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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze. 1951, Anno 10, n.1, marzo

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MARZO 1951 P u b b licazion e trim estrale Anno X • N. 1 Spedizione in abbonamento postale - Gruppo IV

RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO

E S C I E N Z A D E L L E F I N A N Z E

(

e

RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO FINANZIARIO)

D I R E Z I O N E : L U I G I E I N A U D I

Membro onorario

ACHILLE D. GIANNINI BENVENUTO GRIZIOTTI

(2)

Pubblicazione sotto gli auspici

--- della C a m e r a di C o m m e r c i o di P a v i a

La Direzione - Redazione è a Pavia, Istituto di Finanza presso l’Università e la Camera di Commercio, Strada Nuova n. 65, presso il Prof. Benvenuto Griziotti, al quale devono essere inviati manoscritti, bozze corrette, cambi, libri per recensione in duplice copia, ece.

Redazione corrispondente in Roma presso Prof. Cesare Cosciani, Via Cesare Battisti 121, p. I l i, Roma e presso Prof. Gian Antonio Micheli, Via del Ba- buino 89, Roma.

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cialisti ed a II Diritto fallimentare e delle società commerciali, editi dalla Casa Dott. A. Giuffrè.

A i collaboratori saranno inviati gratuitamente 30 estratti dei loro saggi. Copie supplementari eventualmente richieste all’atto del licenziamento delle bozze verranno fornite a prezzo di costo. La maggiore spesa per le correzioni sti aor­

(3)

INDICE - SOMMARIO

p a r t e p r i m a

DOTTRINA - APPUNTI E RASSEGNE p0j7.

Angelo' Costa-Benvenuto Gr izio tti- Come ridurre i costi fiscali sulla prò- g p B ^DebLilis - L’influenza dei cambiamenti monetari sull’imposizione . 22 CANNINO Parravicini - Debito pubblico, reddito, occupazione . . . . <*> Renzo Po m in i - La considerazione dell’interesse del contribuente nello stu- ^

dio degli effetti dei t r i b u t i ... ' ' Ac h ill e Salerni - Contributo alla teorica del « solve et repete » m bas

allo stato della legislazione e della giurisprudenza anche sotto il nfles- ^ so costitu zio n a le... ' ‘ ’ Br u n o Gi u s t i - Imposta di famiglia e termini del procedimento di ac- ^

.

... .. ‘

Calogero Benttvenga- Le « maggiori spese » e la loro contabilizzazione nel ^

rendiconto generale dello S t a t o ...'

GIOVANNI Bu z z e i t i - Diritto processuale tributario - Rassegna critica !» ^ g iu r is p r u d e n z a ...

BIBLIOGRAFIA - RASSEGNA DI PUBBLICAZIONI RECENTI (segue a p. II)

P A R T E S E C O N D A GIURISPRUDENZA

Francesco Forte - Realtà economica e capacità giuridica tributaria nella

imposizione in R.M. delle Casse Autonome di Previdenza . Lu ig i Napolitano- L’accertamento del reddito degli istituti di credito che ^

gestiscono e s a t t o r i e ...

Antonio Verde-rio- Imposta di ricchezza mobile e privilegio speciale . . A, Lu ig i Raggi- Privilegi per i crediti di R.M. Oat. C-2 - Procedimento di ac- ^

certamento e p r o c e s s o ...

be n v e n u to Grizio tti- L ’imposta del reddito agrario sulle attività connesse ^

alla tabacchicoltura . . .

Federico Maffezzont - Intorno alla o.d. imposta di r e i r o c e s . s i ^ «KÌlc sen tenze di annullamento degli atti soggetti ad imposta di registro . . 45 Aster Rotondi - L’enfiteusi e Vari. 28 della vigente legge del registro . . 55 Renzo Po m in i- La natura tributaria delle percentuali a favore della Sepral

sui prezzi dei prodotti immessi al consum o...

(4)

— II —

P A R T E P R I M A (seguito) 1

RECENSIONI ’ i

V. Franchini - Oli indirizzi e le realtà del settecento economico romano (Cesare C o s c i a n i ) ... 83 Cesare Cosoiani - La finanza pubblica italiana nel dopoguerra (Renzo

P o n i m i ) ...81 Willy Spiess - Die Schweizerische Steuerpolitik unter dem Gesichtspunkl

der Vollbeschaftigung (Fulvia C a r e n a )...86

A. G. Mo Bain - Practical Notes on tlie Income Tax Lam (Francesco Forte) 87 L ouis Trotabas - Les nouvelles tendances de l’impôt sur le revenu (Renzo

P o m i n i ) ...87

O. Pentolini - Il contributo di miglioria (Francesco Forte) . . . . 89 Franco Minnœti - I riflessi fiscali della svalutazione monetaria (France­

sco F o r t e ) ...89 RASSÉGNA DI PUBBLICAZIONI R E C E N T I...91

P A R T E S E C O N D A (seguito) SENTENZE E DECISIONI ANNOTATE

R.M. - Soggetti passivi - Patrimonio di diritto o di fatto - Mancanza di personalità giuridica - Tassazione in cat. A degli interessi dei contri­ buti di previdenza. (Cass., sez. I, 3 sett. 1947, n. 1559). (Con nota di F. Forte) ... 3 R.M. - Reddito di cat. B di esattorie gestite da istituti bancari - Accerta­

mento separato. (C. Centr., sez. un., 18 luglio 1949, n. 5594). (Con nota di L. Napolitano) ... 12 R.M. - Privilegio speciale - Ipoteca su autoveicolo - Prevale il privilegio.

R.M. - Privilegio speciale - Limitazione all’anno in cui l’esattore pro­ cede o interviene nell’esecuzione.

Esecuzione immobiliare - Creditori privilegiati - Intervento tardivo - Limiti. (Trib. Cremona, 5 agosto 1950). (Con nota di A. Vebderio) . 26 R.M. - Cat. C-2 - Imprenditore - Sostituto d’imposta - Privilegio - Non

compete - Ruolo suppletivo - Pendenza del procedimento d’accerta­ mento - Rapporto di esazione - Conferimento di poteri. (Trib. Perugia, sez, I, 25 luglio 1950). (Con nota di L. Raggi) ...31 Reddito agrario - Lavorazione e manipolazione del tabacco prodotto nel

fondo proprio - Imponibilità. (Comm. Distr. Piacenza, sez. I, 23 ott. 1950). (Con nota di B. Griziotti) ...39 Registro - Donazione immobili - Mandato speciale non per atto pubblico -

Sentenza elle dichiara la nullità della donazione - Imposta proporzio­ nale di retrocessione. (C. Centr., sez. VI, 12 maggio 1949, n. 3309). (Con nota di F. Maffezzoni) ...45 Registro - Concessione in enfiteusi - Accertamento valore a norma dei­

pari. 30 della legge di registro, n. 3269 - Ammissibilità. (Comm. Prov. Avellino, 29 giugno 1950, n. 13). (Con nota di A. Rotondi) . . . . 55 Imposte e tasse - Criterio per l’identificazione della natura tributaria del­

(5)

— Ili —

I N D I C E P E R M A T E R I A

AVVERTENZA. — I singoli tributi sono collocati in ordine alfabetico, secondo la loro denominazione specifica (per es. Imposta di Ricchezza Mobile, si cerchi sotto Ricchezza Mobile (Imposta di), Tassa sulle insegne sotto Insegne (Tassa sulle) ecc.). I numeri sono quelli delle massime del Massimario, ad ec­ cezione di quelli in corsivo che rinviano alla prima pagina delle sentenze e decisioni annotate.

Autorità giudiziaria

Previo ricorso amministrativo, 73. Questione d’imposta, 94.

Ricorso in Cassazione, 96, 97, 98, 90,

100.

V. anche Processo tributario, Solve et repete.

Bollo

Atti non bollati, 77, 78.

Complementare (Imposta... sul reddito) Moglie legalmente separata dal ma­

rito, 110. Commissioni amministrative Appello incidentale, 95. Audizione personale, 19, 95. Competenza, 79, 80. Domanda di rinvio, 82.

