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I principi ispiratori della legge delega.

INTERESSI DEGLI AMMINISTRATOR

1. I principi ispiratori della legge delega.

È opportuno, per meglio comprendere quelli che sono gli elementi caratterizzanti il nuovo art. 2391, fare qualche cenno alla riforma del diritto societario.

Come già anticipato nel capitolo precedente, con la L. n. 366 del 3 ottobre 2001 il Governo fu delegato a riformare organicamente la disciplina delle società di capitali e società cooperative, degli illeciti penali ed amministrativi riguardanti le società commerciali e ad introdurre una disciplina di procedura per la definizione dei procedimenti in materia societaria.

La riforma che ne seguì, si pose come obiettivo primario quello “di favorire la nascita, la crescita e la competitività di imprese, anche attraverso il loro accesso ai mercati interni e internazionali di capitali”88, richiese di “valorizzare il carattere imprenditoriale delle società”89 e di “adeguare la disciplina delle società alle esigenze delle imprese, anche in considerazione della composizione sociale e delle modalità di funzionamento”90.

Il legislatore espresse così un fondamentale e generalissimo principio di politica economica e giuridica, che imprime alla riforma una direzione precisa e che sarà immanente al nuovo ordinamento giuridico delle società, un principio di imprenditorializzazione delle attività produttive con struttura societaria, ossia di incentivazione del mercato alla scelta delle società capitalistiche, per la crescita e le capacità competitive delle società sui mercati anche internazionali, con la

88SANTOSUOSSO, La Riforma del diritto societario: autonomia privata e norme imperative

nei DD.Lgs. 17 gennaio 2003, nn. 5 e 6, Milano, 2003, p. 1 ss.

89Art. 2, primo comma, lett. b., prima parte, Legge Delega. 90Art. 2, primo comma, lett. e., Legge Delega.

31 promozione e la salvaguardia, pur nella economicità, del dinamismo dell’attività di impresa.

Alla luce di queste finalità, il legislatore delegante prescrisse l’osservanza di alcuni corollari in un certo senso attuativi del suddetto principio fondante, che possono essere ricondotti ad una duplice linea riformatrice: da un lato, volti alla regolamentazione mediante norme imperative inderogabili nel quadro di un rigoroso sistema di tutele nell’interesse di tutti coloro che vengono in contatto con la società o comunque sono coinvolti da rapporti societari; dall’altro lato, in direzione di una deregolamentazione, nel senso di favorire l’autonomia privata e perciò la libertà delle forme e la flessibilità organizzativa91.

Per quel che interessa l’argomento in esame, possono essere ascritte alla prima linea le disposizioni di legge che statuiscono ad esempio di definire chiaramente e precisamente i compiti e le responsabilità degli organi sociali (art. 2, primo comma, lett. b) o, altresì, di prevedere norme sui gruppi di società in particolare secondo principi di trasparenza e contemperamento degli interessi coinvolti (art. 2, primo comma, lett. h).

In questa prima prospettiva sono individuabili almeno tre principi generali: un principio strettamente corporativo, di adozione di forme organizzative, di criteri di comportamento e, financo, di regole di formazione e conservazione del capitale più idonei nella inderogabile articolazione delle competenze tra organi, in funzione del più corretto governo ed agire societario; una regola di tipicità, che si riflette sia nella scelta del modello societario come dello schema di partecipazione in altro modello non associativo, o di aggregazione in gruppi di società; ed infine un principio di trasparenza, che attiene tra l’altro a quelle attività che maggiormente possono sfuggire alle regole di equilibrio portate dall’organizzazione corporativa.

91 Cfr. la Relazione al c.d. Progetto Mirone, in Riv. Società, 2000, p. 25 ss., sub. Art. 2; e cfr. GAMBINO, Autonomia societaria ed esigenze di finanziamento dell’impresa, in Giur. Comm., 2002, I, p. 641 ss.

32 Dall’altro lato, è agevole ricavare, invece, un principio di semplificazione, intesa come valorizzazione e promozione dell’autonomia privata societaria, volto a soddisfare quella che è un’esigenza di flessibilità delle strutture e, correlativamente, della stessa attività.

Al riguardo, va in generale approfondito che la finalità della riforma fu quella, da una parte, di aumentare l’ambito dell’autonomia statutaria e, dall’altra, diminuire l’incidenza dei poteri esterni alla società man mano che ci si distanzia dal mercato dei capitali. Di conseguenza, l’autonomia privata sarà massima nel modello della società a responsabilità limitata, mentre si ridurrà al minimo nelle società che fanno appello al mercato dei capitali di rischio dove, invece, è al più alto grado l’imperatività delle norme. Il sistema si può dunque definire relativamente flessibile per le società per azioni, a seconda che esse, alternativamente, adottino un modello c.d. chiuso, che non faccia cioè ricorso al mercato del capitale di rischio, o, diversamente, un modello c.d. aperto, a capitale diffuso.

