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Asserito maggior rigore della norma Riflessioni.

INTERESSI DEGLI AMMINISTRATOR

4. Asserito maggior rigore della norma Riflessioni.

“Il conflitto di interessi è disciplinato con particolare rigore sotto vari profili”. Così si esprime la relazione governativa al D.LGS. n.6 del 2003. Lo stesso ‘’particolare rigore” ha destato l’attenzione della dottrina, all’interno della quale è, tuttavia, difficilmente individuabile una visione comune, un'unica voce di assenso o dissenso circa un particolare rigore apportato dalla riforma all’argomento in esame. Attenzione, o meglio curiosità, che non sorprende data

44 la notevole attesa116 che ha preceduto la riforma del conflitto di interessi degli amministratori di società, stante tra l’altro il fatto che in sessant’anni e più di vigenza del vecchio articolo i giudici avevano annullato per conflitto di interesse due sole deliberazioni, delle quali soltanto una riguardava le società per azioni. Al riguardo la dottrina sottolinea117 come il maggior rigore della norma, decantato dalla relazione, si riferisca evidentemente alla sola disciplina civilistica, poiché, come vedremo nel prossimo paragrafo, la disciplina penalistica precedente del conflitto di interessi aveva una indubbia efficacia deterrente118, mentre quella dell’attuale art. 2634 c.c. è sostanzialmente inesistente.

Tuttavia, comparando le discipline civilistiche, vecchia e nuova, il dato del maggior rigore risulta alquanto opinabile. Probabilmente perché, partendo dall’assunto che le stesse corrispondono a due modelli diversi119, una comparazione tra le due discipline non è possibile: la disciplina precedente era volta principalmente a incidere sul problema del conflitto di interessi come patologia nella gestione della società, mentre quella attuale risponde piuttosto all’esigenza di stimolare in generale un governance improntata alla massima trasparenza dei processi decisionali.

Altri orientamenti dottrinari ritengono, invece, il nuovo art. 2391, rigoroso, molto rigoroso o comunque più rigoroso rispetto al precedente120.

116Le testimonianze di quest’attesa sono plurime ed il dato non avrebbe bisogno di essere dimostrato. Si veda tuttavia BONELLI, Gli amministratori di s.p.a. dopo la riforma delle

società, Milano, 2004. Particolarmente sentita, in ambito politico istituzionale, anche l’esigenza

di un intervento del legislatore sul conflitto di interessi dei titolari di cariche di governo come pure, in ambito finanziario, si attende che si consolidino principi chiari ed univoci in materia di conflitto delle banche e dei soggetti abilitati a2lla prestazione di servizi di investimento. 117MINERVINI, Gli interessi degli amministratori di s.p.a., in Giuris. Comm., 2006, p. 152/I s. 118ENRIQUES

, Ad art. 2391, in MAFFEI ALBERTI (a cura di), Il nuovo diritto delle società,

Padova, 2005, p. 768.

119MARCHETTI, Il conflitto di interessi degli amministratori di società per azioni: i modelli di

definizione di un problema in un’analisi economica comparata, in Giur. Comm., 2004, p. 1229.

120CAMPOBASSO, La riforma di società di capitali e cooperative, Torino, 2003; CASELLI, I

45 All’interno di tali voci si ammette121 la possibilità di sostenere che a conferire maggiore “rigore” alla disciplina sia la circostanza che la violazione degli analitici obblighi di comunicazione o dell’obbligo di adeguata motivazione della deliberazione sia rilevante per l’applicazione dei rimedi di cui agli artt. 2383, co. 3, e 2409 c.c., si ammette, altresì, la possibilità di poter sostenere che gli obblighi previsti dalla nuova disciplina contribuiscano a rinforzare e rendere quindi più rigorosi i precetti derivanti dall’etica122.

La declarata diversità delle due discipline è comunque un pensiero largamente condiviso123.

