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1.3 La Convenzione dell’Aja del 1985 sulla legge applicabile ai trusts

1.3.2 Le problematiche incontrate

1.3.2.2 Il trust interno

1.3.2.2.1 L’ambito di utilizzo

In Italia il trust interno è stato utilizzato in vari ambiti – alcuni esempi sono il trust di garanzia e il trust liquidatorio –, ma nel prosieguo della trattazione l’analisi verterà sull’utilizzo del trust nel diritto della famiglia, nel diritto delle persone e nel diritto delle successioni.

1.3.2.2.1.1 Il diritto della famiglia

L’istituto di origine anglosassone è stato largamente impiegato per il soddisfacimento dei bisogni familiari, soprattutto nella fase patologica del matrimonio, dove si è rivelato maggiormente efficiente nella soddisfazione di diverse esigenze rispetto agli strumenti offerti nel nostro ordinamento, con particolare riguardo agli obblighi di sostentamento dei figli fino al raggiungimento dell’autonomia economica e di mantenimento del coniuge.

Per quanto riguarda la prima esigenza61, ovvero il sostentamento dei figli fino al raggiungimento dell’autonomia economica, il costituente

60 F. Rota – G. Biasini, Il trust e gli istituti affini in Italia. Pianificazione patrimoniale e passaggio generazionale, Terza edizione, Giuffré, Milano, 2017, pp.

5 – 6.

61 Si sono presentati diversi casi in giurisprudenza riguardanti l’istituzione di un trust sia nell’ambito della separazione consensuale sia in quello del divorzio.

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potrebbe creare un fondo patrimoniale62, piuttosto che costituire un trust. Tuttavia l’istituto italiano presenta elementi di svantaggio rispetto al trust, segnatamente il limite del raggiungimento della maggiore età dei figli; la possibilità di depauperamento nel caso di crisi coniugale, ove il fondo patrimoniale sia stato istituito permettendo il compimento di atti di straordinaria amministrazione

Nel primo caso il giudice ha omologato l’accordo di separazione prevedente tra le varie clausole la costituzione di un trust per il soddisfacimento dell’esigenza di mantenimento dei figli fino al raggiungimento della maggiore età.

Vedi: decreto del Tribunale di Milano dell’8 marzo del 2005, in Rivista del

notariato, n. 4, 2005, pp. 850 – 858; decreto del Tribunale di Pordenone del 20

dicembre 2005, in AA. VV., op. cit., pp. 31 – 33; decreto del Tribunale di Milano del 7 giugno 2006, in Trusts e attività fiduciarie, n. 4, 2006, pp. 575 – 578; decreto del Tribunale di Genova del 1° aprile 2008, in Trusts e attività fiduciarie, n. 4, 2008, pp. 392 – 393; decreto del Tribunale di Siracusa del 17 aprile 2013, in Trusts e

attività fiduciarie, n. 1, 2014, pp. 189 – 197.

Nel secondo caso invece il trust viene utilizzato soprattutto per la soddisfazione delle esigenze dei figli.

Vedi: sentenza del Tribunale di Torino del 31 marzo 2009, in Trusts e attività

fiduciarie, n. 4, 2009, pp. 413 – 416; sentenza del Tribunale di Milano dell’11

novembre 2011, in Trusts e attività fiduciarie, n. 4, 2012, pp. 408 – 409.

62 Il trust si presenta come alternativa all’istituto giuridico italiano anche al di fuori

della crisi coniugale, dato che il fondo patrimoniale presenta dei limiti a livello sia soggettivo sia oggettivo. Infatti, sotto il primo profilo, i coniugi non sono soggetti fiduciari – conseguentemente vi è la possibilità di confondere la posizione gestoria con la proprietà – e i figli sono portatori soltanto di un interesse al godimento dei frutti derivanti dai beni – quindi non possono agire contro i genitori -. Sotto il profilo oggettivo i beni conferibili sono limitati soltanto ad alcune tipologie. Vedi F. Rota – G. Biasini, op. cit., pp. 170 – 171.

Un esempio di tale utilizzo è dato dal decreto del Tribunale di Padova del 2 settembre 2008, con il quale è permessa l’estromissione di alcuni beni dal fondo patrimoniale per inserirli in un trust. Il testo del decreto è rinvenibile in Trusts e

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senza il consenso di entrambi i coniugi; l’obbligo di scioglimento in caso di divorzio63.

