppate lungo la rada della città hanno colto solo alcuni degli aspetti suddetti senza integrarli e valorizzarli con la città stessa. Ciò ha portato ad una realtà confusionaria, visibile, nella quale troviamo tre aspetti specifici:

a) un porto commerciale che si è sviluppato senza alcuna regolamentazione pianificatoria andando a soffocare i quartieri limitrofi;

b) lo sviluppo di porticcioli turistici che non hanno un rapporto con le zone urbane circostanti, i quali spesso subiscono gli effetti negativi della cattiva qualità edilizia, infrastrutturale ed ambientale;

c) la presenza di diversi cantieri che limitano le potenzialità turistiche dei borghi marinari.25

La situazione appena descritta si è originata anche a causa del fatto che prima della legge n.84 del 1994 c’era una netta separazione tra il Piano regolatore del porto e il Piano urbanistico della città che ha portato alla conseguente separazione tra porto e città. Dal 1994, invece, con la legge n. 84 che ha eliminato il dualismo tra i due strumenti urbanistici, la città della Spezia si è trovata di fronte all’obbligo di dover cercare una coabitazione tra le due entità in modo da recuperare un nuovo rapporto con il mare.

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Tale scelta non riguarda solo la riqualificazione del fronte a mare in alcuni punti, ma anche la necessità di intervenire con un processo di copianificazione su larga scala tra autorità portuale e autorità locali per cercare di ridurre e recuperare gli effetti negativi causati da uno sviluppo portuale senza limiti. Queste previsioni hanno permesso, oggi, una redazione parallela del Piano strategico (strumento generale di livello locale) e del Piano regolatore del porto (strumento di pianificazione settoriale) per cercare di unificare i progetti futuri previsti per lo sviluppo della città con quelli previsti per lo sviluppo portuale. Ciò è necessario perché in passato lo sviluppo del porto e della città lungo la costa è avvenuto in maniera parallela però solo dal punto di vista spaziale (da ponente verso levante) e oggi se ne risente la gravità visto che la crescita di entrambi non è avvenuta in modo omogenea e integrata.

Per superare la situazione di disagio appena descritta il Piano strategico e il Piano regolatore portuale hanno individuato dei punti comuni per permettere la compatibilità necessaria tra sviluppo portuale mercantile e sviluppo nautico turistico. In particolare, i punti principali di copianificazione su cui si impegna il Piano strategico sono:

 l’unione del porto mercantile dal Molo Garibaldi al terminal ENEL  la dismissione ad uso turistico di Calata Paita secondo il relativo

Piano d’Area26

26 Il Piano d’Area adottato dal Comune e inserito all’interno del PUC prevede un intervento diviso in tre fasi. Nella prima fase è prevista una ristrutturazione del fronte a mare compreso tra il Molo Italia ed il nuovo Molo Crispi e la realizzazione della stazione crocieristica. Nella seconda fase si prevede il termine del polo turistico e la realizzazione degli adeguamenti infrastrutturali quali lo spostamento dello scalo ferroviario e del fascio di binari che creerà un accesso viabilistico a Viale S. Bartolomeo per permettere lo sviluppo di nuove attività commerciali, alberghiere, direzionali e del diporto nautico. La terza e ultima fase prevede la demolizione degli edifici su Calata Paita, la creazione di nuove aree con funzioni ricettive, direzionali e residenziali ed infine il completamento della passeggiata Morin da unire con Via S. Cipriano e Viale S. Bartolomeo.

