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Art. 2391 c.c. "interessi degli amministratori"

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INTRODUZIONE

Dell’argomento “interessi degli amministratori” (art. 2391 C.C.) decisi di approfondirne la conoscenza in relazione ad un’intervista1 in cui veniva raccontato di un legame quasi sinergico tra una banca ed un finanziere. Salvatore Ligresti, costruttore, oltre che finanziere, coinvolto nei più rilevanti interventi urbanistici nel comune di Milano (Expo, Fiera e Garibaldi-Repubblica), di Firenze (Castello e Manifattura Tabacchi) e di Torino. Egli possiede, oltre a Fondiaria-SAI S.p.A. numerose partecipazioni rilevanti nel ramo editoriale, RCS MediaGroup, industriale, Pirelli&C. S.p.A., sempre nel ramo assicurativo, Assicurazioni Generali, ma soprattutto creditizio, Mediobanca e Unicredit. Partecipazioni rilevanti ma soprattutto strategiche in società importanti che, unite a quelle, altrettanto piccole detenute da altre famiglie del capitalismo italiano, strette in una fitta rete di relazioni e sostenendosi vicendevolmente, consentono il controllo di tali società.

Il gruppo Ligresti però non attraversa nell’ultimo triennio un buon periodo, è molto indebitato, circa 2 miliardi di Euro. Verso Unicredit, verso Mediobanca e Intesa SanPaolo le maggiori esposizioni. Solo Fondiaria-SAI, di cui la famiglia è maggior azionista , nel 2010 ha registrato una perdita di quasi 1 miliardo di Euro. La banca Unicredit però decide di mettere a disposizione del piano di salvataggio del gruppo assicurativo circa 200 mln di Euro, principalmente per due motivi: anzitutto per mantenere accese le speranze di veder restituiti i già prestati 300 mln di Euro dal gruppo, speranze molto flebili alla luce della possibilità di crack del gruppo; in secondo luogo, per compiere quella che, gergalmente, può esser

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3 definita come “operazione di sistema”2, ovvero un’operazione messa in piedi ad esclusivo fine di salvare il capitalismo italiano da infiltrazioni esterne.

Con 170 mln Unicredit ha acquisito una partecipazione rilevante (6,6%) del gruppo Fondiaria-SAI, una società che andava malissimo e va male tuttora. Ligresti, in qualità di detentore di una risicata quota di partecipazione, che tuttavia gli consentiva di sedere nel c.d.a. dell’ istituto creditizio in questione, il giorno della deliberazione alla suddetta operazione si dimise3 dallo stesso consiglio di amministrazione, sottraendosi così, in quanto socio della banca che lo ha salvato, dall’applicazione delle norme sul conflitto di interessi degli amministratori (art. 2391 C.C.).

Ora, Unicredit è una banca che ha reso pubblica una perdita colossale, 9 miliardi e 320 milioni di Euro solo nei primi nove mesi del 2011 ed ha annunciato piano di salvataggio che prevede in Italia il taglio di 5200 dipendenti entro il 2015. Il fatto che sicuramente si sarebbero potuti salvare alcuni posti di lavoro semplicemente non effettuando investimenti dei quali era pacificamente prevedibile una mancata redditività, mi porta a ragionare, in un contesto come quello attuale caratterizzato da un profondo disagio sociale, una profonda crisi occupazionale ed un dissesto finanziario senza precedenti, sulle norme e i costumi in questione che, forse perché troppo poco stringenti, permettono tali tipi di operazioni. 2 Cit. vd. supra. 3 http://it.wikipedia.org/wiki/Salvatore_Ligresti.

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Capitolo I

PROFILI COMPARATISTICI E MODELLI DI

DISCIPLINA

1. L’ordinamento francese.

Ai sensi dell’art. 101 della loi du 24 juillet 1966 sulle sociétés commerciales, ogni convention tra la società ed uno dei suoi amministratori o direttori generali deve essere preventivamente autorizzata dal consiglio di amministrazione4. Identica procedura è richiesta per le convenzioni nelle quali l’amministratore sia indirettamente interessato5 o in cui la controparte sia persona interposta dall’amministratore, nonché per quelle tra società in cui il proprietario dell’una figura come amministratore, socio accomandatario, direttore generale, membro del comitato esecutivo o del consiglio di sorveglianza dell’altra società. Sono esenti però gli accordi relativi a operazioni in corso e conclusi a condizioni normali (art. 102), per i quali si presume esclusa a priori la possibilità di abuso a danno della società6. Se un accordo rientri tra quelli previsti dall’art. 102 a deciderlo sono il presidente del consiglio di d’amministrazione e lo stesso amministratore interessato e, ove essi concordino che l’accordo vi rientri, nessuna delle cautele procedurali delle quali si sta per dire sarà applicabile

4È noto che l’ordinamento francese non riconosce la figura dell’amministratore unico di société

anonyme: vd. art. 89, loi du 24 juillet 1966.22

5Su tale espressione, vd. BALENSI secondo cui spetta in definitiva al giudice stabilire quando vi sia l’interesse indiretto, sulla base del criterio della rilevanza, ossia dell’attitudine ad influenzare le condizioni della conversazione, ENRIQUES, Il conflitto d’interessi degli

amministratori di società per azioni, Milano, 2000, p. 46.

6 Una recente decisione del tribunal de commerce di Parigi, citato da RIPERT e ROBLOT,

Traité de droit commercial, ha altresì escluso l’applicabilità degli artt. 101 ss., nonostante la

presenza di amministratori comuni, alle operazioni concluse tra una società ed altra società totalitariamente controllata dalla prima, citato in ENRIQUES, cit. supra, p. 47.

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5 all’accordo e del quale, conseguentemente, non dovranno essere informati gli

altri amministratori, i sindaci né tantomeno gli azionisti. Ai sensi dell’art. 103, in caso di convenzione rientrante invece tra quelle elencate

dall’art. 101, l’amministratore interessato ha l’obbligo di informare il consiglio di amministrazione e di astenersi dal voto nella delibera di autorizzazione. A sua volta il presidente del consiglio di amministrazione deve dare notizia ai sindaci di tutte le convenzioni autorizzate ed altresì sottoporle all’assemblea (art. 103, secondo comma)7. Quest’ultima, con l’astensione degl’amministratori vicendevolmente interessati, delibera separatamente su ciascuna convenzione sulla base di un rapporto speciale redatto dei sindaci8, i quali devono annualmente riferire a loro volta sull’esecuzione delle convenzioni oggetto del suddetto rapporto speciale . Ora, se il consiglio di amministrazione, con valida deliberazione, autorizza preventivamente la convenzione, questa è valida e l’omissione delle successive formalità non può incidere negativamente sulla sua validità. Tuttavia, la convenzione sarà nulla, anche se autorizzata e perfino se approvata dall’assemblea, se vi sia stata fraude, intesa come collusione fraudolenta tra amministratori interessati e membri del consiglio deputati ad autorizzare la convenzione, anche qualora sia occorsa nelle

trattive contrattuali ovvero nella fase di approvazione assembleare. Alla mancata autorizzazione da parte del consiglio consegue la nullità

7

In origine, la disciplina del conflitto di interessi degli amministratori, prevista dalla loi du 24

juillet 1867 (art. 40), vietava agli amministratori di adottare o mantenere un interesse diretto o

indiretto in un impresa o in altra società concorrente a meno che le operazioni compiute in tal senso non fossero ivi autorizzate dall’assemblea generale. Questa disciplina, che rifletteva chiaramente la posizione di preminenza attribuita all’organo assembleare, fu significativamente riformata dalla loi du 4 mars 1943, le cui soluzioni furono, a grandi linee, confermate nella legge del 1966.

