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QUADERNI del Consiglio Superiore della Magistratura

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SEZIONE DISCIPLINARE

MASSIMARIO DELLE DECISIONI

Anni 2000-2001

QUADERNI

Consiglio Superiore della Magistratura del

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QUADERNI DEL

CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Anno 2002, Numero 124

Pubblicazione interna per l’Ordine giudiziario curata dal Consiglio Superiore della Magistratura

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INDICE GENERALE

Corte Costituzionale, sentenza del 13 novembre 2000 . . . Pag. 9

Sezione disciplinare, ordinanza-ricorso del 20 maggio 2000 » 19

Corte Costituzionale, ordinanza del 15 novembre 2000 . . » 27

Corte Costituzionale, sentenza del 17 giugno 2002 . . . » 31

Massimario delle decisioni della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura - Schema di classi-

ficazione. . . » 43

Massimario delle decisioni della Sezione disciplinare del

Consiglio Superiore della Magistratura - Sommario . . . » 45

Appendice normativa . . . » 233

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A V V E R T E N Z A

Il volume contiene l’estratto delle pronunce della Sezione discipli- nare depositate nel biennio 2000-2001.

Le massime relative al primo semestre del 2000 sono state redatte dal prof. Ferruccio Auletta, già magistrato segretario del C.S.M. e della Sezione Disciplinare, ora professore associato di Diritto Processuale Civile presso la Facoltà di giurisprudenza dell’Università degli Studi di Perugia; le massime del secondo semestre dell’anno 2000 e quelle del- l’anno 2001 dalla dott.ssa M. Francesca Loy, attualmente magistrato segretario del C.S.M. addetta alla Sezione disciplinare, che ha curato anche la definitiva sistemazione dei testi e la loro pubblicazione nel- l’attuale veste.

Talvolta la stessa massima può rinvenirsi sotto diverse rubriche ovvero, al contrario, di principi consolidati è indicata soltanto la sen- tenza che ne ha fatta affermazione, seguita da semplici richiami degli estremi di decisioni conformi (evitando in tal modo pedanti ripetizioni).

L’annotazione circa l’esito dell’impugnazione eventualmente pro- posta contro la sentenza massimata vi è soltanto nel caso in cui la stes- sa sia stata cassata entro la data di edizione del presente volume.

Sono state inserite anche tre recenti pronunce della Corte Costi- tuzionale relative a procedimenti disciplinari.

Nel presente volume si omettono le massime relative ai giudici di pace pronunciate prima della modifica introdotta dalla legge n.

468/99, in quanto la citata normativa ha sottratto alla Sezione disci- plinare la competenza sui procedimenti disciplinari a carico dei giu- dici di pace, attribuendola ai Consigli Giudiziari e al C.S.M. in sede amministrativa.

Si è ritenuto, infine, per maggiore comodità del lettore, di inseri- re anche un’appendice legislativa, contenente le norme relative al pro- cedimento disciplinare nei confronti dei magistrati.

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SENTENZA N. 497 ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Cesare MIRABELLI, Presidente - Fernando SANTOSUOSSO - Massimo VARI - Cesare RUPERTO - Riccardo CHIEPPA - Gustavo ZAGREBELSKY - Valerio ONIDA - Carlo MEZ- ZANOTTE - Fernanda CONTRI - Guido NEPPI MODONA - Piero Alberto CAPOTOSTI - Annibale MARINI - Franco BILE - Giovanni Maria FLICK, Giudici

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 34, secondo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guaren- tigie della magistratura), promossi con tre ordinanze emesse il 18 feb- braio 2000 dal Consiglio superiore della magistratura, sezione disci- plinare, rispettivamente iscritte ai nn. 153, 154 e 155 del registro ordi- nanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visto l’atto di costituzione del magistrato incolpato, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 26 settembre 2000 il Giudice rela- tore, Carlo MEZZANOTTE;

udito l’Avvocato dello Stato Gabriella PALMIERI per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di tre procedimenti disciplinari a carico dello stesso magistrato, il Consiglio superiore della magistratura, sezione discipli- nare, ha sollevato, con tre identiche ordinanze emesse tutte il 18 feb-

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braio 2000, questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dell’articolo 34, secondo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura), “nella parte in cui esclude che il magistrato sottoposto a procedimento disciplinare possa farsi assiste- re, per la propria difesa, da un avvocato del libero Foro”.

Nelle ordinanze di rimessione si premette che l’incolpato ha dichiarato di non volersi avvalere della difesa di un magistrato, inten- dendo farsi assistere da un libero professionista, sicché, non potendo, in questa situazione, procedersi alla nomina di un difensore d’ufficio, non gli resterebbe che ricorrere all’autodifesa.

Secondo la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, la questione sarebbe quindi rilevante e non sarebbe ancora stata portata al vaglio di questa Corte, in quanto con la sen- tenza n. 220 del 1994 è stata dichiarata inammissibile analoga que- stione per difetto di rilevanza nel giudizio nel cui ambito il problema era stato sollevato, e, con la successiva sentenza n. 119 del 1995, è stato affrontato il diverso problema dell’autodifesa del magistrato nel procedimento disciplinare.

Ad avviso del remittente, l’art. 24, secondo comma, della Costitu- zione, delineerebbe una nozione ampia del diritto di difesa, che si estenderebbe anche alla garanzia dell'assistenza tecnica. Alla luce di questa interpretazione, sarebbe del tutto naturale fare riferimento allo strumento specificamente preposto a tale scopo, e cioè, in primo luogo, alla difesa assicurata da un avvocato. In tale contesto, tenuto anche conto dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei dirit- ti dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, che garantisce il diritto alla scelta di un difenso- re, potrebbe fondatamente dubitarsi che il divieto posto dall’art. 34, secondo comma, del regio decreto legislativo. n. 511 del 1946 – norma che rifletterebbe un assetto precostituzionale – sia compatibile con il pieno esercizio del diritto di difesa costituzionalmente sancito.

La sezione disciplinare – pur ricordando che, secondo la giuri- sprudenza costituzionale, l’art. 24 della Costituzione non preclude che la disciplina legislativa del diritto di difesa si conformi alle speciali caratteristiche dei singoli procedimenti e che “l’intera vicenda disci- plinare riflette il proprium dell’ordine giudiziario” (sentenza n. 220 del 1994) – osserva che la peculiarità del procedimento disciplinare a cari- co dei magistrati non esclude che, nel suo ambito, l’esercizio del dirit- to di difesa debba esplicarsi con la stessa ampiezza riconosciuta dal- l’ordinamento in altri settori della giurisdizione.

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Il remittente rileva ancora che, se è vero che le norme del codice di procedura penale si applicano al procedimento disciplinare solo in via integrativa per effetto degli artt. 32 e 34 del regio decreto legislati- vo n. 511 del 1946 (sentenza n. 119 del 1995), non sarebbe in ogni caso ragionevole una limitazione del diritto di difesa tale da escludere che l’incolpato, nel suo libero diritto di scelta, possa avvalersi, ove lo riten- ga più opportuno, dell’assistenza di un libero professionista.

In questa prospettiva la disposizione censurata sarebbe in contra- sto non solo con l’art. 24, ma anche con l’art. 3 della Costituzione, in quanto introdurrebbe una ingiustificata disparità di trattamento rispetto al modo in cui può esplicarsi in sede giurisdizionale il diritto di difesa di ogni cittadino.

2. - Nel giudizio relativo ad una delle ordinanze di rimessione (R.O. n. 153 del 2000) si è costituito, a mezzo del suo difensore muni- to di procura speciale, il magistrato sottoposto a procedimento disci- plinare e ha chiesto che la questione venga accolta.

Ad ulteriore conforto dell’inesistenza di un interesse, più o meno pubblico, che precluda ai magistrati incolpati la difesa col ricorso all’assistenza di un avvocato libero professionista, la parte privata ricorda che, in virtù della modifica apportata all’art. 6 della legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), dall’art. 1 della legge 12 apri- le 1990, n. 74 (Modifica alle norme sul sistema elettorale e sul funzio- namento del Consiglio superiore della magistratura), davanti alla sezione disciplinare il dibattito si svolge in pubblica udienza. Conse- guentemente, a suo avviso, non si potrebbe neppure sostenere che esi- stano esigenze di “segretezza” della procedura disciplinare, tali da giu- stificare la scelta, operata dal legislatore del 1946, di precludere al magistrato la facoltà di farsi assistere da un avvocato del libero Foro.

