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Il confronto tra l’atto di destinazione ex art 2645-ter c.c e il

2.5 L’atto di destinazione ex art 2645-ter c.c

2.5.1 Il confronto tra l’atto di destinazione ex art 2645-ter c.c e il

L’art. 2645-ter è stato utilizzato da una parte della dottrina per la costruzione del c.d. trust italiano146; nello specifico secondo i sostenitori di tale tesi non vi è necessità di ricorrere a una legge straniera per disciplinare il trust interno, dato che è rinvenibile nell’ordinamento italiano una regolamentazione di quest’ultimo. Infatti nella Convenzione dell’Aja non è presente alcun divieto di utilizzo della legge italiana e, laddove gli operatori giuridici rilevino che il trust non è previsto da quest’ultima, semplicemente si verificherà l’invalidità dell’istituto, vale a dire, gli altri Stati aderenti alla Convenzione non saranno obbligati al riconoscimento dello stesso147.

Secondo i sostenitori di tale teoria la disciplina del trust italiano è rinvenibile primariamente nell’art. 2645-ter, vista la completa sovrapponibilità tra i due istituti, basata sulla natura della norma

Un primo limite si rinviene nell’esclusività del vincolo: i beni destinati, infatti, possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione per cui sono stati vincolati…

Il vincolo di destinazione, inoltre, deve essere necessariamente attuale. Conseguentemente non è ammissibile la trascrizione di un accordo di natura meramente preparatoria in cui non siano ravvisabili obbligazioni attuali, come per esempio il patto di prelazione o il patto di opzione.

Va pur sempre ricordata la necessità di rispettare alcuni principi fondamentali del nostro ordinamento, come quello della tipicità dei diritti reali”.

146 L. Gatt, Il trust italiano. La nullità della clausola di rinvio alla legge straniera nei trust interni, in La nuova giurisprudenza civile commentata, n. 11, 2013, pp. 622

– 643 e G. Petrelli, Trust interno, art. 2645 TER c.c. e «trust italiano», in Rivista di

diritto civile, n. 1, 2016, pp. 167 – 182.

147 L. Gatt, op. cit., p. 628: “Nessun divieto…pare essere contenuto nella Convenzione a che venga scelta la legge italiana per un atto-trust strettamente collegato in maniera esclusiva o prevalente con l’Italia (secondo i criteri indicati nell’art. 7, comma 2°)”.

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regolante l’atto di destinazione e sulle caratteristiche minime richieste per il trust dagli artt. 2 e 11 della Convenzione dell’Aja.

Infatti l’art. 2645-ter è una norma sull’atto e non sugli effetti, ovvero introduce la regolamentazione dell’atto di destinazione e non si riduce semplicemente a dettare l’effetto dell’opponibilità ai terzi attraverso la trascrizione148.

Inoltre, sono presenti nell’atto di destinazione gli elementi minimi richiesti dalla Convenzione per l’esistenza di un trust; nello specifico essi consistono nell’effetto di separazione patrimoniale con conseguente funzionalizzazione della proprietà, nei poteri di amministrazione e di controllo dei beni riconosciuti al gestore e nella responsabilità limitata dei beni sottoposti a vincolo149.

Per i restanti aspetti non disciplinati dall’art. 2645-ter è possibile fare riferimento al sistema del Codice civile, alla giurisprudenza e alla prassi negoziale; con particolare riferimento al Codice è presente una disciplina generale dei contratti, applicabile ai negozi atipici in base agli artt. 1322 2° comma, 1323 e 1324, e una disciplina specifica per i singoli contratti (soprattutto quella del contratto di mandato).

In realtà, la tesi appena esposta può essere sottoposta a delle critiche, che conducono a ritenere che non sia presente una perfetta sovrapponibilità tra l’atto di destinazione e l’istituto di origine anglosassone.

Innanzitutto, l’art. 2645-ter non è una norma sugli atti ma sugli effetti, dato che non introduce una nuova tipologia di atto con l’indicazione della disciplina sostanziale, ma prevede l’opponibilità dell’effetto della destinazione ai terzi, laddove un atto con determinate caratteristiche sia oggetto di trascrizione150. Tale affermazione è

148 L. Gatt, op. cit., p. 636: “…va sgombrato il campo dalla concezione della fattispecie contemplate nell’art. 2645-ter come mero effetto e non come atto”. 149 G. Petrelli, op. cit., p. 180 – 183.

150 Una conferma della natura di norma sugli effetti è ricavabile anche da varie

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confermata dal collocamento della norma all’interno del capo dedicato alla trascrizione.