Gravame con indirizzo erroneo, 81. Ricorso sottoscritto da procuratore,

102.

Rogatoria di determinazione valore, 81.

Consumo (Imposta di) Ammenda, 49, 52, 57.

Appalto servizio di riscossione per licitazione privata, 39.

Bolletta di accompagnamento, 41, 44, 119, 125.

Cauzione di abbonamento, 45. Domanda di oblazione, 53.

Estrazione generi da deposito, 121, 124.

Prode, 120, 123.

Generi extratariffa, 47, 48, 85. Giudizio di primo grado, 43. Grossista, 41.

Imposta straordinaria su tessuti e confezioni, 42.

Interesse ad agire del consumatore,

86. Maiali, 59.

Manuale coltivatore, 60.

Materiali da costruzione, 46, 50, 51, 54, 55, 58, 62, 63, 64.

Olio puro di cocco, 61.

Percentuali della Sepral sui generi immessi al consumo, 63.

Produttore consumatore, 122, 126. Regime a pagamento differito: con­

dizioni, 40.

Ricorso con indirizzo erroneo, 87. Ricorso tardivo al Prefetto e deciso,

88.

Sequestro automezzo, 123.

Sospensione esecuzione provvedimen­ to impugnato, 90, 91.

Termini ricorso di primo grado, 89. Trasformazione materia prima, 56. Trasporto mobili amministrazione

statale, 119.

V. anche Solve et repete. Contenzioso tributario

V. Autorità giudiziaria, Commissioni amministrative, Processo tributario. Contrabbando

Automobili straniere in uso a citta­ dini italiani, 113,

D.B. 7 maggio 1948, n. 726, 116. Dolo, 114.

Revoca gerenza rivendita tabacchi, 117.

(6)

Violazioni diritti licenza import, ed esport., 115.

Dogana

Spedizioniere, 38.

Entrata (Imposta generale sulla) Addizionale straordinaria di guer­

ra, 36.

Competenza commissioni, 79, 80, 82. Contenzioso, 81.

Determinazione annuale dell’entra­ ta, 82.

Ente economico della zootecnia, 36. Falsa dichiarazione pagamento a

mezzo c.c.p., 127.

Pagamento per beneficiare del con­ dono, 36, 81.

Penale, 82.

Relazione con l’imposta di registro, 79.

Somme percette dalla R.S.I., 111,

112.

V. anche Solve et repete. Fabbricazione (Imposta di)

Giacenze spiriti e prodotti alcooli- ci, 37.

Fondiaria (Imposta)

Presupposti per l’azione giudiziaria, 73.

Ipotecarie (Imposte)

Trasmissione mortis causa scorte vi­ ve e morte, 35.

Leggi penali finanziarie Amnistia, 118. Condono, 129.

Evasione addizionale prezzo tessili, 130.

Finanza locale, 128.

Incompetenza per materia, 130. V. anche Contrabbando. Monopolio

Natura dell’entrata, 118.

Produzione e vendita abusiva tabac­ co, 118.

Processo tributario Litispendenza, 104.

Motivazione sentenza contradditoria o insufficiente, 103.

Notifica appello a più appellati, 101. V. anche Autorità giudiziaria, Com­ missioni amministrative, Solve et repete.

Prefitti di guerra e di contingenza Criteri per l’applicazione del tribu­

to, 7.

Forme del giudizio, 8. Profitti di regime

Amministratore beni di cittadini di razza ebraica, 5.

Appello incidentale, 3. Deduzioni, 4.

Forniture al tedesco invasore, 2. Gerarchi fascisti, 6. Prova, 3. Sanzioni, 3. Registro Accertamento valore, 76. Agevolazioni, 9, 11, 12, 19, 21. Atti non registrati, 10, 23, 24, 26,

27, 28, 29.

Autorizzazione amministrativa, 16. Cooperative, 21.

Danni per mancata registrazione, 24. Donazione immobiliare con mandato

non per atto pubblico, 14. Edificio distrutto dalla guerra e ri­

costruito, 19. Edilizia popolare, 12. Enfiteusi, 55.

Ente zolfi, 11.

Esenzione per famiglie numerose, 9. Fusione di società, 20.

Relazione con l’i.g.e., 79. Retrocessione, io.

Rimborsi, 10, 16, 18, 22, 25. Rinnovazione di scritture private,

23, 28.

Trasferimento patrimonio sociale immobiliare, 17.

Uso in giudizio di atti non registra­ ti, 30, 31.

Usufrutto, 15.

Valore di beni mobili trasferiti sta­ bilito per legge, 76.

(7)

Ricchezza mobile

Avviso accertamento sprovvisto di firma, 75.

Esattoria gestita da Istituti banca­ ri, 12.

Fondo di previdenza, 3. Reddito agrario, 1, 39. Sostituto d’imposta, 31. Riscossione delle imposte

Diritti notifica atti esattoriali, 108. Erede dell’esattore, 100.

Esattore, 31.

Intervento creditori privilegiati nel processo esecutivo, 26, 107. Privilegio speciale per r.m., 31, 107. Ruolo suppletivo, 31.

Termini pubblicazione avviso d’asta, 109.

Tributi percetti dalla r.s.i., I l i , 112. Solve et repete

Appello alla Comm. Prov. in mate­ ria di i.g.e., 83.

Opposizione a ingiunzione pagamen­ to imp. consumo, 92.

Prima facie, 48, 84.

Successione

Agevolazioni, 33, 34, 35. Caduto in prigionia, 33.

Caduti per opera dei partigiani, 34. Immobile rivendicato giudizialmen­

te, 32. Monete d’oro, 32. Pertinenza, 35. Rimborso dell’imposta, 32. Tributi locali Concordato, 70, 71.

Delibera istitutiva di tributi, 93. Diritti su generi di larga produzio­

ne locale, 66, 67, 68, 69, 128. Occupazione suolo pubblico, 65, 105. Termini per nuovi accertamenti, 72. Termini per rettifiche, 72.

(8)
(9)

P A R T E P R I M A

*

(10)
(11)

COME RIDURRE I COSTI FISCALI SULLA PRODUZIONE

( Di s c u s s io n i) fra Angelo Costa e Be n v e n u t o Gr iz io t t i)

Nel Convegno di maggio a.s. della Confindustria a Torino sui costi della produzione, una mattinata venne dedicata a quelli derivanti dal carico fiscale.

Il prof. Pasquale Jannaccone nella sua relazione generale si pro­ pose di studiare gli eifetti sull’equilibrio economico dei procedimenti per ridurre il carico tributario sulla produzione, per indicare quanto vi possa essere d’illusorio o di concreto in tali misure, lasciando alla di­ scussione l’esame di concrete proposte.

Hanno fatto uso della parola il prof. Cesare Cosciani, chi scrive, il prof. Bruno Yisentini, il prof. Antonio Berliri, il prof. Celestino Arena, il prof. Pietro Battara, il Dott. Angelo Costa, il prof. Sergio Steve. Negli Atti del Convegno, pubblicati dalla « Rivista di Politica Economica » (giugno 1950) figurano i contributi anche del De Nardo, Della Porta e Zunarelli, che non poterono interloquire per mancanza di tempo.

In generale gli interventi furono notevoli per serietà e tecnicismo. Il Cosciani ha fatto un’organica disamina del nostro sistema tributa­ rio per dimostrare con il confronto di sistemi più perfetti del nostro che il problema dei costi fiscali non può essere risolto attraverso ritoc­ chi di singole imposte, ma con una riforma che porti a una maggiore personalizzazione e a una maggiore produttività. Il Yisentini consi­ derando le conseguenze sull’economia del Paese prodotte dalle proposte fiscali per attenuare i costi, osserva per le imposte dirette che la ridu­ zione delle attuali aliquote deve avvenire non soltanto sui redditi ele­ vati, ma anche su quelli medi e piccoli e per la imposizione indiretta mediante monopolio del tabacco o altro bisogna preoccuparsi di non togliere ai redditi depauperati la possibilità di fare altri acquisti, con indebolimento del mercato, bensì di promuovere un forte mercato in­ terno e una effettiva riduzione dei costi, che sono la base per l’espor­ tazione.