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 la creazione di un nuovo fascio di binari nel quartiere Canaletto e la eliminazione del binario presente in Viale S. Bartolomeo  il rafforzamento funzionale, per le attività portuali, del parco

ferroviario di S. Stefano Magra

 l’unione del varco mezzi pesanti doganale di Stagnoni e la eliminazione del varco di Porta Rocca

 lo spostamento delle Marine di Fossamastra e del Molo Pagliari/Enel e della Marina di Canaletto a Mirabello e Calata Paita  la creazione di una fascia di rispetto e l’arretramento della cinta portuale da S. Cipriano al Terminal ENEL per cercare di garantire una migliore vivibilità ai quartieri circostanti

 la creazione del Centro Direzionale del Porto

 la messa in sicurezza del sistema idraulico dei canali della piana di Migliarina e Stagnoni

 la creazione di un distretto nautico e per attività legate al porto nella zona di Valdilocchi e l’eliminazione delle attività retroportuali.27

Quindi il waterfront redevelopment che si vuole realizzare non riguarda solo la semplice riorganizzazione e cambio di destinazione d’uso di alcune aree sulla linea di costa, ma siamo di fronte ad un intervento volto a modificare radicalmente diverse zone della città anche retroportuali per permettere che lo sviluppo di nuove attività turistiche-nautiche nel fronte a mare, a discapito delle attuali attività portuali esistenti, non comporti un danno per il porto commerciale il quale, da sempre, è la principale fonte economica della città.

Il Piano strategico, per quanto riguarda le aree portuali, all’articolo 25 conferisce al Piano Regolatore Portuale il compito di stabilire le modalità di intervento nelle singole aree e questo, a sua volta, prevede la suddivisione del territorio portuale in specifici ambiti d’intervento, precisando per ciascuno di loro le norme riguardanti l’uso

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del suolo, degli specchi d’acqua e del patrimonio edilizio esistente e di futura implementazione.

Tra i vari punti individuati all’interno del Piano strategico, la visione strategica che ha suscitato maggiore attenzione è quella che riguarda la riconversione del primo bacino portuale per funzioni urbane e turistiche per riottenere un rapporto con il mare. In particolare, tra le varie zone che dovranno subire tale trasformazione, in base a quanto previsto dall’art. 11.3.328 e dall’art. 11.3.429 del Piano regolatore portuale, l’ambito che interessa la trattazione è il numero 5 che viene chiamato “Marina della Spezia”, comprendente le zone che si trovano tra il molo Mirabello e il Molo Garibaldi, e quindi Calata Paita.

Come previsto dallo strumento di pianificazione portuale per sapere quale sarà l’assetto urbanistico definitivo di tale ambito, gli obiettivi che si vogliono perseguire e le strategie che si vogliono adottare dobbiamo guardare al Masterplan del progetto waterfront elaborato da

28 Art. 11.3.3 Funzione turistica

In tale categoria è ricompresa la funzione passeggeri e la funzione nautica.

La funzione turistica è prevista nei seguenti Ambiti: a. Le Grazie;

b. Cadimare (vds anche “distretti di trasformazione”);

c. Distretto del Levante (vds anche “distretti di trasformazione”); d. Morin/Paita;

e. Pertusola (vds anche “distretti di trasformazione”);

I parametri urbanistici, gli indici e le modalità di intervento sono rimessi ai SAU e/o Masterplan redatti per ogni singolo Ambito ed in conformità a quanto stabilito al successivo Art. 11.4.

In mancanza di SAU potranno comunque essere assenti, secondo le procedure previste dalla Legge Regionale 9/2003, interventi che non modifichino sostanzialmente l’assetto esistente, oltre che gli interventi di cui all’art.21 della Legge Regionale n.16/08.

29 Art. 11.3.4 Funzione urbana

La funzione riguarda le parti della costa già a prevalente destinazione urbana o di cui è previsto nel piano e nei PUC la trasformazione a prevalente destinazione urbana, quali: f. Le Grazie; g. Fezzano; h. Cadimare; i. Morin/Paita; j. Pertusola.

I parametri urbanistici, gli indici e le modalità di intervento sono stabiliti nel seguente Art. 11.4, con esclusione degli interventi di cui all’art. 21 della Legge Regionale n.16/08.