Per quel che riguarda il mantenimento dell’altro coniuge l’alternativa al trust è rappresentata dall’assegno di separazione, previsto dall’art. 156 c.c., o da quello di divorzio, regolato dall’art. 5 della l. 898 del 1970; ma l’istituto di origine anglosassone, grazie alla presenza dell’effetto di separazione e segregazione patrimoniale, è più efficiente rispetto alla soddisfazione dell’interesse del coniuge creditore al pagamento puntuale, senza necessità di ricorrere all’azione esecutiva, e dell’interesse del coniuge debitore64 a

impiegare le sole risorse necessarie65.

1.3.2.2.1.2 Il diritto delle persone

Il diritto delle persone è l’altro settore interessato da un ampio utilizzo del trust; nello specifico, sono stati molteplici i casi in giurisprudenza riguardanti la possibilità per l’amministratore di sostegno di istituire un trust in nome e a favore del beneficiario dell’amministrazione. In questo modo, l’istituto è stato impiegato come elemento complementare rispetto all’amministrazione di sostegno, introdotta in Italia con la l. 6 del 2004; in particolare, la forma assunta dal trust in tale occasione è quella del protective trust, caratterizzata della figura

63 Tali fattori sono rinvenibili in M. Monegat, Trusts nei patti di separazione coniugale, in Trusts e attività fiduciarie, n. 4, 2005, pp. 649 – 652 e Separazione consensuale dei coniugi, trust e vincolo del trust sui beni costituiti in fondo patrimoniale, in Trusts e attività fiduciarie, n. 2, 2007, pp. 243 – 247.

64 Per quanto riguarda il coniuge debitore, tale esigenza è maggiormente sentita nel

caso di assegno di divorzio in unica soluzione, dato che in tale situazione egli non ha la possibilità di riacquistare la disponibilità delle risorse finanziarie in caso di estinzione del diritto al mantenimento.

65 T. Arrigo, Autonomia privata, “fondo fiduciario” e diverse tipologie di trust nella separazione e nel divorzio – II parte, in Trusts e attività fiduciarie, n. 2, 2005, pp.

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giuridica del guardiano, che fornisce un aiuto al giudice tutelare nello svolgimento del suo ruolo di vigilanza sul giusto operare del soggetto che agisce nell’interesse del beneficiario dell’amministrazione di sostegno66. La necessità di utilizzare il trust è sorta dall’esigenza di conservare alcuni beni del soggetto incapace, a fine di cura, assistenza sanitaria e ogni altro bisogno67.

1.3.2.2.1.3 Il diritto delle successioni

Il terzo ambito, oggetto della presente analisi, è quello successorio, dove l’istituto straniero ha riscontrato un ampio utilizzo sia nella forma dell’atto inter vivos sia in quella dell’atto mortis causa.

66 Il mantenimento della vigilanza da parte del giudice tutelare, anche laddove venga

istituito un trust con i beni del beneficiario dell’amministrazione di sostegno, è fondamentale dato che altrimenti è negata l’autorizzazione all’istituzione del trust stesso. Ne è un esempio il decreto del Tribunale di Rimini del 21 agosto 2010, dove si afferma che laddove non venga permessa la vigilanza dal giudice tutelare avviene una violazione delle norme inderogabili previste per la tutela di persone incapaci; nello specifico, quest’ultime prescrivono che debba essere consentito al giudice tutelare il controllo sulle condizioni di salute del beneficiario dell’amministrazione di sostegno, sulla gestione dei beni conferiti in trust e sugli atti di straordinaria amministrazione.

Il decreto è rinvenibile in Trusts e attività fiduciarie, n. 6, 2010, pp. 618 – 619.

67 E’ possibile rinvenire molteplici esempi in giurisprudenza, tra i quali abbiamo:

decreto del Tribunale di Genova del 14 marzo 2006, in La nuova giurisprudenza

civile commentata, n. 12, 2006, pp. 1209 – 1211; decreto del Tribunale di Bologna

del 11 marzo 2009, in Corriere giuridico, n. 10, 2009, pp. 1400 – 1404; sentenza del Tribunale di Rimini del 21 aprile 2009, in Trusts e attività fiduciarie, n. 4, 2009, pp. 409 – 410; decreto del Tribunale di Bologna dell’11 maggio 2009, in Notariato, n. 6, 2009, pp. 631 – 633; decreto del Tribunale di Genova del 17 giugno 2009, in Trusts

e attività fiduciarie, n. 5, 2009, pp. 531 – 532; decreto del Tribunale di Milano del

20 gennaio 2012, in Trusts e attività fiduciarie, n. 5, 2012, pp. 490 – 492; decreto del Tribunale di Bologna del 12 giugno 2013, in Trusts e attività fiduciarie, n. 1, 2013, pp. 44 – 45.