Il Berliri, dopo aver approfondito le principali considerazioni dello Jannaccone, si sofferma nella critica dell’applicazione delle imposte sul­ l’entrata e di negoziazione.

L’Arena richiama l’attenzione sullo sperpero di costi non rimune­ rati ossia di distruzione di ricchezza dovuta alle organizzazioni politi­ che, che pone il problema di conoscenza e di coscienza per la riduzione dei costi della collettività.

(12)

— 4 —

Lo Steve, premesso che il reddito nazionale può essere accresciuto con una politica adeguata capace di riassorbire la disoccupazione, so­ stiene che la riforma tributaria deve farsi nel senso d’aumentare le im­ poste dirette personali piuttosto che le imposte sui consumi che fini­ rebbero a ridurre il mercato di consumo già tanto povero, con danno anche degli imprenditori, die producono per il consumo.

Il De Nardo distingue gli oneri gravanti sulla produzione dagli altri e li valuta nel 65 % del totale.

Il Della Porta esamina non la questione fiscale, ma organizzativa della riduzione dei costi.

Lo Zuccarello considera come si potrebbero ridurre del 15-20% gli elementi del costo fiscale, che grava sui prodotti da destinare al mer­ cato estero.

L’ intervento del prof. Griziotti e quello del Dott. Costa ha presentato la comune idea di trasferire parte del carico dalla produ­ zione ai consumi non necessari con tecniche diverse. E’ apparso per­ tanto interessante far conoscere ai lettori tali discorsi e lo scambio d’idee, che cortesemente il Dott. Costa ha acconsentito di compiere con il prof. Griziotti.

N. d. D.

L’INTERVENTO DEL GRIZIOTTI

« Studi fatti tanto in Inghilterra quanto in Italia hanno concluso che le imposte non possono stare sopra elementi che rappresentano le rimunerazioni necessarie per i fattori della produzione, poiché, per la stessa definizione data che sono necessarie rimunerazioni, non sono re- stringibili dall’imposta. Pertanto le imposte che cadono sopra questi elementi sono destinate a rimbalzare sopra altri elementi dell’econo­ mia, oppure ad aggravare i costi della produzione.

Il concetto generale che deve guidare un buon ordinamento tribu­ tario è quello di colpire le rendite del produttore e le rendite del con­ sumatore. Queste rendite costituiscono l’area della capacità contri­ butiva. Quindi, nel procedere alla critica dell’ordinamento tributario attuale e nel delineare quale possa essere un nuovo ordinamento, che è stato auspicato anche dal collega Cosciani, io parto da questi criteri della scienza moderna.

(13)

5 —

di ostacolare l’esportazione. E’ evidente che, se il tasso dell’interesse sul mercato è del 5 % , non si può ridurre con un’imposta del 20 % questo interesse dal 5 al 4 % . La dimostrazione di questo è offerta dallo stesso Stato, il quale, nell’emettere le obbligazioni pubbliche, le esenta da ogni imposta presente e futura. Poiché, se le emettesse gravate di imposta, esso dovrebbe aumentare il tasso dell’interesse per rimbor­ sare il creditore capitalista dell’imposta che tende a gravare questa rimunerazione necessaria del risparmio, che è il tasso dell interesse. Quel che si dice per l’interesse del debito pubblico deve ripetersi an­ che per qualsiasi altra obbligazione privata, e in generale per tutti i redditi di r.m. Il minimo della rimunerazione degli imprenditori non può essere colpito, poiché gli imprenditori si ritrarranno dalla produ­ zione se essi non riescono a rimbalzare sopra altre categorie le impo­ ste che li gravano. Così pure i salari non possono essere colpiti quando le rimunerazioni sono ridotte al di sotto del minimo necessario per ri­ chiamare la mano d’opera sopra il mercato. Anche queste imposte ten­ dono ad essere rimbalzate sopra l’imprenditore e dall’imprenditore so­ pra il consumatore. La conclusione che riguarda questo gruppo di im­ poste dirette, quindi, è di abolire o di ridurre al 5 % le imposte dirette reali e di mantenere le imposte dirette personali con carattere progres­ sivo, purché peraltro la progressività prevista dall’art. 53 della Costi­ tuzione non abbia un carattere di spogliazione. Non abbia cioè un ca­ rattere extra-fiscale, ma abbia la funzione di meglio redistribuire fra le diverse capacità contributive l’onere, colpendo maggiormente quelli che posseggono redditi più elevati.

Queste sono le vere imposte, che colpiscono le rendite personali, che hanno una capacità contributiva. Se le imposte personali sul red­ dito hanno una aliquota molto elevata, esse intaccano il risparmio che viene formato con una percentuale progressiva sul reddito delle classi abbienti, e di quelle ricche. Quindi, per conservare il reddito, per con­ servare il risparmio all’economia nazionale, bisogna che l’imposta pro­ gressiva non sia eccessivamente elevata. Se si vogliono ottenere degli scopi extra-fiscali, bisogna ricorrere ad altri mezzi. Attualmente si discute molto intorno alla riforma fondiaria. Supponiamo che questa riforma fondiaria sia votata dal Parlamento e venga attuata. Io dico e affermo che una tale riforma non si sarebbe potuta ottenere mediante l’imposizione, poiché vi sarebbero state le forze reattive che avrebbero finito, attraverso l’evasione e attraverso altri provvedimenti, ad otte­ nere questo duplice risultato: di diminuire il gettito dell’imposta consi­ derata come mezzo per provvedere all’entrata del fisco e dell’imposta considerata come mezzo di una nuova trasformazione sociale. Quin­ di bisogna che tutti i propositi di riforme sociali od economiche vengano attuati con provvedimenti che non siano fiscali.

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è già stata criticata ottimamente dal collega Cosciani, e io non ripe­ terò le critiche da lui fatte. Dirò soltanto, per aggravare l’accusa con­ tro questi gettiti, che è un’imposta antiquata, è un’imposta che era stata sepolta dalla scienza e dalla pratica e che è stata dissepolta per scopi di necessità straordinaria della guerra. Pertanto bisogna che la imposta generale sull’entrata venga ordinata con un’aliquota molto mite e in modo che questa aliquota possa colpire una sola volta il tra­ passo della ricchezza, mentre con le aliquote attuali si trova compieta- mente svasata dal suo ordinamento razionale ed è causa di doppie im­ posizioni, colpendosi con le imposte quelle già pagate nel precedente trapasso della ricchezza.

Vi sono inoltre le imposte doganali, per il 20% del totale. Nè meno criticabili sono le imposte di registro, che colpiscono non guadagni effettivi realizzati nel trapasso della ricchezza, ma quelli im­ maginari, dando luogo a odiose fiscalità e complicazioni.

Onde s’impone una riforma radicale per la semplificazione e la ri­ duzione alla realtà di tali imposte assai gravi, che ostacolano gli affari, perchè costituiscono una grave causa d’aumento del costo della pro­ duzione.

Anche le imposte doganali possono derivare da imposte istituite con carattere fiscale e da imposte istituite a scopi protettivi. Le impo­ ste, che sono istituite per scopo protettivo, sono antieconomiche, per­ chè portano a fra gravare il costo della produzione in una cifra che è doppia o tripla di quella che sarebbe necessaria per proteggere le zone marginali che hanno alti costi di produzione, in quanto esse si esten­ dono, oltre che su queste zone marginali, sopra le zone che non hanno bisogno della protezione e danno luogo, come per esempio nel caso del dazio sul grano, a una traslazione del beneficio sopra categorie che non sono considerate dal provvedimento, e cioè la proprietà fondiaria, in luogo delle aziende agricole, perchè evidentemente gli agricoltori, che affittano ottime terre, sono disposti a dare alti prezzi per l’affitto di queste terre, che per questa via ottengono parte del dazio protettivo che va così a beneficio del proprietario in tutto o in parte. Anche Questo metodo del dazio protettivo quindi va modificato, mediante la concessione di premi alla produzione di terreni marginali mediante il pagamento di prezzi differenziali, quando vi siano degli ammassi di merci agricole.

