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PARTE TERZA: CONSIDERAZIONI E CONCLUSION

CAPITOLO 2 – ANALISI DELLA CONTROVERSIA

2. Considerazioni sullo sviluppo futuro del progetto

Sulla base di quanto descritto finora, si può fare innanzitutto una duplice considerazione perché, se da un lato le diverse obiezioni presentate all’Autorità Portuale da parte degli altri soggetti coinvolti nel progetto di riqualificazione non hanno ancora avuta alcuna attuazione concreta, anche dal punto di vista giurisprudenziale, d’altro canto dal 2006 ad oggi sono emersi diversi elementi che potrebbero incidere in maniera rilevante sull’effettiva realizzazione del progetto Waterfront come elaborato dall’architetto Llavador.

Indubbiamente di notevole rilievo è la procedura di approvazione del nuovo Piano Urbanistico Comunale avviata in questi mesi dal Comune di La Spezia, il quale, una volta adottato definitivamente, potrebbe portare come conseguenza la necessità di intervenire sul Piano Regolatore Portuale del 2006 che, ai sensi dell’art. 5 comma 2 della legge n.89/1994, deve essere conforme e non in contrasto con lo strumento di pianificazione comunale. Questo perché,

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essendo considerato uno strumento di programmazione urbanistica a tutti gli effetti, il PRP deve rispettare il principio di gerarchia dei piani previsto dalla legge nazionale n.1150 del 1942. Quanto detto potrebbe avere una concreta ed elevata possibilità di realizzazione perché il Comune, riscrivendo il nuovo PUC, in materia di riqualificazione del fronte a mare ha come obiettivo principale quello di intervenire in maniera meno incisiva sul territorio, cercando di garantire una tutela effettiva a quegli interessi differenziati presenti, prima ritenuti poco rilevanti.

Le ulteriori novità che potrebbero influenzare il Waterfront sono quelle sorte con la riforma di riorganizzazione e riqualificazione delle Autorità Portuali. Un primo elemento importante da considerare è la rivisitazione dell’iter procedurale di adozione del Piano Regolatore Portuale. Infatti, in base alla legge del 1994, non solo questo viene sottoposto ad un procedimento molto lungo, anche in caso di adozione di una semplice variante al PRP stesso, ma è riscontrabile una certa confusione su quali siano le aree comprese nell’ambito portuale che abbiano però una certa rilevanza urbana, ed infine non è previsto in maniera chiara quale deve essere il contenuto del PRP. Facendo riferimento al caso trattato, il nuovo PUC di La Spezia, potrebbe portare, non alla completa rivisitazione del PRP, ma alla necessità di dover adottare alcune varianti in modo da permettergli di essere compatibile con lo strumento di pianificazione senza ricominciare l’iter di adozione dall’inizio. Grazie al contenuto della riforma Delrio, infatti, in caso di semplice variante non si prevede più la necessità di un’intesa con il Comune interessato se quest’ultimo adotta una dichiarazione di non contrasto con gli strumenti di pianificazione in vigore. Ciò porterebbe ad una possibile semplificazione ulteriore dei tempi.

Comunque sia, nel caso in cui non sia possibile intervenire con delle varianti e sia necessario riscrivere il piano dall’inizio, sempre in base alla riforma, il Piano Regolatore Portuale non dovrebbe più essere

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sottoposto, prima della sua adozione, ad una procedura di valutazione di impatto ambientale ma ad una procedura di valutazione ambientale strategica, come più volte specificato anche dalle sentenze dell’UE citate precedentemente. Quest’ultima, infatti, garantirebbe la possibilità di valutare ex ante l’adozione del PRP, e di definire quale siano il suo eventuale impatto ambientale e la sua compatibilità con il territorio.

Altra novità rilevante è l’introduzione del Piano Regolatore Portuale nazionale che porterà ad un rafforzamento del PRP e anche al possibile venir meno della gerarchia tra il PRP e il PUC, visto che questi si trovano nell’obbligo di dover coesistere, ma spesso non riescono ad interagire in maniera concreta tra loro dovendo sostenere degli interessi di fondo diversi tra loro e spesso conflittuali. La previsione del Piano regolatore portuale nazionale fa avvicinare il nostro sistema a quello del Regno Unito, dove il rapporto tra i due piani non è di tipo gerarchico ma vengono visti come piani di programmazione diversi che, però, si trovano sullo stesso piano, dovendo sottostare entrambi alle previsioni strategiche previste a livello nazionale.152 Infatti con il Piano Regolatore Portuale nazionale verrebbero stabiliti già a livello generale il quadro normativo e le linee guida da seguire nello sviluppo dei porti e ciò potrebbe portare ad una chiara specificazione dei contenuti del piano regolatore portuale.