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Il contenuto del rapporto speciale è dettagliatamente delineato nel Dècret 67-236 du 23 mars

1967 (artt. 91 ss.), in modo tale che l’informazione sia completa quanto alle caratteristiche

dell’operazione e alla convenienza della stessa per la società. Se manca il rapporto speciale o è insufficiente l’informazione in esso contenuta, la delibera assembleare conseguente è nulla e la convenzione si ritiene pertanto non approvata dall’assemblea (HèMARD e MABILAT, Sociétés

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6 dell’accordo qualora questo abbia cagionato un danno alla società. La relativa azione di nullità ha prescrizione triennale, decorrente dalla data di conclusione ovvero dalla data della scoperta se questa era stata occultata, esperibile sia dalla società come da ciascun socio. Il terzo comma dell’art. 105 ammette però la possibilità che l’assemblea possa ratificare la convenzione, anche se dannosa, con delibera presa sulla base di uno speciale rapporto redatto dal collegio sindacale che indichi le circostanze per le quali la procedura di autorizzazione non è stata eseguita e con l’astensione dell’amministratore interessato9. L’approvazione dell’accordo da parte dell’assemblea ha anche l’effetto di liberare gli amministratori interessati e coloro che lo hanno autorizzato10 da responsabilità verso la società. Naturalmente sempre che non vi sia stata fraude. Viceversa, nel caso in cui l’assemblea non approvi la convenzione le conseguenze dalla stessa derivanti possono essere, a questi addossate, con presunzione di colpa a loro carico11. Ai sensi dell’art. 106 l. cit. è fatto divieto, a pena nullità, agli amministratori di contrarre prestiti in qualsiasi forma nonché di farsi prestare garanzie per debiti propri12. Infine, è doveroso ricordare che tale legge punisce con reclusione fino a cinque anni e con multa l’amministratore che, agendo in malafede, abbia fatto uso contrario agli interessi della società dei beni o del credito di questa ovvero dei propri poteri o voti di cui disponeva in qualità

9

Critico nei confronti di tale situazione è BALENSI, il quale ritiene che o la ratifica è inutile, nel caso in cui la ratifica è valida in quanto non pregiudizievole per la società, o è dannosa per la stessa. Lo stesso non considera però che, nel caso di ratifica di una convenzione valida in quanto non pregiudizievole, può essere fonte di maggior danno per la società far valere la nullità della convenzione che sopportare le conseguenze della sua esecuzione, citato in ENRIQUES, op. cit., cit. p. 50.

10

Considerato che l’obbligo di astensione non si estende alla società madre per conto della quale l’amministratore sia interessato, la ratifica assembleare ha la funzione di rendere immuni da responsabilità gli amministratori per tutte le operazioni intragruppo. In senso critico D. SCHMIDT, Les Conflits d’intérèts dans la société anonyme, citato in ENRIQUES, Ibidem, p. 50 ss.

11

Vd. H. GUIGOU, Les opérations internes au groupe, citato in ENRIQUES, op.cit., p. 51.

12

Il divieto non si applica alle banche e alle società finanziarie ove si tratti di operazioni correnti concluse a condizioni normali.

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7 di amministratore a fini personali o per favorire altra società o impresa nella quale egli sia direttamente o indirettamente interessato.

2. L’ordinamento inglese.

Un economista inglese13 ritiene che l’ordinamento in questione vada oltre ogni altro sistema nella previsione di limiti ai benefici privati del controllo. Difatti, va detto fin da subito che, le regole di fonte giurisprudenziale, legislative e commerciali pongono una serie di vincoli e cautele contro i possibili abusi da conflitto d’interessi ben più rigorosi di quelli previsti in altro sistema ordinamentale. Per quanto riguarda il diritto di fonte giurisprudenziale: dalle regole del sistema Equity risultano applicabili i principi in materia di agency14, dai quali se ne ricava, per il contesto societario, la regola per cui all’amministratore non deve essere consentito di avere rapporti di affari in situazione di conflitto di interessi, anche potenziale, con la società15 da questi amministrata. Deve, altresì, astenersi dalle deliberazioni nelle quali sia interessato. In caso di inosservanza e conclusione di contratto in conflitto d’interessi, lo stesso contratto sarà annullabile su istanza della società, senza lasciare spazio ad eventuali valutazioni in merito alla convenienza dell’operazione, da parte del giudice16. Annullamento escluso, tuttavia, nel caso in cui: a) l’operazione venga ratificata o preventivamente approvata

13

Vd. MAYER, Firm control, relazione presentata al Corporate Group Meeting Symposium, citato in ENRIQUES, Il conflitto d’interessi degli amministratori di società per azioni, Milano, 2000, p. 53.

14

L’agent ha nei confronti del principal un fiduciary duty, che gli vieta di trarre dall’esecuzione dell’incarico un secret profit, ossia un vantaggio patrimoniale che non sia stato concordato con il principal ovvero da questi autorizzato previa informazione su tutti i fatti rilevanti.

15

“administrator shall not be allowed to enter into engagements in which he has or can have a

personal interest conflicting or which possibly may conflict with the interests of the company”.

Vd. Aberdeen Rail. Co. vs. Blaikie Bros. (1854), citato in ENRIQUES, op. cit., p. 53 s.

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SEALY, Company law and Commercial reality, spiega il rigore delle norme in materia di

trust col fatto che primi tribunali sorti non disponevano di adeguati mezzi di prova, citato in

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8 dall’assemblea previa piena disclosure circa gli aspetti della suddetta17; b) la società non eserciti tempestivamente l’azione; c) la restitutio in integrum diventi impossibile; d) debbano essere salvaguardati i diritti dei terzi in buona fede. In ogni caso nelle ipotesi sub a) e b) la società ha diritto di ricevere ogni guadagno che l’amministratore abbia tratto dall’operazione.

In ogni caso, ai sensi della regulation 85 della Table A del 1985, l’amministratore che opportunamente informi18 gli altri amministratori circa l’esistenza, la natura e l’estensione di un qualsiasi interesse è comunque autorizzato a concludere o contrattare con altra società od avervi un interesse. Altresì, in caso di previa disclosure, egli non è tenuto a riversare alla società il profitto che dalle suddette operazioni possa derivargli né queste possono, per conflitto d’interessi, essere annullate. Ai sensi, invece, della regulation 94 si prevede che, salve le eccezioni dalla stessa individuate, l’amministratore debba astenersi dalle deliberazioni del consiglio di amministrazione o di un comitato di amministratori, nelle quali egli abbia, anche indirettamente, un interesse che confligga o che possa confliggere con l’interesse della società.

Per quanto riguarda, invece, le regole in via legislativa (Companies Act del 1985) prevalgono, anzitutto, su quelle eventualmente previste dagli statuti. La section 317 impone all’amministratore di dichiarare la natura del proprio interesse in un’adunanza del consiglio d’amministrazione19;20. L’inosservanza a tal obbligo,

17

Ibidem, p. 54 s.

18

L’obbligo di disclosure non sussiste peraltro qualora gli amministratori siano già a conoscenza dell’interesse di uno di essi nell’operazione, cosicché l’adempimento sarebbe del tutto inutile.

19

La giurisprudenza, fondandosi sul dato letterale della disposizione, ha ritenuto la norma applicabile anche alle società con amministratore unico; in senso critico DAVIES, citato in ENRIQUES, op. cit., p. 57, secondo il quale in un caso del genere la disclosure avrebbe dovuto essere fatta all’assemblea.

20

Viene altresì precisato che la disclosure deve essere fatta, nel caso di una proposta contrattuale, nella prima adunanza del consiglio di amministrazione in cui viene discusso se accettare la proposta ovvero, qualora al tempo di tale adunanza il suo interesse non fosse ancora sorto, nella prima adunanza successiva al momento in cui l’amministratore sia divenuto interessato.

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9 però, non comporta l’invalidità del contratto, mentre all’amministratore che violi il precetto si applica una multa .