Già questo primo rilievo potrebbe essere sufficiente a negare la possibilità di compiere un parallelo tra il trust e l’atto di destinazione ex art. 2645-ter, ma volendo andare a eliminare ogni dubbio è possibile prendere in considerazione quest’ultima norma per dimostrare la presenza di differenze notevoli tra l’atto di destinazione, richiamato nella stessa, e l’istituto di origine anglosassone.

Per prima cosa l’atto di destinazione deve essere diretto al soddisfacimento di interessi meritevoli di tutela. Tale espressione è presente anche nell’art. 1322, 2° comma c.c., che delinea il ruolo dell’autonomia privata nella stipulazione di un contratto; nello

2006, in Notariato, n. 5, 2006, pp. 539 – 541: “La norma…viene a introdurre

nell’ordinamento solo un particolare tipo di effetto negoziale, quello di destinazione (che per i beni immobili e mobili registrati postula il veicolo formale dell’atto pubblico), accessorio rispetto agli altri effetti di un negozio tipico o atipico cui può accompagnarsi…Con essa, si opina, non si è voluto introdurre nell’ordinamento un nuovo tipo di atto a effetti reali, un atto innominato, che diventerebbe il varco per l’ingresso del tanto discusso negozio traslativo atipico; non costituisce la giustificazione legislativa di un nuovo negozio la cui causa è quella finalistica della destinazione del bene alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela” (p. 540);

sentenza del Tribunale di Reggio Emilia del 23 marzo 2007, in Trusts e attività

fiduciarie, n. 4, 2007, pp. 419 – 424: “L’art. 2645-ter cod. civ. si riferisce a negozi atipici (ma - si deve ritenere – anche a contratti con causa normativamente disciplinata) che destinano i beni alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322, comma 2° cod. civ. …” (p. 421); sentenza del Tribunale di

Novara del 27 ottobre 2015, il cui testo è rinvenibile al sito web www.ilcaso.it, URL: http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/13696.pdf (20 febbraio 2018):

“E’ da escludere che l’imposizione di un vincolo di destinazione ai sensi dell’art. 2645 ter si sostanzi in una nuova tipologia negoziale traslativa, caratterizzata da una causa esclusivamente destinatoria, deve invece ritenersi che la nuova norma introduca nell’ordinamento solo un particolare tipo di effetto negoziale, quello di destinazione, accessorio rispetto agli altri effetti di un negozio tipico o atipico cui si accompagna…”.

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specifico, al 1° comma riconosce la possibilità per l’autonomia privata di determinare il contenuto del contratto con il rispetto dei limiti di legge, mentre nel 2° comma prevede la libertà di concludere contratti atipici, purché perseguano interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.

È necessario fin da subito chiarire che il parametro utilizzato per individuare un interesse meritevole di tutela ai fini dell’art. 2645-ter è diverso da quello impiegato nell’art. 1322, 2° comma.

Infatti per la norma riguardante la libertà contrattuale è costituito dalla liceità della causa, descritta dall’art. 1343 c.c., ovvero tale interesse non deve violare le norme imperative, l’ordine pubblico e il buon costume.

Non può essere utilizzato come metro di giudizio l’utilità sociale, perché quest’ultimo era accettabile prima dell’entrata in vigore della Costituzione del 1948. Infatti nel momento in cui nacque il Codice civile del 1942 era presente nell’ordinamento italiano l’ideologia fascista, che conduceva a ritenere un interesse meritevole di tutela solo laddove possedesse un’utilità sociale, vale a dire, solo se corrispondente all’interesse dello Stato151.

Nel momento in cui è nata la Costituzione nel 1948 non poteva più essere accettata la concezione statalista, presente durante il periodo fascista, dato che la natura di tale documento è democratica; di conseguenza è stato previsto come parametro per individuare un interesse meritevole di tutela la semplice presenza della liceità della causa.

È necessario sottolineare la persistente presenza di un limite alla libertà contrattuale, rappresentato dalla liceità della causa e non più

151 A. Morace Pinelli, Atti di destinazione, trust e responsabilità del debitore,

Giuffré, Milano, 2007, p. 163: “…l’interesse privato diviene tutelabile soltanto

quando coincida con quello generale, con la conseguenza che l’interesse pubblico non rappresenta più un «limite da non valicare, ma piuttosto una meta da raggiungere…ed ogni cittadino tende a trasformarsi in funzionario»”.