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Nel primo caso siamo di fronte a un trust successorio, utilizzato soprattutto per il passaggio generazionale di azienda o di partecipazioni societarie; in questo caso il trust presenta un maggiore grado di efficienza rispetto agli strumenti giuridici offerti dall’ordinamento italiano, a causa delle sue caratteristiche intrinseche, ovvero l’attribuzione diretta, la gestione aziendale qualificata e la segregazione. Attraverso tali caratteristiche è possibile salvaguardare la continuità aziendale e soprattutto la segregazione permette di evitare che il complesso aziendale sia colpito dalla “crisi ereditaria”, derivante dall’apertura della successione, dall’individuazione dei chiamati all’eredità, dall’accettazione della stessa, dalla costituzione e dalla cessazione della comunione ereditaria.

Gli strumenti alternativi a disposizione del de cuius sono molteplici: l’istituzione di erede con assegnazione di azienda, l’istituzione di legato e il patto di famiglia; ma il loro minor grado di efficienza rispetto al trust si presenta non solo con riferimento alla mancanza di una gestione aziendale qualificata e unitaria e di una segregazione del complesso aziendale, ma anche per l’impossibilità di far fronte a situazioni sopravvenute, rispetto alla creazione del testamento nel primo caso o alla stipulazione del patto nel secondo68.

L’utilizzo del trust successorio pone il problema della compatibilità con il divieto dei patti successori, ex art. 458 c.c., risolto con la non contrarietà a tale divieto. Innanzitutto il disponente, con l’intenzione di destinare i beni e non semplicemente di attribuirli, compie il trasferimento immediato al trustee; di conseguenza i beneficiari sono titolari fin da subito di un diritto soggettivo di natura obbligatoria. Abbiamo quindi la nascita di posizioni giuridiche attuali e definite, per la cui comprensione è necessario fare riferimento all’atto costitutivo del trust e non al momento dell’apertura della successione. Inoltre il

68 C. Romano, Gli effetti del trust oltre la morte del disponente: dal trust in funzione successoria al trust testamentario, in Notariato, n. 6, 2014, pp. 593 – 614.

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trasferimento dal trustee ai beneficiari non vede come punto di riferimento la morte del disponente, dato che una volta che è stato compiuto il trasferimento da parte di quest’ultimo, quando ancora era in vita, le sfere giuridiche coinvolte nel prosieguo dell’esistenza del trust non riguardano quella del disponente69.

La seconda ipotesi, in cui è possibile rinvenire l’utilizzo del trust nell’ambito successorio, è rappresentata dal trust testamentario70.

Il testamento consiste in un atto di ultima volontà71 perfetto fin dalla sua creazione, ma inefficace fino alla morte del soggetto che lo ha redatto72. Si tratta dello strumento offerto dall’ordinamento italiano al de cuius al fine di organizzare la propria successione, dato che il rispetto della volontà di quest’ultimo costituisce uno dei principi fondamentali del diritto successorio italiano. In esso può essere presente un contenuto tipico, rappresentato dalle disposizioni

69 C. Romano, lc. cit.

70 I casi si sono presentati in giurisprudenza. In particolare, è stato il Tribunale di

Lucca ad occuparsi in due occasioni di trust testamentario. Si tratta della sentenza del 23 settembre 1997, rinvenibile in AA. VV., op. cit., pp. 379 – 386, e della sentenza del 19 aprile 2017, in Trusts e attività fiduciarie, n. 6, 2017, pp. 645 – 650.

71 G. Giampiccolo, voce “Atto mortis causa”, in Enciclopedia del diritto, Annali IV,

Milano, 1959, pp. 232 e ss. In tale opera l’atto di ultima volontà viene classificato come species rispetto all’atto mortis causa, dato che l’espressione mortis causa si riferisce all’elemento oggettivo funzionale dell’atto, ovvero i rapporti e le situazioni giuridiche soggettive nascono con la morte del soggetto, mentre nell’atto di ultima volontà abbiamo tale elemento oggettivo funzionale con l’aggiunta dell’importanza della forma. Nel nostro ordinamento giuridico l’unico atto di ultima volontà permesso è il testamento.

Dall’atto mortis causa si distinguono poi l’atto post mortem, che è caratterizzato dall’elemento della rilevanza esterna soltanto dopo la morte, e l’atto sotto modalità di morte, che è rappresentato da un atto che di per sé non possiede l’elemento oggettivo funzionale dell’atto mortis causa, ma che produce l’effetto finale dopo l’evento morte (es: la confessione).

