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QUADERNI del Consiglio Superiore della Magistratura

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(1)

LE ‘PARI OPPORTUNITÀ’

IN MAGISTRATURA

Dieci anni di attività del Comitato per le pari opportunità in magistratura

QUADERNI

Consiglio Superiore della Magistratura del

(2)

QUADERNI DEL

CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Anno 2002, Numero 126

Pubblicazione interna per l’Ordine giudiziario curata dal Consiglio Superiore della Magistratura

(3)

INDICE GENERALE

Presentazione. . . Pag. 7 Composizione del Comitato per le pari opportunità in

magistratura . . . » 9

Parte I

IL “PROBLEMA” DELLE PARI OPPORTUNITÀ

1 – Giudice e donna: dieci anni di Comitato per le pari

opportunità presso il C.S.M. . . . » 13 2 – Il ruolo del Comitato e la integrazione del tema della

parità nelle leggi . . . » 29 3 – Il Comitato e il nuovo C.S.M. . . . » 35 4 – La presenza delle donne nei processi decisionali . . . . » 41 5 – Il principio del mainstreaming . . . » 43

Parte II

LE PRINCIPALI PROBLEMATICHE DI PARI OPPORTUNITÀ

(4)

APPENDICI

Appendice I – Statistiche della presenza femminile in magi- stratura

– Tab. A: composizione per genere del personale in servi-

zio in magistratura . . . » 237

– Tab. B: composizione per fasce d’età e per genere del per- sonale in servizio in magistratura. . . » 237

– Tab. C: distribuzione dei magistrati uffici e funzioni » 238 – Tab. D/1: distribuzione delle presenze dei magistrati nei distretti suddivisi per genere e qualifica . . . » 244

– Tab. D/2: distribuzione delle presenze dei magistrati nei distretti suddivisi per genere e qualifica (dati assoluti e percentuali) . . . » 246

Appendice II – Leggi di maggiore rilevanza in materia di pari opportunità I – Legge 10 aprile 1991, n. 125 . . . » 253

II – D.lgs. 23 maggio 2000, n. 196 . . . » 265

III – Legge 8 marzo 2000, n. 53 . . . » 275

IV – D.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 . . . » 289

V – D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 57 . . . » 331

VI – Legge 13 febbraio 2001, n. 48, artt. 4-8 . . . » 333

Appendice III – Documentazione 1 – Delibera istitutiva del Comitato per le pari opportunità in magistratura. . . » 337

2 – Raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea 96/694/CE . . . » 339

3 – Circolare del Ministro per le pari opportunità 20.12.1996, n. 2 . . . » 345

(5)

Presentazione

Nella seduta del 14 marzo 2002 il Comitato per le pari opportunità formulava la proposta di raccogliere e di pubblicare gli atti, le delibe- re e le circolari adottate, anche su impulso dello stesso Comitato, dal C.S.M. in ordine alla applicazione della legge n. 125 del 1991 in mate- ria di pari opportunità. L’adunanza plenaria del C.S.M., nella seduta del 10 aprile 2002, approvava la pubblicazione di un numero dei Qua- derni del C.S.M. dedicato alla materia delle pari opportunità in magi- stratura.

Nella motivazione di tale deliberazione si legge che si vuole docu- mentare l’attività del Comitato e del C.S.M. in un settore che presenta specifiche problematiche, portandole a conoscenza di tutti i magistra- ti, e che si vuole, altresì, porre a disposizione delle donne magistrato una raccolta di materiale (delibere, circolari o altri interventi in mate- ria) di facile consultazione.

La deliberazione individua anche i settori nei quali si è avuta in questi anni la necessità di un intervento consiliare: reclutamento, assegnazioni e tramutamenti di sede; astensioni obbligatorie e facol- tative per maternità e congedi parentali; conferimento di uffici diretti- vi; organici distrettuali e legge n. 48 del 2001; problematiche tabellari e di assegnazione degli affari; attività di formazione a livello centrale e decentrato; partecipazione delle donne magistrato ai corsi di forma- zione; presenza delle donne magistrato nell’attività di formazione come docenti e nelle commissioni di esame per uditori giudiziari come componenti; dati relativi alla composizione della magistratura, secondo un criterio di genere e con specifico riferimento sia agli uffi- ci ricoperti che alle funzioni svolte.

Il “Quaderno”, che oggi si pubblica, offre al magistrato interessa- to un quadro d’insieme delle risposte che sono state date ai problemi e alle diverse questioni. Non si tratta di risultati definitivi, perché il processo di omologazione – sul piano del trattamento giuridico – è un

(6)

rendersi conto, direttamente e senza bisogno di mediazioni, della necessità che a talune soluzioni si pervenga a conclusione di lenti pro- cessi di assimilazione. Anche per questo risultato, a mio avviso, è valsa la pena di dare corso alla raccolta ed è auspicabile che l’iniziativa trovi diffuso consenso.

Nel licenziare il volume il ringraziamento del Consiglio Superiore della Magistratura va al dottor Carlo Coco, Segretario del Comitato, che ha, con cura e diligenza estreme provveduto alla raccolta e alla sistemazione del materiale, e alle dottoresse Graziana Campanato, Antonietta Carestia, Silvia Governatori, Luisa Napolitano e Iside Russo, magistrati operanti nel Comitato, che hanno collaborato alla stesura delle parti prima e seconda.

Roma, luglio 2002

Prof. Giovanni Verde Vice Presidente del C.S.M.

(7)

Composizione del Comitato per le pari opportunità in magistratura

CONSILIATURA 1992 – 1994 Prof. Giovanni GALLONI Presidente

Dott. Giovanni PALOMBARINI Componente del C.S.M.

Dot.. Luciano SANTORO Componente del C.S.M.

Dott. Aldo GIUBILARO Componente del C.S.M.

Dott.ssa Silvia GOVERNATORI Pretore di Siracusa Dott.ssa Gabriella LUCCIOLI Consigliere della Corte

di Cassazione

Dott.ssa Teresa MASSA Giudice del Tribunale de L’Aquila

Dott.ssa Carla PASSALACQUA V. Presidente del C.N.P.U.D.

Dott.ssa Elena PACIOTTI Sost. Procuratore Generale Milano

Dott.ssa Margherita CASSANO Sost. Proc. Rep. Trib. Firenze Dott.ssa Annunziata CIARAVOLO Giudice del Tribunale di Milano Sig.ra Nives Iole SEVERO Responsabile dell’Ufficio per la

Condizione femminile Dipartimento Funzione pubblica (dal 19.3.1993)

CONSILIATURA 1994 – 1998 Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente

Dott. Marco PIVETTI Componente del C.S.M.

Dott. Gaetano FIDUCCIA Componente del C.S.M.

Avv. Gian Vittorio GABRI Componente del C.S.M.

Dott.ssa Silvia GOVERNATORI Pretore di Prato Dott.ssa Gabriella LUCCIOLI Consigliere della Corte

di Cassazione

Dott.ssa Teresa MASSA Giudice del Tribunale

(8)

VARIAZIONI

– dal 24 novembre 1994 la dott.ssa Graziana CAMPANATO sostituisce la dott.ssa Teresa MASSA;

– dal 9 febbraio 1995 la dott.ssa Margherita SETTIMO sostituisce la dott.ssa Carla PASSALACQUA;

– dal 12 ottobre 1995 il dott. Marcello MATERA ed il prof. Andrea PROTO PISANI sostituiscono il dott. Gaetano FIDUCCIA e l’avv.

Gian Vittorio GABRI;

– dal 7 novembre 1995 la dott.ssa Gabriella CAMOZZI sostituisce la dott.ssa Margherita SETTIMO;

– dal 23 settembre 1996 la dott.ssa Antonietta CARESTIA sostituisce la dott.ssa Gabriella LUCCIOLI;

– dal 7 novembre 1996 assume la presidenza il prof. Carlo Federico GROSSO;

– dal 17 marzo 1997 le dott.sse Iside RUSSO, Luisa NAPOLITANO e Monica AMIRANTE sostituiscono le dott.sse Elena PACIOTTI, Mar- gherita CASSANO ed Annunziata CIARAVOLO;

– dal 12 giugno 1998 la dott.ssa Libera DEL ROSARIO CHIARO- MONTE sostituisce la dott.ssa Gabriella CAMOZZI.

CONSILIATURA 1998 – 2002 Prof. Giovanni VERDE Presidente

Dott. Sergio MATTONE Componente del C.S.M.

Dott.ssa Manuela ROMEI PASETTI Componente del C.S.M.

Dott.ssa Margherita CASSANO Componente del C.S.M.

Dott.ssa Silvia GOVERNATORI Pretore di Prato

Dott.ssa Antonietta CARESTIA Uff. Leg. Ministero giustizia Dott.ssa Graziana CAMPANATO Pres. Sez. Trib. Venezia Dott.ssa Libera DEL ROSARIO

CHIAROMONTE V. Presidente del C.N.P.U.D.