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dall’utilità sociale dell’interesse perseguito. Di conseguenza la funzione economico – sociale del contratto non è venuta meno, ma semplicemente deve essere intesa in maniera diversa, dato che in uno Stato democratico i limiti posti all’autonomia privata si giustificano non per la protezione dell’interesse dello Stato, ma per la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo come singolo e nelle formazioni sociali. In questo modo l’ordine pubblico da avere una funzione di tutela dello Stato e delle istituzioni pubbliche assume quella di trovare un equilibrio tra la garanzia dell’iniziativa economica privata e della proprietà individuale e la tenuta di conto dell’utilità sociale e della tutela della persona152.

Quindi la libertà contrattuale deve rispettare la giustizia degli scambi153 e la parità di trattamento154 per chi vuole accedere al contratto155.

152 U. Breccia, Contrarietà all’ordine pubblico, in Trattato di diritto privato (diretto

da M. Bessone), Tomo III: il contratto in generale, Giappichelli, Torino, 1999, pp. 161 – 206: “Rispetto alle idee del secolo precedente e alla stessa esperienza del

dirigismo in regimi di carattere autoritario, nazionalistico o corporativo, le costituzioni economiche del secolo ventesimo, nei sistemi di democrazia liberale, sono alla ricerca di un difficile punto di equilibrio fra le garanzie della libera iniziativa economica e della proprietà privata e le istanze dell’utilità sociale e della tutela della persona” (p. 172).

153 Un esempio di giustizia negli scambi è rinvenibile nella disciplina del rapporto

tra consumatore e professionista, dove l’obiettivo è evitare che quest’ultimo abbia una posizione contrattuale dominante.

154 Non è da intendere come obbligo di contrattare con tutti, dato che la libertà

contrattuale consiste anche nella scelta del contraente, ma come impossibilità di porre regole che impongano una disparità di trattamento immotivata.

Es: nel caso in cui sia richiesta una particolare caratteristica per lo svolgimento di un lavoro, che può avere soltanto un uomo, non siamo in presenza di una discriminazione verso una donna.

155 Ivi, p. 194: “Si considerino ancora i due temi millenari ricompresi…nella storia dell’idea stessa di contratto: l’esigenza che il contratto sia internamente equo, esigenza a cui fa riscontro la contrapposta affermazione della coincidenza

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Nel momento in cui è stato introdotto l’art. 2645-ter in dottrina è sorto un dibattito sul parametro da utilizzare per l’individuazione di un interesse meritevole di tutela; nello specifico la discussione ha riguardato l’alternativa tra l’utilizzo della liceità della causa, come per l’art. 1322, 2° comma c.c., oppure l’impiego dell’utilità sociale.

Coloro che sostengono l’utilizzabilità della liceità della causa basano la propria tesi su una varietà di argomentazioni156. Innanzitutto ritengono che, laddove si richiedesse la necessità di un’utilità sociale dell’interesse perseguito, si assisterebbe a un ritorno a una concezione statalista, presente prima dell’entrata in vigore della Costituzione del 1948 e non più adatta alla società attuale.

Inoltre l’interesse dei creditori, costituito dalla presenza di una responsabilità generale del debitore in base all’art. 2740 c.c., sarebbe tutelato attraverso l’invalidità dell’atto stesso, quando in realtà l’ordinamento giuridico italiano non riconosce tale tipologia di tutela. Infatti sono previsti semplicemente alcuni strumenti, utilizzabili dai creditori, tra i quali è rinvenibile l’azione revocatoria.

Non da meno è la constatazione che fondare la meritevolezza degli interessi su un giudizio legato all’utilità sociale degli stessi conduce all’attribuzione di poteri d’intervento del giudice eccessivamente

necessaria fra la regola contrattuale e la regola giusta; l’esigenza che la libertà di contratto non si risolva, all’esterno, in una discriminazione arbitraria e pregiudizievole a danno di terzi ovvero non comporti una disparità del tutto irragionevole nel quadro di omogenee categorie di operazioni economiche e di contraenti.

Si tratta di argomenti nettamente distinti.

Il primo si riferisce alla giustizia dello scambio contrattuale in quanto tale, ossia alla diseguale distribuzione dei vantaggi e degli svantaggi fra i contraenti.

Il secondo si riferisce alla parità di trattamento nei confronti di chi aspiri ad accedere al contratto”.

156 Per la ricostruzione delle argomentazioni utilizzate come base di tale tesi: L.

Cavalaglio, Considerazioni minime sull’interpretazione riduttiva dell’art. 2645 ter

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estesi. Tutto questo nuoce al livello di efficienza dello strumento giuridico e crea degli effetti negativi in un contesto sociale sempre più caratterizzato dalla globalizzazione157.

