• Non ci sono risultati.

Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze. 1998, Anno 57, marzo, n.1

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze. 1998, Anno 57, marzo, n.1"

Copied!
158
0
0

Testo completo

(1)

MARZO 1998 Pubblicazione trimestrale Anno LVII - N. 1 Spedizione in a.p. - 45% - art. 2 comma 20/b legge 662/96 - Filiale di Varese

RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO

E

SCIENZA

DELLE

FINANZE

Fondata da BENVENUTO GRIZIOTTI

(e

RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO FINANZIARIO)

D I R E Z I O N E

EMILIO GERELLI - GIULIO TREMONTI

COMITATO SCIENTIFICO

ENRICO DE MITA - ANDREA FEDELE - FRANCESCO FORTE AMEDEO FOSSATI - FRANCO GALLO - SALVATORE LA ROSA IGNAZIO MANZONI - GIANNINO PARRAVICINI - ANTONIO PEDONE

SERGIO STEVE

COMITATO DIRETTIVO

ROBERTO ARTONI - FILIPPO CAVAZZUTI - AUGUSTO FANTOZZI G. FRANCO GAFFURI - DINO PIERO GIARDA - EZIO LANCELLOTTI ITALO MAGNANI - GILBERTO MURARO - LEONARDO PERRONE E N R IC O P O T IT O - P A SQ U A L E R U S S O - G IU L IA N O T A B E T

FRANCESCO TESAURO - ROLANDO VALIANI

N.ro INVENTARIO

3

m v L ta | PAVCI^

A G

(2)

Pubblicazione sotto gli auspici del Dipartimento di Economia pubblica e territoriale dell Università, della Camera di Commercio di Pavia e dell’Istituto di diritto pubblico della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma. Questa Rivista viene pubblicata con il contributo finanziario del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Direzione e Redazione: Dipartimento di Economia pubblica e territoriale del- l Università, Strada Nuova 65, 27100 Pavia; tei. 0382/504.406, (Fax) 504 402 Email: rdfsf@unipv.it.

Ad essa debbono essere inviati bozze corrette, cambi, libri per recensione in duplice copia.

R edattori: Silvia Cipollina, Angela Fraschini, Giuseppe Ghessi, Segretaria di

Redazione: Claudia Banchieri.

L’Amministrazione è presso la casa editrice Dott. A . GIUFFRÈ EDITORE S p A

via Busto Arsizio, 4 0 - 20151 Milano - tei. 3 8 .0 8 9 .2 0 0 - fax 3808 9582

Pubblicità:

dott. A. Giuffrè Editore S.p.a. - Servizio Pubblicità

via Busto Arsizio, 40 - 20151 Milano - tei. 3 8 .0 8 9 .3 2 4 - fax 3808 9 4 2 6 CONDIZIONI DI ABBONAMENTO PER IL 1998

Abbonamento annuo I ta lia ... L. 120.000 Abbonamento annuo e s t e r o ... L. 180.000 A n n a te a r r e tr a te s e n z a a u m e n to r is p e tto alla q u o ta a n n u a le .

i numeri io ^ abbonamento decorre dal 1° gennaio di ogni anno e dà diritto a tutti dell annata, compresi quelb già pubblicati.

Il pagamento può effettuarsi direttamente all’Editore:

• con versamento sul c.c.p. 721209, indicando chiaramente gli estremi dell’ab­ bonamento;

• a ricevimento fattura (riservata ad enti e società);

• mediante carta di credito (visa - Ma st erCard - eurocard - carta si), precisando: numero, scadenza, data di nascita;

¿*5*)U|I-e tram*te 8^ Agenti Giuffrè a ciò autorizzati (cfr. pagine gialle).

Ai fine di assicurare la continuità nell’ invio dei fascicoli gli abbonamenti si intendono rinnovati per 1 anno successivo se non disdettati con — apposita segnalazione — entro la scadenza.

Il rinnovo deH’ abbonamento deve essere effettuato entro il 31 marzo di ciascun I fascicoli non pervenuti all abbonato devono essere reclamati al ricevimento del fascicolo successivo. Decorso tale termine si spediscono, se disponibili, contro rimessa dell importo.

Le comunicazioni in merito a mutamenti di indirizzo vanno indirizzate all’Editore. ,, .,, e” ®tto l’ abbonato elegge domicilio presso la “ Dott. A. Giuffrè Editore SpA - Via Busto Arsizio, 40 - 20151 Milano.

Ai collaboratori saranno inviati gratuitamente 50 estratti dei loro saggi. Copie supplementari eventualmente richieste all’ atto del licenziamento delle bozze verranno a Prezzo di costo. La maggiore spesa per le correzioni straordinarie è a carico dell autore.