3. - Nei giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei mini- stri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata “inammissibile e comunque infondata”.

L’Avvocatura ritiene che, con la sentenza n. 119 del 1995, questa Corte sia già pervenuta alla conclusione che l’attuale disciplina della difesa del magistrato nel procedimento disciplinare (le cui peculiarità e finalità non consentirebbero la comparazione con il processo pena- le) dia adeguata attuazione all’art. 24 della Costituzione. Il magistrato incolpato potrebbe, infatti, scegliere tra autodifesa e difesa da parte di

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un collega e la sezione disciplinare potrebbe nominargli d’ufficio un magistrato difensore quando, pur avendo scelto di farsi assistere da un collega, non sia riuscito a reperirne uno.

L’Avvocatura rileva che la disciplina delle garanzie difensive appa- rirebbe alla discrezionalità del legislatore, al quale soltanto spettereb- be valutare le speciali caratteristiche dei singoli procedimenti. In pro- posito richiama la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, pur sussistendo una matrice comune nel procedimento a carico dei dipendenti pubblici e in quello a carico dei magistrati, dovendosi in entrambi i casi assicurare l’interesse pubblico al buon andamento e all’imparzialità delle funzioni statali da bilanciarsi con i diritti dei sin- goli, per i magistrati i due termini del bilanciamento assumono una connotazione ulteriore: da un lato, l’interesse pubblico in gioco riguar- da il corretto svolgimento della funzione giurisdizionale (assistito dalla speciale garanzia di indipendenza e autonomia); dall’altro, la tutela del singolo va commisurata alla salvaguardia del dovere di imparzialità e della connessa esigenza di credibilità collegata all’eser- cizio della funzione giurisdizionale (sentenza n. 119 del 1995).

Secondo la difesa dello Stato, proprio le particolari caratteristiche del procedimento disciplinare in esame escluderebbero altresì la vio- lazione dell’art. 3 della Costituzione. Il principio di eguaglianza non sarebbe, infatti, applicabile quando si tratti di situazioni che, pur deri- vando da basi comuni, differiscano tra loro per aspetti particolari, ma quando vi sia omogeneità di situazioni da regolare legislativamente in modo uniforme e coerente. Conseguentemente, la discrezionalità del legislatore nel regolamentare due distinte fattispecie troverebbe l’uni- co limite nella razionalità della diversa disciplina, razionalità che, nel caso in esame, non potrebbe essere negata, attese le peculiarità degli interessi coinvolti nel procedimento disciplinare a carico dei magi- strati.

Considerato in diritto

1. - La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistra- tura, con tre identiche ordinanze in pari data, dubita, in riferimento agli articoli 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, della legitti- mità costituzionale dell'articolo 34, secondo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura),

“nella parte in cui esclude che il magistrato sottoposto a procedimen- to disciplinare possa farsi assistere, per la propria difesa, da un avvo- cato del libero Foro”.

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Ad avviso del remittente, la disposizione censurata, che riflettereb- be un assetto precostituzionale, non sarebbe compatibile con l’art. 24, secondo comma, della Costituzione, il quale delineerebbe una nozione ampia del diritto di difesa, che si estenderebbe alla garanzia dell’assi- stenza tecnica, sicché, anche alla luce dell’art. 6 della convenzione dei diritti dell’uomo, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, sareb- be del tutto naturale fare riferimento allo strumento specificamente preposto a tale scopo, e cioè alla difesa assicurata da un avvocato.

La sezione disciplinare rileva inoltre che le peculiarità del proce- dimento disciplinare a carico dei magistrati non escluderebbero che, nel suo ambito, l’esercizio del diritto di difesa debba esplicarsi con la stessa ampiezza riconosciuta dall’ordinamento in altri settori della giurisdizione. In questa prospettiva, il divieto contenuto nell’art. 34, secondo comma, del regio decreto legislativo n. 511 del 1946 si por- rebbe in contrasto anche con l’art. 3 della Costituzione, per la irragio- nevole limitazione del diritto di difesa e per la ingiustificata disparità di trattamento rispetto al modo in cui può esplicarsi in sede giurisdi- zionale il diritto di difesa di ogni cittadino.

2. - I giudizi vanno riuniti in considerazione dell’identità delle que- stioni proposte con le tre ordinanze di rimessione.

3. - Il tema della difesa del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare è già venuto, nei medesimi termini, all’attenzione di que- sta Corte, che però non ha potuto affrontarlo nel merito. Nella fatti- specie a cui si riferiva la sentenza n. 220 del 1994 si trattava di un incolpato che aveva optato per la difesa da parte di un magistrato, non riuscendo tuttavia a reperire un collega disposto ad assisterlo; sicché la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 del regio decre- to-legislativo n. 511 del 1946, nella parte in cui non consente la nomi- na di un difensore del libero Foro, era, in quel caso, irrilevante ed è stata perciò dichiarata inammissibile. Nella vicenda dalla quale pren- de le mosse l’attuale giudizio di costituzionalità si tratta, invece, di un magistrato che, incolpato in tre distinti procedimenti disciplinari, ha dichiarato di non volersi avvalere della difesa di un collega ma di quel- la di un libero professionista. La questione è pertanto indubbiamente rilevante e deve essere scrutinata nel merito.

4. - La questione è fondata.

Le ragioni che hanno indotto il legislatore a configurare il proce- dimento disciplinare per i magistrati secondo paradigmi di carattere

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giurisdizionale sono state più volte esaminate da questa Corte: da un lato l’opportunità che l’interesse pubblico al regolare e corretto svolgi- mento delle funzioni giudiziarie e lo stesso prestigio dell’ordine giudi- ziario siano tutelati nelle forme più confacenti alla posizione costitu- zionale della magistratura e al suo statuto di indipendenza; dall’altro l’esigenza che alla persona del magistrato raggiunto da incolpazione disciplinare sia riconosciuto quell’insieme di garanzie che solo la giu- risdizione può assicurare (cfr. sentenze nn. 71 del 1995, 289 del 1992 e 145 del 1976).

Ora, riconoscere al magistrato la facoltà di farsi assistere da un difensore del libero Foro, anziché imporgli, quale opzione esclusiva, un difensore “interno” appartenente all’ordine giudiziario, significa trarre alle loro naturali conseguenze le finalità di rango costituziona- le sottese alla giurisdizionalizzazione della responsabilità disciplinare.

5. - La premessa teorica dalla quale occorre procedere è che il regolare e corretto svolgimento delle funzioni giudiziarie e il prestigio della magistratura investono il momento della concretizzazione del- l’ordinamento attraverso la giurisdizione, vale a dire l’applicazione imparziale e indipendente della legge. Si tratta perciò di beni i quali, affidati alle cure del Consiglio superiore della magistratura, non riguardano soltanto l’ordine giudiziario, riduttivamente inteso come corporazione professionale, ma appartengono alla generalità dei sog- getti e, come del resto la stessa indipendenza della magistratura, costi- tuiscono presidio dei diritti dei cittadini.

All’inquadramento concettuale della responsabilità disciplinare secondo logiche corrispondenti all’autentico significato che l’indipen- denza della magistratura assume nel sistema costituzionale (come garanzia dei diritti e delle libertà dei cittadini), si è pervenuti attraver- so un ampio dibattito, che ha visto impegnata anche la magistratura in molte delle sue componenti e che ha propiziato l’abbandono di schemi obsoleti, ereditati dalla legislazione anteriore e ancora attivi dopo l’entrata in vigore della Costituzione, imperniati sull’idea, che rimandava ad antichi pregiudizi corporativi, secondo cui la miglior tutela del prestigio dell’ordine giudiziario era racchiusa nel carattere di riservatezza del procedimento disciplinare. Il punto di arrivo di un tale percorso, politico-istituzionale e culturale ad un tempo, è indivi- duabile nella regola della pubblicità delle udienze disciplinari, antici- pata in via di prassi nella giurisprudenza ispirata ai principi risultan- ti dall’art. 6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, e forma- lizzata, oggi, nell’art. 1 della legge 12 aprile 1990, n. 74. In tale regola

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si manifesta con un massimo di evidenza il totale rovesciamento di quei vecchi schemi ricostruttivi ed emerge nitidamente la stretta cor- relazione tra la nozione di prestigio dell’ordine giudiziario e la credi- bilità dell’esercizio delle funzioni giudiziarie presso la pubblica opi- nione, intesa ovviamente in senso pluralistico nel suo articolarsi in modi di vedere non necessariamente uniformi. Una nozione, quindi, che postula non la segretezza del procedimento disciplinare ma la tra- sparenza, valore portante di ogni sistema autenticamente democrati- co, i cui caratteri sono destinati a riflettersi sulla stessa difesa del magistrato, che non può, a sua volta, non conformarsi alla funzione propria della responsabilità disciplinare e alla sua vocazione a oltre- passare la ristretta cerchia di un corpo professionale organizzato.