(15)

— 7

monopolio «ni tabacco corrisponde perfettamente all’o r d x n ^ t c > no­ stro quale è stato stabilito dalla Costituzione all’art. 53, che . t a l l i ­ sce la progressività dei tributi. Io ritengo quindi come conclusione di queste mie osservazioni che l’ordinamento tributano sia da tra mare nel senso di ridurre al minimo le imposte dirette reali e le nnpo- ste sull’entrata o di registro per trasferire il carico fiscale delbilancio sopra altri generi di monopolio, che abbiano gli stessi benefici « t r a ­ fissali che presenta il monopolio sul tabacco. Invero il monopolio sul tabacco ha avuto la virtù di estendere la coltura del tabacco m I t a m. Trent’anni or sono il monopolio consumava circa fi 15% del tabacco prodotto in Italia. Attualmente, in seguito anche all opera dell Istituto sperimentale di Scafati, è stata estesa la coltura del tabacco m quasi tutta l’Italia e la produzione del tabacco è sufficiente per provve e per due terzi ai bisogni del nostro monopolio, mentre per un terzo viene esportata, di guisa che l’Italia è diventata la nazione europea che espor­

ta più tabacco. v , .,

E’ da notare anche che la coltura del tabacco e benemerita per avere assorbito una grande quantità di mano d’opera. E’ da rilevare infatti che non è occupato nella coltura del tabacco solamente 1 agri­ coltore che pianta il seme e cerca di far crescere la pianta fino al mo­ mento della maturazione. Dopo essere stata colta la foglia del tabacco, vi sono due o tre altre persone, le quali hanno la cura di fare la prima trasformazione del tabacco per essere conciato, per essere conservato e consegnato al monopolio. Quindi, in confronto a tutte le altre colture agricole, la coltura del tabacco assorbe la massima quantità di mano d’opera. Inoltre il monopolio ha moltiplicato l’occupazione nell indu­ stria e nella vendita del tabacco, accordando stabilità di occupazione a tutti. Quindi è da ammirare questo monopolio fiscale.

Il monopolio fiscale assorbe le eventuali rendite dell’agricoltore, del produttore industriale, del commerciante all’ingrosso e al minuto. I tabaccai hanno oggi varianti dal 5 al 7 % del prezzo del prodotto, eppure ottengono rimunerazioni soddisfacenti. Infine esso assorbe le rendite del consumatore. Per questo assorbimento di varie rendite, che rappresentano ottima capacità contributiva, si comprende l ’alto e fles­ sibile gettito del monopolio.

Si aggiunga che le imposte sul tabacco si pagano senza accorger­ sene, tanto che un’inchiesta della Doxa ha rilevato che i consumatori ritengono la pressione fiscale del tabacco molto minore di quella che effettivamente sia. Invece i contribuenti delle imposte dirette general­ mente sono portati ad esagerare la pressione tributaria che sopportano. Quindi anche dal punto di vista psicologico la percezione delle entrate mediante il monopolio di prodotti che sono generi di consumo volut­ tuario, rappresenta entrate che sono del gusto del consumatore.

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— 8

monopolio fiscale, come ora quello del tabacco, avrebbe il merito eco­ nomico di perfezionare la produzione e quello fiscale di colpire aree della massima capacità contributiva, purché vengano colpite contempo­ raneamente le rendite dell’agricoltore, del produttore e del commer­ ciante e inoltre quelle del consumatore secondo i principi scientifici, da cui sono partito in questa esposizione. Il cospicuo gettito di un nuovo monopolio fiscale sarebbe la preliminare massa di manovra per una razionale riforma tributaria, che altrimenti non sarebbe possibile di attuare, mediante forte riduzione della pressione tributaria ora eccessiva ».

L’INTERVENTO DEL COSTA

« Io intendo esporre un po’ il pensiero degli industriali per quanto si riferisce a problemi tributari, pensiero che ho già avuto modo di esporre, purtroppo con scarso successo, in altra sede. Secondo me, in materia fiscale, i limiti dell’intervento delle funzioni dello Stato, cioè la spesa che lo Stato deve sostenere per conto della collettività, deve es­ sere in rapporto alla situazione economica del paese, allo stesso modo che nelle spese di un bilancio familiare ci debbono essere determinate perequazioni.

Ci deve essere tra tutte le spese un certo rapporto, sia pure ela­ stico; così anche nelle spese dello Stato ci deve essere una proporzione tra le spese e le possibilità di reddito del Paese, cioè quanto più un Paese è ricco, tanto più lo Stato può offrire maggiori servizi ai propri cittadini. Io non voglio discutere delle spese, e neanche discutere se oggi le spese dello Stato sono fatte bene o male. Nè intendo fare alcun ap­ punto nè al Ministro del Tesoro nè al Governo. E’ quello un problema che esula da me. Io esamino soltanto il problema tributario, cioè, am­ messo che ci sia un X di spese che devono essere sostenute dallo Stato nell’interesse della collettività, indubbiamente queste spese debbono es­ sere pagate.

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l’imposta sull’entrata che può rappresentare un 3 e un 4 % sul pro­ dotto non possa avere influenza sull’organizzazione dell’industria, quan­ do pensiamo che questa imposta rappresenta 4 o 5 volte il profitto di­ stribuito di tutto il capitale dell’azienda.

Abbiamo una quantità di esempi, abbiamo qui vicino la Fiat, che è un esempio massimo: parte dall’acciaio ed arriva all’automobile. Che questo tipo di organizzazione dell’industria sia il più economico non so: credo che se ne possa dubitare.

Che poi quest’organizzazione verticale sia dipesa soltanto dall’im­ posta sull’entrata o anche da altre cause nessuno di noi è in grado di affermare. Ma non c’è ombra di dubbio che la presenza di imposte che gravano su un prodotto che passa da un fornitore all’altro, tende a creare questo tipo di organizzazione a carattere verticale.

Le imposte lo Stato le percepisce per far fronte a dei servizi di carattere indivisibile. Se tutti i servizi dello Stato si potessero attri­ buire per particelle a chi ne beneficia, si potrebbero, invece di impo­ ste, avere soltanto delle tasse. C’è una quantità di servizi indivisibili e da questo deriva la necessità dell’imposta. Una domanda: le imposte le pagano le persone o le cose? Io ritengo che le imposte siano pagate dalle persone, perchè se si mette un’imposta in relazione ad un oggetto si colpisce chi userà questo oggetto, cioè non l’oggetto in se stesso, ma chi adopera l’oggetto. Perciò l’imposta sull’entrata non è altro che un’imposta sui consumi percepita, anziché al momento del consumo, mentre il prodotto si forma.

Ed è per questo che siccome purtroppo non si ha la possibilità di mettere le imposte sui cittadini esteri, con il che si risolverebbero bril­ lantemente molte situazioni, noi abbiamo sempre chiesto che queste im­ poste indirette non venissero a gravare sul prodotto che viene espor­ tato: mentre può essere giusto che le paghi chi consuma il prodotto interno. E qui non si tratta di premi di esportazione, perchè per quelli che possono essere i servizi, forniti dallo Stato, è perfettamente giusto che anche il prodotto esportato, cioè una merce che si produce in Italia, paghi la propria parte di tassa. E’ un pedaggio che giustamente deve pagare la merce, anche se va all’esportazione. Molte volte assistiamo all’assurdo in senso inverso, cioè mentre si fa pagare l’imposta per i servizi indivisibili al prodotto che si esporta, si fanno tariffe differen­ ziali di trasporto per merci destinate all’esportazione,_ cioè quando lo Stato fa un servizio che effettivamente dovrebbe far pagare al prodotto esportato, gliene fa pagare una parte sola per incoraggiare l’esporta­ zione attraverso tariffe speciali per i trasporti ferroviari, mentre fa pagare imposte per dei servizi di carattere generale che non hanno niente a che fare col ciclo produttivo.