Nonostante la presenza dei molteplici argomenti utilizzati per avallare la tesi appena esposta, in realtà per l’art. 2645-ter non può essere richiesta una mera liceità della causa per rinvenire un interesse meritevole di tutela, dato che altrimenti potrebbero essere costituiti patrimoni destinati per molteplici e differenti interessi. In questo modo avverrebbe la violazione del principio della responsabilità patrimoniale del debitore, dato che, con l’adozione della liceità come metro di giudizio per l’individuazione dell’interesse meritevole di tutela, la deroga a tale principio diverrebbe la regola e si giungerebbe alla specializzazione della responsabilità. Di conseguenza l’autonomia privata non avrebbe limiti e perderebbero di significato le limitazioni imposte dal legislatore alle ipotesi da lui stesso previste158.

157 Ivi, p. 597: “…si potrà frenare l’insorgere di nuovi, ennesimi vincoli a un ordinamento privatistico già schiacciato da un sovrappiù di regolamentazione e bisognoso di flessibilità e sicurezza, piuttosto che di un improvvido ingresso dei giudici (o di altri operatori) nel negozio. Questa invasione, già consentita in alcuni tratti dell’esistente normativa e in larga misura favorita dal supporto di una dottrina maggioritaria, sarebbe infatti foriera di incertezze interpretative e conseguente imprevedibilità degli esiti transattivi…: quindi assolutamente deleteria in termini di efficienza degli strumenti giuridici, ma addirittura esiziale in termini comparativi, nella corrente fase di sempre più spinta globalizzazione economica e conseguente competizione fra sistemi”.

158 Ad esempio nel fondo patrimoniale sono presenti molteplici limiti. Innanzitutto è

possibile la sua costituzione solamente se il fine è il soddisfacimento dei bisogni familiari. Inoltre l’alienazione è possibile soltanto secondo determinate condizioni e le cause di estinzione sono dettate in maniera tassativa. Infine l’esecuzione sui beni costituenti il fondo è possibile solamente per alcune tipologie di crediti.

Sono riscontrabili dei limiti anche nella costituzione di patrimoni destinati a uno specifico affare. Infatti la loro costituzione è permessa soltanto alle società per azioni e i creditori sociali hanno la possibilità di opporsi alla loro costituzione. Inoltre il vincolo può riguardare soltanto il 10% del patrimonio netto.

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Quindi, è necessario dedurre le caratteristiche, che l’interesse deve possedere per essere riconosciuto come meritevole di tutela, dalle ipotesi nominate nell’art. 2645-ter; nello specifico quest’ultimo fa riferimento a persone affette da disabilità e a pubbliche amministrazioni. Sarà quindi necessaria la presenza di un interesse non lucrativo riguardante il piano della morale oppure quello della pubblica utilità159. In questo modo acquista significato anche il riferimento ad altri enti o persone giuridiche dopo aver nominato le due categorie richiamate precedentemente. Infatti, laddove si ritenesse che il parametro di riferimento per l’individuazione dell’interesse meritevole di tutela sia la liceità, il richiamo degli enti e delle altre persone fisiche apparirebbe semplicemente pleonastico rispetto alle due categorie nominate precedentemente160.

Ulteriori conferme dell’impossibilità di utilizzare come parametro la liceità della causa sono rinvenibili dal confronto tra l’art. 1322 e l’art. 2645-ter c.c.

Infatti l’elemento da prendere in considerazione è la tipologia di controllo, che deve essere effettuato per l’individuazione dell’interesse meritevole di tutela. Nella prima disposizione tale controllo riguarda l’ammissibilità di un contratto atipico, mentre nella seconda si limita all’elemento della separazione patrimoniale, ovvero verte

159 A. Morace Pinelli, op. cit., p. 190: “…beneficiari della destinazione, secondo il disposto dell’art. 2645-ter c.c., possono essere, più in generale, tutti gli enti e le persone fisiche, a condizione che l’interesse per la cui realizzazione il vincolo venga costituito presenti le medesime caratteristiche di quello espresso nelle ipotesi nominate: sia cioè non lucrativo ed assuma rilevanza sul piano della morale o sia socialmente utile, in attuazione dei principi solidaristici”.

160 Ivi, p. 189: “Il riferimento non può essere ritenuto pleonastico, una sorta di

relitto giuridico superato, se non addirittura assorbito, dal successivo richiamo agli interessi riferibili «ad altri enti o persone fisiche», categorie di soggetti che ricomprendono certamente anche i disabili e le P.A.