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Llavador. Ovviamente il Masterplan ha come obiettivo principale quello di porre in essere quella coesistenza tra lo sviluppo portuale e lo sviluppo turistico ed economico prevista, ma il tutto deve avvenire in termini di tutela ambientale. Nel complesso gli interventi a carattere urbanistico e architettonico previsti per la rigenerazione urbana, oltre alla convivenza tra le opportunità economiche derivanti dalle attività portuali, industriali, turistiche (cioè nautica da diporto, crocieristica, arsenale e museo navale) e terziarie (cioè la filiera logistica), devono anche cercare di garantire una conservazione dell’ambiente e un uso corretto delle risorse. Infatti, secondo il Masterplan, un elemento imprescindibile per la promozione dell’immagine della città e per la valorizzazione dell’ambiente urbano e del paesaggio marittimo è anche la previsione di un programma di depurazione delle acque per raggiungere un buon livello di qualità della risorsa primaria che si sta cercando di riscoprire, cioè il mare. Si è quindi ricercato un nuovo punto di equilibrio tra le opere dell’uomo e l’ambiente perché la consapevolezza che le risorse naturali siano un patrimonio irrinunciabile ha portato l’Amministrazione Comunale di La Spezia a porre tra i fondamentali principi guida dello sviluppo quello della sostenibilità.

2. Lo sviluppo del porto commerciale e delle attività crocieristiche

All’interno dell’ambito 5, su Calata Paita, il nuovo Piano Regolatore Portuale prevede un intervento a scopo di rigenerazione e riqualificazione della zona per dare alla città della Spezia un nuovo sbocco a mare. Attualmente Calata Paita, che fa parte del demanio pubblico, è stata data in concessione alla società privata Contship Italia Group, gruppo leader di mercato nel business dei terminal container marittimi e nel trasporto modale, per svolgere attività portuali e industriali. L’intervento previsto dallo strumento urbanistico prevede il restringimento della linea di costa interessata dalle attività portuali e, in particolare, la dismissione delle attività svolte su Calata Paita in modo

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da permettere la realizzazione di un nuovo fronte a mare cittadino e quindi di dare una nuova destinazione d’uso di tale zona che sarà principalmente di tipo turistico (crocieristica) ed urbano.

Attualmente i due ostacoli che non permettono la realizzazione di quanto previsto nel piano sono la presenza ancora di attività commerciali e il fascio di binari denominato “Italia”. Per quanto riguarda il primo è necessario trovare un nuovo spazio dove poter far continuare le attività commerciali, ed il trasferimento di tali attività in una nuova zona è possibile con l’allargamento, dal lato di levante, del molo Garibaldi che è visto come un adeguamento tecnico-funzionale.

Riguardo invece alla presenza del fascio di binari “Italia”, si deve considerare che è stato previsto anche un progetto, più in generale, di “Potenziamento degli impianti Ferroviari della Spezia Marittima

all’interno del Porto commerciale” il quale risulta essere pienamente

coerente sia con gli obiettivi strategici previsti nella relazione tecnica del Piano Regolatore Portuale, sia con le disposizioni previste agli artt. 11.3.130 e 11.7 del piano stesso. Il progetto riguarderebbe aree sulle quali già esistono infrastrutture ferroviarie, aree recuperate grazie ad una riorganizzazione delle attività in ambito portuale ed aree portuali convertite ad uso urbano che si trovano al confine con la città. Guardando alle diverse attività economiche svolte, ed in corso di sviluppo, è stato previsto un potenziamento del trasporto intermodale con lo scopo di aumentare del 50% il numero di container da movimentare per ferrovia. In particolare, per eliminare il fascio di binari “Italia” presente su Calata Paita, che viene usato per la manovra di carri

30 Art. 11.3.1 Funzione commerciale

“Appartengono a tale categoria tutte le attività, connesse con il trasporto marittimo, di servizio ai vettori ed alle merci”. “...Le opere realizzabili sono: opere di protezione, moli, banchine, nuovi accosti, terminal container, relative attrezzature per il carico e scarico delle merci, uffici, alloggi per custode, aree scoperte e parcheggi, strade ed opere ferroviarie.”