72 G. Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una teoria dell’atto di ultima volontà, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2010, p. 60.

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patrimoniali, oppure un contenuto atipico, dato dalle disposizioni non patrimoniali. In quest’ultimo caso, in base all’art. 587, 2° comma c.c., non è necessario per la validità delle stesse che siano presenti disposizioni patrimoniali nella scheda testamentaria, dato che quello che conta è la forma dell’atto che le contiene, ovvero il testamento.73.

L’istituzione di un trust per mezzo di un testamento costituisce una disposizione testamentaria a carattere patrimoniale, ma comporta delle problematiche in relazione al ruolo da attribuire a colui che ricopre la funzione di trustee. Infatti nell’ambito testamentario l’art. 588 c.c. prevede che, laddove siano presenti delle disposizioni di carattere patrimoniale, al di là dell’espressione utilizzata dal de cuius, si tratta di un’istituzione di erede o di un legato, a seconda che la disposizione

73 Uno studio sul contenuto atipico del testamento è rinvenibile nell’opera di

Giampiccolo nominata nella nota precedente. Per avere una disposizione appartenente al genus del contenuto atipico è necessario che non sia identificabile con un’istituzione di erede o di legato o con disposizioni accessorie o complementari ad essa e che sia unilaterale.

L’autore, dopo aver limitato l’area di indagine con l’indicazione delle caratteristiche appena esposte necessarie per classificare una disposizione testamentaria come contenuto atipico, descrive quali siano le tipologie di atti rientranti in tale categoria e la loro natura. Non sono presenti soltanto gli atti previsti dalla legge, tra i quali troviamo l’atto costitutivo della fondazione, la designazione di un tutore o protutore, la revoca del testamento etc…, ma anche altre tipologie, dato che l’art. 587, 2° comma c.c. non ha la funzione di limitare soltanto ai casi previsti dalla legge il contenuto atipico, ma di predisporre semplicemente che qualsiasi sia l’atto con contenuto non patrimoniale questo abbia una forma testamentaria. Per cui sarà possibile avere le più varie tipologie di atti, dalla disposizione sui funerali e sul cadavere a quella sulla pubblicazione delle opere dell’ingegno, dalle dichiarazioni di scienza alla revoca della fondazione etc…

Per quanto riguarda la natura di tali disposizioni alcune rientreranno nell’ambito di un negozio giuridico – come per esempio la disposizione sul funerale o quella sulla nomina di un tutore, mentre altre in quello di un mero atto giuridico – come per esempio la dichiarazione di scienza –; si presenteranno anche casi dove non è semplice determinarne la natura, un esempio può essere quello del riconoscimento di debito o della confessione.

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testamentaria sia a titolo universale (attribuzione dell’universalità o di una quota dei beni) oppure a titolo particolare (altre disposizioni). Potrebbe essere ipotizzata l’istituzione di erede cum onere, così come prevista dall’art. 647 c.c.; ma così facendo risulterebbe travisato l’intento del testatore, ovvero l’attribuzione al trustee è caratterizzata dalla strumentalità rispetto al vero intento del de cuius, consistente nell’attribuzione a colui che è beneficiario del trust. Non è neppure utilizzabile l’art. 627 c.c., che disciplina il caso della presenza di una disposizione fiduciaria, dato che l’adempimento della stessa è considerato come obbligazione naturale. Infine l’accostamento della figura del trustee a quella dell’esecutore testamentario, giustificato dalla presenza di un ufficio di diritto privato con connotazioni fiduciarie, non è corretta, dato che sono presenti diverse differenze74. A causa dell’impossibilità di classificare la posizione del trustee secondo le figure tipiche previste dal diritto successorio italiano, in dottrina è stata ipotizzata la presenza di un nuovo genus di disposizione testamentaria, nel caso in cui sia costituito un trust attraverso lo strumento del testamento75.

74 Nel trust infatti non è presente il potere dispositivo concorrente degli eredi e la

gestione compiuta dal trustee ha effetti nella sua sfera patrimoniale, dato che con l’istituzione del trust i beni sono divenuti di sua proprietà. Nel caso invece dell’esecutore testamentario gli effetti della sua gestione ricadono in un’altra sfera, salvo che sia lui stesso erede o legatario.