La section 320 impone invece dei limiti matematici alle operazioni transative tra società e amministratori o persone con questi connesse21 oltre i quali le stesse necessitano dell’approvazione preventiva da parte dell’assemblea degli azionisti. In caso di inosservanza e salvo ratifica da parte dell’assemblea, il contratto è, a meno di particolari condizioni, annullabile su istanza della società. Ex section 330 ss. si fa divieto di concedere prestiti e garanzie agli amministratori; s’impone uno specifico obbligo di disclosure circa le operazioni di credito in cui, l’amministratore abbia un interesse, direttamente o indirettamente, rilevante ecc.. Opportuno dare conto, infine, della disciplina di derivazione commerciale22. Il Chapter 11 delle listing rules impone agli amministratori, in relazione alle operazioni23 tra società quotate o società da essa controllata e una parte correlata, di dare preventiva comunicazione al London Stock Exchange, inviare agli azionisti una circular24 ed ottenere l’approvazione preventiva dell’assemblea, nella quale, a differenza di quanto prevista dalla normativa di derivazione legislativa, la parte correlata deve astenersi dalla votazione.

21 Ai sensi della section 346 si considerano connected, i familiari, le società anche congiuntamente controllate o in cui, assieme ad altre persone connected, si detenga almeno il 20% del capitale, i trustee dell’amministratore ovvero delle persone a lui connected.

22

Sul ruolo fondamentale svolto dal LSE nel determinare le condizioni di fiducia necessarie perché gli investitori fossero disposti a investire in tali società inglesi, vd. CHEFFINS, Does

Law Matter? The Separation of Ownership and Control in the UK, 2000.

23

Vd. EVANS, M&A Transactions and Transactions with related parties, in BUTTON e BOLTON (a cura di), A Practitioner’s Guide To the Stock Exchange Yellow Book, 1999/2000, citato in ENRIQUES, Il conflitto d’interessi degli amministratori di società per azioni, Milano, 2000, p. 61.

24

La circular, oltre che essere preventivamente approvata dagl’organi di borsa, deve contenere informazioni sufficienti per consentire agli azionisti di valutare gli effetti dell’operazione per la società.

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3. L’ordinamento statunitense.

I tratti caratteristici possono essere così sintetizzati: Le operazioni interessate sono frequentemente oggetto di riesame nel merito da

parte di un giudice25, frutto di un sistema giudiziario che, mediante il meccanismo delle contingency fees e attraverso regole sulle spese processuali che, premiando l’attore che sia riuscito a far condannare un amministratore al risarcimento dei danni a favore della società, stornando a suo favore una quota dei danni liquidati, incentiva una folta schiera di avvocati-imprenditori a

promuovere cause di responsabilità nei confronti degli amministratori; le leggi statali concepiscono, tramite alcune procedure di approvazione delle

operazioni in conflitto d’interessi, un effetto immunizzante per il soggetto agente; per società che fanno ricorso al pubblico risparmio, si prevedono oneri informativi circa le operazioni interessate degli amministratori.

In ogni caso il punto in esame è legato a triplo filo al concetto tipicamente americano di fairness26. Criterio, quest’ultimo, adottato dalle corti americane per giudicare delle operazioni in conflitto d’interessi e della responsabilità degli amministratori interessati.

La valutazione circa tali operazioni mediante il criterio della fairness si sostanzia, seppur unitariamente considerati, di due aspetti. L’uno procedurale, nel quale si valuta se l’operazione è stata conclusa a seguito di una contrattazione assimilabile a quella che si sarebbe svolta se i contraenti fossero stati due estranei27. In caso di esito positivo, si ritiene che l’operazione, previa disclosure, sia fisiologicamente approvata28 da un soggetto “neutrale”. Se, viceversa, il test si conclude negativamente, spetta all’amministratore convenuto dimostrare che, ciononostante, l’operazione è, almeno da un punto di vista sostanziale, fair, ossia

25

Spesso assai specializzato nella trattazione di cause societarie (è il caso, in particolare, delle corti del Delaware). Vd. ENRIQUES, op. cit., p. 62.

26Traducibile come correttezza, imparzialità ecc.. Procedimento basato sul predetto criterio che, nel gergo forense, prende il nome di “smell test”.

27Caso PEPPER vs. LITTON, 308 U.S. 295, 1939.

28 Cfr. MITCHELL in ENRIQUES, Il conflitto d’interessi degli amministratori di società per

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11 che le condizioni e la controprestazione ricevuta dalla società sarebbero state accettabili anche da parte di un ipotetico contraente indipendente. In questo caso, al contrario, in caso di esito positivo al procedural fair test l’onere della prova si ribalta, gravando sull’attore la dimostrazione che l’operazione sia sostanzialmente unfair29.

Va dato atto che, nel corso di questo secolo un numero sempre maggiore di ordinamenti statali si è dotato dei cc.dd. safe-harbor statutes30, leggi che sanciscono la validità di operazioni interessate se approvate o ratificate31 dagli amministratori disinteressati32 o dagli azionisti33 previa idonea disclosure34 da parte del soggetto interessato, ferma peraltro la possibilità per le corti di riconoscere sostanzialmente valida un’operazione anche in caso di inosservanza delle predette procedure.

Inevitabile dar conto della disciplina, prescritta dalla securities regulation, dell’informazione agli azionisti e al mercato. È previsto che, negli annual reports di società quotate in borse nazionali ovvero i cui strumenti finanziari siano posseduti da almeno cinquecento persone siano date informazioni a) relative ai

29

Data la centralità delle regole sull’onere probatorio è opportuno precisare, come osserva YABLON, On the allocation of burdens of proof in corporate law, citato in ENRIQUES, cit.

supra, p.64, che più che di onere della prova si può parlare di onere di persuasione del giudice.

Infatti, le parti si limitano a indirizzare verso un metro di giudizio più o meno rigoroso la valutazione dello stesso sull’operazione.

30 Per un’ampia rassegna di queste leggi, la prima delle quali fu adottata dalla California nel 1931, vd. ENRIQUES, Ibidem, p. 65, cita BALBULIA E PINTO, Statutory responses to

interested directors’ transactions: a watering down of fiduciary standards?, 1977.

31 Da questa soluzione si distaccano gli A.L.I. Principles che sono assai meno propensi a riconnettere effetti favorevoli in caso di mera ratifica, vd. ENRIQUES, Il conflitto, p. 66.

32Per il diritto del Delaware, è sufficiente che l’approvazione sia fatta dalla maggioranza degli amministratori disinteressati, quale che sia il loro numero. In argomento vd. DAVIS JR.,

Approval by disinterested directors, in 20 Journal of corporation law, 1995, citato in

ENRIQUES, vd. supra, p. 66.

33 Benché la legge del Delaware non richieda espressamente che l’approvazione sia data dagli azionisti disinteressati, le corti sono giunte a tale conclusione in via interpretativa: vd. caso

FLIEGER Vs. LAWRENCE, 351 A.2d 218, Del.1976.

34La disclosure deve vertere non solo sull’esistenza e la natura dell’interesse, ma anche su tutti i fatti conosciuti all’amministratore che una persona di media diligenza riterrebbe rilevanti ai fini del compimento dell’operazione: così il Model business corporation act; secondo gli A.L.I.

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12 debiti degli amministratori o dei loro familiari nei confronti della società o società controllate per somme non superiori a 60000 $; b) sulle operazioni di contro-valore superiore alla medesima cifra in cui tra gli amministratori vi sia un interesse diretto o indiretto. In caso di violazione di tale dovere gli amministratori possono venir chiamati a rispondere per violazione delle norme in tema di securities regulation.

4. L’ordinamento belga.

Interessante principalmente per due motivi: anzitutto, perché fonte di ispirazione nei lavori preparatori alla redazione del “nostro” art. 150 cod. comm., che altri non è che il genitore dell’attuale art. 2391 c.c.; in secondo luogo, perché lo stesso diritto societario belga fu oggetto, all’inizio degl’anni Novanta, di una riforma dettata dalla volontà di recepire alcune delle soluzioni normative prevalenti negli Stati Uniti e, in particolare, le regole procedurali ivi vigenti. Riforma che, tuttavia, fu in buona parte rivisitata solo quattro anni dopo, a seguito dell’ostracismo della comunità imprenditoriale belga35, la quale riuscì a convincere il parlamento circa l’impossibilità di poter convivere con regole così rigide.