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ferroviari, si prevede un potenziamento del fascio di binari nella zona del Canaletto.

Ai sensi dell’art. 11.7 31 del Piano regolatore portuale si vuole

realizzare una “Fascia di rispetto”, fra ambito urbano e aree portuali presso i quartieri Fossamastra e del Canaletto, inizialmente prevista di 5 metri e successivamente estesa ad una lunghezza di 10 metri per intervento del comune. La creazione della predetta fascia porta dei benefici sia per quanto riguarda il miglioramento della logistica del trasporto su rotaia, sia dal punto di vista ambientale e paesaggistico. Inoltre ciò porterebbe all’elettrificazione della zona davanti al Canaletto ed alla conseguente eliminazione delle motrici ad alimentazione diesel che producono inquinamento acustico e sono causa della presenza delle polveri sottili. Tale fascia quindi dovrebbe aumentare la viabilità allontanando i binari dal Viale San Bartolomeo e consentirebbe la creazione di una barriera antirumore. Questo intervento è stato però sottoposto a delle prescrizioni da parte del Ministero dell’Ambiente per verificarne l’efficienza e l’efficacia. Questo progetto, pertanto, permette oltre ad una migliore qualità ambientale e un miglioramento della

31 Art. 11.7 Fascia di rispetto

È prevista la realizzazione di una fascia di rispetto il cui scopo principale è quello di creare una separazione funzionale tra le aree operative del porto mercantile ed il centro abitato retrostante, il tutto a vantaggio ambientale e di vivibilità (riduzione impatto visivo, acustico e miglioramento qualità dell’aria). Per tale fascia di rispetto, si chiarisce che la misura e la dimensione dovranno scaturire dall’intesa con il Comune della Spezia. La progettazione non dovrà essere tale da realizzare un camminamento che metta in contatto visivo il porto con la città, migliorandone l’inserimento urbano, ed eventualmente di realizzare corridoi di penetrazione già indicati nel piano. Il progetto dovrà prevedere la realizzazione di una fascia della lunghezza di circa km 3, da Fossamastra a Via S. Cipriano, con larghezza variabile con pista ciclabile, piante ad alto e basso fusto e quant’altro necessario per la sistemazione a verde dell’area. Il dimensionamento finale dovrà conseguire dalle verifiche eseguite a cura degli appositi uffici competenti della Regione Liguria, di intesa con il Comune.

La realizzazione di detta fascia di rispetto è resa possibile, e allo stesso modo condizionata, sia dalla nuova configurazione del fronte banchina sia dal riordino delle linee ferroviarie che comprendono la rimozione della linea ferrata adiacente a V.le San Bartolomeo.

L’approvazione definitiva del progetto è subordinata al parere di apposita conferenza di Servizi da convocarsi ai sensi dell’Art.81, L. n. 616/77 e s.m.

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logistica, un ulteriore avanzamento del tessuto urbano verso il mare grazie all’eliminazione del fascio dei binari “Italia”.

Sempre su Calata Paita è intervenuto il progetto di Llavador che prevede la realizzazione di opere per l’esercizio di attività per il tempo libero, turismo e servizi con grandi spazi pedonali pavimentati e spazi verdi, con lo scopo di far diventare tale area il cuore del nuovo lungomare. Esso inoltre prevede, al di sopra di tale sistema verde, la creazione di diversi edifici che ospiteranno differenti funzioni sia residenziali, commerciali che turistico-ricettive.

Un altro elemento importante previsto dal progetto è il raddrizzamento del molo Italia per consentirne l’utilizzo ai fini diportistici, ma soprattutto la realizzazione di un nuovo molo crociere per garantire un potenziamento della mobilità crocieristica e dei relativi servizi. Il nuovo molo, avente forma trapezoidale verrà collegato a Calata Paita grazie ad una piattaforma stradale e permetterà l’accosto di due navi da crociera di ultima generazione che, come noto, hanno dimensioni sempre più grandi. È necessario precisare, comunque, che attualmente gli accosti delle navi crocieristiche sono già garantiti sul Molo Garibaldi e vedremo nella terza parte che proprio su questo punto il Comune e l’Autorità Portuale non sono più sulla stessa linea perché portano avanti due idee differenti.