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-nale paga una quantità di imposte al momento e durante il suo ciclo produttivo, imposte che poi vengono pagate dal consumatore, sarebbe illogico che se il prodotto viene dall’estero finito non pagasse la sua quota di contributi; sarebbe assurdo che il consumatore del prodotto estero fosse esentato da queste imposte. E allora che cosa succede? che indipendentemente da ogni considerazione di carattere protettivo i dazi doganali devono comprendere un ammontare X che è un’imposta surrogatoria dell’imposta sull’entrata ed altre imposte indirette che gravano sul prodotto nazionale, durante il ciclo della sua lavorazione. A questo aumento di imposta bisogna aggiungere l’eventuale quota di protezione che si crede di dover dare. In conclusione, questo porta a più elevate tariffe doganali per le quali, come dico, noi dobbiamo es­ sere contrari.

Il concetto: imposta diretta e imposta indiretta. Le imposte diret­ te rappresentano l’ideale. Si dice: in Italia non si pagano imposte di­ rette. In parte è vero, la colpa è un po’ di tutti. Mettiamo pure per i primi gli industriali, ma non credo che altre categorie in proporzione paghino di più degli industriali, particolarmente se ci riferiamo a pe­ riodi recenti.

In Italia noi abbiamo avuto un periodo di svalutazione monetaria, che si può dire è stato continuo da 15 anni a questa parte. In regime di svalutazione monetaria è possibile fare una sana politica fiscale, perchè in regime di politica monetaria è impossibile distinguere i red­ diti effettivi, scusatemi il termine, che non è un termine che mi consen­ tirebbe il mio maestro Zappa, dai redditi apparenti. In epoca di po­ litica di svalutazione monetaria, neanche il contribuente sa se ha gua­ dagnato o ha perso e tanto meno può pretendere di saperla il fisco. Con la conseguenza che il fisco si mette al vento da una parte e l’industria­ le si mette al vento dall’altra; ne deriva la infedeltà delle denunce per­ chè effettivamente chiunque si ribella quando lo si vuol colpire per un utile che è soltanto un utile monetario apparente, ma non un utile sostanziale.

La Finanza ha dovuto procedere, direi per tentativi. Anche l’ultima proposta di legge che è in corso di approvazione non è certo un esempio di ortodossia e di tecnica fiscale, ma è un sistema di arrangiamento per poter arrivare ad un passaggio di transazione, per poter arrivare a quello che potrà essere poi una migliore regolamentazione. E perchè le categorie industriali sono state danneggiate da questa situazione più che le altre? Perchè le categorie che hanno degli investimenti, come gli in­ dustriali, sono state molto più facili da colpire per redditi soltanto ap­ parenti che le categorie commerciali e dei professionisti.

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blema fondamentale. In Inghilterra si è consentito il 40% di ammorta­ mento su tutti i nuovi impianti fatti nel dopoguerra. In Italia che cosa hanno potuto fare le industrie? Quando noi facciamo dei confronti su determinati redditi fiscali noi confrontiamo temimi non omogenei. Pur­ troppo il fisco finora non si è preoccupato minimamente di definire che cosa è il reddito. Non parliamo poi dei compensi fra anni attivi e anni passivi: se in Italia fosse possibile fare i compensi tra anni attivi e anni passivi, ben poche imposte potrebbero essere percepite. Ma ci sono altre considerazioni. E’ la configurazione del nostro Paese. In un Paese come il nostro, ad economia così frazionata, con una quantità di aziende pic­ cole, dove effettivamente non esiste per natura, e credo che sia bene non esista, una eguaglianza, e dove non è possibile fare confronti non si può pensare che il fisco possa determinare gli utili con approssimazione. E per questo noi crediamo che, indipendentemente dalle imposte reali, che devono pur sempre restare, il bilancio statale dovrà sempre, dico sem­ pre almeno per quel che vale la parola sempre, in senso relativo, basarsi in gran parte anche sulle imposte indirette. E queste imposte indirette che devono essere pagate dalle persone, in che modo devono essere con­ gegnate? Non colpendo la produzione, ma colpendo la capacità contri­ butiva dei consumatori. E a questo punto noi dobbiamo vedere con che criteri debbono essere fissate queste imposte indirette. Devono essere im­ poste orientate sui consumi e su quali consumi? Dovrebbe essere fat o uno studio sulla elasticità dei consumi.

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Dobbiamo ben renderci conto che la distinzione tra l’imposta sui red­ diti e l’imposta sui constimi è una distinzione che noi facciamo più forse per renderci schematiche le idee; ma le differenze sostanziali sono molto meno di quel che normalmente si crede. Perciò quando noi diciamo che queste imposte non debbono essere pagate sul prodotto in esportazione, non è che noi vogliamo esentare nessuno, vogliamo soltanto che non si paghi un’imposta sull’impiego di mano d’opera impiegata per trasfor­ mare materie prime per la esportazione.

Mettere l’imposta sull’impiego della mano d’opera è quanto di peggio si possa fare in un paese nel quale il problema principale è la disoccu­ pazione. Naturalmente è logico che i singoli industriali, che i singoli con­ sumatori non vogliano pagare la imposta: preferirebbero riversarla su­ gli altri.

Mi sono permesso di dire che se io fossi ministro delle finanze accet­ terei di esaminare qualche domanda di sgravio di imposta se contempo­ raneamente mi fosse presentata l’offerta di qualche altra imposta da potersi istituire in sostituzione. Allora ci sarebbe molta più prudenza nel chiedere sgravi e molta più consapevolezza. Aggiungo ancora che noi, come industriali, siamo contrari, almeno io sono contrario, a qualunque forma di esenzione fiscale, perchè le forme di esenzione fiscale, sia per l’industria, sia per le costruzioni edilizie, portano ad un’artificiale redi­ stribuzione dell’attività produttiva ».

NOTA DEL GRIZIOTTI Il

Il principio che ispira gli interventi del Dott. Costa e mio, è in so­ stanza lo stesso, ma si concreta con tecniche diverse. E’ il medesimo in quanto da entrambi si cerca di spostare il carico fiscale dalla produ­ zione alle rendite dei consumatori. Ma il principio mio in parte diverge dal suo, perchè io estendo il carico altresì alle rendite dei produttori e dei distributori dei prodotti.

Il Dott. Costa si vale delle attuali imposte di fabbricazione sui filati per colpire i consumi delle famiglie e degli individui, che hanno maggiori disponibilità per le spese voluttuarie.

Ma già una prima osservazione è da fare. Come egli non vuole col­ pire con tale tributo le suole delle scarpe, che sono elementi necessari di consumo popolare, così dovrebbe esentare pure dall’extra-imposizione i filati o quelli fra essi, che sono pure consumi necessari delle classi meno abbienti.

Inoltre è da considerare che le imposte di fabbricazione percuotono il processo produttivo e comportano in ogni caso speciali sacrifici e in­ convenienti per l’anticipazione delle somme non lievi da pagare per tali imposte, anche nel caso che il tributo possa venire ripercosso sul consumatore.

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cato i prezzi scendono, senza tener conto dell’imposta da ripercuotere. Bisognerebbe, quindi, sia per avere un gettito maggiore, sia per col­ pire veramente i consumi voluttuari, sia per non deprimere ma animare, perfezionare ed estendere la produzione, come è avvenuto per il tabacco in Italia, ricorrere al sistema del monopolio, anziché dell’imposta di fabbricazione, su generi voluttuari, come le bevande di qualsiasi natura o altri generi che si preferissero alle bevande.

Si potrebbe cominciare col monopolio della vendita, come esiste nel Canada, in modi diversi, secondo le varie provinole aventi legislazioni autonome, e in altri paesi, e poi, a ragion veduta, secondo le possibilità d’organizzazione, col decorrere degli anni e dei decenni, arrivare al con­ trollo della produzione delle materie prime e al monopolio o alla parte­ cipazione nella trasformazione industriale di tali materie prime. Si ot­ terrebbero cospicui introiti fiscali e si arriverebbe a migliorare la sele­ zione e la qualità dei prodotti, ad aumentare l’esportazione, ad accon­ tentare economicamente i produttori, allo stesso modo dei produttori di tabacco, che hanno un reddito elevato e sicuro contro le incertezze del mercato.