Così, fino all’entrata del Code de sociétés36, la disciplina belga del conflitto d’interessi degli amministratori si rinviene nell’art. 60 delle lois coordonnées sur les sociétés del 1873, rimasta immutata fino al 1991, quindi nuovamente modificato nel 1995 e ora riprodotto nell’art. 523 del code.

Nella sua formulazione originaria, l’art. 60 prevedeva che, l’amministratore che avesse un interesse in conflitto con quello della società in un’operazione37

35ENRIQUES, op. cit., (n. 180) p. 69.

36Vd. la loi conténant le Code des sociétés del 7 maggio 1999.

37 Il tenore letterale del termine mira a ricomprendervi anche le operazioni occasionali e di minore importanza che non avrebbero potuto farsi rientrare nelle espressioni prese in considerazione in alternativa. Vd. RESTEAU, Traité des sociétés anonymes, citato in ENRIQUES, Ibidem, (n. 183) p. 69.

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13 soggetta all’approvazione del consiglio d’amministrazione dovesse darne comunicazione38 a quest’ultimo, facendo menzionare la proprio dichiarazione nel verbale della seduta ed astenersi dalla relativa deliberazione39.

Il conflitto, va precisato, era ritenuto sussistere40 non solo in caso di vero e proprio abuso, bensì anche nel caso di mera divergenza d’interessi, dunque di potenzialità di conflitto. Irrilevante si considerava, invece, l’interesse nascente da rapporti di parentela41. Non vi erano, altresì, ricomprese le operazioni rientranti tra le competenze dell’amministratore delegato ovvero, a maggior ragione, dei dirigenti e funzionari della società.

Secondo l’unanime dottrina, in caso di mancata osservanza della procedura non era prevista alcun’altra sanzione che la responsabilità dell’amministratore interessato ex art. 62 della predetta legge. Sanzione che, sempre secondo l’opinione comune, doveva però ritenersi insufficiente42 ed inefficace.

Con la loi du 18 juillet 1991 il legislatore belga, traendo ispirazione dal Revised Model Business Corporation Act americano, modificò l’art. 60 introducendo una disciplina assai più rigorosa: vi si prevedeva un obbligo di informazione a carico dell’amministratore che, in una determinata operazione o decisione43, avesse un interesse, diretto od indiretto44, in conflitto con quello della società nei confronti

38Su quest’obbligo di comunicazione, avente funzione di autocensura e di messa in guardia, vd. RESTEAU, op. cit., sul punto supra, p. 70.

39 L’amministratore non poteva cioè partecipare né al voto né alla discussione sull’operazione: Cfr. FRéDERICQ, Principles de droit commercial belge, Gand, 1930, citato in ENRIQUES, op.

cit., p. 70.

40 Anche in Belgio la dottrina metteva peraltro in luce la discrezionalità del giudice nella valutazione della sussistenza dell’opposizione di interessi: vd. RESTEAU, op. cit., citato in ENRIQUES, Il conflitto, (n. 188) p. 70.

41Cfr., anche per i riferimenti giurisprudenziali, vd. punto supra.

42 Cfr. ad es. VAN RYN, Principes de droit commercial, secondo il quale avrebbe dovuto prevedersi altresì la nullità dell’operazione qualora fosse provato il danno e, per alcuni tipi di operazioni, “l’interdiction pure et simple”. Cfr. anche SIMONT, Conflits d’intéret; citato in ENRIQUES, Il conflitto, p. 71.

43ENRIQUES, op. cit., (n. 200) p. 72.

44Formula che alla luce dei lavori parlamentari doveva essere interpretata in senso estensivo, in modo da ricomprendere anche l’interesse morale, quello potenziale e quello concorrente con

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14 del consiglio che fosse chiamato a votare45 e nei confronti dei commissaires. Lo stesso amministratore interessato non poteva poi assistere46 alle deliberazioni né poteva darvi il proprio voto. Altresì, era prevista la redazione, a carico degli amministratori, di un rapporto spécial all’assemblea in merito alle circostanze in cui le predette operazioni o decisioni fossero state intraprese. Rapporto che doveva esser accompagnato da un altro, a cura del commissaire-réviseur o, in mancanza, a cura di un revisore di conti designato dal c.d.a.47.

Il par. 2 dell’art. 60 prevedeva che la società potesse far valere la nullità degli atti compiuti per realizzare le operazioni o decisioni qualora queste avessero procurato all’amministratore interessato un indebito vantaggio o nel caso in cui la suddetta procedura non fosse stata osservata48, salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi. Ai sensi del par. 3 l’amministratore era conseguentemente tenuto a risarcire il danno subito dalla società o dai terzi.

Come precedentemente accennato, le nuove disposizioni furono mal digerite dal fronte imprenditoriale belga, la cui spinta generò la presentazione di una loi de réparation49, approvata nel 1995, con la quale si instaurò una disciplina più comfortevole ed operativa50.

Il nuovo art. 523, odierno contenitore della disciplina in esame, avrà lo stesso ambito di applicazione del precedente art. 60, due, però, sono le principali novità. Dal punto di vista della procedura, i doveri di astensione si applicano solo a società che fanno o abbiano fatto appello al pubblico risparmio, nella comunicazione del proprio interesse, l’amministratore deve esporre le ragioni giustificanti l’interesse opposto a quello societario.

l’interesse della società: vd. DE WOLF e FERON, La dualité d’intérets, citato in ENRIQUES, cit. supra, p. 72.

45Nell’ordinamento belga non è ammessa l’amministrazione unipersonale.

46Doveva cioè uscire dalla stanza in cui si svolgeva la seduta: così DE WOLF e FERON, punto

supra, p 72.

47Sui due rapports, vd. punto supra.

48Le due condizioni dovevano ricorrere cumulativamente, ENRIQUES, op. cit., (n. 209) p. 74. 49

Cfr. SIMONT, Conflits d’intéret, citato in ENRIQUES, op. cit., (n. 213) p. 74.

50Così KEUTEN e ANDRè-DUMONT, La société et son fonctionnement, in Aa. Vv., Droit

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15 Quanto alle sanzioni si deve dire che, in caso di inosservanza delle prescritte procedure la disciplina relativa alla responsabilità degli amministratori51, contenuta nell’art. 528, riprende in larga misura le previsioni contenute nel vecchio art. 62 delle lois coordonnées, con gli stessi problemi poc’anzi enunciati. L’art. 529 prevede che, qualora, all’opposto, le procedure siano state rispettate gli amministratori posson esser chiamati a rispondere solidalmente dei danni subiti dalla società e dai terzi nel caso in cui si abbia avuto un abusivo vantaggio ad uno degli amministratori.

Da ultimo, conviene dare atto dell’art. 524, per il quale all’interno di società con azioni quotate in borse europee in cui il consiglio di amministrazione è chiamato a deliberare circa operazioni che, direttamente o indirettamente, possano procurare un vantaggio patrimoniale ad un azionista che eserciti un’influenza notevole e palpabile sulle decisioni del c.d.a., siano, dal consiglio, nominati tre amministratori, scelti in ragione della loro indipendenza dalla decisione od operazione, i quali, assistiti da un esperto indipendente, devono presentare una relazione contenente una valutazione motivata delle conseguenze finanziarie della predetta decisione o operazione e dell’interesse della società a concludere la stessa.

5. L’ordinamento tedesco.

Tradizionalmente l’ordinamento tedesco ha prestato un’attenzione, quantomeno, relativa all’argomento in esame. Difatti, la struttura concentrata della proprietà azionaria ha portato a riservare l’attenzione del legislatore, come della dottrina, piuttosto verso la disciplina dei gruppi di società e dunque sul conflitto d’interesse tra azionisti di controllo ed azionisti esterni.

51 Si ricorda che l’azione sociale di responsabilità può essere deliberata dall’assemblea ovvero promossa da tanti azionisti che rappresetino almeno l’uno per cento delle azioni ovvero azioni per un valore nominale minimo di cinquanta milioni di franchi.