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CAPITOLO 1 – LE NORME A CARATTERE

NAZIONALE

1. La Legge Urbanistica n. 1150 del 17 agosto 1942 e la sua evoluzione

Per la realizzazione del progetto descritto nella prima parte gli attori pubblici coinvolti hanno dovuto seguire e rispettare tutta una serie di norme, dal livello nazionale fino ad arrivare al livello locale. A livello nazionale, la prima legge fondamentale in materia urbanistica venne introdotta nel 1942 con la legge n. 1150, approvata il 17 agosto del 1942 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 16 ottobre dello stesso anno, la quale è in vigore ancora oggi. Prima della legge n. 1150, solo successivamente l’unificazione d’Italia si registrano i primi riferimenti alla materia urbanistica. Infatti, con la Legge n. 2359 del 1865, si tratta per la prima volta un riferimento allo strumento della pianificazione per la gestione del territorio, anche se in realtà tale strumento, in questi anni, non viene propriamente usato per la gestione organizzata del territorio ma per risolvere emergenze di sanità, sicurezza ed igiene. Stessa cosa avvenne con la legge n.2248 del 1865, con la quale si prevedeva l’utilizzo di uno strumento amministrativo per risolvere problemi che non interessavano il diritto urbanistico. Con il passare degli anni, grazie ad uno sviluppo sempre maggiore dei centri urbani, si inizia però a sentire l’esigenza di intervenire in termini di organizzazione dello sviluppo urbano del centro abitato. 32

Grazie alla legge n. 1150, rubricata “Legge urbanistica

fondamentale”, viene previsto per la prima volta l’uso dei piani

urbanistici su tutto il territorio nazionale per organizzare lo sviluppo urbano del territorio stesso. Si fa strada, pertanto, un vero e proprio concetto di diritto urbanistico prima inesistente dato che la materia

32 Urbani P., & Matteucci S., “Diritto urbanistico. Organizzazione e rapporti”, Giappichelli, Torino, 2013, p. 50 e ss.

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urbanistica non era utilizzata, come già indicato, per la gestione del territorio, bensì per risolvere problemi contingenti. Se, infatti, si considera il Titolo I, rubricato “Ordinamento statale e dei servizi

urbanistici”, ed in particolare l’art. 133, si nota che lo strumento della

pianificazione non viene più utilizzato solo per intervenire su ciò che già esiste sul territorio, ma punta ad organizzare anche ciò che verrà realizzato sul territorio di riferimento. In questo modo i piani urbanistici assumono una rilevanza generale e vengono utilizzati per dividere in zone omogenee il territorio comunale, assegnando ad ogni specifica zona individuata una certa destinazione d’uso, con la tecnica della “zonizzazione” in base a quanto previsto dall’art. 7 34 della legge n.1150.

Come detto precedentemente, la legge n.1150, più volte modificata, è vigente ancora oggi e ciò ha creato diversi problemi sin da quando venne adottata la Carta costituzionale nel 1948. Questo perché esistendo già una legge in materia urbanistica che veniva applicata su tutto il territorio nazionale, si sono rese necessarie diverse interpretazioni per definire in quale rapporto stesse tale legge con le future leggi regionali in materia, visto che il vecchio art. 117 della Costituzione 35 prevedeva per la materia urbanistica una potestà bipartita

33 Art. 1 Disciplina dell’attività urbanistica e suoi scopi

“…e lo sviluppo urbanistico in genere nel territorio del Regno sono disciplinati dalla presente legge...”.