Facendo riferimento al monopolio delle bevande, basta pensare alla utilità di controllare la qualità dei vitigni per ottenere migliori uve da vino, di perfezionare i sistemi enotecnici, di eliminare sofisticazioni chi­ miche e l’anacquamento, di meglio disciplinare e presentare gli spacci e di allargare il mercato estero dei nostri vini assicurati puri e bene elaborati. Aggiungo l’utilità di ottenere bibite al frutto genuine mercè l’utilizzazione dei nostri magnifici prodotti agrumari, anziché di so­ stanze chimiche sgradevoli e talora nocive.

Ci sono avversioni ai monopoli fiscali, in considerazione che lo Stato è cattivo produttore (il che è smentito dall’esempio dell’Azienda del ta­ bacco, delle ferrovie e delle poste) e per il timore di aprire una porta a sistemi socialisti.

Ma è evidente che i monopoli fiscali corrispondono a un principio e ad un sistema tecnico perfezionato, che si confà ad ordinamento anche puramente liberale. Si può essere favorevoli ai monopoli fiscali e con­ trari a quelli di carattere economico e sociale. E’ piuttosto da concen­ trare l’attenzione sul vantaggio, che per l’economia nazionale e in parti­ colare per la produzione industriale e agraria deriverebbe da maggiori entrate derivate da monopoli fiscali a sollievo della pressione tributaria sia delle imposte dirette sia di quelle indirette sui costi di produzione.

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Gli inconvenienti residuali sono da bilanciare con i vantaggi elle deriverebbero agli stessi produttori controllati dalla creazione di un mercato stabile e a tutta la economia nazionale da imposizione meno esosa e inquisitoria e divenuta più razionale, perché avviata a basarsi sui proventi dei monopoli anziché con imposte gravanti sui costi di produzione.

Le classi produttive possono avere ragione di favorire o di ostaco­ lare la costituzione di monopoli fiscali, che migliorino la situazione eco­ nomica nel settore controllato e che devino la pressione tributaria dalla produzione al consumo? La risposta meriterebbe di essere conosciuta.

REPLICA DEL COSTA

Il mio pensiero di colpire attraverso imposte indirette i redditi su­ periori ai minimi non si basa sul carattere della voluttuarletà della spesa ma sull’andamento delle curve dei consumi in relazione all’aumento dei redditi.

Grado di voluttuarietà ed andamento della curva dei consumi sono fenomeni che normalmente hanno la stessa direzione ma sono ben lon­ tani dal coincidere. P. e. il consumo del cotone, della luce elettrica, per­ fino dell’acqua hanno certamente un grado di voluttuarietà indubbiamen­ te inferiore a quello del vino ma le loro curve di consumo in relazione all’andamento dei redditi salgono ben più rapidamente della curva di consumo del vino.

E’ per questo motivo che ho affermato essere economicamente e fiscal­ mente sano colpire di imposta il consumo del cotone ed altri prodotti tessili e non esserlo colpire il consumo delle suole delle scarpe.

Infatti supposto pari a 100 il reddito corrispondente al tenore di vita modesto che non si vorrebbe colpire con criterio di progressività, e che a questo reddito corrisponda un consumo di 100 unità di suole di scarpe e 100 unità di cotone, noi possiamo presumere che passando il reddito da 100 a 200 il consumo delle suole di scarpe passi da 100 a 120 e quella del cotone da 100 a 400.

Un’imposta del 10 % sulla suola delle scarpe colpirebbe 10 il red­ dito corrispondente al costo minimo della vita e 2 il soprareddito.

Un’imposta del 10 % sui filati colpirebbe 10 il costo minimo della vita e 30 il soprareddito, cioè per avere lo stesso gettito sarebbe suffi­ ciente un’imposta del 4,4 % che colpirebbe di 4,4 il costo minimo e 13,2 il sopra reddito. (Naturalmente l’esempio schematico trascura, conside­ randoli uguali per semplificazione, i rapporti di consumo tra i due pro­ dotti e la distribuzione dei redditi, elementi che cambiano i risultati nella loro misura ma che non hanno peso per le conclusioni che si vo­ gliono trarre).

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Per necessità tecniche è impossibile evitare del tutto di colpire an­ che

f

consumi relativi ai redditi minimi: se un prodotto, a consumi cre­ scenti con l’aumentare del reddito, è in piccola misura consumato anche da chi ha redditi minimi, la finanza non può certo rinunciare a colpirlo. Se si pensa quanti prodotti a consumi poco elastici oggi sono colpiti da

M t e t t e è facile vede,e quanto largo » « r Kine d a

zione per colpire maggiormente i consumi relativi ai redditi più elevati ed alleggerire, rispetto alla situazione attuale, quelli che dispongono di iedClDevo1 dissentire dalle considerazioni e conclusioni del prof. Griziotti a favore dei monopoli fiscali sui generi voluttuari.

Convengo che il monopolio fiscale si confà anche ad un regime pura­ mente liberale ma dissento che di regola possa rappresentare un mezzo più idoneo delle imposte, comprese quelle indirette se ben applicate, pei aumentare i proventi dello stato con minor danno per 1 economia.

I proventi che lo stato ricava dai monopoli rappresentano una som­ ma algebrica di un’imposta messa a carico del consumatore attraverso un maggior prezzo del prodotto di monopolio e l’utile o la perdita di una gestione industriale e commerciale. Il prof. Griziotti sembra ritenere che i due elementi dovrebbero essere tutti e due positivi ; io ritengo invece che l’utile dell’imposta viene a ridursi per la perdita, cioè il maggior costo della gestione industriale e commerciale. ' . .

Indipendentemente dai noti inconvenienti che presentano le gestioni di stato (non credo che si conoscano al mondo - salvo eccezioni che con­ fermerebbero la regola — gestioni di stato che riescano a prosperare in regime di concorrenza con i privati) è notorio che anche il monopo io privato non rappresenta la situazione che porta ai più bassi costi.

II monopolio dei tabacchi può essere portato come esempio di un monopolio ben amministrato, ma nessuno credo possa affermare che 1 proventi netti che ricava lo stato siano superiori al maggior prezzo che i consumatori pagano rispetto al prezzo che si avrebbe se la produzione ed il commercio dei tabacchi si potesse svolgere in libera concorrenza.

A me sembra che il criterio della voluttuarietà di un prodotto non possa essere preso per base per decidere a favore del monopolio statale: potrà essere un elemento per decidere se colpire in misura maggiore o minore con imposte indirette o con il monopolio il suo consumo. Dopo aver deciso di colpire un prodotto per decidere se seguire il criterio del­ l’imposta indiretta o quello del monopolio hanno peso considerazioni di carattere tecnico di gestione e di eventuali altri risultati indiretti che si

possono voler raggiungere. _ .

Quanto più facile è l’esazione di un’imposta indiretta, tanto più si deve essere favorevoli a questa via; quanto più la gestione industriale e commerciale si presenta difficile, tanto più il monopolio fiscale e da sconsigliare.

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monopolio, per mantenere gli stessi introiti, dovrebbe aumentare il prezzo al consumatore.

Gli utili industriali e commerciali, al netto dell’interesse sul capi­ tale investito, al saggio che costerebbe allo stato, sono certo molto infe- liori maggiori costi di una gestione statale ; se, in modo permanente, l’esercizio dell’industria potesse dare utili così elevati ci sarebbe un af­ flusso di iniziative private che, con possibilità di gestione più econo­ mica di quella di stato, basterebbe, attraverso la concorrenza, per an­ nullare gli utili.

Se si pensa poi che attraverso le imposte dirette lo stato partecipa in larga misura agli utili mentre non partecipa alle perdite, non vedo come si possa ragionevolmente pensare ad una situazione più convenien­ te per lo stato.

Non ritengo che prodotti come le « bevande di qualsiasi natura » po­ trebbero economicamente essere oggetto di monopolio statale quando in Italia una gran parte di consumatori di vino sono autoproduttori, quan­ do altre bevande disponendo di frutta e zucchero possono essere fabbri­ cate dagli stessi consumatori.