Oltre a ciò, un ultimo elemento che potrebbe incidere sul progetto, da un punto di vista regolamentare, potrebbe essere la Direttiva dell’UE n.89/2014, già più volte citata, la quale prevede che da settembre 2016 gli Stati Membri dell’UE dovranno affiancare gli strumenti di pianificazione vigenti con ulteriori strumenti previsti dalla direttiva stessa quale, per lo spazio marittimo, il Piano Costa. Quest’ultimo permetterebbe, secondo i principi elaborati nel “Protocollo UE sulla gestione integrata delle coste”, già citato, e nella “Comunicazione sui principi di pianificazione dello spazio marittimo”,

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una effettiva integrazione tra la pianificazione marittima e quella territoriale. Si otterrebbe, un’integrazione tra i relativi interessi dato che si avrebbe un’individuazione specifica, e non più generale, degli interessi da tutelare e soddisfare in modo da non rimettere più questi delicati argomenti in mano ai soggetti privati attuatori del progetto. Per concludere, infine il Piano Costa garantirebbe una maggiore flessibilità del processo di pianificazione per consentire di soddisfare i cambiamenti imminenti sul territorio in cui intervenire.

Oltretutto, il Piano della Costa coinvolge direttamente la Regione Liguria la quale più volte ha evidenziato la necessità di far conciliare lo sviluppo economico con la salvaguardia delle aree naturali, considerando il profilo costiero regionale “unicum”, ossia “una realtà

estremamente diversificata e peculiare nel panorama mediterraneo”

dove “forse in nessun altro contesto ambientale i temi della gestione

integrata della fascia costiera si presenta in maniera così complessa ed evidente”. Da queste premesse di principio la Regione, con riferimento

agli schemi internazionalmente conosciuti, parla di “coordinamento fra

piani di diversa natura cui contribuiscono ai rispettivi livelli i vari enti (dal governo nazionale alle amministrazioni locali) e che necessita di una diffusa sensibilizzazione e coinvolgimento del pubblico e degli operatori privati”.153

Unione Europea, Stato, Regione, Comuni, Autorità Portuale, partecipazione pubblica sotto diversi aspetti, sono tutti attori la cui attività incide direttamente sulla realizzazione concreta di un qualsiasi strumenti di pianificazione territoriale. Può quest’ultimo riuscire a far coincidere gli interessi di tutti questi stakeholders arrivando in tempi accettabili ad una concreta realizzazione? Difficile, molto difficile, se non impossibile.

Infatti, come già accennato, appare evidente che il progetto Waterfront di La Spezia possa essere considerato un esempio concreto

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dell’incapacità degli strumenti di pianificazione attualmente in vigore di riuscire a soddisfare gli interessi presenti sul territorio. Ciò, in generale, avviene perché l’iter al quale vengono sottoposti gli strumenti di pianificazione per la loro adozione è talmente lungo da penalizzarli subito dalla loro ideazione, perché nel momento in cui il piano viene adottato, spesso, gli interessi che si volevano soddisfare tramite tale strumento sono cambiati e quindi risulta necessario ricominciare da principio tutto il procedimento. Questo è avvenuto, nel caso trattato, sia per il Piano Urbanistico Comunale che per il Piano Regolatore Portuale di La Spezia. Il primo per la revisione decennale prevista per legge, il secondo per le descritte difficoltà nell’adeguare progetti nati in un determinato momento storico del territorio allo sviluppo di carattere urbanistico, normativo, giurisprudenziale, commerciale, ambientale e civico che inevitabilmente e velocemente segue il decorso degli anni.