34 Art. 7 Contenuto del Piano regolatore generale

Il piano regolatore di un Comune deve considerare la totalità del territorio comunale. Esso deve indicare:

“.. la divisione in zone del territorio, con precisazione di quelle destinate ad espansione dell’aggregato urbano, ed i caratteri e i vincoli di zona da osservare nell’edificazione...”

35 Con la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 venne modificato l’art. 117 comma 3 il quale non menziona più, tra le materie di legislazione concorrente Stato- Regioni, la materia urbanistica ma il “governo del territorio”. L’uso di tale locuzione polisenso portò numerosi dubbi e interventi da parte della dottrina e della giurisprudenza costituzionale per cercare di capire se la materia urbanistica fosse l’unica materia a rientrare nell’espressione “governo del territorio” oppure no, visto che il termine territorio richiama a sé tutta una serie di interessi costituzionalmente rilevanti. Dopo diverse sentenze sul punto, la Corte Costituzionale ha stabilito che la nozione “governo del territorio” coincide con tutte quelle norme che servono per graduare gli interessi attraverso cui si possono regolare tutti gli usi ammissibili del

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tra Stato e Regioni. Inoltre non essendo mai stata adottata da parte dello Stato una legge quadro in materia urbanistica che andasse a definire in maniera chiara i rapporti tra Stato e Regioni, il problema suddetto non venne risolto e ancora oggi si ritiene che all’interno della legge n. 1150 si ritrovino i principi della materia urbanistica.36 Ovviamente tale legge non deve essere considerata completamente come una disposizione di principio, dato che si prevede la possibilità per le Regioni di intervenire su alcuni aspetti con discipline differenti. Sicuramente uno dei principi cardine che si ricava leggendo l’art. 437 della legge del 1942 è quello della pianificazione, in base al quale si prevede che per la gestione di un territorio sul quale insistano diversi interessi è necessario intervenire con lo strumento del piano, che non è altro che un atto amministrativo adottato alla fine di un iter procedimentale.

La legge individua tre piani che devono essere adottati ed approvati dalle diverse amministrazioni competenti e che sono legati tra loro da un sistema gerarchico. I tre strumenti individuati sono:

 Piani territoriali di coordinamento previsti all’art. 5 e seguenti  Piani regolatori generali previsti all’art. 7 e seguenti

 Piani regolatori particolareggiati previsti all’art.13 e seguenti La legge non è molto precisa per quanto riguarda il loro contenuto, perché si pone come obiettivo quello di cercare di definire un concetto generale per questa tipologia di piani allo scopo di affermare il principio di gerarchia che li lega. Tantomeno la è per quanto riguarda la loro

territorio. Quindi tale locuzione non coincide, dal punto di vista semantico, con l’urbanistica ma la ricomprende ed esprime in termini riassuntivi tutte le politiche attraverso le quali i pubblici poteri disciplinano i diversi usi del territorio, bilanciando tra loro i vari interessi rilevanti.

Disponibile all’indirizzo http://www.archme.it/circolari-2014

36 Stella Richter P., “I principi del diritto urbanistico”, Giuffrè, Milano,2006, p.14 e ss. 37 Art. 4 Piani regolatori e norme sull’attività costruttiva

La disciplina urbanistica si attua per mezzo dei piani regolatori territoriali, dei piani regolatori comunali e delle norme sull’attività costruttiva, sancite dalla presente legge o prescritte per mezzo di regolamenti.

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approvazione perché non è definito un procedimento specifico, ma solo un percorso generale che l’amministrazione competente deve seguire.

Per quanto riguarda il sistema gerarchico, esso dà vita ad un sistema di pianificazione “a cascata” cosicché tali strumenti sono talmente legati tra loro che si condizionano l’uno con l’altro. Infatti, l’amministrazione competente a redigere il piano deve soggiacere ai principi previsti all’interno del piano generale. Per questo motivo ogni piano è contenuto in quello precedente e sua diretta specificazione è solo il piano attuativo, cioè il piano particolareggiato, che produce effetti sul territorio nel quale si sta intervenendo.