Nel mutato contesto che si è venuto dischiudendo, segnato da una crescente consapevolezza dell’ineliminabile compenetrazione dei principi costituzionali sulla magistratura con quelli di pubblicità e tra- sparenza delle funzioni pubbliche, la regola contenuta nella citata legge sulle guarentigie, secondo cui l’incolpato può farsi assistere da un collega, permane, né è rinvenibile alcuna ragione per la quale essa debba venire rimossa. Tuttavia tale regola dismette la sua originaria caratterizzazione corporativa ed assume una ratio diversa, che può essere così esplicitata: la scelta dell’incolpato cade su un collega non in quanto appartenente ad una presunta corporazione di soggetti inte- ressati alla tutela del prestigio dell’ordine giudiziario, ma in quanto ritenuto in possesso dell’idoneità tecnica per assumere una siffatta difesa. Se però la validità della scelta legislativa deve essere misurata sul piano dell’idoneità tecnica del difensore, allora restano prive di qualunque fondamento giustificativo la limitazione ai soli magistrati della sfera dei soggetti legittimati a svolgere l’ufficio difensivo e la con- seguente esclusione degli avvocati del libero Foro, ai quali, a causa del loro specifico statuto professionale, l'attitudine a difendere non può essere disconosciuta.

6. - Tutto ciò appare evidente se si assume a criterio di valutazio- ne l’interesse pubblico al corretto e regolare svolgimento delle funzio- ni giurisdizionali e al prestigio dell’ordine giudiziario. Se poi ci si col- loca nella prospettiva della persona incolpata e del suo diritto di dife- sa, è egualmente chiaro che la pienezza della tutela giurisdizionale non può trovare in tale interesse pubblico un controvalore con il quale debba essere bilanciata. Al contrario, tale tutela è anche funzionale alla migliore e più efficace realizzazione di quell’interesse. Il massimo di incisività delle garanzie accordate al magistrato sottoposto a proce-

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dimento disciplinare, infatti, non può che convertirsi in una altrettan- to incisiva tutela del prestigio dell’ordine giudiziario e del corretto e regolare svolgimento delle funzioni giudiziarie. Ebbene, proprio dal punto di vista del singolo incolpato, il procedimento di cui è questio- ne, come tutti i procedimenti disciplinari potenzialmente incidenti sullo status professionale, tocca la posizione del soggetto nella vita lavorativa e coinvolge quindi beni della persona che già richiedono, di per sé, le garanzie più efficaci. Ma con riferimento ai magistrati l’esi- genza di una massima espansione delle garanzie difensive si fa, se pos- sibile, ancora più stringente, poiché nel patrimonio di beni compresi nel loro status professionale vi è anche quello dell’indipendenza, la quale, se appartiene alla magistratura nel suo complesso, si puntua- lizza pure nel singolo magistrato, qualificandone la posizione sia all’interno che all’esterno: nei confronti degli altri magistrati, di ogni altro potere dello Stato e dello stesso Consiglio superiore della magi- stratura. È anzi, questo, uno dei punti nevralgici dell’insieme dei rap- porti che fanno capo al magistrato incolpato: davanti alla sezione disciplinare, tanto più se si tiene conto della mancata tipizzazione legislativa degli illeciti, il diritto di difesa, a partire dalla prima delle facoltà che esso racchiude, quella della scelta del difensore, deve esse- re configurato in modo che nello stesso incolpato e nella pubblica opi- nione in nessun caso possa ingenerarsi il sospetto, anche il più remo- to, che il procedimento disciplinare si trasformi in uno strumento per reprimere convincimenti sgraditi o per condizionare l’esercizio indi- pendente delle funzioni giudiziarie.

Vi è quindi stretta correlazione tra l’indipendenza del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare e la facoltà di scelta del difen- sore da lui ritenuto più adatto, sicché limitare quest’ultima facoltà significa in definitiva menomare in parte anche il valore dell’indipen- denza. Spetterà semmai al magistrato, in relazione alla singola vicen- da disciplinare, decidere se sia più conveniente l’assistenza di un col- lega ovvero quella di un difensore esterno, che potrebbe essere repu- tato più efficiente anche eventualmente in considerazione della sua posizione di estraneità all’ordine giudiziario e del suo non essere sog- getto ad alcuno dei poteri del Consiglio superiore della magistratura.

7. - A riprova dell’incongruenza della disciplina può ulteriormen- te osservarsi che, permanendo il censurato art. 34, secondo comma, del regio decreto legislativo n. 511 del 1946, l’incolpato deve obbliga- toriamente servirsi di un avvocato iscritto all’albo speciale per il patro- cinio innanzi alle magistrature superiori nell’eventuale successivo giu-

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dizio davanti alle sezioni unite della Cassazione, e che, in caso di acco- glimento del suo ricorso con rinvio alla sezione disciplinare, egli dovrebbe necessariamente tornare all’autodifesa o all’assistenza di un collega, con un dispendio di energie difensive del quale non è ravvisa- bile alcun fondamento giustificativo.

Se dunque si ha riguardo all’insieme dei profili connessi alla que- stione di costituzionalità, la conclusione è che, nel procedimento davanti alla sezione disciplinare, la difesa del magistrato deve potersi dispiegare nella sua pienezza, la quale non può dirsi raggiunta se al magistrato è negata la possibilità di avvalersi dell’apporto difensivo di un avvocato del libero Foro.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 34, secondo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guaren- tigie della magistratura), nella parte in cui esclude che il magistrato sottoposto a procedimento disciplinare possa farsi assistere da un avvocato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palaz- zo della Consulta, il 13 novembre 2000.

F.to: Cesare MIRABELLI, Presidente F.to: Carlo MEZZANOTTE, Redattore F.to: Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in cancelleria il 16 novembre 2000.

Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA

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ORDINANZA-RICORSO di promovimento del giudizio

per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato

La Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratu- ra, composta da:

Prof. Giovanni VERDE, presidente

Prof. Mario SERIO, avv. Graziella TOSSI BRUTTI, dott. Sergio MATTONE, dott. Achille TORO, dott. Gianfranco GILARDI, dott.

Agnello ROSSI, dott. Ippolisto PARZIALE, dott.ssa Margherita CAS- SANO, componenti

– riunita in camera di consiglio nel corso dell’udienza del 20 mag- gio 2000, fissata per la discussione orale del procedimento disciplina- re n. 33/2000 R.G. (stralcio dal procedimento n. 71/99 R.G.), promos- so con atto del 13 luglio 1998 dal Ministro della giustizia nei confron- ti del dr. A. G., magistrato fuori del ruolo organico della magistratura attualmente in aspettativa per mandato parlamentare perché Senato- re della Repubblica, per le seguenti incolpazioni:

1. OMISSIS

2. della violazione del dovere di diligenza di cui all’art. 18 R.D.Lgs 31.5.1946, n. 511, in relazione alla gestione del procedimento n.

1238/93/21, (c.d. “procedimento contenitore”) per avere:

a) omesso di informare i colleghi che lo avrebbero sostituito sullo stato del procedimento, particolarmente complesso e con proprie caratteristiche strutturali, con indagini informatizzate in corso e con un inizio di informatizzazione del procedimento, con la predisposi- zione di collegamenti fra vari documenti e dati, con possibilità di più chiavi di lettura.

b) disposto la cancellazione da tutti i computers, utilizzati perso- nalmente e dà parte dei suoi collaboratori, del programma fornito, dal consulente G. e di quello predisposto dal M.llo P., nonché di tutti i dati immagazzinati, restituendo solo (dopo varie richieste) singoli files di documenti istruttori, così creando un oggettivo danno alla futura gestione del procedimento.

