• Non ci sono risultati.

Cenni sui risvolti penalistici del conflitto d’interessi degli amministratori.

INTERESSI DEGLI AMMINISTRATOR

5. Cenni sui risvolti penalistici del conflitto d’interessi degli amministratori.

Nel codice civile del 1942 alla disciplina civilistica del conflitto di interessi degli amministratori ne corrispondeva una penalistica132.

Una puntuale corrispondenza, secondo gran parte della dottrina133, si rinveniva nelle previsioni del previgente art. 2631, il quale, come già anticipato, al primo

130 PATRONI GRIFFI, Art. 2391, in SANDULLI, La riforma delle società: commentario al

d.lgs. 17 gennaio 2003, Torino, 2003, p.462.

131Vd. cap. 1, par. 3.

132 Sul punto vd. SALANITRO, Gli interessi degli amministratori di società di capitali, in Riv.

49 comma comminava una sanzione pecuniaria all’amministratore in conflitto che non si asteneva dal prendere parte alla deliberazione, mentre ai sensi del secondo comma del medesimo articolo, laddove dalla deliberazione (o dall’operazione deliberata) fosse derivato anche un pregiudizio, la violazione dell’obbligo di astensione era punita, oltre che con la multa, con la reclusione fino a tre anni. In proposito va ricordato che molto discussa era l’individuazione dell’operatività del suddetto primo comma con riguardo alla situazione di conflitto: si dibatteva cioè se fosse pur sempre necessario che dalla adottanda deliberazione potesse derivare un pregiudizio alla società, come tra l’altro sostenuto da gran parte della dottrina, o se, all’opposto, identificando il conflitto di interessi come delitto c.d. “di infedeltà senza offesa” o “pericolo presunto”, dovesse ritenersi che la norma sanzionasse il comportamento dell’amministratore a prescindere dall’esistenza di pregiudizi134. Quest’ultima soluzione, che trovava molti riscontri in giurisprudenza, sembrava eccessiva ai più, cosicché si ritenne in dottrina di escluderla sulla base della considerazione che, in caso contrario, ci si sarebbe trovati di fronte alla sicura iniquità di una soluzione, volta non soltanto a distinguere ma anche a separare la responsabilità dall’illecito135.

L’art. 2631 c.c. venne abrogato con il D.LGS. dell’11 aprile del 2002, n. 61 ; così come fu abrogato, con la stessa riforma, l’art. 2624 c.c., il quale vietava la concessione di prestiti e garanzie da parte della società agli amministratori: divieto non puntualmente rispondente alla disciplina civilistica del conflitto di interessi, ma che ha alla sua base una naturale situazione di conflitto.

133Sul punto vd. SALANITRO, cit. supra; BLANDINI, Conflitto di interessi ed interessi degli

amministratori di società per azioni: prime riflessioni, in Riv. Dir. Civ., 2004, p. 406 ss.

134Cioè “al di fuori di ogni possibile concreto pregiudizio per la società, assumendo dunque una tutela più avanzata del bene e considerando solo la violazione dell’obbligo di astenersi”. Vd. SAMORì, Conflitto di interessi ed illeciti rapporti patrimoniali, in MAZZACUVA (a cura di), I

reati societari, in DI AMATO (diretto da), Trattato di diritto penale dell’impresa, Padova,

1992, p. 258.

135 PERLINGIERI, Rapporti costruttivi fra diritto penale e diritto civile, in Rass. Dir. Civ., 1997, p. 110.

50 Con la novella del 2002, peraltro oggetto di forti critiche136, la disciplina penale trova ora il suo pendant137 nell’art. 2634 c.c., quindi cronologicamente precedente alla riforma della disciplina civilistica delle società di capitali e mutualistiche.

L’art. 2634, sotto la rubrica “infedeltà patrimoniale”, punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni gli amministratori che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, compiono o concorrono a compiere atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale. Così il primo comma.

Il secondo comma equipara al danno patrimoniale intenzionalmente cagionato alla società quello intenzionalmente cagionato ai terzi proprietari di beni posseduti in amministrazione dalla società stessa.

Il terzo comma, infine, dà corpo nella legge scritta alla c.d. “teoria dei vantaggi compensativi”, che verrà successivamente approfondita in merito alle società di gruppo.

In ogni caso, secondo le riflessioni del Salanitro138, si fanno senza dubbio rientrare nell’art. 2634 c.c. anche i prestiti e le garanzie concesse dalla società agli amministratori, i cui comportamenti sono però punibili soltanto se ricorrono gli altri presupposti previsti dalla norma penale per la configurazione del reato. Ora, poiché seguita a mancare una disciplina codicistica che contenga analogo divieto a quello rappresentato dal vecchio art. 2624, esso deve oggi esser desunto direttamente dall’art. 2391 c.c. nei limiti però della nuova disciplina da esso introdotta.