Dott.ssa Iside RUSSO Cons. Corte App. Reggio Calabria Dott.ssa Luisa NAPOLITANO Pretore di Treviso

Dott.ssa Monica AMIRANTE Giudice del Tribunale di Napoli Sig.ra Nives Iole SEVERO Dipartimento Funzione pubblica

VARIAZIONI

– dal 17 novembre 1999 la dott.ssa Teresa BENVENUTO sostituisce la dott.ssa Monica AMIRANTE;

– dal 17 maggio 2002 la dott.ssa Marina PORRO sostituisce la dott.ssa Libera DEL ROSARIO CHIAROMONTE.

(9)

Parte I

Il “problema” delle pari opportunità

(10)

1 – Giudice e donna: dieci anni di Comitato per le pari opportunità presso il C.S.M.

1. La presenza femminile nella magistratura italiana.

Benché già dal 1777 si fosse laureata in legge a Pavia per la prima volta una donna, Maria Pellegrini Amoretti (1), l’accesso alla magi- stratura è stato precluso alle donne fino a poco più di tre decenni orsono.

Difatti il principio di eguaglianza nell’accesso agli uffici pubblici stabilito dall’art. 51 della Costituzione ha tardato a trovare attuazione in particolar modo per la magistratura.

Il dibattito in sede di assemblea costituente fu ampio e vivace: solo pochi anni prima, e precisamente nel 1941, l’art. 8 dell’ordinamento giudiziario (R.d. 30.1.1941 n. 12) aveva posto tra i requisiti per l’am- missione alle funzioni giudiziarie quello di essere di sesso maschile. Si comprende così più facilmente il significato, ambiguo e polisenso, della decisione da parte dei costituenti di mantenere il silenzio circa la partecipazione delle donne alla funzione giurisdizionale, e della scelta di una formula di compromesso nella redazione della norma egalita- ria che stabilisce che le possibilità di accedere agli uffici pubblici in condizioni di eguaglianza avviene “secondo i requisiti stabiliti dalla legge”. Con ciò la maggioranza intendeva far salva la possibilità di limitazione dell’accesso con riferimento al “requisito attitudinario”.

Cosa ciò significasse si può facilmente comprendere ricordando che nel dibattito la maggioranza aveva evidenziato che la presenza fem- minile poteva ammettersi in quei procedimenti per i quali era più sen- tita la necessità della presenza della donna in quanto richiedevano un giudizio il più possibile conforme alla coscienza popolare. C’era chi osservava che “nella donna prevale il sentimento al raziocinio, mentre nella funzione del giudice deve prevalere il raziocinio al sentimento”

(on. Cappi) e che “sopratutto per i motivi addotti dalla scuola di Char- cot riguardanti il complesso anatomo-fisiologico la donna non può giudicare” (on. Codacci).

Argomentava infine l’on. Leone che “negli alti gradi della magi- stratura, dove bisogna arrivare alla rarefazione del tecnicismo, è da

(1) Sulla cui figura vedi G. Visintini “La prima donna giurista in Italia” in Mate- riali per una storia della cultura giuridica, 1998, n. 2, p. 317.

(11)

ritenere che solo gli uomini possono mantenere quell’equilibrio di pre- parazione che più corrisponde per tradizione a queste funzioni”.

Parallelamente al dibattito generale si svolse quello, più specifico, relativo all’ingresso delle donne nei collegi di corte d’assise. Con il c.d.

decreto Togliatti (r.d. 560/1946) le donne vennero ammesse in tali col- legi, e venne stabilito che il numero delle donne non potesse essere superiore ad un terzo del totale dei giudici. Di fatto nessuna donna poté far parte delle giurie, perché il nuovo testo normativo non venne reso operante, come avrebbe dovuto, con decreto del Ministro di Gra- zia e Giustizia, e l’ammissione delle donne alle corti di assise si ebbe solo con la legge n. 1441 del 1956, che stabilì che almeno tre giudici popolari dovessero essere uomini. La norma venne ritenuta conforme alla Costituzione dalla Corte Costituzionale che nella sentenza 3.10.1958 n. 56 ebbe ad affermare che legittimamente le leggi potesse- ro tenere conto, nell’interesse di pubblici servizi, delle differenti atti- tudini proprie degli appartenenti a ciascun sesso, purché non restasse infranto il canone fondamentale dell’eguaglianza giuridica.

Val la pena ricordare che tale limitazione permase fino all’ottobre 1969, allorché la Corte di Assise di Milano con ordinanza del giorno 15, decise che la limitazione numerica predetta doveva ritenersi supe- rata a seguito di abrogazione tacita (2).

Nel frattempo rimaneva sempre il divieto di accesso alla magi- stratura ordinaria.

Fu solo dopo e grazie ad una sentenza della Corte costituzionale (18.5.1960 n. 33) che venne promulgata la legge 9 febbraio 1963 n. 66.

Tale legge riconobbe il diritto della donna ad “accedere a tutte le cari- che, professioni e impieghi pubblici, compresa la magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di svol- gimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge”. Fu comunque solo nel 1965 (D.M. 5.4.1965) che di fatto le donne, in numero di 8, accedettero alla magistratura, avendo partecipato al con- corso indetto con D.M. 3.5.1963. In tale momento i magistrati in ser- vizio erano 5.647: le donne rappresentavano lo 0,14%.

(12)

si considera la distribuzione per genere nelle diverse fasce di età si può prevedere che nel prossimo ventennio le donne rappresenteranno la maggioranza assoluta dei magistrati.

Difatti se nella fascia di età oltre i 40 anni le donne sono 999 su 4970 (20,1%), nella fascia ricompresa tra i 35 e i 40 le donne sono 860 su 1731 (49,6%), in quella tra i 30 e i 35 sono 898 su 1687 (53,2%), e tra i magistrati con meno di trenta anni le donne rappresentano il 57,2%, essendo 233 su 407 (dati aggiornati al 2000) (3).

2. L’istituzione del Comitato per le pari opportunità presso il C.S.M. nel quadro della legge sulle azioni positive.

Il fatto che l’accesso alla professione sia stato ancora in tempi recenti formalmente precluso da norma di legge, in cui era cristalliz- zato un forte pregiudizio, basato, come sopra evidenziato, su argo- mentazioni intrise di mal richiamati giusnaturalismi, ha impedito alle donne magistrato a lungo di sentirsi e mostrarsi tali e di cercare di creare e di comprendere un proprio specifico modo di fare giustizia.

Il pregiudizio, gli stereotipi, ancora forti nella società, sia negli uomini che nelle donne, come dimostrano le ricerche svolte sul peso degli stereotipi nelle decisioni giudiziarie, condussero nel 1992, allo scopo di accompagnare la ormai inarrestabile crescita della presenza femminile in magistratura, all’istituzione del Comitato per le pari opportunità presso il Consiglio Superiore della magistratura avvenuta con la delibera del 22 ottobre 1992.

Ciò in attuazione della legge 10 aprile 1991 n. 125 che ha intro- dotto nel nostro ordinamento le “Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro” (4).

Giova ricordare che nella legislazione sono definite “azioni posi- tive” tutte quelle misure che hanno lo scopo di rimuovere gli ostaco- li che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità di lavoro e nel lavoro, la quale è resa manifestamente necessaria dalla c.d. segregazione delle donne nei ruoli tradizionali, segregazione che può attuarsi attraverso forme di discriminazione sia diretta che indi- retta.

(3) Nell’appendice statistica, Tab. B, sono riportati i dati aggiornati alla data del 30.5.2002.

(4) Riportata in appendice.

(13)

Brevemente: costituisce discriminazione diretta per la legge n. 125 del 1991 – art. 4, co. 1 – “qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando anche in via indiretta i lavoratori in ragione del sesso” senza che abbia alcun rilievo l’“inten- to discriminatorio”, ma solo i suoi effetti causalmente riconducibili in via immediata al sesso; costituisce invece discriminazione indiretta – art. 4, co. 2 – “ogni trattamento pregiudizievole conseguente all’ado- zione di criteri che svantaggiano in modo proporzionalmente maggio- re i lavoratori dell’uno o dell’altro sesso e riguardino requisiti non essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa”.

Con la delibera del 22 ottobre 1992 (5) il Consiglio ha dichiarato di voler “attuare azioni positive per la realizzazione del principio di uguaglianza sostanziale tra i sessi anche per quel che concerne la magistratura, in attuazione di quanto previsto dall’art. 2, punto 6”

della legge ora citata, precisando i compiti attribuiti al Comitato.