3. In relazione alle modalità di conduzione del procedimento

“SIAF” (n. 2941/96/21 a carico di MÒLLICA Domenico + 256), della violazione del dovere di diligenza di cui all’art. 18 R.D.Lgs. 31.5.1946,

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n. 511 per avere, in qualità di Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Messina, prima sollecitato la trasmissione degli atti al proprio ufficio da parte della Procura presso il Tribunale di Reggio Calabria, poi riunito tali ponderosi atti (257 indagati con oltre 170 richieste di misure cautelari già formulate dal P.M. reggino) a quelli del procedimento “contenitore”, quando ormai erano a scaden- za i termini per le indagini preliminari, e di seguito trascurato le sorti del procedimento, che, solo dopo oltre due anni dalla riunione (e gra- zie all’iniziativa del dott. B. e del dott. L. subentrati al dott. G.), veni- va trasmesso – senza il compimento di alcun atto di indagine – alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Patti (e quindi nelle medesime condizioni nelle quali era giunto a Messina), omettendo poi di espletare e/o delegare attività di indagine alcuna e per avere omesso di adottare provvedimenti dopo che per entrambi i procedi- menti erano abbondantemente scaduti i termini per le indagini preli- minari.

4. Dell’incolpazione di cui all’art. 18 R.D.Lgs. 31.5.1946 n. 511, per avere il medesimo, già Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Messina, attualmente fuori ruolo per mandato parla- mentare, frequentato con carattere di continuità o comunque di non occasionalità MÒLLICA Antonio, personaggio che, in considerazione dei suoi precedenti penali e giudiziari (in passato anche al vaglio dello stesso dott. G.) è da ritenersi di dubbia fama, con conseguente grave compromissione del proprio prestigio e di quello dell’Ordine Giudi- ziario, anche per eventuali possibili sospetti di precedente parzialità nell’espletamento di attività giudiziaria.

5. Dell’incolpazione di cui all’art. 18 R.D.Lgs. 31.5.1946 n. 511, per avere violato il principio del dovere di piena e leale collaborazione del Magistrato, con riferimento alle prospettazioni dal medesimo rappre- sentate alla Commissione Parlamentare Antimafia, in sede di inchie- sta relativa ai rapporti intercorsi con il MÒLLICA.

Segnatamente per avere, nel corso dell’audizione espletata nei giorni 23/24 febbraio 1998 dinanzi alla Commissione Parlamentare Antimafia riunitasi presso la Prefettura di Messina fornito dichiara- zioni non corrispondenti alla effettiva realtà:

“Ma soprattutto quel che è sorprendente ... è che, come risulta da certificati che mi sono stati prodotti dallo stesso MÒLLICA, non solo egli è incensurato, non ha riportato alcuna condanna, ma da certifica- ti dei carichi pendenti rilasciati dalle Procure siciliane, da Palermo a Messina – bastava solamente quello di Patti perché i pregiudizi/vengo- no iscritti a Patti – non risulta iscritto al registro generale per fatti di

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mafia. Risulta iscritto per gli articoli 323 e 353 del codice penale, abuso e turbativa: un solo processo.

Dato che svolgo attività politica in Sicilia, giro la Sicilia, e ho gira- to per le elezioni amministrative in comuni come quello di Patti. Mi si dice che al mio comizio c’erano anche degli indagati: Quel comizio riguardava il sindaco; noi avevamo dei candidati in una lista insieme con Popolari e ho partecipato, con altri deputati, a un comizio in corso di svolgimento. In un ambiente piccolo come questo si possono incon- trare tante persone e non c’era alcun motivo, incontrando MÒLLICA, per non stringergli la mano. MÒLLICA, guardate caso, non aveva col- laborato con me ma aveva iniziato la sua collaborazione con il collega R., assistito dal maresciallo P., il 21 novembre 1994. Da me era stato sentito solo due volte, per gli appalti del comune di Casalvecchio, essendosi lui stesso presentato spontaneamente a seguito di una infor- mazione di garanzia. Questo è l’addebito sulla mia mafiosità”.

6. Dell’incolpazione di cui all’art. 18 R.D.Lgs. 31.5.1946 n. 511, per aver gravemente compromesso l’immagine e il prestigio dell’Ordine Giudiziario e dell’Amministrazione della Giustizia, facendo un ricorso ingiustificato a sedi non istituzionali per l’espletamento di atti d’uffi- cio, ripetutamente e senza valida motivazione in [OMISSIS] Milano, con conseguenti costi per le trasferte del Magistrato, delle persone convocate da Messina e del personale al seguito, così tra l’altro procu- rando danno per l’erario ed esercitando i poteri del P.M. oltre i limiti della correttezza, con grave compromissione del prestigio del Magi- strato e della immagine dell’Amministrazione della Giustizia.

– sentito il relatore, prof. Mario SERIO;

rilevato

– che nei confronti del dr. A. G. il Presidente della Sezione disci- plinare del C.S.M., all’esito dell’istruzione sommaria del Procuratore generale presso la/Corte suprema di Cassazione, ha emesso, con rife- rimento alle precedenti incolpazioni e nell’ambito dell’unico procedi- mento, decreti dispositivi della discussione orale in data 10 giugno 1999 (capi 2 lett. b), 3, 4 e 5) e 1 luglio 1999 (capi 2 lett. a) e 6 secon- da parte);

– che, con nota del 2 agosto 1999, il Procuratore generale presso la Corte suprema di Cassazione ha rimesso a questo Giudice, “a segui- to degli atti del procedimento disciplinare a carico del senatore A. G., già trasmessi per la trattazione orale”, nota – con allegati – del Presi-

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dente del Senato della Repubblica, il quale informa che il Senato della Repubblica, nella seduta del 29 luglio l999, ha deliberato di approvare la proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, che consiste:

“a) Nel ritenere che i fatti attinenti al punto 2, lettere a) e b) del- l’incolpazione elevata nei confronti del senatore G., per aver omesso di informare sullo stato delle indagini i colleghi che lo avrebbero sosti- tuito per il procedimento cosiddetto “contenitore”, e per aver disposto la cancellazione di dati dai computers, concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e rica- dono, pertanto, nell’ipotesi di cui all’articolo 68, primo comma, della Costituzione;

b) Nel ritenere che i fatti attinenti al punto 4 della medesima incolpazione, per avere il senatore G. frequentato con carattere di con- tinuità Antonio MÒLLICA, personaggio di dubbia fama a causa dei suoi precedenti penali e giudiziari, concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e ricado- no pertanto nell’ipotesi di cui all’articolo 68, primo comma, della Costituzione;

c) nel ritenere che i fatti attinenti al punto 5 dell’incolpazione sud- detta, per aver violato il principio di piena e leale collaborazione del magistrato, con riferimento alle dichiarazioni rese dal senatore G. alla Commissione parlamentare antimafia in sede di inchiesta relativa ai rapporti intercorsi con il MÒLLICA, concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e ricado- no, pertanto, nell’ipotesi di cui all’articolo 68, primo comma, della Costituzione”;

considerato

– che la Sezione disciplinare del C.S.M. ha legittimazione a solle- vare conflitto, in quanto organo giurisdizionale, in posizione di indi- pendenza costituzionalmente garantita, competente a dichiarare defi- nitivamente la volontà del potere cui appartiene nell’esercizio delle funzioni attribuitegli (v., ad es., sent. n. 289/1998);

– che, parimenti, deve essere riconosciuta la legittimazione del Senato della Repubblica ad essere parte del conflitto, quale organo competente a dichiarare in modo definitivo la propria volontà in ordi- ne alla applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione (v., tra le tante, sent. n. 379/1996);

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– che la Sezione disciplinare del C.S.M. lamenta la lesione della propria sfera di attribuzione, costituzionalmente garantita a norma dell’art. 105 Cost., in conseguenza di un esercizio, che – nei limiti di cui alla motivazione che segue – si reputa illegittimo per inesistenza dei relativi presupposti, del potere spettante alla Camera di apparte- nenza del parlamentare di dichiarare l’insindacabilità di alcune delle attività da lui poste in essere (e ciò ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost.);

osserva

1. Il Senato ha considerato”ricad[enti] ... nell’ipotesi di cui all’art.

68, primo comma Cost.” i fatti di cui ai punti 2 – lettere a) e b) –, 4 e 5 dell’incolpazione elevata nei confronti del dr. A. G..