3. Conclusioni

La descrizione della complessità procedimentale che ha influito, e continua ad influire negativamente sul progetto Waterfront di La Spezia, lascia adito ad alcune considerazioni conclusive per evidenziare la differenza esistente anche con il resto della realtà comunitaria alla quale comunque si riferiscono, in maniera cogente, tutti gli strumenti pianificatori nazionali. Il paragone con quanto avvenuto in altre città costiere europee si ritiene possa essere utile allo scopo di verificare se l’insieme normativo-procedimentale nazionale in materia di pianificazione territoriale urbanistica e portuale sia effettivamente valido o abbia necessità, invece, di un ulteriore revisione in senso semplificatore.

Come accennato nel capitolo 1 della prima parte, elemento ottimale nella riuscita di un progetto di waterfront redevelopment potrebbe essere il riuscire a garantire il rispetto di tre dei dieci principi per lo sviluppo sostenibile dei waterfront urbani: integrazione tra acqua

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e territorio, accesso pubblico visivo e fisico all’acqua, partnership pubblico-private per una rapida realizzazione. Questa triade di principi potrebbe trovare applicazione concreta per i primi due nel complesso ter procedimentale che coinvolge Stato, Regioni, Comuni ed Autorità Portuali (o, post-riforma del 2016, Autorità di Sistema Portuale), ma questo stesso iter, per la sua lungaggine, difficilmente può consentire il rispetto del terzo principio soprattutto per quanto riguarda i tempi di realizzazione.

A questo punto occorre osservare cosa è accaduto nel resto d’Europa, prendendo ad esempio il progetto di rivalutazione di

waterfront e riverfront della città portoghese di Porto, città costiera che

si sviluppa lungo la foce del fiume Douro. Il richiamo a quanto realizzato in Portogallo si è ritenuto confacente alla situazione nazionale, anche alla luce degli effetti che la crisi economica iniziata nel 2008 ha prodotto nella nazione lusitana, ben più pesanti rispetto al nostro paese.

Sfruttando gli strumenti economici, finanziari e normativi resi disponibili dall’Unione Europea, il Portogallo ha avviato e concluso tra il 2000 e il 2006 un piano globale di riqualificazione urbana delle città settentrionali che ha incluso il recupero del fronte a mare delle città costiere, compresa Porto. Senza volersi addentrare in tutto l’iter, ma al solo scopo di mettere in luce le differenze di realizzazione tra i due paesi, si enfatizzano gli aspetti fondamentali. In primo luogo il breve tempo trascorso tra ideazione ed esecuzione dei progetti. In seconda istanza la creazione di un programma di riqualificazione urbana a carattere globale e nazionale, detto “Programa Polis- Programa National de

Requalificaçào Urbana e Valorizaçào Ambiental das Cidades”. Infine

un utilizzo nuovo ed efficace degli strumenti particolareggiati di pianificazione urbanistica locali per l’attuazione di quanto programmato, ossia i “Pianos de Pormenor e de Urbanizaçào”. Punto fondamentale è stata l’innovazione dal punto di vista istituzionale,

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laddove il Programa Polis ha previsto una stretta collaborazione tra Stato ed Amministrazioni locali non solo dal punto di vista pianificatorio, ma anche sotto l’aspetto del finanziamento dei progetti grazie alla costituzione di società per azioni a capitale pubblico alle quali hanno partecipato tutti i soggetti attuatori citati, raggiungendo gli obiettivi prefissati in tempi rapidi.154

Alla luce di questo breve accenno, si evidenzia come l’iter procedimentale nazionale sia eccessivamente lungo, tanto da non consentire la realizzazione entro cinque anni di un qualsiasi progetto di riqualificazione urbanistica, benché contenuto e condiviso in un

Masterplan. L’intersecarsi ed il sovrapporsi di piani e programmi

pianificatori nonché di attività autorizzative e/o consultive a diverso livello di responsabilità e gerarchia, non favorisce né il rapido sviluppo del procedimento né, tantomeno, la realizzazione concreta di quanto programmato. Non si riscontra facilmente una azione condivisa e collaborativa tra Stato, Regioni, Comuni, Autorità Portuali (per quanto riguarda i PRP) ed altri portatori di interesse, anche in presenza di strumenti partecipativi quali i tavoli di concertazione che vengono creati appositamente con lo scopo di risolvere tecnicamente le problematiche organizzative ma che, spesso, finiscono per risultare elementi di blocco delle attività o, ancora peggio, inascoltati. Il sistema normativo in vigore, oltre a dilatare i tempi del procedimento (si veda il caso in esame nel quale sono trascorsi due anni solamente per arrivare ad un decreto di compatibilità ambientale iniziale) sembra spingere vari soggetti verso un atteggiamento di imposizione della propria posizione anziché di collaborazione, atteggiamento assunto spesso soprattutto in funzione di obiettivi non direttamente legati alla riqualificazione urbanistica pianificata, ma, piuttosto, rivolti a posizioni ideologiche di contrasto al soggetto attuatore locale.