Questi consistono in primo luogo nel raccogliere ed interpretare quei dati, concernenti i magistrati, che siano rilevanti ai fini sopra indi- cati. In secondo luogo, e alla luce delle rilevazioni di dati da com- piere in via preliminare, nell’ “individuare le iniziative necessarie per eliminare le disparità di fatto, da un lato superando le condizioni di lavoro che provocano effetti diversi a seconda del sesso nei confron- ti di coloro che pur svolgono le stesse funzioni, e dall’altro favoren- do, anche mediante nuove articolazioni dell’organizzazione del lavo- ro l’equilibrio tra responsabilità familiari e responsabilità professio- nali”. Del Comitato, presieduto dal Vice presidente del C.S.M., fanno parte tre consiglieri, tre componenti dell’A.D.M.I. – Associazione donne magistrato italiane (alla cui iniziativa nell’aprile del 1992 si deve l’attuale attività del Consiglio in questo settore), un esperto designato dal Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento e uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici, istituito presso il Ministero del lavoro, un esperto desi- gnato dal Ministero per la Funzione Pubblica e tre magistrati donna designati dall’A.N.M.

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sabili ipotesi di discriminazione per genere, per la cui eliminazione sono state formulate nel corso del decennio le proposte poi recepite dal C.S.M. con gli atti raccolti nel presente volume. Iniziative che sono state precedute da indagini approfondite, attuate altresì per mezzo di un questionario diffuso tra tutti i magistrati italiani (i cui risultati sono stati pubblicati nel n. 97/1997 dei Quaderni del C.S.M.).

I settori individuati sono i seguenti:

1) assegnazione di prima sede agli uditori, effettuata senza dar effettivo e operante rilievo alle situazioni familiari delle uditrici (come sarebbe doveroso a fronte della constatazione sociologica, oltre che – purtroppo – tuttora ovvia, del maggior peso della famiglia per la donna, in specie nei primi anni di vita dei bambini);

2) tramutamenti ed attribuzione di punteggi preferenziali, senza attribuzione di rilievo effettivo alle situazioni di famiglia per le donne, e con l’adozione di criteri di valutazione in odore di “mascolinità” dei requisiti richiesti, anziché della neutralità o – quantomeno – della stretta “essenzialità” degli stessi per i posti richiesti, come per contro indicato dalla legge;

3) trasferimenti di ufficio, attuati senza tenere conto degli stessi problemi sopra segnalati, come possibile e doveroso al fine di dispor- li in conformità al dettato degli artt. 3, 2 co., e 37 Cost.;

4) assegnazioni tabellari e assegnazione dei singoli affari in modo privilegiato per i colleghi uomini;

5) attribuzione di incarichi direttivi e dei posti di Consigliere e Procuratore generale presso la Corte di Cassazione con assoluta pre- ferenza agli uomini;

6) partecipazione agli incontri di studio, che era prevalentemente maschile, dalla quale, tra l’altro, discende in taluni casi l’attribuzione di punteggi aggiuntivi per i tramutamenti;

7) assegnazione delle relazioni negli incontri di studio a soli uomini;

8) composizione pressoché esclusivamente maschile delle com- missioni di concorso per uditori giudiziari (divergendo dal principio posto per gli impiegati civili dello Stato dall’art. 61 del D.lgs. n.

29/1993, che prevede che “le pubbliche amministrazioni al fine di garantire pari opportunità tra uomini e donne per l’accesso al lavoro ed il trattamento sul lavoro, riservano alle donne, salva motivata

(15)

impossibilità, almeno un terzo dei posti di componente delle commis- sioni di concorso…”) (7).

Dai lavori del Comitato, che compie oggi dieci anni, sono emerse forme di discriminazione indiretta in ciascuno dei settori sopra indi- cati ed adottati i provvedimenti che si trovano oggi raccolti in questo volume, volti alla rimozione, o quanto meno alla attenuazione (perché lento è il cammino verso effettive pari opportunità), di situazioni di discriminazioni indirette, come tali ravvisabili, alla luce della defini- zione legislativa di tale forma di discriminazione, ogni qualvolta le scelte discrezionalmente effettuate o i criteri di scelta adottati sono diversi dall’unico ammesso dal legislatore e cioè la loro stretta, e per- ciò essenziale, funzionalità rispetto al tipo di attività.

Di qui la necessità di analizzare altresì se l’esistenza di determinati criteri di scelta tra magistrati e una certa struttura organizzativa del lavoro – intrinsecamente maschili, quantomeno perché pensati da un Parlamento legislatore a composizione prevalentemente maschile e regolamentato da un Consiglio superiore pressoché esclusivamente maschile – non siano essi stessi la causa, tra gli altri fattori, di scelte di autoesclusione apparentemente libere e non dipendenti da una discriminazione sessuale.

3. La distribuzione per genere nelle funzioni.

L’ipotesi di scelte di autoesclusione, o di discriminazioni, è emer- sa in primo luogo dalla verifica della distribuzione per genere dei magistrati nelle diverse funzioni.

È stato grazie al Comitato per le pari opportunità che sono stati raccolti per la prima volta nel 1992 dati sulla dislocazione delle donne nelle diverse funzioni, constatando in primo luogo che le colleghe sono cospicuamente rappresentate negli uffici minorili, in cui rappre-

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sentano la maggioranza, secondo un tranquillizzante schema maschi- le che vuole le donne relegate nel loro tradizionale ruolo di cura. Ma anche qui con un’eccezione: quella della dirigenza di questi uffici.

Le donne sono altresì in maggioranza negli uffici di sorveglianza:

forse perché ritenuto un lavoro meno qualificante, meno appetito dagli uomini, e perciò frequentemente prima sede di uditori, tra cui le donne sono risultate negli ultimi concorsi in lieve maggioranza, o comunque accettato pur di riavvicinarsi al nucleo familiare.

Taluno si è chiesto se tale presenza non possa essere collegata al carattere più accentuatamente amministrativo della giurisdizione mino- rile e di sorveglianza, in relazione alle motivazioni che hanno ispirato la scelta professionale di talune donne (8). O forse, si può ipotizzare, sono questi gli uffici in cui il magistrato è meno vincolato da norme rigide, ha maggiori spazi di valutazione delle situazioni concrete e maggiore libertà nella individuazione delle soluzioni da trovare ed è più vicino ai bisogni dell’utente della giustizia: forse in tali settori le donne, più che in altri, si ritrovano ad agire senza schemi precostituiti dal legislatore, libere rispet- to a leggi pensate e volute da una larga maggioranza di uomini.

Piuttosto equilibrata è poi la presenza delle donne nelle funzioni giudicanti di primo grado, in cui la loro presenza riproduce sostan- zialmente la percentuale di presenze femminili nella magistratura.

I numeri, che cominciavano a cambiare quando si rivolgeva l’at- tenzione alle procure presso i tribunali, dove le donne erano poco più del 20%, sono stati riequilibrati in tali uffici per effetto dell’accorpa- mento di tali procure con le procure circondariali, dove vi era una pre- senza femminile pressoché paritaria, dovuta verosimilmente alle ragioni già sopra indicate.

Purtuttavia ad oggi nessuna donna figura nell’organico della Dire- zione Nazionale Antimafia, istituita nel 1992, pur a fronte delle domande presentate.

Le percentuali di presenza delle donne diventano poi risibili ed emblematiche quando si osservano quelle relative agli incarichi diret- tivi, dei quali, ancora nel 1996 (e la situazione non è ad oggi sensibil- mente variata) solo dieci, sui 725 in pianta organica, erano rivestiti da donne. Lo stesso avviene per i semidirettivi dove vi erano alla data suindicata 9 donne per i 591 posti della pianta organica (9).

(8) V. Pocar, “Le donne magistrato: una ricerca pilota”, in Sociologia del diritto, 1991, n. 3, p. 77.

(9) I dati aggiornati al 30.5.2002 concernenti la distribuzione per uffici e per fun- zioni della presenza femminile in magistratura sono contenuti nell’appendice statistica.

(17)

È necessario sottolineare che la minore presenza di donne in tali uffici non può essere giustificata semplicisticamente adducendo che le donne hanno minore anzianità di servizio. I dati acquisiti sono infatti estremamente chiari in proposito: mentre tra gli uomini aventi titolo per rivestire incarichi direttivi il 27% ne riveste effettivamente, le donne con la medesima anzianità rivestono tali incarichi nella misura dell’1,6%.

Quanto all’organo di autogoverno della magistratura, il C.S.M., che, in funzione dal 1958, viene rinnovato ogni quattro anni, e di cui fanno parte ben 20 magistrati, fino al 1990 solo una donna magistra- to vi era stata eletta (nel quadriennio 1986-1990: la bella ed esemplare figura di Elena Paciotti, ferma, pacata ma severa, “sempre all’altezza”, come è stato scritto, “l’immagine della donna che, dimissionata ogni frivolezza femminile, inserisce nel suo DNA la magistratura”), mentre fanno parte dell’attuale consiliatura tre donne magistrato.

Solo quattro donne sono state elette dal Parlamento fra i dieci laici: due nel quadriennio 1981/1985, una nel quadriennio 1986/1990, e una nel quadriennio in corso.

Quanto alla Corte Costituzionale, solo recentemente è stata eletta per la prima volta una donna: Fernanda Contri.