(16)

16 Comunque, la principale regola di fonte legislativa in materia di conflitto di interessi precisa che ai fini della validità dei negozi tra amministratore e società, quest’ultima deve essere rappresentata dall’Aufsichtsrat52. La regola, però, copre esclusivamente i negozi che abbiano l’amministratore come controparte, in proprio o come rappresentante di altri53.

All’inosservanza delle suddette norme, secondo taluni conseguirebbe la nullità del negozio, secondo altri invece, il negozio sarebbe inefficace salvo ratifica del soggetto rappresentante. In caso di mancata autorizzazione da parte di quest’ultimo, e salva ratifica da parte di esso, i negozi indicati sono inefficaci e le somme ricevute dagli amministratori devono essere immediatamente restituiti, a pena di responsabilità54.

Si considerano, peraltro, applicabili agli amministratori che rappresentano la società le regole generali in materia di rappresentanza. In merito a queste regole, si ritiene nullo il contratto stipulato a danno della società dall’amministratore-rappresentante interessato quando il terzo fosse a conoscenza della dannosità dell’operazione o quando questa fosse evidente55.

L’ordinamento tedesco non prevede, altresì, alcuna forma di informazione specifica degli azionisti sulle operazioni in conflitto d’interessi56. Prevista, però, la responsabilità dell’amministratore che, secondo i principi generali, in conflitto d’interessi cagioni danno alla società. In ogni caso, qualora non previsti dall’ordinamento, doveri di informazione e di astensione sono stati riconosciuti quantomeno a livello giurisprudenziale.

52 O da un comitato di membri dell’organo di sorveglianza. Per quanto riguarda i conflitti di interesse degli Aufsichtsratsmitgliedern.

53

L’estensione della regola alle ipotesi in cui l’amministratore agisca in qualità di rappresentante di terzi si fa derivare dal § 181 BGB. Vd. GIESEN, Organhandeln und

Interessenkonflikt, citato in ENRIQUES, Il conflitto, (n. 227) p. 78.

54Così GIESEN, cit. supra, p. 78 ss. 55

Ibidem, ove anche i riferimenti alla dottrina e alla giurisprudenza minoritarie che ritengono sufficienti, ai fini dell’opponibilità, la colpa grave o addirittura la colpa lieve, p. 79.

56

In senso critico WEIDEMANN, Organverantwortnung und Gesellschafterklagen, citato in ENRIQUES, Il conflitto, (n. 241) p. 80.

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17

6. Il diritto comunitario.

Data la molteplicità delle fonti di disciplina, interessa nel contesto in esame: La proposta modificata di Quinta Direttiva del Consiglio sulla struttura delle società per azioni e sui poteri ed obblighi dei loro organi sociali57. La suddetta prevede, per società a struttura dualistica58, che, ogni operazioni nella quale, la società sia parte e nella quale l’organo di direzione o di vigilanza abbia un interesse diretto o indiretto, deve essere autorizzata almeno dall’organo di vigilanza ( art. 10 par. 1). Chiara la vicinanza all’esperienza francese, nella quale non è richiesta la presenza di un conflitto tra gli interessi59. Ai sensi dell’art. 10 par. 2, primo periodo, si prevede un dovere di informazione nei confronti degli organi di vigilanza e direzione, per i membri di quest’ultimi che vengano a conoscenza di un caso come quello di cui al par. 1. Interessante notare che, il suddetto dovere non incombe solo sull’amministratore interessato ma su ciascuno degli amministratori.

In merito al par. 2, secondo periodo, si prevede, per il membro interessato, un divieto di partecipazione sia alla deliberazione dell’organo di direzione sulla convenzione di cui trattasi, sia alla deliberazione dell’organo di vigilanza sulla concessione dell’autorizzazione di cui al par. 1.

Il par. 3 del medesimo articolo dispone che l’assemblea generale debba essere informata delle autorizzazioni concesse a norma del par. 1.

Il par. 4, si riferisce, invece, alle conseguenze circa la mancata concessione dell’autorizzazione, prevedendo l’opponibilità ai terzi60 soltanto se, provato dalla società, gli stessi ne erano a conoscenza.

57 Da ultimo modificata, ma non sul punto, nel 1991.

58 Nota COVELLI, L’Organo amministrativo della s.p.a. nella proposta di V direttiva CEE, in

Riv. Società, 1985, p. 124 ss., ivi alla p. 12 s., che utilizzando questa espressione la proposta di

direttiva ha un ambito molto più ristretto rispetto a quello dell’art. 2391, nel quale si fa riferimento alle “operazioni”.

59 Disciplina analoga è prevista per le società a struttura monistica.

60 A prescindere dalla dannosità della convenzione per la società, come nota FOFFANI, Le

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18 In merito alla Proposta di Regolamento del Consiglio relativo allo statuto della società europea, si segnala qui la disposizione contenuta nell’art. 73, la quale, nella proposta originaria, aveva analogo contenuto all’ art. 10 della proposta di direttiva, salvo che, per la facoltà per gli statuti di dichiarare la disciplina inapplicabile alle operazioni correnti concluse a condizioni normali; per la mancanza della previsione di un dovere di comunicazione; per la precisazione che le autorizzazioni devono essere comunicate al più tardi alla prima assemblea generale successiva alla chiusura dell’esercizio; per la formulazione più sintetica della disposizione in materia di opponibilità ai terzi dell’inosservanza del procedimento di autorizzazione prescritto.

patrimoniali , in MAZZACUVA, Diritto penale commerciale, 2. I reati societari e la tutela del mercato mobiliare, Torino, 1990, p. 203 ss, ivi alla p. 214.

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Capitolo II

EVOLUZIONE LEGISLATIVA DELLA

DISCIPLINA

1. Dal silenzio dei codici all’art. 150 del codice di commercio del 1865.

Fin d’ora va detto, non prestarono completamente attenzione alla materia del conflitto d’interessi degli amministratori61 né il Codice di commercio francese del 1808, né il Codice sardo del 1842, che peraltro ne era la riproduzione quasi letterale62. Pertanto, si riteneva ad essi applicabile, in materia di autocontratto, il divieto previsto per il procuratore di farsi acquirente dei beni che era incaricato di vendere63.

La questione fu affrontata per la prima volta nel Codice di Commercio del 1865. L’art. 138, co. 2, sancì incompatibilità per determinati soggetti, i cui conflitti di interesse assumessero un carattere non episodico.

Non troppo tardi iniziarono, però, i lavori per una eventuale riformulazione del codice. All’uopo una commissione fu incaricata nel 1869 di studiare le modifiche che potessero utilmente introdursi nel codice di commercio del regno. La stessa ritenne64 eccessivamente rigorosa la disposizione contenuta nel suddetto articolo, proponendo una soluzione grazie alla quale veniva rimessa all’assemblea dei soci la decisione circa la compatibilità della carica con la posizione di controparte

61

Cfr. la Relazione Mancini al Codice di Commercio del 1882. Vd. CASTAGNOLA, Nuovo

codice di commercio italiano, Torino, 1893, p. 489.

62AQUARONE, L’unificazione legislativa e i codici del 1865, Milano, 1960, p. 64. 63MARGHIERI, Delle società e delle associazioni commerciali, Torino, 1909, p. 271.

64 Così la Relazione Mancini, in ENRIQUES, Il conflitto d’interessi degli amministratori di

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20 assunta dall’amministratore. Soluzione questa non condivisa dall’allora Ministro Finali, il quale, a sua volta, propose65 una disposizione66 ispirata alla legislazione belga, che, tuttavia, fu oggetto di critiche da parte dell’Ufficio centrale del Senato, la cui proposta risultò, invece, essere il viatico67 per il successivo art. 150 cod. comm..

Si ritenne, infatti, appropriato discostarsi dal modello belga, in primo luogo preferendo l’intervento dei sindaci all’informazione ed eventuale reazione, fisiologicamante, tardiva dell’assemblea, estendendo, così, alla disciplina in esame ogni tipo di operazione, anche di modesta entità.

“L’amministratore che, in una determinata operazione ha, in proprio nome o come rappresentante di un altro, interesse contrario a quello della società, deve darne notizia agli altri amministratori ed ai sindaci, ed astenersi da ogni deliberazione riguardante l’operazione stessa.