75 C. Romano, op. cit., p. 607: “Se, in altri termini, l’attribuzione al trustee è il primo segmento di una più ampia operazione negoziale, non è consentito all’interprete dare a questa attribuzione una giustificazione causale avulsa dal più ampio disegno in cui essa si colloca. Detta attribuzione presenta profili di originalità che la rendono irriducibile sia al paradigma della delazione a titolo di erede o legato, sia all’istituto dell’esecutore testamentario. Trattasi, allora, di un nuovo genus di disposizione testamentaria: nella vicenda successoria si assiste alla formazione di un patrimonio affetto da vincolo di destinazione costituente la risultante di due negozi unilaterali, tra loro funzionalmente collegati: a) il negozio istitutivo, b) il negozio dispositivo di dotazione patrimoniale”.

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Dopo aver affrontato la problematica relativa alla classificazione della posizione del trustee, occorre fare riferimento alla disciplina giuridica riguardante l’ambito successorio per capire se sia ammissibile un trust testamentario. Infatti l’art. 15 della Convenzione dell’Aja prevede come limite al riconoscimento del trust il rispetto delle norme imperative dell’ordinamento giuridico in cui quest’ultimo deve avvenire, tra le quali alla lettera c) sono presenti quelle in ambito successorio.

Quindi il trust testamentario, per poter essere ammissibile nell’ordinamento italiano, deve fare i conti con alcuni divieti, ovvero il divieto di patti successori e il divieto di sostituzione fedecommissaria – quest’ultimo agisce al di fuori del caso consentito ex artt. 692 – 699 c.c. – e con la normativa riguardante la successione necessaria, rappresentata dalle norme che tutelano i legittimari.

Non si pone il problema della lesione del primo divieto sopra citato, in quanto il trust testamentario è un atto mortis causa e non un atto inter vivos (tale divieto acquista una rilevanza nel caso di trust successorio dato che è presente un atto inter vivos).

Anche con riferimento al divieto di sostituzione fedecommissaria la lesione non avviene e ciò è dimostrabile prendendo in considerazione diversi aspetti76. Per prima cosa, nella sostituzione fedecommissaria è

presente una doppia delazione, ossia una dell’istituito al momento dell’apertura della successione e una del sostituito una volta che sopraggiunga la morte dell’incapace, mentre nel trust si riscontra un’unica delazione verso il beneficiario finale dato che il trustee non è chiamato come erede o come legatario, ma come intermediario. Inoltre, osservando le situazioni giuridiche soggettive di cui le parti sono titolari all’interno dei due istituti, è possibile riscontrare la presenza di una proprietà conformata per il trustee, ovvero limitata dal

76 C. Romano, lc. cit. e G. F. Condò, Rapporto tra istituzione di un trust e normativa in materia di successione, in Trusts e attività fiduciarie, n. 4, 2008, pp. 357 – 367.

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raggiungimento di un determinato scopo o dal soddisfacimento dell’interesse del beneficiario, e di un diritto di credito per il beneficiario; mentre l’istituito è titolare di una proprietà risolvibile, consistente in un pieno diritto di godimento e di amministrazione dei beni fino alla durata della propria vita, e il sostituito di un’aspettativa di diritto.

Infine, la segregazione ha una valenza più ampia nel trust perché comprende non solo i creditori del trustee ma anche quelli del disponente, mentre nella sostituzione fedecommissaria l’insensibilità alle pretese dei creditori riguarda soltanto quelli dell’istituito e non anche quelli ereditari77.

Per quanto riguarda invece la disciplina della tutela dei legittimari il trust testamentario è nullo, laddove riguardi la quota di un legittimario, perché in base all’art. 549 c.c. non è possibile apporre pesi o condizioni su tale quota, salvo che vi sia un intento divisionale da parte del testatore; in questo caso sarà possibile esperire un’azione di nullità per invalidità del testamento. Invece, nel caso in cui il trust testamentario non riguardi la quota di legittima, il testamento è valido ma i legittimari potranno utilizzare l’azione di riduzione, laddove vi sia la presenza di una lesione di legittima78.

Di conseguenza, il trust testamentario è ammissibile, purché il de cuius indichi le regole, la legge regolatrice e il nome del sostituto del trustee nel caso in cui colui che viene indicato decida di non accettare, e i legittimari hanno come strumenti di tutela l’azione di nullità, nell’ipotesi in cui sia costituito il trust sulla quota di legittima, oppure

77 È l’art. 695 c.c. a prevedere la tutela verso i creditori dell’istituito; per quanto

riguarda i creditori ereditari essi non potranno rifarsi sui beni personali dell’istituito, dato che nell’unico caso di sostituzione fedecommissaria ammessa nel nostro ordinamento, ovvero il fedecommesso assistenziale, l’istituito avrà accettato con beneficio d’inventario, essendo incapace.

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l’azione di riduzione se l’istituto di origine anglosassone non riguarda tale quota ma la lede79.