Scarsa è poi la presenza partecipativa femminile nella Associazio- ne Nazionale Magistrati, così come la rappresentanza a livello distret- tuale, e quindi locale, nei Consigli giudiziari.

Il quadro che emerge può certo tranquillizzare per ora le preoc- cupazioni dell’on. Leone: troppo vicino nel tempo il pregiudizio, e troppo recente l’ingresso delle donne nella magistratura.

Pregiudizio ancora così attuale che nel 1988 il Presidente della commissione esaminatrice del concorso per uditore giudiziario ha ritenuto di spiegare la massiccia ed anzi ormai maggioritaria presen- za femminile tra i vincitori del concorso per uditori giudiziari col carattere nozionistico dell’esame e con la maggiore attitudine allo sforzo mnemonico delle candidate, sicché il concorso vedrebbe favo- rito chi “pur non eccellendo per brillantezza d’ingegno, presenta mediamente doti di intelligenza e tenacia applicativa” (10).

(18)

4. L’azione svolta dal Comitato.

Non può dubitarsi che il più rilevante fattore di discriminazione per le donne sia costituito dalla maternità, tanto che più che di discri- minazione sessuale si tende a parlare di discriminazione per genere, facendosi così riferimento al ruolo sociale rivestito da persone di sesso diverso in un determinato contesto storico e sociale. Come efficace- mente messo in evidenza dai “gender studies” in materia di diritto di lavoro esistenti a livello comunitario (11), storicamente la legislazione del lavoro si struttura attorno ad un modello di lavoratore che non ha obbligazioni ed obblighi diversi se non verso il datore di lavoro. E dun- que il modello è un uomo privo di obbligazioni sociali di “cura” vuoi verso i bambini, vuoi verso gli anziani (profilo che tende nel tempo, nell’evoluzione della nostra società, ad avere un ruolo vieppiù impor- tante).

È stato quindi sulle donne con i figli che si è appuntata innanzi- tutto l’attenzione del Comitato. In primo luogo sono stati acquisiti i dati tendenti a sfatare un pregiudizio reificante nei confronti delle donne, in ragione della loro funzione riproduttiva, costantemente riproposta da taluni dirigenti degli uffici, dimostrandosi che le assen- ze per maternità non sono responsabili della disfunzionalità degli uffi- ci più delle assenze per malattia e dei periodi di vacanza degli uffici che si verificano in occasione dei trasferimenti. Ma soprattutto pro- muovendo una modifica legislativa che impedisse che alle assenze, comunque motivate, conseguissero disservizi per gli uffici e gli utenti della giustizia.

Si deve al ruolo di stimolo in tal senso svolto dal Comitato l’ap- provazione infine della legge sugli organici aggiuntivi dei magistrati distrettuali (legge n. 48 / 2001 (12)).

Sempre all’iniziativa del Comitato si deve la proposta di modifica delle tabelle di formazione degli uffici giudiziari, avanzata nel dicem- bre 1995, e infine recepita dal C.S.M., affinché si tenga conto della condizione delle donne magistrato incinte o che abbiano figli in tene- ra età, al fine di distribuire – qualitativamente – il carico di lavoro, onde consentire alle stesse di rimanere il più a lungo possibile in ser- vizio o comunque farvi rientro il prima possibile (stante che molti

(11) Oggetto di un seminario tenutosi nel 1993 presso l’Istituto Universitario Europeo dall’eloquente titolo “Le sexe du droit du travail”.

(12) V. L. n. 48/2001, Capo II, artt. 4/8, riportata in appendice.

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degli effetti pregiudizievoli per le donne sono causati dalle assenze for- zose dal servizio) svolgendo attività compatibili, per modi e tempi di organizzazione del lavoro, con la situazione in cui le stesse versano.

Perché lo scopo della legge sulle pari opportunità, nel cui ambito si colloca il Comitato, è non già di una mera protezione del lavoro fem- minile, bensì di stimolo di iniziative, sia a livello di politiche econo- mico-sociali, sia a livello di organizzazione del lavoro, affinché le donne possano avere pari opportunità – per l’appunto – nel lavoro rispetto ai colleghi uomini, che allo stato dell’attuale ruolo sociale svolto dai due generi si vedono avvantaggiati rispetto alle donne, per- ché in misura inferiore occupati nei ruoli di cura, e maggiormente liberi nell’esplicazione della propria personalità nel mondo del lavoro.

Il Comitato è quindi intervenuto in materia di assegnazione di prima sede agli uditori e trasferimenti dei magistrati, stimolando il Consiglio (che ha invero raccolto solo in parte l’invito del Comitato), a dare rilievo, e predisporre soluzioni, per le situazioni familiari delle magistrate, ottenendo l’introduzione di punteggi aggiuntivi per le magistrate madri, specie per il primo triennio di vita del bambino, in cui la necessità di accadimento diretto è più rilevante, specie ove si consideri l’insufficienza di asili nido, in particolare nelle regioni del sud, sovente sedi di prima destinazione degli uditori.

Il Comitato è altresì intervenuto in tema di formazione professio- nale, avendo riscontrato una partecipazione fino al 1992 prevalente- mente maschile agli incontri di studio, la quale, tra l’altro, determina in taluni casi l’attribuzione di punteggi aggiuntivi per i tramutamenti.

È stata così prevista una quota di posti riservata alle donne magistra- to, nonché la possibilità di recupero di incontri persi per cause con- nesse all’accudimento familiare. Attualmente mentre il 44,70% degli uomini non partecipa ad alcun incontro di studio, solo il 21% delle donne non vi partecipa. Si deve a tal proposito tenere presente che tale dato è dovuto in parte alla circostanza che i magistrati più anziani, tra cui pochissime sono le donne, non partecipano, mentre partecipano attivamente le giovani sotto i 35 anni, che sono in percentuale parita-

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Significativi risultati sono stati ottenuti altresì sul fronte dell’ asse- gnazione delle relazioni negli incontri di studio, che precedentemente era riservata in prevalenza a uomini: come rilevato dal Comitato, fra il 1973 e il 1992 su un totale di 1370 relatori solo 66 erano donne: ovve- ro il 4,82%. In proposito si sono sollecitati tutti i colleghi e le colleghe a fornire la propria disponibilità e sono state contattate le università perché individuassero la disponibilità di docenti donne. Oltre all’e- mergere di disponibilità e competenze di colleghe, si è in tal modo sol- lecitato il C.S.M. a tenerne conto e a superare la consuetudine a nomi- nare abitualmente figure maschili. Sollecitazioni analoghe sono state date dal Comitato altresì in tema di composizione, precedentemente pressoché esclusivamente maschile, delle commissioni di concorso per uditori giudiziari. Perché il pregiudizio, padre della discrimina- zione, spesso passa attraverso la non conoscenza.

Inoltre il Comitato ha costituito, e intende continuare ad essere, un punto di riferimento per le colleghe che avvertano particolari pro- blemi nella professione legati all’essere donna.

Non senza riflessi pregiudizievoli è infatti l’essere magistrato sulla vita delle donne: uno studio sociologico del 1991 ha rivelato che le donne magistrato, tra le laureate attive, sono quelle che più frequen- temente vanno incontro a crisi della stabilità della coppia, e sono altre- sì tra le meno prolifiche. Ossia l’inserimento professionale ha sovente un effetto deprimente sulla propensione riproduttiva (14). E, purtrop- po, tali dati sono risultati confermati dall’indagine svolta dal Comita- to per le pari opportunità (15).

È comunque proprio all’iniziativa di singole colleghe, e alle loro segnalazioni, che si devono numerose delibere e risposte del Consiglio a quesiti, contenuti nel presente volume, rispetto ai quali il Comitato ha svolto un ruolo consultivo e propulsivo: con l’auspicio di svolgere sempre più frequentemente ed efficacemente un ruolo siffatto.

5. La diffidenza femminile verso le pari opportunità.

Se da un lato diverse colleghe si sono rivolte al Comitato, dall’al- tro però vi è tutt’oggi una scarsa conoscenza dello stesso e, soprattut-

(14) V. Pocar, Op. Cit. p. 88-89.

(15) I cui risultati costituiscono oggetto del volume monografico n. 97 dei Qua- derni del Consiglio Superiore della Magistratura.

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to, parrebbe esservi una diffidenza diffusa, specie da parte delle più giovani colleghe, verso il Comitato. Diffidenza che sembra dovuta al clima sociale che circonda le donne delle ultime generazioni in rela- zione soprattutto ad una (apparente) eguaglianza tra i sessi. Clima che le porta a percepire come irrilevante, oltre che inutilmente ghettiz- zante una propria connotazione quali “giudici-donna” in luogo di quella asettica ed uniformante di “magistrato” tout court. Tale conno- tazione, in questa logica, sembrerebbe l’unica idonea ad elidere quel- l’attributo di femminilità degradante rispetto al genere maschile che nell’immaginario collettivo tuttora qualifica l’idea sacrale del giudice.