In questo caso, e nei casi preveduti dall’articolo precedente, quando le deliberazioni non siano approvate dai sindaci, gli amministratori che vi hanno preso parte sono responsabili delle perdite che ne derivassero alla società”. Così recita l’art. 150 del codice di commercio del 1882.

Nel disposto è sancito il dovere, in capo all’amministratore, di comunicare l’esistenza di un interesse contrario a quello della società. Un concetto che non torvò d’accordo dottrina e giurisprundenza. In dottrina si ritenne contrario ogni interesse che potesse confliggere con quello della società, in giurisprudenza si

65Anche su sollecitazione della Corte d’Appello di Torino. 66 Art. 131, c.d. Progetto Finali

, ai sensi della quale “l’amministratore che in una determinata operazione ha un interesse contrario a quello della società deve avvertirne gli altri amministratori se ve ne sono e i sindaci. L’operazione medesima non può essere compiuta senza il consenso dei sindaci, e gli amministratori debbono renderne conto alla prossima assemblea generale prima che sia emesso alcun altro voto. L’amministratore o gli amministratori che non facciano le dichiarazioni prescritte nel presente articolo o che non si conformino alla decisione dei sindaci sono responsabili delle perdite che derivassero alla società dall’operazione anzidetta”.

67 La formulazione adottata nel progetto definitivo differiva dall’art. 150 soltanto nella parte in cui precisava che la notizia agli altri amministratori doveva essere data “ se ve ne fossero”, precisazione che venne poi considerata superflua.

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21 ritenne soggetto al dovere in questione solo quell’interesse che nascondesse un vero e proprio abuso verso la società. Anche sul dovere in questione, peraltro, non vi fu identità di vedute, soprattutto in dottrina68.

Si fece dovere, altresì, all’amministratore interessato di astenersi da ogni deliberazione riguardante l’operazione stessa. La dottrina di gran lunga prevalente tendette a renderlo operativo tanto alla fase di deliberazione quanto alla fase di esecuzione della stessa.

Per quanto riguarda l’ambito di applicazione va detto che, anche alla luce dei lavori preparatori, era del tutto pacifico che lo stesso si applicasse ad ogni operazione in conflitto di interessi, a prescindere dal fatto che si trattasse di affari ricompresi tra quelli di competenza del consiglio, dell’amministratore delegato del direttore generale ovvero di ogni altro dipendente della società munito di procura69. Condivisa, altresì, l’interpretazione secondo cui il dovere di astensione si applicasse anche all’amministratore unico70. Una divergenza di opinioni, semmai, si registrò in relazione all’ulteriore questione se l’amministratore unico

68 VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, citato in ENRIQUES, op. cit., (n. 46) p. 101, attribuì al dovere una mera funzione di autocensura; VIDARI, Corso di diritto commerciale, citato in ENRIQUES, op. cit., (n. 47) p. 101, ritenne non necessario che fosse reso eplicito l’oggetto dell’interesse in conflitto; PIPIA, Società anonima, citato in ENRIQUES, op. cit., (n. 48) p. 102, lamentò la possibilità che il rispetto del dovere in questione potesse arrecare un danno all’amministratore stesso; ASCARELLI, Appunti di diritto commerciale3, Roma, 1936, p.

292, si espresse su tempi e modi della comunicazione, così come NAVARRINI, Delle società e

delle associazioni commerciali, citato in ENRIQUES, op. cit., (n. 50) p. 102; DE GREGORIO, Delle società e delle associazioni commerciali, citao in ENRIQUES, op. cit., (n. 51) p. 102,

ritenne applicabile la disposizione anche ad amministratori assenti dal consiglio. 69 VIVANTE, Trattato di diritto commerciale1

; PIPIA, Responsabilità civili degli organi amministrativi; entrambi gli autori notano che la ratio di questa soluzione si rinviene nel fatto

che la “legge ha temuto che il direttore non sappia resistere alla influenza dell’amministratore da cui dipende”, vd. ENRIQUES, Il conflitto d’interessi degli amministratori di società per azioni, Milano, 2000, p. 104.

70Vd. in tal senso TARTUFARI, Della rappresentanza nella conclusione dei contratti, Torino, 1892, p. 555.; PIPIA, Responsabilità civile degli organi ammministrativi, citato in ENRIQUES,

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22 potesse pur sempre agire, previa delibera dei sindaci sull’operazione71, ovvero se egli dovesse invece richiedere l’autorizzazione assembleare72 .

2. Evoluzione legislativa fino al Codice Civile (1942).

Negli anni successivi, le prime importanti novità legislative si ebbero in campo bancario. Si recepì, dalla prassi statutaria dell’epoca, il divieto per gli amministratori delle casse di contrarre obbligazioni con l’istituto che amministravano73, nella prima legge sulle casse di risparmio (legge n. 5546 del 1888) e confermata nel t.u. delle leggi sulle casse di risparmio (r.d. 25 aprile 1929, n. 967).

Il legislatore del ’29, sull’onda della crisi e degli scandali, ritenne, in prima battuta, opportuno estendere questo divieto agli amministratori di società per azioni, sanzionandone penalmente la violazione, a prescindere dall’elemento del danno per la società74, ed altresì di inibire l’amministratore dal farsi concedere prestiti, sotto qualsiasi forma, direttamente o per interposta persona, dalla società che amministra ovvero mediante società controllata o da lui amministrata, nonché farsi prestare garanzie per debiti propri (art. 6 r.d.l. 30 ottobre 1930, n. 1459).

L’art. 6, co. II, in merito al quale non sottendevano al divieto gli amministratori di società bancarie privi di firma, sempreché le singole operazioni fossero state autorizzate dal consiglio di amministrazione, venne però sostituito con l’art. 38 della legge bancaria del 1936, che estese il regime dell’autorizzazione del consiglio a tutti gli amministratori, con o senza firma, di aziende o istituti di

71PIPIA, cit. punto supra.

72La dottrina prevalente propendeva per la seconda soluzione: vd. VIVANTE, Trattato di diritto

commerciale1, Torino, 1893, p. 484.

73 MAZZARELLA, La disciplina delle obbligazioni, citato in ENRIQUES, op. cit., (n. 99) p. 113.

74 Sul punto la dottrina è pressoché unanime nonostante la contraria intenzione del legislatore storico.

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23 credito che intendessero contrarre obbligazioni di qualsiasi natura o compiere atti di compravendita, direttamente o indirettamente, con la banca amministrata. Negli anni a venire, all’interno dei lavori per la riforma del codice di commercio, anche l’art. 150 fu oggetto di interventi, i quali culminarono nella redazione dell’art. 2391.

Il vecchio articolo, per la verità, era già stato ritoccato nel d.d.l. Fani-Luzzati, eliminando sia l’approvazione dei sindaci sia gravando della responsabilità l’amministratore che non avesse adempiuto al dovere di comunicazione ovvero a quello di astensione.

Nel corso degli anni Trenta merita di esser segnalato il Contributo alla riforma delle società anonime75, nel quale si proponeva di permettere agli amministratori di prendere parte alle deliberazioni degli organi amministrativi della società affigliata. Si suggeriva, invece, sul piano dell’informazione che, nei gruppi che superassero una data soglia dimensionale, un revisore di nomina esterna dovesse accompagnare con una sua relazione i bilanci delle singole società con speciale riguardo ai loro reciproci rapporti. Proposta che vide orientamenti contrastanti in dottrina76.

