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Evoluzione della disciplina legislativa.

IL CONFLITTO DI INTERESSI NEI GRUPPI DI SOCIETÀ

2. Evoluzione della disciplina legislativa.

Prima della riforma del 2003, veniva in considerazione il vecchio testo dell’art. 2391 che si preoccupava di prevenire i conflitti di interessi degli amministratori suscettibili di recar danno alla società; ma si trattava di una norma assai rigida, difficilmente adattabile ai gruppi di società, che, però, costituivano proprio il terreno più fertile per manifestazioni di interlocking directorates.

La struttura ed il funzionamento della vecchia disciplina, già ampiamente trattata, imponeva un obbligo di comunicazione nei casi in cui l’amministratore comune alla controllante ed alla controllata fosse portatore, nel consiglio di quest’ultima, di un interesse per conto di terzi, quale quello della capogruppo; un obbligo di trasparenza, peraltro, dovuto se e solo se ritenuti tali i presupposti per la comunicazione dallo stesso amministratore, sulla base di una personale valutazione. Un sacrificio piuttosto evidente, a cui si affiancava uno specifico obbligo di astensione dalla partecipazione alla deliberazione dell’operazione infragruppo gravante sull’amministratore comune, la cui osservanza si rivelava, però, alquanto problematica allorché le società coinvolte in essa condividessero

116 l’amministratore unico o, comunque, la maggioranza degli amministratori in carica301.

La precedente disciplina frapponeva dunque ingiustificati intralci alla realizzazione di un’efficacie politica di gruppo tra società con amministratori comuni302 senza peraltro garantire un’adeguata trasparenza sui potenziali conflitti di interessi.

Ecco che, il rischio di estrazione di benefici privati da parte del gruppo di controllo e abuso di cc.dd. corporate opportunities, di cui vedremo meglio nei prossimi capitoli, così come la tutela degli interessi dei soci attivi, cioè soci imprenditori, soci di riferimento, minoranze qualificate e financo la tutela degli interessi del risparmio diffuso necessitavano di una più intensa protezione.

Di ciò era consapevole il legislatore che già nel testo unico aveva dedicato alla materia una norma specifica, e cioè la disposizione che statuisce espressamente l’obbligo di riferire “sulle operazioni in potenziale conflitto di interesse”303; ne era consapevole il gestore del mercato, che nel Codice di Autodisciplina ha introdotto una regola generale di prevenzione304, obblighi informativi estesi a tutte le operazioni con parti correlate e quindi anche alle operazioni in potenziale conflitto305, nel quadro di un dovere generale di approvazione della struttura societaria del gruppo e di verifica dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo e amministrativo del gruppo. La riforma del diritto societario, in questo senso, ha proseguito su di un sentiero già solcato.

La legge delega non si è discostata dall’impostazione della Commissione Mirone, riconoscendo la legittimità delle politiche unitarie di gruppo, introducendo una

301Esemplare una sentenza del Trib. Napoli, 2 febbraio 1994, in Gius., 1994, p. 142, secondo cui “gli amministratori della società controllata designati dalla società controllante hanno l’obbligo di astenersi nella deliberazione avente ad oggetto la definizione di rapporti di natura economica tra controllante e controllata”.

302 Sintomatica era la diffusa tendenza a derogare in statuto a tale obbligo di astensione degli amministratori di società al contempo consiglieri di altra società partecipante al capitale della prima.

303Art. 150, co. 1, t.u.f.. 304Art. 1.2, lett. d. 305Art. 1.2, lett. e.

117 nozione più ampia di interesse sociale tale da ricomprendere anche l’interesse di gruppo, accogliendo espressamente la c.d. teoria dei vantaggi compensativi, recepita anche dalla Cassazione306 quanto meno sul piano penalistico, completando così un percorso che, muovendo dalle riflessioni del Mignoli307, si era sviluppato attraverso approfondimenti dottrinali ed evoluzioni giurisprudenziali. Percorso fatto di alcune indicazioni anche programmatiche308 che il legislatore della riforma ha in parte accolto, anzitutto laddove ha stabilito che non si concreta fattispecie penalmente rilevante se il profitto della società collegata o del gruppo è compensato da un vantaggio, anche se soltanto ragionevolmente prevedibile, derivante dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo, c.d. teoria dei vantaggi compensativi cui poc’anzi abbiam fatto riferimento.