Parte della dottrina è molto critica sia sull’uso del piano per lo strumento della pianificazione, sia in riferimento al sistema gerarchico appena descritto. Per quanto riguarda il primo punto, viene individuato il limite principale di tale strumento nel fatto che il piano è un atto amministrativo che viene adottato attraverso un procedimento formalmente rigoroso e lungo. Ciò rappresenta un limite perché può accadere che, nel momento in cui l’amministrazione competente adotta il piano, sia trascorso un arco di tempo tale che le esigenze per le quali si voleva intervenire su quel determinato territorio siano cambiate ed esse non possano essere soddisfatte con lo strumento adottato.

In riferimento al sistema gerarchico, invece, la stessa dottrina è molto critica sostenendo che proprio tale sistema impedisce all’amministrazione di gestire al meglio un certo ambito territoriale, ed indicando che si dovrebbe in realtà parlare di “sistema di interessi”. Secondo questo sistema l’interesse successivo prevale su quello precedente perciò, nel caso in cui venga adottato un piano che non sia più in grado di soddisfare le esigenze insite sul territorio di riferimento perché queste sono cambiate, con il sistema degli interessi si prevede la possibilità, in base ai nuovi interessi ed alle nuove esigenze, di modificare il contenuto dello strumento di pianificazione adottato con

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una nuova prescrizione urbanistica abrogativa della disciplina precedente. 38

Come già precisato, la legge fondamentale urbanistica è stata modificata diverse volte, e la legge di modifica più importante si può considerare senz’altro la n.765 del 6 agosto 1967, la cosiddetta “legge ponte”. Essa era stata pensata come strumento di passaggio ad una nuova legge urbanistica che non è mai stata emanata, ma ha comunque modificato la disciplina urbanistica in diversi aspetti rilevanti, tra i quali, ai fini della presente trattazione, si segnalano:

a) l’imposizione di limitazioni alle attività costruttive in assenza di strumenti urbanistici generali adeguati, i cosiddetti “standard generali” o “standard di salvaguardia”;

b) l’introduzione degli “standard urbanistici quantitativi” il cui scopo è quello di orientare le scelte urbanistiche locali per garantire alla collettività interessata l’esistenza e la fruibilità di infrastrutture e servizi collettivi;

c) l’obbligo della licenza edilizia in tutto il territorio comunale; d) l’obbligatorietà di applicare le misure di salvaguardia per qualsiasi

strumento urbanistico.

A parte la citata legge ponte, il diritto urbanistico fondamentale è stato inoltre integrato da diverse disposizioni legislative dirette a regolare altre materie, quali l’edilizia, la finanza pubblica, l’ambiente, le infrastrutture ecc. 39

2.La riforma della legislazione portuale (Legge 28 gennaio 1994, n.84)

Attualmente la legge n.84 del 28 gennaio del 1994 è il caposaldo della legislazione portuale del nostro paese, essendo stata

38 Stella Richter P., “I principi del diritto urbanistico”, Giuffrè, Milano,2006, p. 65-67 39 Urbani P., & Matteucci S., “Diritto urbanistico. Organizzazione e rapporti”, Giappichelli, Torino, 2013, p.46 e ss.

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adottata con lo scopo di riordino della materia portuale per definire in modo chiaro il contesto normativo del settore.

Inizialmente la legge n. 84 intervenne prevedendo una definizione di porto prima mancante. Dall’impianto codicistico, e più precisamente dal combinato disposto degli artt. 28 e 35 40 del codice della navigazione si ricava la concezione del porto come infrastruttura soggetta alla categoria dei beni demaniali 41, ma non si ha una precisa definizione del porto stesso. Prima di tale legge, la nozione veniva ricavata basandosi sugli aspetti fisici e funzionali del porto e quindi secondo le attività svolte al suo interno. In un secondo momento, grazie allo sviluppo di tale settore, il porto da essere un semplice luogo di transito ha assunto un ruolo di mercato e centro di servizi.