Con la ripresa dei lavori di riforma del codice, la disciplina si arrichì di quello che divenne poi il terzo comma dell’art. 2391. Nel Progetto preliminare di codice del commercio del 1940, veniva sancita la nullità della deliberazione del consiglio, se il voto dell’amministratore in conflitto fosse stato determinante. Quindi, nel Progetto preliminare del Libro del lavoro e dell’impresa la nullità venne poi sostituita con la sanzione dell’annullabilità. Successivamente, l’art. 325 del libro del Codice Civile “dell’impresa e del lavoro”, aggiungeva un

75 Pubblicato a firma del VIVANTE nel 1934, in collaborazione con BIAMONTI, DE GREGORIO e FRè, su incarico del Ministro DE FRANCISCI, in Riv. Dir. Comm., 1934. 76Fu approvata da SALANDRA, Il progetto Vivante per la riforma delle anonime e le società di

partecipazione, in Riv. Dir. Comm., 1934, p. 747 ss., ivi alla p. 751 s.; mentre venne giudicata

pericolosa dal SOPRANO, Sul progetto Vivante per la riforma delle società anonime, in Foro.

it, 1934; incerto fu, invece, il FERRI, Osservazioni sulle proposte di Cesare Vivante per la riforma delle società anonime, in Foro.it, 1936, IV, citato in ENRIQUES, op. cit., (n. 116) p.

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24 secondo ed un terzo comma. Al secondo, si chiariva l’ambito della responsabilità per perdite, derivanti non più dalla deliberazione quanto dal compimento dell’operazione, al terzo, si disegnava l’architettura dell’impugnazione della deliberazione, chiarendone i presupposti, i termini ed i soggetti legittimati. Soltanto in seguito, coi lavori di coordinamento dei libri del codice civile, furono adoperati i vari accorgimenti del caso, sostituendo, ad esempio, il disposto “interesse contrario” con “interesse in conflitto”.

“L'amministratore, che in una determinata operazione ha, per conto proprio o di terzi, interesse in conflitto con quello della società, deve darne notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale, e deve astenersi dal partecipare alle deliberazioni riguardanti l'operazione stessa.

In caso d'inosservanza, l'amministratore risponde delle perdite che siano derivate alla società dal compimento dell'operazione.

La deliberazione del consiglio, qualora possa recare danno alla società, può, entro tre mesi dalla sua data, essere impugnata dagli amministratori assenti o dissenzienti e dai sindaci se, senza il voto dell'amministratore che doveva astenersi, non si sarebbe raggiunta la maggioranza richiesta. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione”.

Così era formulato l’art. 2391 c.c. del 1942.

Il primo comma contiene una riproduzione quasi letterale del art. 150, I co.77, il secondo comma, eliminato l’intervento attivo dei sindaci, recepisce una delle interpretazioni dottrinarie in merito all’omologo del precedente articolo78, il terzo comma, invece, codifica l’orientamento dominante all’epoca sia in dottrina sia in

77 Poiché, come si è visto, la sostituzione dell’espressione “interesse contrario” con quella di “interesse in conflitto” è avvenuta soltanto in sede di coordinamento dei diversi libri, per ragioni di uniformità lessicale, non pare lecito concludere che il legislatore del 1942 abbia in tal modo inteso restringere l’ambito di applicazione della norma in questione, escludendo le ipotesi di mero conflitto potenziale.

78 Cfr. FRè (e SBISà), Della società per azioni6

, nel Commentario del codice civile, di

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25 giurisprudenza ed accolto, parallelamente, anche per quanto riguarda il conflitto d’interessi del socio in assemblea.

3. Proposte ed interventi fino alla Legge Delega.

Il dibattito sulla riforma delle società per azioni si accese nuovamente soltanto nella metà degli anni Cinquanta grazie a Tullio Ascarelli79. Egli, propose un elenco di punti in cui in merito ai quali, a suo dire, avrebbe dovuto esser ulteriormente arricchita la suddetta disciplina. Ad esempio, propose di eliminare il requisito della potenzialità del danno ai fini dell’impugnazione delle delibere assembleari e consiliari per conflitto d’interesse, stante la difficoltà della relativa prova. Propose, altresì, di sancire la necessità della comunicazione all’assemblea, alla cui approvazione rimarrebbero subordinati, sia i compensi degli amministratori investiti di particolari cariche, così come le eventuali convenzioni tra società ed amministratori.

Nel ventennio successivo l’attenzione, invece, fu piuttosto orientata sulla necessaria modernizzazione dei mercati finanziario, bancario e mobiliare, così come testimoniato dai numerosi interventi succedutisi in quegl’anni80. Il dibattito sulla riforma del diritto societario si rianimò, quindi, soltanto nella prima metà degl’anni Novanta, grazie all’importantissimo contributo dottrinario81 che mise in luce la necessità di intervenire, stante l’ormai vicina conclusione del processo

79ASCARELLI, Disciplina delle società per azioni e legge antimonopolistica, in Riv. Trim. Dir.

Proc. Civ., 1955, p. 273 ss.. Mentre sulla scarsa attenzione per questo tema nel decennio

successivo alla caduta del fascismo vd. MARCHETTI, Diritto societario e disciplina della

concorrenza, in BARCA (a cura di), Storia del capitalismo italiano, Roma, 1997, p. 467 ss.;

vd. anche COTTINO e MINERVINI, La società per azioni a cento anni dal codice di

commercio, in Aa. Vv., 1882-1982. Cento anni dal codice di commercio, Taormina, 1984, p. 107

ss.

80 MINERVINI, Il controllo del mercato finanziario. L’alluvione delle leggi, in Giur. Comm., 1992, p. 5 ss.

81Vd. soprattutto PREITE, Investitori istituzionali e riforma del diritto delle società per azioni. In Riv. Società, 1993, p. 476 ss.; PREITE e MAGNANI, Linee di riforma dell’ordinamento

societario nella prospettiva di un nuovo ruolo degli investitori istituzionali, in Banca d’Italia, Temi di discussione del Servizio Studi, 1994, (n. 244) p. 15 ss.

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26 di riforma finanziaria e la creazione di mercato competitivo ed efficiente, sul predetto ambito. Ciò principalmente attraverso le proposte di interventi volti in particolare ad accrescere la tutela delle minoranze, ed, altresì, a loro volta, le varie proposte di disciplina del conflitto d’interessi tese ad accrescerne il rigore82. Nel febbraio del 1997 furono emanate dalla Consob le Raccomandazioni in materia di controlli societari83, le quali contenevano capitoli dedicati alla materia del conflitto d’interesse nella gestione delle s.p.a. quotate. Nello specifico: al fine di agevolare le funzioni di vigilanza sulla gestione e di controllo sulle modalità d’esercizio delle deleghe conferite, il comitato esecutivo e gli amministratori delegati avrebbero dovuto fornire apposita e puntuale informazione al Consiglio d’amministrazione circa le operazioni infragruppo e le operazioni con parti correlate, avendo particolare riguardo anche alla convenienza economica delle stesse; l’informazione avrebbe potuto anche essere richiesta dal consiglio stesso e nella stessa doveva essere esplicato l’interesse della società al compimento delle predette operazioni; i collegi sindacali avrebbero dovuto, a loro volta, fornire valutazioni, integrando la relazione sul bilancio, sulla completezza delle informazioni rese dagli amministratori.

Tuttavia, la stessa Consob, ad un anno dall’emanazione di tali raccomandazioni, rilevò un grado piuttosto esiguo ed insoddisfacente di adesione alle stesse, rilevando anche un bassissimo livello di attenzione soprattutto a livello dottrinario ed interpretativo84 alle suddette. Ciononostante invitava comunque ad uniformarsi all’International Accounting Standard 24.

Raccomandazioni del ’97 che, seppur rimaste sostanzialmente lettera morta, furono rivolte agli emittenti con l’obiettivo di diffondere sul mercato comportamenti in linea con i principi che si riteneva dovessero ispirare la riforma

82 La proposta del Preite prevedeva che per il conflitto di interessi di amministratori e soci si introducesse una regola in base alla quale sarebbero state vietate le operazioni in conflitto, a meno che il convenuto non avesse dimostrato la loro utilità per la società, PREITE, cit. supra, p. 557 ss..