154 Vincenti T. “Realtà urbane a confronto. Il caso waterfront di Porto: un percorso

valutativo ex posto”, tratto da XL Incontro di Studio del Ce.S.E.T., p.306. Disponibile

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Guardando all’esempio portoghese, e con riferimento al

waterfront ed al PRP di La Spezia, è il caso di richiamare quanto

previsto dall’art. 822 del codice civile che definisce il porto come un bene demaniale necessario appartenente allo Stato, con regime proprietario non intaccato dal trasferimento di funzioni alle Regioni a seguito delle modifiche costituzionali del 2001, come stabilito dalla sentenza n. 317/94 della Corte Costituzionale. Il motivo di questo richiamo è che, mentre nel caso lusitano Stato e Regioni hanno operato congiuntamente per un rapido processo realizzativo dei progetti pianificati, nel sistema nazionale si registra continuamente il sollevamento di questioni riguardanti il conflitto di competenze che non favorisce in alcun modo la realizzazione di qualsivoglia progetto. Tantomeno si riscontra nel nostro ordinamento la possibilità di ricorrere a forme di consociativismo organizzativo pubblico-privato a carattere economico per il reperimento e l’utilizzo degli strumenti finanziari necessari al raggiungimento degli obiettivi prefissati in tempi compatibili con le modificazioni socio-economico-ambientali di un territorio.

In conclusione, si ritiene che nell’ottica di semplificazione amministrativa che dovrebbe coinvolgere tutti gli aspetti della vita nazionale, si dovrebbero individuare strumenti pianificatori a carattere generale che, pur tenendo conto delle esigenze locali a qualsiasi livello, compreso quello della cittadinanza e delle sue rappresentanze, e delle prescrizioni di carattere ambientale e pianificatorio imposte dalle normative vigenti, sia comunitarie che nazionali, riescano a produrre tempi certi nei vari passaggi procedimentali. Innanzitutto servirebbe la riduzione degli strumenti pianificatori, eliminando alcuni livelli decisionali che sono stati invece aumentati dal decentramento di cui alla modifica del Titolo V della Costituzione. In secondo luogo sarebbe necessario definire una gerarchia chiara e incontrovertibile per tali strumenti, laddove l’interesse nazionale, nel caso per esempio dei porti

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che appartengono allo strategico settore dei trasporti, dovrebbe sempre prevalere, compatibilmente con il rispetto delle predette normative, su interessi locali che, molto spesso, vengono sollevati in maniera strumentale e con fini “elettorali” e, come tali, di visione limitata sia nel tempo che nel concreto.

Un’ipotesi si Masterplan condiviso che comprenda i vari strumenti pianificatori e che, una volta superato lo scoglio della valutazione Ambientale Strategica, diventi cogente per tutti i soggetti interessati, potrebbe portare ad evitare che progetti di riqualificazione o sviluppo che dovrebbero essere realizzati entro un quinquennio al massimo dalla loro ideazione, arrivino a veder trascorrere un decennio ed oltre senza giungere ad alcuna conclusione concreta. Il caso trattato rappresenta un esempio tipico di anomali, che comporta non solo lungaggini amministrative ma anche, spesso e volentieri, perdite di carattere economico, sociale, imprenditoriale e, purtroppo, di sviluppo territoriale.

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APPENDICE

Fig.1 - Area di intervento

(dall’indirizzo http://www.va.minambiente.it/File/Documento/125383)

Fig.2 – Pianta dello stato di fatto

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Fig.3 -Foto inserimento Molo Crociere

(dall’indirizzo http://www.va.minambiente.it/File/Documento/125383)

Fig.4 -Calata Paita secondo il Masterplan

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Piano di Bacino, stralcio sul rischio idrogeologico dell'ambito 20 Golfo