Questo atteggiamento invero – ad avviso di chi scrive, ed ha cre- duto e crede nell’importanza del ruolo del Comitato (del che questo volume è prova) – pecca di difetto di consapevolezza del fatto che i pic- coli e grandi problemi della vita quotidiana di ciascuna, in specie a fronte di impegni familiari, non hanno un mero rilievo individuale ed episodico, ma sono connessi alla propria differenza-specificità, in quanto appartenenti al gruppo “donne-magistrato” anziché a quello

“uomini-magistrato”. E sottende talora un inconscio desiderio di esse- re ammesse a far parte del secondo gruppo con la qualifica di “uomo onorario”, in ragione di propri eventuali meriti individuali, che con- sentano alla singola, a differenza delle altre donne, siffatta assimila- zione.

Sull’opposto versante vi è per contro la possibilità di adoperarsi per il riconoscimento generalizzato dei meriti e delle caratteristiche peculiari dell’essere (ed azzardo il termine) “magistrate”, senza che la femminilizzazione del nome comporti o sia percepita come uno svili- mento della funzione e del ruolo svolto. Risultando di conseguenza chiaro che le donne non reclamano “privilegi” men che mai in danno di altri, ma semplicemente chiedono di essere ammesse, per così dire, al “tavolo delle trattative”, perché non si obliteri l’ovvietà già richia- mata che “l’essere uomini o donne nella nostra società fa differenza”.

Perché nell’organizzazione del lavoro occorre tenerne conto per non regolarlo con norme che in nome del rifiuto di ogni “discriminazione”

(e trascurando la legge n. 125/91 che per contro le imporrebbe a van-

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ve di riuscita di ciascuna: si può a tal riguardo prospettare l’ipotesi che per alcune generazioni di donne magistrato l’ingresso in una profes- sione significativa per rilievo sociale e sicurezza economica sia stato (e possa essere) appagante delle proprie aspirazioni ad un ruolo lavo- rativo e di impegno pubblico, e che ciò abbia indotto a non prefigger- si obiettivi ulteriori. Aspettative che possono forse dirsi soddisfatte per l’assenza di obiettivi ulteriori: salvo indagare se ciò dipenda da un’au- tolimitazione dovuta al carico familiare, a mancanza di autostima o a disinteresse per un determinato tipo di posto di potere. E qui si inne- sca il difficile tema dell’estraneità culturale ai modi propri dell’impe- gno non professionale ma latu sensu politico nella vita pubblica, con i suoi riti, i suoi conflitti, le sue astrattezze tipiche della concezione maschile. E occorre allora chiedersi se abbia un senso un potere che non interessa in quanto tale alla metà del genere umano, e se non sia lo stesso concetto, struttura e ripartizione del potere a dover essere ripensato.

6. Il ruolo delle donne in una magistratura in mutamento.

Ma le donne magistrato hanno fatto, fanno e faranno la differenza?

Per rispondere a questo quesito occorre innanzitutto esaminare quali siano le ragioni della scelta dell’ingresso in magistratura. Sem- plificando la molteplicità delle risposte raccolte sia nelle due ricerche sociologiche citate, sia nella ricerca del Comitato per le pari opportu- nità, la motivazione che più contraddistingue la scelta femminile da quella maschile consiste nella possibilità di intervento nella realtà sociale, nel desiderio di svolgere un ruolo socialmente utile e rilevan- te, sentito con entusiasmo e con forte consapevolezza etico-sociale.

Aspettative che risultano per la maggioranza delle donne deluse dalle modalità concrete di realizzazione del lavoro. In ragione della loro visione della magistratura tra le donne non ha spazio una concezione elitaria; il “potere” viene visto come “mero potere istituzionale sul caso singolo” (16) e viene valorizzato l’orientamento sociale del ruolo, con- cepito innanzitutto come un servizio, delicato ed essenziale. Fare car- riera coincide allora col “fare bene il proprio lavoro”. E se si partisse di qui per ripensare il concetto stesso di potere e i modi di esercizio?

Si può così tracciare un primo profilo che differenzia le donne

(16) Così V. Pocar, op. cit. p. 84.

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magistrato dai colleghi per genere, e che conferma le distinzioni tra etica maschile ed etica femminile tracciate in psicologia nel noto stu- dio di Carol Gilligan, “Con voce di donna” (17). Secondo tale studio le donne vedono se stesse come essenzialmente connesse agli altri, quali membri di una comunità, mentre gli uomini si vedono come essenzial- mente autonomi ed indipendenti dagli altri. Gli uomini affrontano quindi i problemi morali come conflitti tra diritti non compatibili: ben risolvibili con un processo che li contrapponga. Le donne vedono i pro- blemi morali nascere da obbligazioni in competizione l’una con l’altra, e la cosa importante è preservare le relazioni, sviluppando un’etica di cura. Nell’ottica femminile lo scopo non è visto in termini di vincitori e vinti, ma piuttosto in termini di ricerca del miglior risultato possibile per tutte le parti coinvolte nel conflitto, nel dilemma morale.

Si può così azzardare una prima affermazione: le donne magi- strato hanno una maggiore attenzione all’approfondimento del fatto e dei rapporti ed interessi in conflitto, e tendono maggiormente alla mediazione.

Nell’ambito dell’Associazione donne magistrato, fondata nel 1990, e a cui si deve l’istituzione del Comitato, è viva la riflessione sul non appagamento dell’operare secondo gli standard tradizionali; la ricerca di nuovi modelli di impegno, che contestano l’accanimento del pro- cesso e l’individualismo dei diritti, che sono insofferenti al tono com- petitivo del confronto processuale, e propongono il modello della rela- zionalità e della cooperazione, della mediazione degli opposti, della comprensione istituzionalmente perseguita delle ragioni e delle esi- genze che sono alla base del processo, di una più pregnante tensione nella ricerca del vero (18).

Ma, io credo, solo accettando pienamente la propria dimensione femminile, e portandola serenamente nel giudizio, a confronto con valori espressi dal legislatore in un’ottica maschile, le donne magi- strato possono fare la differenza: infondendo nel diritto vivente la comprensione per cosa significhi essere “totalmente umani”, aperti ad un’idea di normalità che non è solo quella dell’uomo, e di una certa

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La differenza che le donne magistrato possono fare, ma solo in quanto rifuggano dall’omologazione al facile modello maschile già dato, erogatore di certezze precostituite sulla base di un mero tecnici- smo giuridico, è allora quella di portare nell’esercizio della giurisdizio- ne una più accentuata attenzione verso valori specifici e la risorsa di una differenziata sensibilità alle questioni da giudicare. Una maggiore attenzione a tutti gli interessi coinvolti nel processo, che ad esempio nel penale non sacrifichi gli interessi della persona offesa a vantaggio delle garanzie dell’imputato o viceversa. Un ruolo riconosciuto espressa- mente dal legislatore con riferimento ai componenti privati dei tribu- nali per i minorenni, e ribadito dalla Corte Costituzionale con l’ordi- nanza 31 maggio 2001 n. 172, di cui significativamente è stata estenso- re l’unica donna che ne faccia e ne abbia fatto parte, Fernanda Contri, che ha espressamente sottolineato l’importanza che “nelle sue decisio- ni il Collegio possa sempre avvalersi del peculiare contributo di espe- rienza e sensibilità proprie del sesso di appartenenza”.

Solo così la loro presenza, unita a quella degli uomini, potrà per- mettere agli organi giurisdizionali di svolgere una più complessa ed elevata capacità di sintesi tra dati testuali e sistema dei valori tutelati dall’ordinamento, desumendo da un lato tali valori dalla complessità del quadro costituzionale, recependo dall’altro lato le esigenze poste dai mutamenti sociali ed adeguando infine il dettato della legge ad una realtà in rapida evoluzione, rifuggendo da pregiudizi e stereotipi cul- turali (19).

E qui si innesta la ricerca e la riflessione avviata dal Comitato sul difficile tema del peso degli stereotipi nel giudizio.

(19) Così G. Luccioli, “Brevi riflessioni sulla funzione di nomofilachia”, in Giudi- cedonna, 1999, 1.6.

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2 – Il ruolo del Comitato e la integrazione del tema della parità nelle leggi

1. Il programma di azione adottato dalla quarta Conferenza mon- diale di Pechino del 1995 (1) ha indicato gli obiettivi strategici e le ini- ziative che i Governi e gli altri soggetti economici e sociali devono assumere e realizzare per un accrescimento del potere di azione delle donne e per un rafforzamento del loro ruolo (empowerment).

In particolare, gli obiettivi strategici G1 e G2 impegnano i 184 Paesi firmatari a promuovere l’accesso paritario e la partecipazione delle donne alle strutture di potere e ai processi decisionali, incre- mentando la loro capacità di assumere ruoli dirigenziali, mentre gli obiettivi strategici H1 e H2 impegnano i Paesi firmatari a creare mec- canismi nazionali o a rafforzare quelli esistenti per il progresso delle donne, nonché ad integrare il tema della parità in leggi, politiche pub- bliche, programmi e progetti, in modo che la prospettiva di genere sia inserita in ogni scelta politica e in ogni azione di governo (mainstrea- ming).