Noi assistiamo oggi al fatto che l’imposta di fabbricazione sullo zucchero essendo la produzione concentrata in poche decine di stabili- menti non dà luogo ad evasioni; la simile imposta di fabbricazione sugli olii di seme che è ripartita tra qualche centinaio di stabilimenti di mi­ nori dimensioni dà luogo a larghissime evasioni. Che cosa diventerebbe quando i punti di evasione diventassero centinaia di miglaia?

Con l’organizzazione dei controlli che sarebbero necessari si potrebbe avere 1 impressione di assorbire magari tutta la disoccupazione in Ita­ lia, ma facendo fare del lavoro non produttivo si creano le premesse per maggiore miseria e conseguente maggiore disoccupazione.

Tra i vantaggi che il Prof. Griziotti enumera a favore del monoplio fiscale c’è quello che i produttori delle materie prime aumenterebbero i loro redditi, come è avvenuto per i coltivatori del tabacco. Che questo certamente avverrebbe credo che non si possa dubitarne, ma io non ritengo che questo possa essere un fatto desiderabile.

Che i cittadini italiani che fumano paghino un’imposta allo stato può essere giusto, ma che paghino anche un sovraprezzo ai coltivatori di tabacco non è certo nè equo nè economico.

Indubbiamente se ci fosse il monopolio del vino i produttori di vino non conoscerebbero crisi; si vedrebbero certamente deputati e senatori delle regioni vinicole, dei partiti più opposti, marciare in perfetto accor­ do per chiedere prezzi sempre maggiori e li otterrebbero.

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NUOVA NOTA DEL GRIZIOTTI

Le osservazioni del Dott. Costa consentono di approfondire lo studio del problema sotto diversi punti.

E’ certo interessante il criterio della elasticità dei consumi secondo l’ammontare del reddito per applicarvi l’imposta, ma oltre a ciò si può saggiamente tener conto sia del loro grado di voluttuarieta, sia delle rendite, che godono i produttori e i distributori dei beni di consumo da colpire.

La considerazione della voluttuarieta del consumo è opportuna, per­ chè è da supporre che il consumatore di un bene voluttuario ha già prov­ veduto ai consumi fondamentali e perciò che l’imposizione del consumo voluttuario sfugge in buona parte alla critica che si muove ai tributi sui consumi dei redditi minimi. Invece l’imposta sui tessili non sfugge a questo difetto. Per evitarlo, bisognerebbe esentare dal tributo i tessili d’uso popolare.

Ma, se l’imposizione progressiva dei consumi elastici è rivolta a colpire le rendite individuali o familiari dei consumatori, è da porre questa domanda. Perchè non colpire parimenti le rendite dei produttori e distributori dei beni di consumo?

Dal punto di vista economico, sociale e finanziario non vi è ragione di fare distinzioni fra le tre categorie di rendite, se non si vogliono ac­ cordare privilegi ad alcune di esse, colpendo i consumatori e non i pro­ duttori e i commercianti ed intermediari.

Colpendo le rendite dei produttori e commercianti, che sono il focus della capacità contributiva, si può d’altrettanto ridurre la pressione tributaria sui redditi normali di tali categorie, i quali, essendo quasi interamente puri costi, non presentano capacità contributiva e non sono suscettibili d’incidenza.

Colpendo le tre categorie di rendite con l’unica operazione finanzia­ ria del monopolio si accresce l’importanza del cespite finanziario, e si può ridurre vieppiù il costo fiscale della produzione. Così, in luogo del­ l’imposta, sarebbe più proficuo il monopolio di vendita (con il controllo eventuale sulla produzione) dei tessuti, per assorbire i grossi guadagni, per cui il prezzo del tessuto (comprese le tasse) aumenta talora eccessi­ vamente passando dal produttore al consumatore. Lo stesso è a dire delle scarpe.

Convengo che il monopolio non sia da istituire in ogni caso, sia che l’ente pubblico non possa riuscire a gestirlo bene sia quando i privati esercitano con merito eccezionale l ’impresa per la produzione dei beni, di cui si voglia colpire il consumo. Lo stesso è da ripetere riguardo al commercio di taluni beni.

In questa situazione non si trovano per lo più nè il vino, nè le be­ vande, di cui, a titolo d’esempio, ho proposto il monopolio.

Ma non posso convenire nella regola posta dal Dott. Costa che di solito il monopolio fiscale non rappresenti un mezzo più idoneo delle

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imposte, perchè esso è proprio lo strumento fiscale più perfetto — e ta­ lora l’unico possibile, come nel caso del vino, che con l’imposta non si riesce a colpire, come si desidera, opportunamente, perchè l’imposta ele­ vata è causa di grossi guai (come frode dell’acqua, evasione, ecc.) e non può essere conservata negli anni di crisi dell’uva e del vino. Il mono­ polio colpisce l’area della massima capacità contributiva, incidendo senza ripercussioni le rendite dei produttori, commercianti e consumatori.

Il Dott. Costa ammette che vi sono monopoli bene amministrati, come quello sul tabacco, ma ritiene che la concorrenza d'imprese private portebbe i costi a livelli inferiori. Nel caso del chinino, però, ciò non è avvenuto.

Ma egli si compiaccia di considerare che il monopolio di stato ha il beneficio :

a) di pagare il denaro a prezzo molto minore di quello imposto dalle

banche in regime di cartello bancario in Italia;

b) di risparmiare le alte spese di pubblicità, che si rendono neces­

sarie solo in regime di concorrenza;

c) di evitare che il costo si raddoppi dal produttore al consumatore

per via degli intermediari e venditori, perchè il monopolio paga l’aggio dal 5 al 7% ai tabaccai e assorbe per lo Stato il supero che andrebbe al commerciante.

Sarebbe interessante fare il confronto per considerare i veri costi delle imprese private e quelli del monopolio italiano sul tabacco, per vedere quale delle due imprese serva meglio il consumatore. Il monopo­ lio del tabacco sarebbe pronto a prestarsi per tale esame comparativo. Ricordo che la Camera di Commercio Internazionale nel Convegno di Amsterdam nel 1929 ha voluto studiare questo tema, ma non pervenne a nessuna conclusione apprezzabile.

Ma, pur avendo io considerata questa eccezione anche per porre in rilievo che con il monopolio del tabacco non si ebbero nè crisi di ge­ stione (se non per gli eventi gravissimi della guerra e dopoguerra) nè crisi per i tabacchicultori, e che non vi sono contro il sistema del mono­ polio eccezioni decisive di carattere economico, considero che la questio­ ne è un’altra, è quella fiscale e, sotto questo aspetto, i risultati del mo­ nopolio sono brillanti, come si leggono nel bilancio delle finanze, per avere procurato un grande gettito a sgravio dell’imposizione diretta sui costi di produzione. Infatti lo Stato con il monopolio (nei casi in cui esso è consigliabile) può elevare l’imposizione a un livello molto più ele­ vato di quanto gli consenta l’imposizione indiretta, per non danneggia­ re la produzione, il commercio e l’esportazione. Inoltre esso (in certi casi) è idoneo, più che non lo siano stati gli imprenditori privati, in condizio­ ni di monopolio o di libera concorrenza, a espandere l’impresa, come è avvenuto in Italia, oltre che per il tabacco, anche per le assicurazioni sulla vita. Eppure anche per questo monopolio — come già in altri tempi per le casse postali — furono previsti da molti valentuomini pes­

simi risultati, che in realtà non si ebbero.

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- 19 —

esempio) non conta che i privati possono fare il vino o gli sciroppi per il proprio consumo.

Quello che interessa per la finanza è il lucro risultante al produt­ tore e dalla vendita dal produttore al commerciante al minuto (attra­ verso la fila di intermediari) e da questo al consumatore, soprattutto nei grandi centri, dove più grandi sono i prezzi e i guadagni o le ren­ dite. Tali lucri sono meglio imponibili col monopolio, che d’altra parte procura all’economia nazionale, altri vantaggi sopra indicati.