Difatti, stando ai precetti la disciplina precedente appariva come un modello di tutela preventiva, in quanto, preventivamente alla discussione e deliberazione l’amministratore era tenuto a dar notizia ed astenersi dalla partecipazione alla deliberazione. Guardando però ai rimedi, emergeva pacificamente dalla littera legis una forma di tutela successiva, imperneata sul verificarsi del danno come presupposto per l’esperibilità delle azioni. Ma soprattutto, nella vecchia disciplina, gli stessi rimedi, risarcitori ed impugnatori, presupponevano anche il voto determinante dell’amministratore interessato.

Nel testo novellato dalla riforma è:

1) immediatamente individuabile124 un obbligo di comunicazione pieno, non più relativo al solo interesse in conflitto con la società125.

121 MAFFEIS, Il “particolare rigore” della disciplina del conflitto di interessi nelle

deliberazioni del consiglio di amministrazione di società di capitali, in Riv. Dir. Comm., 2004,

p.1055 s.

122L’importanza della riflessione sopra una possibile soluzione etica del problema del conflitto di interessi è indicata da ROSSI, Il conflitto epidemico, Milano, 2003, e più in generale nell’ambito degli “affari” da BUONOCORE, Etica degli affari e impresa etica, in Giur. Comm., 2004, I, p. 181 ss.

123 MAFFEIS, Il “particolare rigore” della disciplina del conflitto di interessi nelle

deliberazioni del consiglio di amministrazione di società di capitali, in Riv. Dir. Comm., 2004,

p. 1053 ss.

124Prescinde, invece, dal profilo di novità, consistente nel fatto che mentre la vecchia disciplina prevedeva che l’amministratore fosse responsabile delle “perdite” la nuova disciplina prevede che l’amministratore debba risarcire il “danno”, nozione più ampia di “perdita”.

46 La comune osservazione della dottrina deve, quindi, essere riformulata nel senso che la nuova formula legislativa è più felice126, e lo è, non già perché ricomprenda l’obbligo dell’amministratore di comunicare anche un interesse “non in conflitto”, bensì perché toglie di mezzo qualsiasi equivoco sulla possibilità di un giudizio preventivo sul conflitto127;

2) pacificamente riconoscibile l’assenza di un obbligo di astensione a carico dell’amministratore interessato.

I commentatori, in questo caso, sono consapevoli che, prima della riforma, i rimedi, aldilà del precetto di astenersi, dipendevano dal danno e pertanto osservavano correttamente che la novità consistente nel venir meno dell’obbligo di astensione è solo, in via applicativa, apparente;

3) espressamente sancito, al secondo comma, l’obbligo per il consiglio di motivare adeguatamente le ragioni e la convenienza dell’operazione per la società quando l’amministratore interessato abbia adempiuto agli obblighi ex comma 1.

125

Perché la decisione del consiglio sia consapevole, la comunicazione deve specificare “natura, termini, origine e portata”; vi è un giusto consenso, dice il Maffeis, fra i commentatori che nulla di ciò che l’amministratore sa del suo interesse può essere sottaciuto al consiglio ed anzi l’amministratore è tenuto ad informarsi su ciò che, del suo interesse, egli non sa, ma che la sua diligenza professionale gli impone di sapere al fine di rendere compiutamente informato il consiglio; sul punto si veda anche GALGANO, Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto

commerciale e di diritto pubblico dell’economia, Padova, 2003, p. 261.

126 Più felice perché l’espressione “interessi in conflitto”, secondo MINERVINI, meglio si esprimeva rispetto ad “interesse contrario” l’idea per cui ciò che è rilevante è che “l’amministratore ha interesse ad una deliberazione orientata in un dato senso, mentre risponde all’interesse sociale una deliberazione orientata in senso diverso”: MINERVINI, Sulla tutela

dell’“interesse sociale” nella disciplina delle deliberazioni assembleari e di consiglio, in Riv. Dir. Civ., 1956, p. 321.