Appare constatabile che i redattori del nuovo art. 2391 c.c. non hanno compiuto alcun tentativo di armonizzare la normativa che andavano creando con l’art. 2634 poco prima varato, anzi non ne hanno tenuto alcun conto. Così, a differenza

136 In particolare D’ALESSANDRO, Società per azioni: le linee generali della riforma, in La

riforma del diritto societario, Milano, 2003.

137MINERVINI, Gli interessi degli amministratori di s.p.a., in Giur. Comm., 2006, p. 150/I. 138SALANITRO, Gli interessi degli amministratori di società di capitali, in Riv. Società, 2003, p. 53 ss.

51 dell’art. 2391 che attribuisce rilevanza, anche in mancanza di conflitto con l’interesse della società, ad ogni ipotesi di sussistenza di un interesse dell’amministratore, l’art. 2634 ha invece attribuito rilevanza penale alla sola ipotesi di conflitto: difficile dire se la divergenza è dipesa dalla circostanza che l’art. 2634 è stato emanato quand’ancora la commissione interministeriale incaricata i preparare il decreto legislativo di riforma della disciplina civilistica verosimilmente non aveva ancora neppure abbozzato il nuovo testo dell’art. 2391.

Senz’altro l’ordinamento paga lo scotto della scelta politica di far precedere la normativa sanzionatoria penale rispetto a quella precettiva, contro ragione e al solo scopo di dare immediata visibile soddisfazione ad un certo ceto imprenditoriale pervaso da spirito revanscista nei confronti di iniziative giudiziarie sentite spesso come ingiustizie, e ciò in adempimento di esplicite promesse elettorali, come autorevolmente evidenziato139.

Tornando all’art. 2634 c.c., la dottrinaria maggioritaria140 ritiene che la disposizione è totalmente inservibile poiché introdotta con una serie di condizioni all’applicazione, quale, ad esempio, la peregrina previsione di un amministratore che cagiona intenzionalmente danno patrimoniale alla società, cioè sabotatore dell’impresa cui è preposto, talmente restrittive da rendere la norma applicabile in casi assai rari. Per la verità, in questi casi, il Blandini141, indica come sia più agevole ricorrere ad altra norma: quella stabilita dall’art. 2635 c.c. per il caso di infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità, nella quale certo bisognerà provare l’esistenza di queste utilità date o promesse senza, però, che debbano ricorrere anche tutte le ulteriori, stringenti, condizioni stabilite dall’art. 2634 c.c.. Certo, vi è poi l’elemento decisivo che porterà definitivamente nell’oblio tutte queste ipotesi: il fatto che per questi delitti si procede esclusivamente “a querela della persona offesa”, con tutti i dubbi e le perplessità

139MINERVINI, Gli interessi degli amministratori di s.p.a., in Giur. Comm., 2006, p. 150/I ss. 140 MINERVINI, vd. cit. supra; vd. BLANDINI, Conflitto di interessi ed interessi degli

amministratori di società per azioni: prime riflessioni, in Riv. Dir. Civ., 2004, p. 413 ss.

52 che possono ruotare intorno alla qualificazione nella fattispecie di questa “persona”.

Tornando all’orientamento maggioritario, si sottolinea che l’incongruità di considerare penalmente rilevante la sola condotta consistente nel compimento di atti di disposizione di beni patrimoniali, ignorando il territorio delle obbligazioni e quello dei comportamenti omissivi, potrebbe altresì rendere la normativa sospetta di violazione del principio costituzionale di uguaglianza. E ci si potrebbe anche interrogare circa l’eventuale abrogazione tacita dell’art. 2364 c.c. in conseguenza della precedente normativa con la nuova per assodata e pacifica incompatibilità tra le due. In ogni caso la situazione è singolare142, due decreti legislativi figli di una stessa legge di delega dettano precetti difformi e sostanzialmente inconciliabili.

E così, dopo sessant’anni di codice civile, la creatività del legislatore si traduce nello scrivere la parola fine alla disciplina penalistica del conlitto di interessi dell’amministratore che, forse, sarebbe stato più coraggioso e certamente più onesto tout court eliminare.

Argomentazioni quest’ultime adottate anche da alcuni detrattori di un auto- referenziale “maggior rigore” della nuova normativa ex art. 2391 c.c..