Il controllo per evitare il contrabbando della merce, sarebbe meno difficile che per il tabacco e molto meno di quello necessario per control­ lare la contabilità e i magazzini dei contribuenti delle imposte dirette. In quanto agli utili dei viticultori, si possono — come avviene per il tabacco — istituire aziende rurali del monopolio per il controllo dei co­ sti di produzione per impedire il malcostume politico che i prezzi dei prodotti siano da deputati e senatori imposti al governo al di là dei limiti di una buona e sicura rimunerazione, ben lontana però dalle ren­ dite, che, in regime di libertà, spesso si verificano in misura eccessiva.

Dunque, col monopolio, nelle condizioni economiche e finanziarie che lo suggeriscono, si ottengono i buoni risultati di accrescere le finanze pubbliche riducendo i costi della produzione, che invece le imposte (come quelle proposte sui tessili) aggravano, senza ottenere i gettiti fiscali del monopolio. Bisogna proprio dunque superare la crisi ormai grave della imposizione con l ’autofinanziamento dello Stato.

Passando poi a considerare altre osservazioni fatte al Congresso di Torino, convengo col prof. Visentini che non bisogna depauperare il mercato con eccessivi pesi sui consumatori quanto sui produttori; per­ tanto è bene procurare il quantum (è questo da tenere presente) che oc­ corre allo Stato con monopoli fiscali, come quelli del tabacco e delle assicurazioni sulla vita, che siano cioè vantaggiosi dal lato finanziario quanto da quello economico, ottenendo così risultati che non offrono le altre imposte dirette o indirette.

Le stesse assicurazioni valgono per il prof. Steve, distinguendosi i monopoli fiscali con le caratteristiche da me indicate dalle altre imposte indirette.

E’ infine da consentire col Dott. Della Porta, che pone il gettito del monopolio fiscale fra le entrate che non gravano la produzione.

ULTERIORE REPLICA DEL COSTA

Elasticità di consumo secondo i redditi e voluttuarietà di consumo si possono rappresentare con due cerchi che si sovrappongono ma non coincidono: si può cioè usare la rappresentazione che felicemente è stata usata per raffigurare il diritto e la equità.

Tanto è meglio quanto più i due cerchi coincidono

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un certo limite il consumo non è voluttuario, oltre è parzialmente vo­ luttuario, superato nn altro limite si può dire che diventa del tutto

voluttuario. _

Per prendere un caso limite che dimostri come voluttuai ìeta ed elasticità di consumo, pur essendo fenomeni analoghi, non coincidono, si può osservare che in senso assoluto l’uso dei tessili è certo meno volut­ tuario di quanto può essere l’andare al cinematografo. Se noi facciamo il confronto tra una categoria di persone abbienti e la categoria operaia che gode del modesto benessere che possono dare le attuali retribuzioni, noi vediamo che il rapporto dei consumi per i prodotti tessili è più elevato di quello che è il rapporto dei consumi del cinematografo. Se noi tassiamo il cinematografo e non i tessili per il fatto che il primo è indubbiamento un consumo più voluttuario, noi veniamo a tassare in via relativamente maggiore i redditi minori, contrariamente a quanto ci proponiamo di fare. La possibilità di esentare i tessili di uso popo lare non è di pratica attuazione.

Attualmente vengono tassati dei consumi essenziali anche poco ela­ stici: perciò non è il caso di preoccuparci se per limitati consumi di prodotti essenziali a domanda elastica anche le categorie inferiori ven­ gono leggermente colpite: c’è la possibilità di alleggerirle sotto tanti al­

tri riguardi. . . . .

In quanto poi alla distinzione fra rendite di produttori e distribu­ tori e rendite dei consumatori, veramente il concetto non mi risulta chia­ ro, trattandosi a mio avviso delle stesse rendite con la differenza che in un caso le imposte vengono percepite all’atto della loro realizzazione e nell’altro all’atto della spesa.

L’elasticità che deve avere un sistema fiscale impone di colpire i red­ diti sia all’atto della realizzazione sia all’atto della spesa, ma questo non impedisce che si tratti sempre del medesimo fenomeno che si pre­ senta sotto aspetti differenti.

L’insistenza da parte del Prof. Griziotti nel parlare di rendite di produttori e commercianti mi sembra che riveli in lui una concezione non giusta di come si svolge per la generalità dei casi la produzione e la distribuzione dei prodotti.

In materia di produzione ci possono essere effettivamente delle ren­ dite e cioè rendite dipendenti dalla differenza di costo tra il produttore marginale e quello che produce a costo minore. Queste rendite il Prof. Griziotti non vuol colpirle e credo che sia anche economicamente giusto non farlo, perchè nella generalità dei casi queste differenze di costo di­ pendono da maggiore capacità del produttore, stimolata appunto dalla possibilità di ottenere una rendita.

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dovuta unicamente a capacità personale, possa essere assorbita da un monopolio di stato. Al contrario è facilmente immaginabile, e la pra­ tica nella generalità dei casi lo ha confermato, che il regime di mono­ polio porta a costi molto maggiori.

Nessuna rendita perciò può essere presumibilmente assorbita dai monopoli, ma soltanto possono essere sommati maggiori costi di produ­ zione e distribuzione. Se il monopolio vendesse ai medesimi prezzi che avrebbero in un regime di concorrenza, la perdita risulterebbe evidente e l’erario invece di un utile avrebbe una perdita: il monopolio è così ob­ bligato ad aumentare il prezzo di vendita: l’aumento di prezzo per una parte va a coprire i maggiori costi di esercizio e per l’altra parte rap­ presenta un provento per l’erario.

La differenza tra il prezzo di vendita del monopolio e quello che sarebbe stato il prezzo di vendita in regime di concorrenza è un’imposta a carico dei consumatori. Il maggior costo di produzione e distribuzione rispetto a quello di regime di concorrenza è il costo di esazione della imposta : non si possono avere dubbi che questo costo di esazione per il monopolio generalmente è più elevato che per qualsiasi altra forma di imposizione.

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L’INFLUENZA DEI CAMBIAMENTI MONETARI SULL’IMPOSIZIONE

Alcune considerazioni sulla evoluzione del sistema tributario tfreco durante l’occupazione, prodotta dall’inflazione.

Durante il periodo inflazionistico e specialmente quando l’infla­ zione è intensa, una pesante politica di imposte dirette è la meno op­ portuna.

Infatti, la determinazione delle imposte dirette non coincide con la loro riscossione. La loro realizzazione segue, di conseguenza, con troppo ritardo l’andamento dell’inflazione e della svalutazione mone­ taria. Sicché non è possibile una compensazione della effettiva diminu­ zione nel rendimento delle imposte dirette, rispetto alla prolungata sva­ lutazione monetaria. Per ovviare a questo male, gli Stati applicano la politica della riscossione o dell’accertamento anticipati, non più per un anno, ma per intervalli ancora più brevi.

In certe condizioni essi applicano il sistema della trattenuta alla fonte, in modo che il gettito delle imposte dirette entri il più presto

possibile nelle casse del fisco.

La politica fiscale degli Stati, durante un periodo di grave e con­ tinua inflazione, deve basarsi in misura prevalente sulle imposte in­ dirette, essendo la loro riscossione immediata. Esse vengono, perciò, meno influenzate delle imposte dirette, da un’inflazione intensa. Ed in linea generale, gli Stati devono cercare di condurre, durante il pe­ riodo inflazionistico, una politica, in cui la determinazione e la riscos­

sione delle imposte coincidano.

Si evita così l’eventuale diminuzione effettiva delle entrate provo­ cata dalla continua svalutazione monetaria.

Tuttavia, per le imposte indirette è possibile aumentare l’aliquota con il progredire della svalutazione monetaria, in modo che si ottiene una compensazione della perdita effettiva delle entrate pubbliche.

D’altra parte, si potrebbe utilizzare l’imposta come mezzo per di­ minuire l’inflazione, quando il suo gettito venga utilizzato per spese di bilancio o per sottrarre alla circolazione una parte di moneta infla­ zionata. Ma una tale politica è inopportuna quando si tratta di infla­ zione intensa e progressiva.

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