La Sezione disciplinare del C.S.M. aveva, per suo conto e con deci- sione del 25 giugno 1999, passata in giudicato, già dichiarato escluso l’addebito limitatamente al capo 1) dell’incolpazione e non doversi procedere quanto al capo 6) prima parte dell’incolpazione (relativa agli atti di indagine compiuti dall’incolpato, sostituto procuratore della Repubblica, nella sede non istituzionale in Torre del Lauro) per- ché l’azione disciplinare non è stata proposta nei termini di legge.

Di conseguenza, il dr. G. va comunque sottoposto a giudizio per ciò che riguarda i capi 3) e 6) seconda parte dell’incolpazione.

2. Il Senato ha considerato che concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni le seguen- ti attività:

a) avere omesso di informare sullo stato delle indagini i colleghi che lo avrebbero sostituito, dopo la sua elezione a senatore, nella con- duzione di un processo c.d. “contenitore” (punto 2 lett. a) dell’incol- pazione);

b) aver disposto la cancellazione di dati dai computers e relativi a detto processo (punto 2 lett. b) dell’incolpazione);

c) aver frequentato con carattere di continuità Antonio MÒLLICA, personaggio di dubbia fama a causa dei suoi precedenti penali e giu- diziari (punto 4 dell’incolpazione);

d) aver reso dichiarazioni alla Commissione parlamentare anti- mafia in sede di inchiesta relativa ai rapporti intercorsi con il MÒLLI- CA (punto 5 dell’incolpazione).

3. In particolare, il Senato ha premesso che “l’irresponsabilità per

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le opinioni espresse si estende anche alle attività compiute dal parla- mentare in sede diversa dalla Camera di appartenenza, a condizione che siano inscindibilmente collegate e strumentali al mandato parla- mentare” e che “il dovere di consegna, la cui violazione è oggetto di contestazione disciplinare, sempre che sia un istituto applicabile al magistrato, scatta solo nel momento in cui quest’ultimo lasci definiti- vamente l’ufficio di appartenenza e sempre che altra norma non lo esenti o meglio ancora lo vieti”. Ha, quindi, affermato che le frequen- tazioni da parlamentare e le opinioni espresse nel corso dei lavori di una commissione parlamentare rientrano “a pieno titolo nella garan- zia di insindacabilità degli atti e dei comportamenti del membro del Parlamento a tutela della funzione politica che egli ha il diritto-dove- re di esercitare”. E, per ciò che riguarda la mancata collaborazione e la mancata consegna dei computers, ha osservato che, fino alla sua elezione, il senatore G. non aveva tale dovere (peraltro, in fatto irrile- vante essendo il processo co-assegnato) e che, dopo la sua elezione, egli non poteva compiere alcuna attività che si sarebbe concretata in un’interferenza con l’ordine giudiziario e in esercizio di attività giudi- ziaria divenutagli estranea.

Così che egli si sarebbe astenuto dal compierla sulla base di una

“valutazione squisitamente politica, fondata sull’interpretazione del principio di divisione dei poteri e dell’autonomia e libertà della fun- zione parlamentare costituzionalmente garantita”.

4. Secondo il costante insegnamento della Corte costituzionale si deve verificare l’esistenza del nesso “funzionale” fra l’attività, su cui deve svolgersi il giudizio della Sezione disciplinare, e l’esercizio del mandato da parte del parlamentare.

La Sezione disciplinare ritiene che questo nesso sussista soltanto relativamente al punto 5 del capo di incolpazione, rispetto al quale dovrà pronunciarsi decisione di non doversi procedere.

Ritiene, invece, che non sussista per gli altri capi di incolpazione.

In punto di fatto va considerato che al dr. G. si imputa una con- dotta non collaborativa e addirittura concretantesi in ostacolo alla normale conduzione delle indagini, là dove la deliberazione del Sena- to prende in considerazione una mera mancata consegna. Va, inoltre, considerato che le frequentazioni con il MÒLLICA risalgono, secondo il capo di incolpazione, ad epoca anteriore alla elezione del medesimo dr. G. a senatore.

In punto di diritto, poi, spetta alla Sezione disciplinare del C.S.M., a norma dell’art. 105 Cost., stabilire se il dr. G., prima della sua ele- zione a senatore, non avesse alcun obbligo di collaborazione con i col-

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leghi dell’ufficio e se abbia ostacolato di fatto il normale svolgimento delle indagini. Così come, sempre in punto di diritto, spetta alla Sezio- ne disciplinare del C.S.M. accertare se sia censurabile la ipotizzata fre- quentazione di un magistrato con un personaggio, che nel capo di incolpazione è definito “di dubbia fama”, risalente ad epoca anteriore alla elezione del dott. G..

Ciò a tacere della osservazione che, relativamente al punto 2 la motivazione del Senato appare contraddittoria: fin quando il dr. G.

era magistrato in attesa di essere eletto senatore non vi era alcun obbligo coercibile da parte sua di collaborare con il suo ufficio, essen- do rimesso alla sua valutazione discrezionale la scelta sul comporta- mento da tenere; dopo l’elezione, addirittura vi è un dovere di non collaborare, per non interferire in attività giudiziarie a cui è diventa- to estraneo.

Qui è evidente la confusione fra il dovere di collaborare, mettendo a disposizione dei colleghi il patrimonio di conoscenze acquisite nel- l’esercizio della pregressa attività giurisdizionale, e il dovere di non interferire, astenendosi dal compiere ulteriore attività (positiva) di indagini.

5. Sulla base delle esposte considerazioni la Sezione ritiene che non ci sia legame funzionale tra le attività di cui ai punti 2 e 4 del capo di incolpazione e il mandato parlamentare del senatore G..

PQM

La sezione disciplinare del C.S.M. visti gli artt. 37 l. 11 marzo 1953 n. 87 e 26 Norme integrative per i giudizi davanti la Corte costituzio- nale;

propone

conflitto di attribuzione nei confronti del Senato della Repubblica in relazione alla deliberazione presa da Quest’ultimo in data 29 luglio 1999 e, conseguentemente, chiede che la Corte costituzionale – previo riconoscimento dell’ammissibilità del conflitto – dichiari che non spetta al Senato della Repubblica ritenere ricadenti nell’ipotesi di cui all’art. 68, primo comma, Cost. i fatti di cui ai punti 2 – lett. a) e b) – e 4 dell’incolpazione disciplinare (in epigrafe riportata) nei confronti del senatore A. G., annullando la medesima deliberazione in parte qua;

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dichiara

la sospensione del procedimento disciplinare n. 33/2000 R.G. relativa- mente ai capi di incolpazione per i quali viene qui proposto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato e fino alla risoluzione del conflitto;

dispone

procedersi oltre nella discussione per i cap. 3) e 6) seconda parte del- l’incolpazione;

decide

come da separato provvedimento in relazione al capo 5) dell’incolpa- zione;

manda alla Segreteria per gli adempimenti di rito.

Roma, 20 maggio 2000

Il Presidente Il Magistrato segretario

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ORDINANZA N. 530 ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori

– Cesare MIRABELLI Presidente

– Fernando SANTOSUOSSO Giudice

– Massimo VARI ”

– Cesare RUPERTO ”

– Riccardo CHIEPPA ”

– Gustavo ZAGREBELSKY ”

– Valerio ONIDA ”

– Carlo MEZZANOTTE ”

– Fernanda CONTRI ”

– Guido NEPPI MODONA ”

– Piero Alberto CAPOTOSTI ”

– Annibale MARINI ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di ammissibilità del conflitto tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera del Senato della Repubblica del 29 luglio 1999 relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dal senatore A. G., promosso dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, con ricorso depositato il 25 maggio 2000 ed iscritto al n.

157 del registro ammissibilità conflitti.

Udito nella camera di consiglio dell’11 ottobre 2000 il Giudice relatore Valerio ONIDA.