L’inserimento della prospettiva di genere nelle scelte di politica legislativa e di riforma dell’ordinamento implica non solo che il punto di vista delle donne sia tenuto presente nel momento di formazione delle leggi, ma anche che, prima delle decisioni politiche, sia svolta un’analisi sull’impatto dell’intervento normativo e cioè sulle conse- guenze che ne potranno derivare nei confronti rispettivamente delle donne e degli uomini.

Un tema nuovo che in Italia ha portato all’adozione della direttiva Prodi del 27 marzo 1997, emanata anche in attuazione del quarto Pro- gramma di azione sulle pari opportunità dell’Unione europea, con la finalità tra l’altro di rafforzare e adeguare i meccanismi istituzionali del “mainstreaming”, verificare lo stato della legislazione in materia di parità, avviare un processo di riforma finalizzato alla costruzione di un sistema articolato preposto all’attuazione del mainstreaming.

Tale ultimo obiettivo non ha ancora trovato attuazione, almeno nei termini prospettati dalla direttiva Prodi. Il processo di formazione degli

(1) V. Pechino 1995 – Dichiarazione e Programma di azione adottati dalla quarta Conferenza mondiale sulle donne: azione per l’uguaglianza,lo sviluppo e la pace – Pre- sidenza del Consiglio dei Ministri – Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna - 1996.

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atti normativi non prevede, infatti, che i disegni di legge governativi siano accompagnati da una relazione sull’impatto normativo secondo la prospettiva di genere, né una tale relazione è richiesta nell’iter di approvazione delle proposte di legge di iniziativa parlamentare.

Il ricorso al metodo delle audizioni degli organismi di parità e degli altri soggetti impegnati nella politica sociale e sindacale, se vale ad assicurare quel necessario processo di interlocuzione che in mate- ria di parità dovrebbe caratterizzare l’azione di governo (2), non risponde certamente all’esigenza di disporre di un sistema di regole in grado di assicurare una piena ed uniforme applicazione del principio del “mainstreaming “, inserendo la verifica dell’efficienza-efficacia e di valutazione dell’impatto normativo secondo la prospettiva di genere nel processo di formazione delle leggi.

2. Nell’ambito delle proprie competenze istituzionali e nell’intento di contribuire all’attuazione degli obiettivi strategici del Programma di azione di Pechino, il Comitato pari opportunità presso il C.S.M., ancor prima dell’emanazione della direttiva Prodi, ha espresso il proprio parere su alcuni importanti disegni di legge di iniziativa governativa (3), tra i quali il disegno di legge n. 1799/S in materia di funzioni dei magistrati e valutazioni di professionalità comunicato alla Presidenza del Consiglio il 27 novembre 1996; ma già nel corso della seduta del 18 dicembre 1995 il Comitato aveva preso in esame una proposta di rifor- ma legislativa avanzata tempo prima dall’A.D.M.I., di prevedere cioè un nucleo di magistrati supplenti al fine di sopperire alle difficoltà di funzionamento degli uffici giudiziari, determinate dalle assenze dei magistrati a causa di malattia, maternità o per altre cause previste dalla legge.

Infatti, benché il numero delle assenze degli uomini per malattia fosse di gran lunga superiore a quello delle donne per maternità (non fosse altro che per la minore percentuale di donne in magistratura), le

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polemiche, anche di carattere giornalistico, all’epoca investivano sol- tanto le disfunzioni degli uffici dovute alle assenze per maternità, a conferma dell’operare di stereotipi culturali e sottili pregiudizi dai quali non era immune neppure l’assenza obbligatoria per maternità.

La proposta, fatta oggetto di approfondito esame da parte dell’Uf- ficio Studi del C.S.M. su richiesta del Comitato, è stata poi recepita in un disegno di legge più ampio di iniziativa governativa che ha tenuto conto delle successive osservazioni sottoposte dal Comitato alla Com- missione riforma; oggi quella proposta è legge (n. 48/2001), anche se non ancora applicabile in attesa dei provvedimenti di attuazione (4).

Un contributo dunque importante e pienamente in linea con gli obiettivi strategici della piattaforma di Pechino, di cui anzi ha costi- tuito un importante momento di verifica, confermando in modo esem- plificativo la necessità della partecipazione delle donne ai momenti decisionali ed alle scelte di politica legislativa, perché meglio in grado di elaborare risposte ad esigenze che, se non soddisfatte, rischiano di segnare al negativo la presenza delle donne nelle istituzioni, alimen- tando pregiudizi e luoghi comuni ancora largamente diffusi (5).

Un’esperienza che è stata significativa anche perché è valsa a deli- neare la possibile area di intervento del Comitato e a confermare la sua capacità di individuazione delle politiche di genere, attivando pro- cessi di interazione sia tra i suoi membri che con le altre articolazioni del C.S.M. ed in particolare con la Commissione riforma.

3. Tale esperienza è continuata con l’esame del disegno di legge di iniziativa governativa in materia di “funzioni dei magistrati e valuta- zione di professionalità” (n. 1799/S della XIII legislatura), sul quale il Comitato ha espresso un articolato parere, sottolineando in materia di formazione (da attuare attraverso una Scuola della magistratura) che la verifica, finalizzata alla promozione e al miglioramento delle capa- cità professionali del magistrato, si risolveva in realtà in una attività di controllo che rischiava di assumere un carattere burocratico-formale per il rilevante numero di pareri previsti nella vita professionale di un

(4) in G.U.n. 59 del 12 marzo 2001; la legge ha istituito i magistrati distrettuali da destinare alla sostituzione dei magistrati assenti dal servizio.

(5) Forse vale la pena di ricordare che alle esigenze organizzative dell’ufficio, un presidente di tribunale aveva ritenuto di sopperire invitando le donne magistrato a

“programmare” le rispettive maternità, in modo da evitare vuoti di organico, determi- nando la reazione delle interessate e la prima elaborazione di una proposta sui magi- strati supplenti.

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magistrato; il che, se negativo per tutti i magistrati, aveva un costo aggiuntivo per le donne, perché le caricava di un onere di aggiorna- mento individuale non facile da assolvere in presenza di figli in tene- rissima età.

Dunque, si proponeva il parziale decentramento della formazione, da rendere comunque obbligatoria, mentre si sottolineava come il cri- terio di valutazione dell’impegno, inteso come disponibilità per sosti- tuzione e supplenze necessarie al funzionamento dell’ufficio, poteva avere effetti penalizzanti per le donne, già caricate dall’onere di un doppio ruolo, nel lavoro e nella famiglia.

Si suggeriva di puntare sulla flessibilità del lavoro, valorizzando il tempo della maternità e consentendo alla donna magistrato di svolge- re funzioni che non richiedessero una lunga e costante presenza in ufficio.

Quanto alla attitudine alla dirigenza, valutata anche sulla base delle esperienze direttive anteriori e del pregresso svolgimento di una pluralità di funzioni giudiziarie, si osservava che il sistema delineato tendeva all’autoriproduzione e mal si conciliava con la auspicata tem- poraneità degli incarichi direttivi, rendendo di fatto difficile l’accesso per le donne, non solo per l’ancora persistente pregiudizio culturale che riaffiora ogni qualvolta si tratta di affidare un ufficio direttivo ad una donna, ma perché difficilmente una donna magistrato avrebbe potuto far valere pluralità di funzioni giudiziarie, pregressi incarichi direttivi, frequenza di corsi di formazione ed altre esperienze in ipote- si svolte nella prima metà della vita professionale, nella quale l’esigen- za di una presenza familiare è più forte.

Infine, quanto alla distinzione delle funzioni, si osservava in par- ticolare che la incompatibilità distrettuale costituiva uno strumento eccessivamente rigido per risolvere il problema pure esistente della contiguità tra pubblico ministero e giudice e che in ogni caso tale incompatibilità, se rendeva difficile per tutti i magistrati il passaggio dalla funzione requirente alla giudicante, di fatto penalizzava in modo particolare le donne, costrette ad impossibili pendolarismi con il luogo di residenza della famiglia e quindi indotte a rinunciare, oltre

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Molti dei rilievi del Comitato furono fatti propri dalla Commissio- ne riforma e formarono oggetto di dibattito pubblico, segnando un momento significativo di una prassi che nel tempo si è andata conso- lidando, consentendo un approfondimento delle politiche di genere nel sistema giudiziario e nel contempo la diffusione di una presa di coscienza dell’esistenza delle problematiche di genere, talvolta negate anche dalle dirette interessate.

Il disegno di legge ha avuto un lungo iter parlamentare e, con la fine della legislatura, è decaduto, anche se per alcuni punti è stato ripreso dal disegno di legge sulla riforma dell’ordinamento giudiziario 1296/S presentato dall’attuale Governo al Parlamento in data 2 aprile 2001 ed attualmente all’esame della Commissione giustizia.