In questa chiave comunque, va dato atto che il legislatore non ha stravolto la società per azioni come tipo di società di capitali. La linea della riforma ha, difatti, seguito una prospettiva volta a diversificare le due sub-fattispecie, chiusa o aperta, tendenzialmente prevedendo per le prime, le società chiuse, una maggiore personalizzazione nel senso di riconoscimento dell’autonomia privata, mentre per tutte, quindi non solo società c.d. chiuse, norme più precise a tutela della correttezza dell’attività e dei procedimenti.

La ragione primaria di una tale impostazione è nota e consiste nel fatto che la tutela del pubblico risparmio risulta non sufficientemente garantita dalle capacità di discernimento e negoziazione delle parti sul mercato, e dunque l’intervento del legislatore appare necessario per tutelare la regolarità delle contrattazioni e degli scambi come riflesso di una corretta corporate governance all’interno della società. Quindi, relativamente alle società per azioni, laddove vi è libera trasferibilità delle azioni, estrema nelle c.d. società aperte, si rende

33 l’organizzazione rispondente a regole più stringenti poste a salvaguardia dei tanti e diversi interessi coinvolti.

In merito all’art. 4 della suddetta legge: le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio sono soggette, secondo i principi e gli orientamenti appena enucleati, a regole dotate di alto grado di inderogabilità (primo comma) ed alle norme che nella riforma erano dirette a salvaguardare il buon funzionamento e la correttezza della gestione dell’impresa sociale (secondo comma, lett. b).

In questa prospettiva possono essere in questa sede segnalate le varie disposizioni. Ad esempio in relazione alla costituzione, disposizioni che statuiscono la necessità di adeguate garanzie dei creditori nel caso di società unipersonale (art. 4, secondo comma, lett. e) ed il rispetto dei principi di correttezza e tutela dei terzi (art. 4, terzo comma, lett. a); riguardo alla disciplina dell’amministrazione e dei controlli sull’amministrazione, disposizioni che consentono l’azione di responsabilità da parte della minoranza (art.4, secondo comma, lett. a, n. 2), la denuncia al tribunale da parte dei sindaci per gravi irregolarità (art. 4, secondo comma, lett. a, n. 4), di precisare i contenuti ed i limiti delle deleghe a singoli amministratori o comitati esecutivi (art. 4, ottavo comma, lett. a), di disciplinare i doveri di fedeltà degli amministratori con particolare riguardo al conflitto di interessi e di precisare che, questi, debbano agire in modo uniformato (art. 4, ottavo comma, lett. g).

Come si ricava dalla lettura del presente articolo, non sono previste, per s.p.a. che non fanno ricorso al mercato dei capitali e neppure per quelle che si rivolgono al mercato di capitali di rischio, tra le norme inderogabili specifiche regole in tema di amministrazione.

Per la verità però, è qui opportuno segnalare che al legislatore delegato non fu preclusa la possibilità di introdurre discipline differenziate. Si sarebbe ad esempio potuto92, per quanto riguarda l’informazione interna nelle società aperte, vincolare l’autonomia statutaria a minimi inderogabili, per quantità e periodicità,

92MONTALENTI, Il conflitto di interessi nella riforma del diritto societario, in Riv. Dir. Civ., 2004, p. 246 ss.

34 di flussi informativi interni al consiglio, sia pur lasciando agli statuti la libertà di individuarne gli strumenti operativi di attuazione. Altresì, si sarebbe potuto prevedere93 un obbligo di informazione specifica sulle deleghe attribuite, sui compensi riconosciuti e sulle proposte di nomina degli amministratori, materie la cui congruità con l’area problematica del conflitto d’interessi è particolarmente stretta. Si tratta di un insieme di regole indispensabili sia per una reale trasparenza della gestione sia per una più agevole ricostruzione delle responsabilità, che si impongono nelle imprese che ricorrono al mercato finanziario, o, comunque, di grandi dimensioni, in particolare, se articolate in gruppi.

Il legislatore delegato ha invece optato per una regola unitaria di diritto comune, imponendo un termine massimo di centottanta giorni per informare il consiglio sulle operazioni, per dimensioni o caratteristiche, di maggior rilievo effettuate dalla società o dalle sue controllate; ha inoltre imposto di informare il consiglio ed il collegio sindacale “sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione”.

Al contrario, apparivano ed appaiono oggi sufficienti le più sintetiche regole dettate in tema diligenza professionale, dei doveri fiduciari e del divieto di agire in conflitto di interessi per le società chiuse.