Ritenuto che, con “ordinanza-ricorso” del 20 maggio 2000, depo- sitata nella Cancelleria della Corte il 25 maggio 2000, la sezione disci- plinare del Consiglio superiore della magistratura ha proposto conflit-

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to di attribuzione nei confronti del Senato della Repubblica in rela- zione alla deliberazione dell’Assemblea del 29 luglio 1999, con la quale si è ritenuto che concernono opinioni espresse da un membro del Par- lamento nell’esercizio delle sue funzioni, e ricadono pertanto nell’am- bito della insindacabilità di cui all’art. 68, primo comma, della Costi- tuzione, determinati fatti oggetto di giudizio disciplinare davanti alla predetta sezione nei confronti del dott. A. G., magistrato fuori ruolo in aspettativa per mandato parlamentare perché senatore della Repub- blica;

che la ricorrente premette di essere legittimata a sollevare conflit- to in quanto organo giurisdizionale, in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, competente a dichiarare definitivamen- te la volontà del potere cui appartiene, nell’esercizio delle funzioni ad esso attribuite; e lamenta la lesione della propria sfera di attribuzione, costituzionalmente garantita a norma dell’art. 105 della Costituzione, in conseguenza di un esercizio illegittimo, per inesistenza dei relativi presupposti, del potere spettante alla Camera di appartenenza del par- lamentare di dichiarare l’insindacabilità di alcune delle attività da lui poste in essere;

che, secondo la ricorrente, tra le attività contestate al magistrato, già Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Mes- sina, e che il Senato ha dichiarato concernere opinioni espresse nell’e- sercizio delle funzioni di parlamentare – attività consistenti rispettiva- mente nell’avere omesso di informare sullo stato delle indagini i colle- ghi che lo avrebbero sostituito, dopo l’elezione a senatore, nella con- duzione di un procedimento, nell’aver disposto la cancellazione dal computer di dati relativi a detto processo, nell’aver frequentato con continuità un personaggio di dubbia fama per i suoi precedenti pena- li e giudiziari, e nell’aver reso dichiarazioni alla commissione parla- mentare antimafia in sede di inchiesta relativa ai rapporti intercorsi con detto personaggio – solo l’ultima sarebbe caratterizzata da nesso funzionale con l’esercizio del mandato di parlamentare, mentre tale nesso non sussisterebbe per gli altri fatti: onde la sezione chiede alla Corte di dichiarare che non spetta al Senato ritenere tali fatti ricaden- ti nell’ipotesi di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione, annullando in parte qua la relativa deliberazione parlamentare.

Considerato che in questa sede la Corte è chiamata, a norma del- l’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, a delibare, senza contraddittorio, se esista “la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza”;

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che la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratu- ra, in sede di giudizio sulle incolpazioni mosse ai magistrati, esercita, in posizione di indipendenza, una attribuzione costituzionalmente spet- tante al medesimo Consiglio ai sensi dell’art. 105 della Costituzione, nel- l’ambito di un procedimento cui la legge ha conferito caratteri giurisdi- zionali (cfr. sentenze n. 289 del 1992; n. 71 del 1995 e n. 497 del 2000), essendo le relative pronunce soggette solo ad impugnazione davanti alle Sezioni unite della Corte di cassazione (art. 17, terzo comma, della legge 24 marzo 1958, n. 195); che il Senato della Repubblica è legittimato ad essere parte del conflitto, essendo competente a dichiarare in via defi- nitiva la volontà del potere che rappresenta; che, sotto il profilo oggetti- vo, la ricorrente lamenta la menomazione di una propria sfera di attri- buzione, garantita da norme costituzionali, ad opera di una delibera parlamentare, denunciata come illegittima, concernente l’applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione; che possono ritenersi dunque, in questa sede di prima delibazione, sussistenti i requisiti di un conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato, riservata ogni pronuncia definitiva, anche in ordine alla ammissibilità del ricorso, con particola- re riguardo ai profili – per la prima volta all’attenzione di questa Corte, e che è opportuno le parti possano fare oggetto di considerazione in contraddittorio – concernenti la configurabilità della sezione ricorrente, ai fini del conflitto e della relativa legittimazione a proporlo, come orga- no assimilabile a quelli giurisdizionali, per la difesa di attribuzioni costi- tuzionalmente spettanti agli organi della giurisdizione, ovvero come articolazione funzionalmente autonoma dell’organo Consiglio superio- re della magistratura, titolare della attribuzione costituzionale relativa all’adozione dei provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati (art. 105 della Costituzione), ovvero ancora come portatrice di entram- be queste posizioni; nonché la spettanza della legittimazione proces- suale a proporre il ricorso alla sezione disciplinare in quanto tale o al Consiglio superiore della magistratura nel suo plenum; che dal ricorso è dato ricavare le ragioni del conflitto e le norme costituzionali che rego- lano la materia (art. 26, primo comma, delle Norme integrative per i giu- dizi davanti alla Corte costituzionale).

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione proposto dalla

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sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura nei confronti del Senato della Repubblica, con l’atto indicato in epigrafe;

dispone:

a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza alla ricorrente sezione disciplinare del Con- siglio superiore della magistratura;

b) che, a cura della ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati al Senato della Repubblica, in persona del suo Presi- dente, entro trenta giorni dalla comunicazione di cui sub a), per esser successivamente depositati, con la prova dell’avvenuta notifica, presso la cancelleria della Corte entro il termine fissato dall’art. 26, terzo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costi- tuzionale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palaz- zo della Consulta, il 15 novembre 2000.

Presidente

Redattore

Cancelliere

Depositata in cancelleria il 22 novembre 2000.

Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA

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SENTENZA N. 270 ANNO 2002

REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo italiano LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

– Cesare RUPERTO Presidente

– Massimo VARI Giudice

– Riccardo CHIEPPA ”

– Gustavo ZAGREBELSKY ”

– Valerio ONIDA ”

– Fernanda CONTRI ”

– Guido NEPPI MODONA ”

– Piero Alberto CAPOTOSTI ”

– Annibale MARINI ”

– Franco BILE ”

– Francesco AMIRANTE ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera del Senato della Repubblica del 29 luglio 1999 relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dal senatore A. G., promosso con ricorso della Sezione disciplinare del Consiglio supe- riore della magistratura, notificato il 27 novembre 2000, depositato in cancelleria il 1° dicembre 2000 ed iscritto al n. 55 del registro conflit- ti 2000.

Visto l’atto di costituzione del Senato della Repubblica;

udito nell’udienza pubblica del 9 aprile 2002 il Giudice relatore Valerio Onida;

uditi l’avvocato Alessandro Pace per la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura e l’avvocato Stefano Grassi per il Senato della Repubblica.

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Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza-ricorso del 20 maggio 2000, depositata presso la cancelleria della Corte costituzionale il 25 maggio 2000, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha sollevato conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato, chiedendo che la Corte, previo riconoscimento dell’ammissibilità del conflitto, dichiari che non spetta al Senato della Repubblica ritenere insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, i fatti di cui ai punti 2, lettere a e b, e 4 dell’incolpazione disciplinare (proc. n. 33/2000 R.G, stralcio dal proc. n. 71/99 R.G.) nei confronti del senatore A. G., al momento della sollevazione del conflitto magistrato collocato fuori dal ruolo organico della magistratura, in aspettativa per mandato par- lamentare, e di conseguenza annulli in parte qua la deliberazione del Senato del 29 luglio 1999.