Inutile ripercorrere qui il risultato dell’intervento normativo e quella che è l’attuale norma sugli “interessi degli amministratori”.

In ogni caso, la scelta del legislatore della riforma di essersi espresso con clausole generali ispirandosi ad un criterio di ragionevole elasticità nell’impostazione delle proprie scelte di politica del diritto, gode di giudizi assai contrastanti. Scelta apprezzata309 da una parte della dottrina in quanto realistica, per il fatto di ancorare la fattispecie ad una definizione rigida di gruppo, flessibile ed equilibrata, perché prevede un adeguato contemperamento tra interesse di gruppo, interesse delle società controllate e dei soci di minoranza di quest’ultime, controllabile, perché prevede un obbligo di trasparenza e motivazione molto importante in tema di “procedimentalizzazione” delle decisioni ed infine coerente con la nostra tradizione giurisprudenziale abitutata a ragionare e decidere attraverso criteri qualitativi più che quantitativi.

306Cass., 5 dicembre 1998, n. 12325, in Giur. It., 1999, p. 107.

307MIGNOLI, Interesse di gruppo e società a sovranità limitata, in Contratto e impresa, 1986, p. 729.

308 MONTALENTI, Conflitto di interesse nei gruppi di società e teoria dei vantaggi

compensativi, in Giur. Comm., 1995, I, p. 710.

309MONTALENTI, Il conflitto di interessi nella riforma del diritto societario, in Riv. Dir. Civ., 2004, p. 249 ss.

118 Questa scelta è stata criticata310 ed anzi definita infelice311 da altro orientamento dottrinario: pur riconoscendo il fatto che il legislatore avrebbe così recepito il diffuso auspicio di una regolamentazione legislativa volta a stabilire condizioni e limiti al cumulo di cariche amministrative in quanto contrastanti con l’attuale prassi della composizione dei consigli di amministrazione di società quotate e non, frapporrebbe ostacoli talora invalicabili al perseguimento di una fisiologica politica di gruppo non giustificati da rimedi efficaci per le possibili ed incombenti sue patologie, oltretutto considerando, dati alla mano, quanto le imprese spesso prediligano instaurare legami personali, indiretti o c.d. triangolari312, negli organi amministrativi.

L’interprete, al fine di evitare fenomeni di consolidamento di gruppi minoritari di comando ed i loro benefici privati a spese di piccoli investitori e creditori, sarà così chiamato ad effettuare scelte non tanto dirette ad ostacolare gli interlocking directorates, quanto piuttosto a potenziare la trasparenza delle decisioni adottate da consigli di amministrazione nei quali sussistano simili legami personali, rendendo gli stessi interessi conoscibili e riconoscibili313.

Un altro orientamento dottrinario ha, invece, criticato l’intervento del legislatore della riforma, in quanto limitato314 a disciplinare soltanto le condizioni di esercizio del potere di indirizzo e coordinamento da parte della figura soggettiva che si pone al vertice dell’organizzazione di gruppo e le forme di pubblicità dello stesso così come dei suoi risultati, lasciando, però, sostanzialmente all’interprete

310ENRIQUES, Vaghezza e furore. Ancora sul conflitto d’interessi nei gruppi di società in vista

dell’attuazione della delega per la riforma del diritto societario, in ASSOCIAZIONE

DISIANO PREITE (a cura di Benazzo, Ghezzi, Patriarca), Verso un nuovo diritto societario, Bologna, 2002, p. 247 ss, ivi alla p. 254.

311 SANTAGATA, Cumulo di cariche amministrative ed interessi in conflitto nelle società per

azioni, in PIRAS (a cura di), Amministrazione e controllo nel diritto delle società: Liber amicorum, Torino, 2010, p. 430.

312 Gli amministratori di due società (A e B), qui, non siedono nei reciproci consigli, ma definiscono la politica di gruppo attraverso loro delegati nel board di una terza società (C). 313Proprio in questa direzione si muovono i Codici di corporate governance che esplicitamente regolano il fenomeno.

314 GUIZZI, Ad art. 2391, inNICCOLINI STAGNO D’ALCONTRES (a cura di), Società di

119 il compito di valutare se la circostanza che una società sia parte di un gruppo comporti anche delle variazioni nella sua struttura organizzativa, consentendo così di derogare per essa all’applicazione delle norme dettate in via generale.