127 Il vecchio testo dell’art. 2391, quando rimetteva all’amministratore di valutare, al fine di comunicare ed astenersi, se il proprio interesse fosse “in conflitto”, utilizzava una formula infelice che non ha mai creato problemi applicativi alla giurisprudenza soltanto perché la giurisprudenza non ha mai realmente attribuito un autonomo rilievo all’obbligo di comunicazione ed alla conseguente astensione ma, al contrario, ha sempre attribuito rilievo decisivo alle “concrete condizioni dell’operazione”. In questi termini MAFFEIS, Il nuovo

conflitto di interessi degli amministratori di società per azioni e di società a responsabilità limitata: (alcune) prime osservazioni, in Riv. Dir. Priv., 2003, p. 531.

47 Oggi l’art. 2391 ci dice che non conta, perché scatti la possibilità di poter esperire il rimedio impugnatorio, che l’interesse non sia comunicato, o, in mancanza di adeguata motivazione del consiglio, che quello comunicato non abbia inciso sulla deliberazione. Il legislatore delegato ha ritenuto infatti che la possibilità di esperire il rimedio impugnatorio in caso di operazione viziata da un conflitto di interessi debba dipendere dal danno, non solo nei casi in cui vi è l’incidenza dell’interesse perché l’amministratore interessato ha espresso un voto determinante, ma anche in quelli in cui è stato violato l’obbligo di comunicazione o motivazione.

Al quarto comma si parla di “danni derivati dalla sua (dell’amministratore) azione od omissione”. Il tenore letterale della disposizione evoca in questo caso il requisito del nesso causale, in piena conformità al principio generale sancito dall’art. 1223 c.c.. Dunque, l’amministratore interessato è responsabile soltanto se il danno è legato ad un nesso causale con la sua azione od omissione128.

Il “particolare rigore” della nuova disciplina dipenderebbe così dal fatto che il rimedio impugnatorio, per il caso di violazione dell’obbligo di comunicazione e dell’obbligo di motivazione, prescinde dal voto determinante dell’amministratore interessato. Modifica davvero pregnante perché ad essere riformato è quindi tutto l’intero modello di disciplina del conflitto di interessi. Modifica per la quale si giustificherebbe il giudizio in termini di “maggior rigore”.

Un’altra posizione dottrinaria129, degna di nota in tema di “maggior rigore”, ci tiene ad evidenziare, in linea con la tesi dei relatori, che “il maggior rigore di questa disciplina vuole sottolineare non solo che qualsiasi amministratore, essendo un gestore di un patrimonio altrui, non può approfittare della sua posizione per conseguirne diretti o indiretti vantaggi, ma soprattutto, il valore della trasparenza nella gestione della società”. Ed ancor di più, lo stesso

128 Indipendentemente dalla reazione specifica al risultato dell’azione in conflitto di interessi, opera sempre la generale responsabilità che dipende dal cattivo esercizio dei poteri, e dunque il rimedio risarcitorio, ove ne ricorrano tutti i requisiti.

129 PATRONI GRIFFI, Art. 2391, in SANDULLI, La riforma delle società: commentario al

48 orientamento, individua come la finalità della riforma sia quella di dare una disciplina organica e particolarmente rigorosa dei doveri di fedeltà che l’amministratore, in quanto “gestore di patrimonio altrui”, ha nei confronti della società130. Argomentando che, sul piano comparatistico, la scelta appare in linea con la disciplina dettata in materia nei principali ordinamenti giuridici, ad iniziare da quello nordamericano131 in cui si riscontra una disciplina particolarmente severa dell’obbligo di lealtà che, peraltro, lascia pochi spazi all’autonomia privata. Si crede che solo attraverso l’implementazione di norme imperative sia possibile ridurre i costi economici che gli azionisti debbono affrontare per vigilare sul rispetto da parte degli amministratori dell’obbligo di non perseguire interessi in conflitto con quello sociale. La riforma impone dunque agli amministratori un incondizionato obbligo di disclosure circa ogni interesse che essi abbiano, in via diretta o mediata, in una determinata operazione della società. Non più, quindi, come risultava dal testo previgente, dei soli interessi in conflitto. Una dichiarazione specifica nei contenuti (natura, termini, origine e portata) che, sotto il profilo temporale, deve essere effettuata senza indugio e comunque prima che l’operazione venga compiuta.

5. Cenni sui risvolti penalistici del conflitto d’interessi degli