L’ordinanza-ricorso dà conto dei sei punti dell’incolpazione per cui la Sezione disciplinare procede nei confronti di A. G., su azione del Ministro della giustizia, dei quali qui interessano, in particolare: il punto 2, con il quale gli viene contestata “la violazione del dovere di diligenza di cui all’art. 18 del r.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 511, in rela- zione alla gestione del procedimento n. 1238/93/21 (cd. “procedimen- to contenitore”) per avere: a) omesso di informare i colleghi che lo avrebbero sostituito sullo stato del procedimento, particolarmente complesso e con proprie caratteristiche strutturali, con indagini infor- matizzate in corso e con un inizio di informatizzazione del procedi- mento, con la predisposizione di collegamenti fra vari documenti e dati, con possibilità di più chiavi di lettura; b) disposto la cancellazio- ne da tutti i computers, utilizzati personalmente e da parte dei suoi collaboratori, del programma fornito dal consulente G. e di quello pre- disposto dal M.llo P., nonché di tutti i dati immagazzinati, restituendo solo (dopo varie richieste) singoli files di documenti istruttori, così creando un oggettivo danno alla futura gestione del procedimento”; il punto 4, con cui si contesta al dott. G. l’incolpazione di cui allo stesso art. 18 del r.d.lgs. n. 511 del 1946, “per avere il medesimo, già Sostitu- to Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Messina, fre- quentato con carattere di continuità o comunque di non occasionalità Mòllica Antonio, personaggio che, in considerazione dei suoi prece- denti penali e giudiziari (in passato anche al vaglio dello stesso G.) è da ritenersi di dubbia fama, con conseguente grave compromissione del proprio prestigio e di quello dell’Ordine Giudiziario, anche per eventuali possibili sospetti di precedente parzialità nell’espletamento

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dell’attività giudiziaria”; il punto 5, con cui gli si contesta l’incolpazio- ne di cui al medesimo art. 18, “per avere violato il principio del dove- re di piena e leale collaborazione del Magistrato, con riferimento alle prospettazioni dal medesimo rappresentate alla Commissione parla- mentare antimafia, in sede di inchiesta relativa ai rapporti intercorsi con il Mòllica. Segnatamente, per avere, nel corso dell’audizione nei giorni 23/24 febbraio 1998 dinanzi alla Commissione parlamentare antimafia riunitasi presso la Prefettura di Messina fornito dichiara- zioni non corrispondenti alla effettiva realtà” (seguono, nell’ordinan- za-ricorso, le dichiarazioni del dott. G.).

La Sezione disciplinare ricorda poi che il 2 agosto 1999, a seguito della fissazione e dello svolgimento della discussione orale, tenutasi nelle date del 10 giugno e 1° luglio 1999, il Procuratore generale della Corte di cassazione ha rimesso alla stessa Sezione una nota, con alle- gati, del Presidente del Senato della Repubblica, la quale informa che il Senato, nella seduta del 29 luglio 1999, ha deliberato di approvare la proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, con cui si riteneva che i fatti attinenti al punto 2, lett. a e b, al punto 4 e al punto 5 dell’incolpazione concernessero opinioni espresse da un mem- bro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e ricadessero, per- tanto, nell’ipotesi di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione.

La Sezione disciplinare ricorrente considera che le si deve ricono- scere la legittimazione a sollevare conflitto fra poteri, in quanto orga- no giurisdizionale in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, competente a dichiarare definitivamente la volontà del pote- re a cui appartiene; e che al Senato della Repubblica deve parimenti essere riconosciuta la legittimazione ad essere parte del conflitto in ordine all’applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

e lamenta la lesione della propria sfera di attribuzione, costituzional- mente garantita a norma dell’art. 105 della Costituzione, in conse- guenza dell’illegittimo esercizio da parte del Senato del potere di dichiarare l’insindacabilità ai sensi dell’art. 68 stesso.

Dopo avere escluso l’addebito relativamente al capo 1 dell’incol- pazione, per esercizio tardivo dell’azione disciplinare, e osservato che il dott. G., anche a seguito della delibera di insindacabilità relativa ai punti 2, lett. a e b, 4 e 5 dell’incolpazione stessa, va comunque sotto- posto a giudizio per ciò che riguarda i capi 3 e 6, seconda parte, del- l’incolpazione, la Sezione, ricordando il costante insegnamento della Corte costituzionale, ritiene di dover verificare l’esistenza del “nesso funzionale” fra l’attività, su cui deve svolgersi il giudizio della Sezione medesima, e l’esercizio del mandato del parlamentare, e conclude che

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questo nesso sussiste soltanto relativamente al punto 5 dell’incolpa- zione, in relazione al quale si pronuncia quindi con decisione di non doversi procedere.

Il nesso funzionale non sussisterebbe, invece, con riguardo agli altri capi di incolpazione, e cioè ai punti 2, lett. a e b, e 4 dell’incolpa- zione medesima.

In punto di fatto, si considera che in sede disciplinare al dott. G. è contestata una condotta non collaborativa, concretantesi in un osta- colo alla normale conduzione delle indagini, mentre la deliberazione del Senato prenderebbe in considerazione una mera mancata conse- gna (dei files con i documenti istruttori); e che le frequentazioni con il Mòllica risalirebbero, secondo il capo di incolpazione, ad epoca ante- riore alla elezione del medesimo dott. G..

In punto di diritto, si afferma che spetterebbe alla Sezione disci- plinare del Consiglio superiore della magistratura, a norma dell’art. 105 Cost., stabilire se il dott. G., prima della sua elezione a senatore, non avesse alcun obbligo di collaborazione con i colleghi dell’ufficio e se abbia ostacolato di fatto il normale svolgimento delle indagini, e accer- tare se sia censurabile la ipotizzata frequentazione con un personaggio, che nel capo di incolpazione è definito “di dubbia fama”, risalente all’e- poca anteriore alla elezione al Senato dello stesso magistrato. La Sezio- ne aggiunge, relativamente al punto 2, che la motivazione del Senato apparirebbe contraddittoria, ed evidenzierebbe la confusione, operata dal Senato stesso, fra il dovere di collaborare con i colleghi, mettendo a disposizione il proprio patrimonio di conoscenze, e il dovere di non interferire, astenendosi dal compiere ulteriore attività positiva di inda- gine: il Senato avrebbe infatti affermato che fin quando il dott. G. era magistrato in attesa di essere eletto non avrebbe avuto alcun obbligo di collaborare con l’ufficio, e che dopo l’elezione avrebbe avuto addirittu- ra l’obbligo di non collaborare, per non interferire in attività giudizia- rie a cui era divenuto estraneo.

2. - Il conflitto è stato dichiarato ammissibile con l’ordinanza n.

530 del 2000. L’ordinanza-ricorso introduttiva del presente giudizio è stata notificata al Senato della Repubblica, unitamente all’ordinanza di ammissibilità, il 27 novembre 2000 e depositata presso la cancelle- ria della Corte costituzionale il 1° dicembre 2000.

3. - Si è costituito nel giudizio davanti alla Corte il Senato della Repubblica, chiedendo che il conflitto sia dichiarato inammissibile o comunque infondato, e depositando numerosi documenti.

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Sulla notifica dell’ordinanza-ricorso, il Senato nota che essa risul- ta “richiesta come in atti”, senza che si possa ricavare con certezza quale organo abbia formalizzato la richiesta di notificazione, la quale – ai sensi della lettera b del dispositivo dell’ordinanza n. 530 del 2000 – doveva essere effettuata a cura della ricorrente: sicché si potrebbe dubitare che il ricorso sia stato formalmente instaurato dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.

Quanto alla ammissibilità del conflitto, il Senato sostiene l’assen- za della legittimazione soggettiva dell’organo ricorrente a essere parte nel conflitto di attribuzione tra poteri. La Sezione disciplinare, infatti, sul piano oggettivo, contesta la menomazione, da parte della delibera del Senato, del potere di adottare provvedimenti disciplinari nei con- fronti dei magistrati. Ma tale potere sarebbe attribuito dall’art. 105 della Costituzione al Consiglio superiore della magistratura nel suo complesso, e non alla Sezione disciplinare.

Il riconoscimento dei caratteri giurisdizionali del procedimento disciplinare, effettuato dal legislatore e dalla giurisprudenza costitu- zionale, non implicherebbe la spettanza alla sola Sezione disciplinare della formale titolarità del potere né della legittimazione processuale a far valere la titolarità del potere in sede di conflitto di attribuzione davanti alla Corte: tale riconoscimento, infatti, sarebbe stato effettua- to ai soli fini della garanzia dell’interesse pubblico al corretto e rego- lare svolgimento delle funzioni giurisdizionali, del prestigio dell’ordi- ne giudiziario nonché della tutela del diritto di difesa della persona incolpata. L’assimilazione del procedimento disciplinare ad un proce- dimento di tipo giurisdizionale sarebbe stata effettuata dalla Corte “ai limitati fini” della legittimazione a sollevare il giudizio in via inciden- tale sulla legittimità costituzionale delle norme che la Sezione disci- plinare è tenuta ad applicare nel corso del procedimento. Le norme che attribuiscono carattere giurisdizionale al procedimento discipli- nare non configurerebbero una violazione delle norme costituzionali relative al divieto di istituzione di giudici speciali, proprio perché non introdurrebbero con legge ordinaria un organo ad hoc, ma si limite- rebbero a trasferire al Consiglio superiore della magistratura lo svol- gimento di un’attività già prevista con dettagliata disciplina dall’ordi- namento giudiziario previgente alla norma costituzionale.