83 CONSOB, Comunicazione n. DAC/RM/89001574 del 20 febbraio 1997, in Boll. Consob, 1997.

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27 delle società quotate. Viceversa, possiamo invece definire inoperoso, a sua volta, il comportamento della Consob stessa che, nei lavori preparatori del t.u.i.f., non avanzò alcuna proposta relativa all’introduzione di una disciplina per operazioni con parti correlate. Se, sulle stesse il t.u.i.f. tace, non dedica più che un accenno al tema del conflitto d’interessi degli amministratori: all’art. 150 si dispone che gli amministratori tempestivamente riferiscano al collegio sindacale sull’attività svolta e sulle operazioni di maggior rilievo economico, finanziario e patrimoniale, effettuate dalla società o dalle società controllate, in particolare, riferendo sulle operazioni in conflitto d’interesse. Niente di più.

Nonostante ciò, il testo in esame non è del tutto privo di significato per la ricostruzione della disciplina del conflitto d’interessi degli amministratori, ma anzi, offre un importante spunto perlomeno a livello interpretativo85, ad esempio, in tema di equilibrio tra esigenze di nomina imprenditoriale dei gruppi di comando e quelle di controllo esterno a tutela dei scoi di minoranza. Ha, altresì, contribuito a dare un nuovo slancio ad iniziative di riforma del diritto societario. Nel luglio del 1998 il Governo insediò una commissione (c.d. Commissione Mirone) che produsse una bozza di legge delega fatta propria dal Governo stesso in un apposito disegno di legge approvato il 26 maggio 2000.

Nell’art. 9, co. 1, della legge delega si leggeva che la riforma avrebbe dovuto prevedere “una disciplina del gruppo secondo i principi di trasparenza e tale da assicurare che l’attività di direzione e coordinamento contemperi adeguatamente l’interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza di queste ultime”86.

Il d.d.l. governativo, invece, in particolare all’art. 4 comma 8, riferisce che la riforma fosse diretta a disciplinare i doveri di fedeltà dei componenti dell’organo amministrativo con particolare riferimento alle situazioni di conflitto d’interesse.

85PREITE, Il conflitto di interessi del socio, citato in ENRIQUES, op. cit., (n. 166) p. 133. 86L’art. 9, comma 1, lett. c), dispone che debba prevedersi “che le decisioni conseguenti a una valutazione dell’interesse del gruppo siano motivate”. Questa disposizione pare atta piuttosto ad accrescere la domanda di servizi di consulenza giuridica e aziendale da parte dei gruppi di società che a fornire un’adeguata tutela agli azionisti di minoranza delle società controllate.

(28)

28 La relativa Relazione, a commento del predetto articolo, dopo aver constatato che in esso si “afferma il principio della necessità di una disciplina a livello legislativo dei doveri degli amministratori sotto il profilo anzitutto del dovere di fedeltà (duty of loyalty anglosassone) e quindi del conflitto di interessi che costituisce la fattispecie tipica in cui si può verificare un attentato al generale dovere di fedeltà”, prosegue dichiarando che “spetterà poi all’autonomia statutaria meglio articolare la disciplina legislativa”.

Autonomia statutaria che costituisce, quindi, la stella polare dell’intero progetto governativo ed è ivi richiamata come strumento che si vorrebbe in grado di accrescere le tutele concesse ai soci esterni. E ciò, anche in un clima in cui è provata la mancata tendenza delle società quotate italiane ad avvalorarsi, a tale scopo, di questo strumento contrattuale.

Qualche mese prima della presentazione del disegno di legge venne, però, depositata in Parlamento un’altra proposta, c.d. Legge Veltroni. La stessa, individuava come necessario un intervento sulla disciplina delle situazioni di potenziale conflitto d’interessi dei singoli componenti di organi di amministrazione, gestione e controllo, garantendo un’adeguata informazione degli organi competenti a deliberare ad assicurando un’informazione periodica dei soci sulle operazioni effettuate. Altresì, proponeva regole procedurali in base alle quali, operazioni in potenziale conflitto d’interesse dovessero essere approvate dal consiglio di amministrazione o di gestione anche quando le stesse rientravano nelle competenze degli organi delegati, con l’astensione degli organi interessati87, precisando, inoltre, che il presidente dell’organo ha il dovere di escludere dal voto il componente interessato. Per le ipotesi di amministrazione unipersonale si richiedeva, invece, la preventiva autorizzazione da parte dell’assemblea, salvo diversa previsione statutaria. Ancora, si imponeva il ricorso all’autorizzazione assembleare per operazioni di “ammontare particolarmente significativo”. Conteneva, inoltre, la proposta, norme in materia di gruppi di

87In ciò questo progetto si conforma a una proposta della Associazione Disiano Preite, citato in ENRIQUES, op. cit., (n. 148) p. 126.

(29)

29 società, prevedendo l’introduzione di una distinzione tra gruppi di fatto e gruppi di diritto. Per i primi, disponeva che fosse applicabile alle operazioni intragruppo la disciplina generale in materia e che, peraltro, i componenti di organi sociali non fossero considerati interessati per il solo fatto di esser stati nominati con voto determinante della società controllante. Per i gruppi di diritto, viceversa, la proposta indicava che gli statuti potessero disporre l’inapplicabilità della disciplina delle operazioni interessate e di quella del conflitto di interessi del socio in assemblea, fatta comunque salva l’inderogabilità delle disposizioni vigenti in materia d’informazione sulle operazioni tra società del gruppo.

Delle due l’una, la Proposta Veltroni, naufragò nei lavori in commissione, probabilmente anche perché l’altra ebbe maggiore fortuna. Il 26 maggio 2000 venne, infatti, presentata la proposta di riforma partorita dalla Commissione Mirone, sotto forma di Disegno di legge delega, ripresa in sede di commissioni parlamentari dopo le elezioni politiche e tradotta in legge delega con la L. 3 ottobre 2001, n. 366.

Istituita la commissione per la predisposizione dei decreti legislativi delegati presieduta dall’on.le Vietti, la riforma, già attuata per la parte penalistica (D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61), si avviava verso il traguardo finale anche per la parte societaria. Lo schema di decreto legislativo venne approvato dal Consiglio dei Ministri il 30 settembre 2002 e presentato alle Camere per ricevere, da queste, i pareri consultivi ed apprestarsi a divenire legge dello stato. “Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 10 gennaio 2003” Il Presidente della Repubblica emana il D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, titolato “Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366”.

Per correttezza analitica, l’analisi legata ai principi, obiettivi ed aspetti della nuova disciplina introdotti dalla riforma, verrà affrontata, in maniera maggiormente approfondita, nel prossimo capitolo.

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Capitolo III

INTERESSI DEGLI AMMINISTRATORI

1. I principi ispiratori della legge delega.

È opportuno, per meglio comprendere quelli che sono gli elementi caratterizzanti il nuovo art. 2391, fare qualche cenno alla riforma del diritto societario.

Come già anticipato nel capitolo precedente, con la L. n. 366 del 3 ottobre 2001 il Governo fu delegato a riformare organicamente la disciplina delle società di capitali e società cooperative, degli illeciti penali ed amministrativi riguardanti le società commerciali e ad introdurre una disciplina di procedura per la definizione dei procedimenti in materia societaria.

La riforma che ne seguì, si pose come obiettivo primario quello “di favorire la nascita, la crescita e la competitività di imprese, anche attraverso il loro accesso ai mercati interni e internazionali di capitali”88, richiese di “valorizzare il carattere imprenditoriale delle società”89 e di “adeguare la disciplina delle società alle esigenze delle imprese, anche in considerazione della composizione sociale e delle modalità di funzionamento”90.

Il legislatore espresse così un fondamentale e generalissimo principio di politica economica e giuridica, che imprime alla riforma una direzione precisa e che sarà immanente al nuovo ordinamento giuridico delle società, un principio di imprenditorializzazione delle attività produttive con struttura societaria, ossia di incentivazione del mercato alla scelta delle società capitalistiche, per la crescita e le capacità competitive delle società sui mercati anche internazionali, con la

88SANTOSUOSSO, La Riforma del diritto societario: autonomia privata e norme imperative

nei DD.Lgs. 17 gennaio 2003, nn. 5 e 6, Milano, 2003, p. 1 ss.

89Art. 2, primo comma, lett. b., prima parte, Legge Delega. 90Art. 2, primo comma, lett. e., Legge Delega.

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