Alcuni dei suggerimenti proposti dal Comitato hanno nel frattem- po fatto strada, a conferma della concretezza delle esigenze che rap- presentavano, come per esempio l’idea della formazione decentrata che è stata attuata dal C.S.M., mentre le altre questioni esaminate (for- mazione, separazione delle funzioni e relative incompatibilità) hanno formato oggetto del disegno di legge n. 1296/S, sul quale il Comitato non ha ancora espresso il proprio parere.

Ciò che comunque preme sottolineare è non tanto o non solo l’ef- ficacia e la incisività dell’attività del Comitato in materia di verifica delle leggi di riforma dell’ordinamento giudiziario, quanto il contribu- to rilevante dato all’affermarsi di una prassi che rappresenta una spin- ta verso la creazione di regole più puntuali per rendere operante il principio del “mainstreaming”.

4. Certamente non tutte le iniziative del Comitato hanno avuto rapida e positiva conclusione; il che non diminuisce in alcun modo il valore dello sforzo compiuto di colmare un grave vuoto di attenzione verso le politiche di genere nelle riforme ordinamentali.

È ancora pendente la pratica n. 13 del 1998 relativa ai documenti elaborati dalla Commissione Nazionale per la parità e le pari oppor- tunità tra uomo e donna sulla riforma “Bassanini”.

Proprio in relazione alla modifica dell’art. 61 del d.l. 1993 n. 29 introdotta con d.l. 1993 n. 546, secondo la quale le pubbliche ammi- nistrazioni, al fine di garantire pari opportunità alle lavoratrici e ai lavoratori, riservano alle donne un terzo dei posti di componente delle commissioni di concorso, venne infatti trasmessa alla Commissione riforma una proposta di intervento normativo diretta ad introdurre analogo principio per i concorsi per uditore giudiziario.

La proposta, che era diretta ad emendare il disegno di legge sul

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reclutamento dei magistrati in fase di approvazione in Parlamento (poi legge n. 48 del 2001), era supportata da dati significativi sulla scarsa presenza delle donne nelle commissioni di concorso, neppure giustificata in termini di proporzione con le minori disponibilità espresse dalle donne magistrato, nonché dall’esigenza di rendere ope- rative per tutto il settore pubblico le politiche di genere adottate dalla riforma “Bassanini” (7).

Una proposta di cui il C.S.M., nella seduta plenaria del 25 luglio 2000, si limitò a prendere atto, in considerazione del fatto che era già stata attivata la procedura per il concorso poi indetto con D.M.

17.10.2000, sicché ritenne opportuno riservare al prosieguo la valuta- zione della questione, la quale tuttavia non è stata più inserita all’o.d.g.

del Consiglio.

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3 – Il Comitato e il nuovo C.S.M.

1. I tempi ristretti e la rapidità di approvazione del disegno di legge relativo alla riforma del C.S.M., ha impedito che il Comitato esprimesse il proprio parere o comunque fosse convocato in audizio- ne dalla Commissione riforma.

Certamente le modifiche introdotte dalla legge n. 44 del 2002 (1), relative alla composizione del C.S.M. e alla elezione dei componenti da parte dei magistrati ordinari, sono destinate ad aggravare il problema della sottorappresentanza delle donne nell’organo di autogoverno. La invisibilità che da sempre accompagna le donne, non solo nell’area della rappresentanza politica, ma anche degli incarichi con poteri decisiona- li, tocca anche le donne magistrato, da sempre quasi simbolicamente presenti negli incarichi direttivi, nei vertici dell’ANM e nel C.S.M..

Il nuovo sistema elettorale, che nell’intento di superare la divisio- ne in correnti della ANM ha introdotto il collegio unico nazionale e la preferenza unica, rischia infatti di favorire collegamenti ed accordi sotterranei ai quali le donne sono tradizionalmente estranee, riducen- do ancora di più la loro presenza nell’organo di autogoverno della magistratura e segnando in tal modo un arretramento rispetto al pas- sato, già di per sé insoddisfacente.

Se le prossime elezioni confermeranno questa ipotesi, certamente maggiore sarà la responsabilità del Comitato nel rappresentare al Con- siglio la necessità di rendere operante il principio del mainstreaming, attraverso la verifica dei numerosi provvedimenti già in discussione in Parlamento in materia di ordinamento giudiziario, giustizia minorile e giustizia onoraria, nonché nel settore della giustizia civile e penale.

Il fervore riformatore che sta investendo il settore della giustizia e soprattutto la natura e le finalità degli interventi di riforma in corso richiederanno, infatti, un più forte impegno da parte del Comitato per far sì che la prospettiva di genere costituisca uno dei parametri di rife- rimento nel momento in cui si va ad incidere sul modello del giudice minorile, sui criteri per l’accesso in magistratura, sulla formazione e sulla valutazione della professionalità, sulla progressione in carriera e sulla più netta separazione della funzione requirente dalla funzione giudicante.

(1) V. in G.U. n. 75 del 29.3.2002, con il relativo Regolamento di attuazione DPR 16.4.2002 n. 67 in G.U. n. 91 del 18.4.2002.

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Sono alcuni dei temi di particolare rilevanza affrontati dal disegno di legge delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario (n. 1296/S) e dal disegno di legge recante norme urgenti e delega al Governo in materia di diritto di famiglia e dei minori (atto n. 2517/C), approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 1° marzo 2002.

In particolare, la istituzione di sezioni specializzate per la famiglia e per i minori presso i tribunali ordinari e le corti di appello, in sosti- tuzione dei tribunali per i minorenni, tocca davvero un’area che si è andata caratterizzando al femminile, perché, quasi assecondando uno stereotipo culturale ancora operante, la funzione di giudice minorile è oggi esercitata prevalentemente da donne, spesso percepite secondo una immagine protettiva e materna.

Si dovranno pur accertare le ragioni e gli effetti di questa presen- za; si dovrà pur riflettere se l’immagine di diritto “mite” che tale pre- senza diffonde sia un’esigenza che il mondo minorile esprime e che le donne magistrato riescono a cogliere meglio rispetto ai loro colleghi, elaborando risposte più vicine e rispondenti ai bisogni dei minori; sul piano concreto si dovrà pur verificare l’effetto di decentramento che si avrà con la istituzione delle sezioni specializzate e la soppressione dei tribunali per i minorenni che oggi hanno sede nelle città sedi di corte di appello, e ciò sia sotto il profilo della possibile perdita progressiva di specializzazione, da evitare ad ogni costo se si vuole assicurare un futuro alla riforma, sia sotto il profilo della destinazione degli attuali giudici minorili, in gran parte donne e in evidenti difficoltà se costret- te a trasferirsi in tribunali decentrati.

2. Sono questi solo alcuni dei problemi e degli interrogativi che il Comitato dovrà affrontare e a sua volta porre al Consiglio, sollecitan- do un’attenzione alla prospettiva di genere per delle risposte comples- sive che tengano conto del punto di vista delle donne magistrato.

Non meno importante sarà l’impegno che il Comitato dovrà affrontare con riferimento al disegno di legge di revisione dell’art. 51 della Costituzione, approvato dal Consiglio dei Ministri all’inizio della XIV legislatura (n. 1583/C), su proposta del Ministro per le pari oppor-

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quale ha portato ad un forte riequilibrio della rappresentanza nelle elezioni amministrative.

In Italia la proposta di modifica dell’art. 51 Cost. già nel corso della XIII legislatura aveva incontrato forti resistenze all’interno dello stesso movimento delle donne, per ragioni diverse e talune non prive di qualche fondamento.

Si sosteneva, infatti, e si continua a sostenere che la introduzione nella costituzione di un principio di parità significa riprodurre il para- digma della differenza intesa come “minorità”, con la conseguenza che viene a rafforzarsi sul piano culturale quel pregiudizio che invece si vuole contrastare.

La questione è particolarmente delicata, perché la riserva di quota in materia elettorale deve fare i conti con la sentenza n. 422/1995 della Corte Costituzionale, la quale, nel dichiarare la illegittimità costitu- zionale delle disposizioni contenute nelle leggi elettorali del 1993, ha precisato che in materia di elettorato passivo vale la regola dell’asso- luta parità sancita dall’art. 51, primo comma, per cui ogni differenzia- zione in ragione del sesso non può non apparire oggettivamente discri- minatoria, diminuendo per taluni cittadini il contenuto concreto di un diritto fondamentale in favore di altri, appartenenti ad un gruppo che si ritiene svantaggiato.