In definitiva, il riconoscimento della legittimazione a proporre con- flitto di attribuzione alla Sezione disciplinare implicherebbe l’individua- zione, accanto al plenum del Consiglio superiore della magistratura, di un ulteriore organo autonomo, che invece i Costituenti non hanno intro- dotto ed al quale non hanno espressamente attribuito la competenza.

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Il difetto di legittimazione soggettiva della Sezione disciplinare si manifesterebbe in particolare sul piano processuale: nel caso, la deci- sione di proporre il conflitto sarebbe spettata al collegio, e questo avrebbe dovuto essere rappresentato, nel processo costituzionale, dal suo Presidente che – quale espressione di unità dell’organo – avrebbe dovuto presentare, in tale veste, anche formalmente, il ricorso.

Quanto al merito del conflitto, il Senato nota che la deliberazione dell’Assemblea ha recepito in modo completo e senza alcuna voce di dissenso la proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità par- lamentari. La dichiarazione di insindacabilità si collegherebbe in modo implicito, ma chiaramente ricavabile dalla relazione della Giun- ta, alla tutela della posizione di indipendenza che il parlamentare deve acquisire rispetto agli organi con i quali, prima dell’assunzione delle funzioni di parlamentare, ha stabilito e mantenuto un rapporto di ser- vizio. Nel caso di specie la dichiarazione di insindacabilità impliche- rebbe il riconoscimento di un diritto del parlamentare, strettamente connesso con il suo status, e cioè quello di interpretare liberamente il suo ruolo di rappresentante del corpo elettorale, scindendo in modo totale questa sua attività – in applicazione del principio di libertà del mandato di cui all’art. 67 della Costituzione ed in attuazione del dirit- to di cui all’art. 51, terzo comma, della Costituzione – dal permanere formale dell’appartenenza all’ordine giudiziario ed all’ufficio rispetto al quale si è verificata la situazione di aspettativa. L’interpretazione della irresponsabilità parlamentare dovrebbe essere in altri termini estesa – nel caso di specie – alla tutela della posizione del parlamenta- re e dei suoi comportamenti, come espressione dell’autonomia delle Camere nei confronti dei poteri o degli organi dai quali eventualmen- te il parlamentare possa dipendere.

4. - Nell’imminenza dell’udienza pubblica del 9 aprile 2002, la ricor- rente Sezione disciplinare ha presentato una memoria illustrativa, depositando alcuni documenti e insistendo per l’accoglimento delle con- clusioni formulate nell’ordinanza-ricorso introduttiva del conflitto.

In rito, la memoria sottolinea, da una parte, la configurabilità della Sezione disciplinare come organo giurisdizionale a tutti gli effet- ti (preesistendo tale organo alla Costituzione ed essendo stato sotto- posto a revisione dalla legge n. 195 del 1958), e la conseguente spet- tanza ad esso del potere di difendere le proprie attribuzioni in sede di conflitto tra poteri dello Stato; dall’altra, la legittimazione processua- le della stessa Sezione a proporre ricorso per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato.

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Nel merito, la memoria afferma la sindacabilità in sede discipli- nare dei comportamenti del senatore G. oggetto della delibera di insin- dacabilità, in quanto non sarebbero opinioni espresse nell’esercizio di funzioni parlamentari quelli che, in fatto e in diritto, sono soltanto inadempimenti di elementari doveri di un magistrato che il colloca- mento in aspettativa (prima, ma anche dopo l’elezione) non fa venire meno.

Infatti, tali comportamenti commissivi ed omissivi sarebbero stati posti in essere dal dott. G. prima della sua elezione a senatore della Repubblica; ed anche quando fossero stati posti in essere in epoca posteriore, ad essi non si applicherebbe comunque l’art. 68, primo comma, della Costituzione, poiché il collocamento in aspettativa del magistrato non recide il legame con l’amministrazione di appartenen- za, né fa venire meno l’obbligo di informare i colleghi succeduti nel- l’incarico e di consegnare loro tutti i files contenenti documenti istrut- tori. Inoltre, secondo la recente giurisprudenza costituzionale, ai fini dell’affermazione dell’insindacabilità parlamentare non sarebbe suffi- ciente che i fatti contestati costituiscano genericamente “attività poli- tica”, e quindi cadrebbero, anche sotto questo profilo, gli argomenti del Senato.

5. - Ha depositato memoria anche il Senato della Repubblica, insi- stendo affinché la Corte dichiari inammissibile il ricorso e comunque accerti che spetta al Senato dichiarare che le opinioni espresse dal senatore G., oggetto del procedimento disciplinare, sono assistite dalla garanzia dell’insindacabilità.

In punto di ammissibilità del conflitto, secondo il resistente non si può ritenere né che la Sezione disciplinare sia assimilabile ad un orga- no giurisdizionale, anche alla luce della pregressa giurisprudenza costituzionale; né che la stessa sia configurabile come articolazione funzionalmente autonoma del Consiglio superiore della magistratura, titolare dell’attribuzione costituzionale relativa all’adozione dei prov- vedimenti disciplinari, a causa del profilo unitario e complessivo del- l’organo, che solo in quanto tale potrebbe porsi in diretta relazione con gli altri organi previsti o presupposti dalla Costituzione; né, infi- ne, che la Sezione sia in grado di rappresentare il Consiglio superiore nel giudizio costituzionale.

Nel merito, il Senato nota che la teoria del “nesso funzionale” non escluderebbe aprioristicamente né che si possa prescindere dalla

“sede” parlamentare, né che le funzioni del parlamentare possano essere valutate nel complesso del sistema democratico-rappresentati-

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vo. I comportamenti del senatore G., di chiaro significato politico, in definitiva, sarebbero espressione di una puntuale e legittima opinione sul rapporto che sussiste tra mandato parlamentare, da un lato, e aspettativa dal servizio di magistrato, dall’altro.

Considerato in diritto

1. - La Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magi- stratura, investita di un procedimento disciplinare nei confronti di un magistrato della Procura della Repubblica di Messina, all’epoca in aspettativa perché candidato e poi eletto al Parlamento, ha sollevato conflitto di attribuzioni nei confronti del Senato della Repubblica chiedendo l’annullamento della deliberazione del 29 luglio 1999 con la quale l’assemblea ha dichiarato che i fatti, oggetto di alcuni dei capi di incolpazione a carico di detto magistrato, concernono opinioni espres- se da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, e ricadono pertanto nell’ambito della insindacabilità di cui all’articolo 68, primo comma, della Costituzione.

La deliberazione del Senato si riferisce a tre dei capi di incolpa- zione a carico del magistrato, concernenti, rispettivamente, l’addebito di avere omesso di informare i colleghi che lo avrebbero sostituito nella conduzione di un processo sullo stato del procedimento medesi- mo e di avere disposto la cancellazione dai computer di dati relativi a detto processo; l’addebito di avere frequentato con carattere di conti- nuità una persona da ritenersi di dubbia fama in considerazione dei suoi precedenti penali e giudiziari; e quello di avere reso alla Com- missione parlamentare antimafia, in sede di inchiesta relativa ai pre- detti rapporti, dichiarazioni non corrispondenti alla effettiva realtà.

La Sezione ritiene che il nesso funzionale fra l’attività oggetto del giudizio disciplinare e l’esercizio del mandato parlamentare sussista solo per il terzo dei ricordati addebiti (dichiarazioni alla Commissio- ne antimafia) e non sussista invece riguardo ai fatti oggetto degli altri due addebiti, affermando che spetta all’organo disciplinare stabilire se il magistrato incolpato non avesse alcun obbligo di collaborazione con i colleghi dell’ufficio prima della sua elezione a senatore, e se egli abbia ostacolato di fatto il normale svolgimento delle indagini, come pure accertare se sia censurabile la ipotizzata frequentazione, risalen- te ad epoca anteriore all’elezione in Parlamento, di un personaggio definito “di dubbia fama”. Essa dunque solleva conflitto di attribuzio- ni impugnando la deliberazione del Senato limitatamente ai due capi concernenti tali addebiti.

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