Tale aspetto venne recepito all’interno della definizione della legge n.84 la quale, a scapito della visione del porto come infrastruttura, si è preoccupata di privilegiare la funzionalizzazione di tale bene immobile. Questo ha portato nel 2007 ad una precisa definizione di porto prevista nel decreto legislativo n.203 (adottato per attuare la Direttiva n. 65 del 2005 della CE riguardante la sicurezza nei porti) definendolo come un’area specifica, terrestre e marittima, che comprende gli impianti e le attrezzature necessarie allo svolgimento delle attività commerciali di traporto marittimo.

La legge ha altresì introdotto ulteriori concetti quali:

40 Rispettivamente prevedono che i porti fanno parte del demanio marittimo (art. 822 c.c.) e un loro utilizzo per i “pubblici usi del mare” come ad esempio (difesa nazionale, traffico marittimo, pesca ecc). Inoltre l’art.36 del c.n. prevede la possibilità di dare in concessione tale bene demaniale per esigenze di uso pubblico.

41 Ai sensi dell’art. 822 c.c. il porto è un bene demaniale necessario appartenente allo Stato. La Corte Costituzionale con la sent. 317/1994 ha previsto che il decentramento delle funzioni amministrative e legislative alle Regioni e agli enti locali, avvenuta a partire dal D.P.R. n. 8 del 1972 e con la riforma del Titolo V del Costituzione, non ha intaccato il regime proprietario a capo dello Stato.

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 “aree portuali” (art.4, comma 3), riferendosi con ciò alle zone sulle quali si trovano mezzi e infrastrutture necessarie alla funzione portuale (industriale, cantieristica, commerciale ecc);

 “ambito portuale”, inteso come concetto molto ampio dato che ai sensi dell’art.18 non solo le aree interne al porto rientrano nel demanio portuale, ma anche le zone utilizzate per attività marittime e portuali che si trovano in aree esterne al porto stesso; 42

 “circoscrizione portuale” prevista all’art.6, comma 7, con cui si indica l’area, individuata dal Ministero del traporti, ove può essere esercitata la giurisdizione da parte delle Autorità portuali.

Conoscere il rapporto tra questi tre concetti è di rilevante importanza per capire quale deve essere l’oggetto del Piano regolatore portuale, il quale ha il compito di stabilire, in senso territoriale, l’ambito portuale complessivo e cioè individuare moli, banchine, specchi acquei, opere portuali ecc. Sicuramente oggetto del piano è il porto inteso come bene demaniale formato da elementi naturali e infrastrutture, ma va detto che, in base a quanto stabilito dalle “Linee guida per la redazione dei piani regolatori portuali”, ambito portuale e circoscrizione portuale non devono obbligatoriamente coincidere quindi, in base a tale conoscenza, si può notare che soggette allo strumento di pianificazione possono essere le aree non demaniali (sempre se connesse strutturalmente e funzionalmente con il porto), e al tempo stesso possono non rientrarvi aree portuali non ritenute funzionali ai fini portuali stessi.43

Un ulteriore elemento importante introdotto dalla legge n. 84 è la modifica del R.D. n. 3095 del 2 aprile 1885 sulla classificazione dei

42 Il D. Lgs. n.45 del 4 febbraio del 2000 ha ampliato ulteriormente la nozione di “area portuale” infatti all’art. 1, primo comma, lettera r), la definisce come “area che si

estende fino alle strutture portuali permanenti più periferiche che costituiscono parte integrante del sistema portuale o fino ai limiti definiti da elementi geografici naturali che proteggono un estuario o un’area protetta affine”.

43 Pellegrino F., “L’ambito portuale ed i piani regolatori portuali”, tratto da Rivista di Diritto dell’economia, dei Trasporti e dell’Ambiente, 2008 Vol. VI. Disponibile all’indirizzo http://www.giureta.unipa.it

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