Un dibattito, in ogni caso, di estremo interesse sul piano costitu- zionale in relazione alle politiche di genere, avviato già dalla sentenza emessa dalla Corte di giustizia europea sul caso Kalanke nell’ottobre 1995 e che ha portato nel corso della XIII legislatura all’approvazione in sede di Commissioni di un testo che poneva la questione in termini di “parità di accesso” (ripetendo la disposizione introdotta in Francia con la legge costituzionale n. 99-569) e non di “pari opportunità”. Un dibattito che dovrà coinvolgere il Comitato, non solo per le specifiche competenze di cui dispone al suo interno, ma anche perché la costitu- zionalizzazione del principio di parità con riferimento all’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive aprirebbe la prospettiva di una riserva di quota anche per le elezioni al C.S.M.: un risultato non di poco conto, se è vero che la nuova legge che modifica le norme sulla composizione del C.S.M. e sulla elezione dei componenti da parte dei magistrati ordinari sembra avere effetti eccessivamente penalizzanti per le donne.

3. Un programma, dunque, denso quello che il Comitato dovrà affrontare nei prossimi anni per il perseguimento di obiettivi di gran- de respiro in materia di mainstreaming, in sintonia con l’obiettivo

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strategico H2 del Programma di Pechino e con la direttiva Prodi del 1997.

Ma proprio la piena attuazione di tale obiettivo richiede un ampliamento degli orizzonti del Comitato, da perseguire mediante l’instaurazione di stabili contatti con gli organismi nazionali, comuni- tari e internazionali.

Va dato atto all’attuale Ministro per le pari opportunità di avere predisposto programmi di incontri periodici con i Presidenti dei vari organismi di parità, al fine di attivare e coordinare iniziative dirette a rendere più incisivo il ruolo dei Comitati nell’ambito delle ammini- strazioni o degli enti di appartenenza.

Un segnale positivo che il Comitato P.O. presso il C.S.M. dovrà cogliere non solo per concorrere alle politiche nazionali di pari oppor- tunità, ma anche per far conoscere l’attività svolta e i risultati conse- guiti, nonché per confrontarsi con altre esperienze, nella consapevo- lezza che molte delle problematiche che accompagnano la vita delle donne magistrato trovano le loro radici in quella condizione femmini- le che accomuna tutte le donne, ostacolandone ancora oggi il cammi- no verso la conquista della piena cittadinanza che si esprime anche attraverso una visibile presenza nelle istituzioni, non solo politiche.

Ma oltre che sul piano nazionale, dovranno essere promossi e ricercati contatti anche con le strutture che, nell’ambito degli organi- smi comunitari, si occupano delle politiche di genere, incentivando nel contempo gli scambi di esperienze anche tra i Paesi membri della Unione.

Sotto tale profilo, l’avere lasciato cadere il programma già predi- sposto per uno scambio di buone prassi nell’organizzazione degli uffi- ci giudiziari, da attuare con parziale finanziamento della U.E. e in col- laborazione con alcuni Paesi membri, sta a significare la scarsa con- sapevolezza della importanza di tali iniziative in un momento in cui la ricerca di modelli di riferimento investe anche il settore della giustizia, in uno scenario di concorrenzialità tra i vari ordinamenti che passa anche attraverso la funzionalità delle strutture giudiziarie.

La crescente integrazione europea, l’esigenza di disporre di stru-

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toriale (v. Regolamento Bruxelles I e II), richiedono cambiamenti nella formazione dei giudici, che va aggiornata, resa più articolata ed aper- ta alle esperienze degli altri Paesi della Unione.

Su tali temi il C.S.M. ha già mostrato di essere sensibile, organiz- zando, anche in anticipo rispetto alla emergenza delle questioni, corsi di formazione aperti a magistrati europei e incentivando la partecipa- zione di magistrati italiani a corsi organizzati da altri Paesi ed in par- ticolare dalla Scuola della magistratura francese.

Rendere le donne partecipi di tali iniziative, promuovere la loro partecipazione a corsi di formazione presso organismi di altri Paesi della U.E., inserire i temi della parità nei programmi dei corsi di for- mazione, diffondere la conoscenza degli strumenti comunitari e inter- nazionali in materia di discriminazione di genere, sono alcuni dei compiti che il Comitato dovrà affrontare nel prossimo futuro, nel- l’ambito delle problematiche di parità di cui è investito per legge.

Un programma che potrebbe sembrare persino eccessivo rispetto alle forze di cui il Comitato può disporre e che invece vale a delineare le prospettive e gli obiettivi di lungo periodo da perseguire, ricercando il necessario coinvolgimento di tutte le donne magistrato, talvolta distratte destinatarie delle iniziative di parità faticosamente portate avanti dal Comitato.

Di fronte a compiti così complessi, sembra retorico chiedersi il perché di un Comitato per le pari opportunità presso il C.S.M., pur non essendo le donne discriminate nella fase di accesso alla magistra- tura e nonostante la loro presenza abbia rapidamente raggiunto la percentuale del 37% su un totale di 8912 magistrati.

In realtà la contraddizione è soltanto apparente, perché le garan- zie proprie della procedura concorsuale, tali da non lasciare spazio a discriminazioni di genere, sia pure indirette, almeno nella fase di ammissione agli esami orali, lasciano tuttavia impregiudicate tutte le problematiche di genere che si ripresentano già all’atto dell’assegna- zione della prima sede agli uditori e che accompagneranno la carriera della donna magistrato, condizionandone l’accesso agli incarichi direttivi e semidirettivi e la presenza negli organismi di vertice della ANM e nell’organo di autogoverno.

Peraltro, proprio i nuovi meccanismi di elezione al C.S.M., se la prossima scadenza elettorale (n.d.r. relazione redatta prima delle ele- zioni 30-6/1-7-2002) confermerà le previsioni di una simbolica presen- za delle donne magistrato nel nuovo C.S.M., nonché i recenti disegni di legge in materia di riforma dell’ordinamento giudiziario, i quali non puntano sulla formazione obbligatoria e periodica, ma sembrano valo-

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rizzare e privilegiare percorsi individuali, secondo modelli del passato che vengono semplicemente riproposti, ed infine la mancanza di un’a- nalisi di impatto normativo di tali riforme secondo la prospettiva di genere, stanno lì a ricordarci che l’obiettivo di parità è ancora lontano e che il cammino è lungo e difficile.

Queste le ragioni che costituiscono la più efficace risposta al per- ché di un Comitato P.O. per le donne magistrato.

Perché è necessario disporre di un organo che sia luogo di elabo- razione delle tematiche di genere e nel contempo centro di elabora- zione di proposte che valgano a liberare il sistema giudiziario da resi- due incrostazioni di genere, ponendosi come punto di riferimento per tutte le donne magistrato.

Quanto più si accrescerà nelle donne magistrato la consapevolez- za dell’importanza delle politiche di genere, tanto più sarà efficace il ruolo del Comitato e la sua capacità propositiva nei confronti del C.S.M..

Un impegno dunque che ha anche il sapore di una sfida, tale è la vastità dei problemi che il Comitato dovrà affrontare e la cui soluzio- ne dipenderà in larga misura dal coinvolgimento e dalla partecipazio- ne della stesse donne magistrato in un momento in cui si vanno riscri- vendo nuove regole e si vanno profilando nuovi assetti in materia di ordinamento giudiziario.

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4 – La presenza delle donne nei processi decisionali

Nel corso delle varie riunioni il Comitato per le Pari opportunità ha preso in considerazione non solo numerose tematiche sulla pro- mozione della parità e l’attuazione di azioni positive, ma anche quel- le sulla mancata attuazione del principio democratico della parteci- pazione equilibrata delle donne e degli uomini al processo decisio- nale.

Nell’ambito di tali riflessioni di carattere generale venivano prese in esame anche le azioni dell’Unione Europea e la mole veramente consistente di risoluzioni, direttive, raccomandazioni dei vari organi- smi europei che più volte si erano pronunciati in proposito.

Nella discussione di un testo contenente una Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea che nel maggio del 1996 era in progress si rilevava che all’interno dei vari “considerando”, tutti diretti a ricordare la necessità della partecipazione delle donne al processo decisionale, ambito nel quale continuavano ad essere sot- torappresentate, veniva fatto riferimento ai settori “politico, econo- mico, sociale e culturale”, mentre mancava il riferimento a quello

“giudiziario” (1).

Veniva condiviso il contenuto della Raccomandazione che invita- va gli Stati membri ad adottare una strategia integrata complessiva volta a favorire la partecipazione equilibrata delle donne e degli uomi- ni all’interno di ogni campo e di sviluppare o istituire misure adegua- te, anche legislative e/o regolamentari di promozione per la realizza- zione di tale obiettivo.

Veniva approvata anche la proposta con la quale si chiedeva di inserire nei vari “considerando” l’espressa indicazione del settore giu- diziario per la funzione di chiara promozione della partecipazione femminile in tale campo di primaria importanza.

Si richiamava la Risoluzione del Parlamento Europeo del 16 set- tembre 1988 che al punto 20 chiedeva “di consentire alle donne di occupare posti di responsabilità nell’ambito del sistema giudiziario”.

L’omissione della Risoluzione del 1996 non aveva giustificazione ed era necessario porvi rimedio.

La seguente proposta veniva trasmessa agli organi competenti.

(1) Il testo della Raccomandazione approvata dal Consiglio dell’Unione europea è riprodotto in appendice.

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