Appare, invece, ragionevole rinvenire nelle ipotesi nominate l’indicazione delle tipologie di valori che legittimano la separazione patrimoniale”.

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sull’opponibilità o meno del negozio ai terzi. Questo significa che, laddove l’esito del controllo sia negativo, nel primo caso viene dichiarata la nullità del negozio, mentre nel secondo il negozio rimane valido ma ha una mera efficacia interna alle parti.

Inoltre, l’art. 1322 richiede un controllo interno all’atto, che analizzi la sua funzione e la sua causa, mentre l’art. 2645-ter necessita di un semplice controllo esterno, consistente nel rinvenire la proporzionalità161 tra lo scopo perseguito e il bene sottoposto al vincolo e tra tale bene e il valore del patrimonio residuo162.

Nel sostenere la tesi della necessità di un’utilità sociale dell’interesse per la costituzione di un atto di destinazione, uno Studioso163 ha evidenziato la presenza di un errore, sia nella teoria richiedente la mera liceità dell’interesse sia in quella prevedente la necessità di un’utilità sociale dello stesso. Lo sbaglio compiuto da entrambe consisterebbe nell’aver considerato la tutela del creditore, assicurata dalla responsabilità patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c., come

161 S. Leuzzi, “Riflessioni sull’art. 2645-ter c.c. nel quadro dei limiti interposti dalla giurisprudenza”, in Trusts e attività fiduciarie, n. 1, 2015, pp. 7 – 21: “Il controllo di meritevolezza ex art. 2645-ter c.c. pare risolversi, nell’ottica ermeneutica (forse) prevalente, a differenza di quello richiesto dall’art. 1322 c.c., in un controllo di proporzionalità e di adeguatezza tra mezzi adoperati, scopo perseguito e patrimonio residuo del conferente…Essenzialmente, la norma di nuovo conio imporrebbe di svolgere un controllo in ordine al rapporto di congruità e di adeguatezza tra bene destinato e scopo perseguito. Pertanto la proporzionalità rileverebbe sia riguardo alla durata della destinazione rispetto allo scopo, sia con riferimento al valore del bene destinato rispetto allo scopo perseguito, anche nel corso della destinazione. Inoltre, la meritevolezza esigerebbe anche il controllo della capienza del patrimonio residuo del destinante per il soddisfacimento degli interessi dei creditori, ossia la verifica della misura di incidenza del valore del bene destinato sul valore complessivo del patrimonio residuo, che garantisce i creditori del destinante” (pp. 9

– 10).

162 G. Perlingueri, Il controllo di «meritevolezza» degli atti di destinazione ex art.

2645 ter c.c., in Notariato, n.. 1, 2014, pp. 11 – 34.

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interesse da controbilanciare con quello della costituzione di un atto di destinazione.

In realtà, secondo l’autore, il valore da difendere non è la tutela del creditore ma il diritto di proprietà, caratterizzato da una pienezza di poteri, dato che con la creazione di un atto di destinazione sono apportati dei vincoli a tale diritto e prende vita la cosiddetta proprietà destinata, nella quale è prevista una limitazione del diritto di godimento della cosa da parte del titolare164.

Di conseguenza, con l’inserimento dell’art. 2645-ter nel c.c. è stato permesso anche all’autonomia privata, e non solo al legislatore, di mettere in atto la funzione sociale della proprietà, dichiarata dall’art. 42 della Costituzione italiana, che permette di limitare le facoltà del proprietario, solo laddove è presente l’intenzione di perseguire interessi socialmente utili con la costituzione dell’atto di destinazione165.

164 Secondo l’autore infatti il vincolo riguarda il diritto di godimento ma non quello

di disposizione del proprietario dato che: “Sembra…abbastanza sicuro che la

«destinazione» del bene ad uno scopo non comporti – di per sé – limiti particolari al potere del proprietario di trasferire (con atto inter vivos, o in virtù di una vicenda successoria mortis causa) il bene a terzi. Lo dimostra il fatto che tra i «terzi» cui la trascrizione rende opponibile l’atto di destinazione non si dubita che rientrino anche i c.d. «aventi causa» (il che presuppone che ci si trovi di fronte ad un bene che abbia formato oggetto di trasferimento); lo dimostra altresì…la circostanza che è lo stesso art. 2645-ter, laddove ipotizza una durata del vincolo di destinazione fino a 90 anni (o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria), a prevedere…che il vincolo possa sussistere…anche dopo la morte del «conferente»”

(p. 526).

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G. D’Amico, op. cit., p. 545: “E’ da condividere pertanto l’idea seconda la