Registrazione presso il Tribunale di Milano al n. 104 del 15 marzo 1966 Iscrizione Registro nazionale stampa (legge n. 416 del 5.8.81 art 11)

n. 00023 voi. I foglio 177 del 2.7.1982 Direttore responsabile: Emilio Gerelli Rivista associata all Unione «Iella Stampa Periodica Italiana

Pubblicità inferiore al 4 5%

(3)

IN D IC E -S O M M A R IO

P A R T E P R I M A

Pa o l o M . Pa n t e g iiin i- Alcune considerazioni sulla Dual lncome Tace italiana ... 3

Die g o La n z i - Contracting Out, efficienza e qualità ... 15

Fe d e r ig o Co r n e l l i - Scelte finanziarie di impresa e innovazioni fiscali: gli effet­ ti dell'eliminazione dell’Ilor e dell’introduzione dell’Irap e della Dual lncome Tax ... ... 34

Giu l io Tr e m o n t i - La fiscalità nel terzo millennio ... 69

Fr a n c o Fic iik r a - Gli aiuti fiscali nell’ordinamento comunitario ... 84

RASSEGNA D I PUBBLICAZIONI RECENTI ... 138

P A R T E S E C O N D A

Ca t e r i n a Mo n a c o- Le attività finanziarie tra esenzione ed esclusione nella disci­ plina dell’Iva: l’interpretazione della Corte di Giustizia Ce ... 9

Fn.ii’i'o Ci c o g n a m - Realizzo di plusvalenze e deducibilità degli ammortamenti nella determinazione del reddito fiscale delle società commerciali ... 24

SENTENZE ANNOTATE Diritto tributario comunitario - Armonizzazione delle legislazioni - Iva - Trust: amministrazione dei beni - Acquisto e cessione di titoli - Art. 4, n. 2 della VI Direttiva Iva - Attività economica - Esclusione (Corte di Giustizia del­ le Comunità Europee, Sez. V, 20 giugno 1996, n. C/15515) (con nota di C. Monaco) ... 8

(4)

M. ANTONIETTA GRIPPA SALVETTI

Sommario:

PRINCIPIO DI RISERVA DI LEGGE: ORIGINE E

CONTENUTO: Evoluzione del principio di riserva di legge - Il principio di riserva di legge nei principali ordinamenti europei - Limiti della riserva: contenuto “ necessario” defia legge - Criteri direttivi per la normazione secondaria. LA DELEGIFICAZIONE NELL’ ORDINAMENTO TRIBUTARIO: Rapporto tra le fonti e politica legislativa - 1 regolamenti previsti nella Legge n. 400 del 1988 - Ipotesi di studio connesse alla possibile utilizzazione dei regolamenti delegati nella disciplina della determinazione forfetaria di ricavi e volume d’ affari - Fattispecie di rinvio agli atti normativi secondari previsti nella Legge n. 400:1 accertamento con adesione del contribuente - Profili di tutela del

contribuente nei confronti dei regolamenti e degli atti

amministrativi generali nell’ ordinamento tributario - Tutela del contribuente nei confronti delle circolari nell ordinamento tributario.

[mvTtTI

AG

1069 Per acquisii rivolgersi alla sede - c.c.p. 721209 - o ai suoi agenti

8°, p. Xffl-268, L. 34.000

GIUFFRÈ EDITORE

(5)
(6)

Se per quanto concerne gli effetti finanziari vi è un sostanziale accordo fra gli studiosi, per quanto riguarda gli investimenti l’intro­ duzione della Dit ha riacceso in Italia il dibattito, mai comunque so­ pito, sugli effetti disincentivanti che l’imposizione societaria potrebbe avere sugli investimenti rischiosi. Le critiche alla Dit si fondano sulla presunta penalizzazione nell’assunzione di rischio imprenditoriale causata dalla discriminazione impositiva a danno dei sovraredditi (2).

Se, da un lato, vi sono autori che paventano gli effetti della di­ storsione prodotta da'un’imposta sui redditi societari, dall’altro vi è chi rileva come questa distorsione possa operare addirittura nella di­ rezione opposta. La tesi è di Domar e Musgrave (1944). Essi infatti ri­ levano come la tassazione dell’attività di impresa determini una tra­ slazione del rischio dall’imprenditore stesso allo Stato. In altri termi­ ni, lo Stato viene ad essere un socio silente che percepisce il proprio dividendo attraverso le imposte ed eroga beni e servizi a favore della collettività e, quindi, anche delle imprese. Dal momento che le entra­ te dell’Erario sono condizionate dai risultati dell’attività d’impresa, dunque, lo Stato partecipa al rischio di questa attività. L ’argomento, ripreso più recentemente da Gordon (1985) e MacKie-Mason (1990), porta a concludere che, al verificarsi di alcune condizioni (tra cui l’e­ guale trattamento tributario del reddito prodotto e dei guadagni in conto capitale e la piena deducibilità delle perdite), la traslazione del rischio in capo allo Stato può addirittura incentivare gli investimenti.

Passando dal piano positivo a quello normativo, va detto che l’applicazione della Dit nei paesi scandinavi, prima, ed in Italia, poi, ha preso l’avvio in un periodo di crescente interesse, da parte della letteratura specializzata, per i sistemi d’imposta incentrati sulla tassa­ zione dei sovraredditi. Il contributo che ha dato impulso a questa let­ teratura è rappresentato da un articolo di Boadway e Bruce (1984). Riprendendo di fatto proposte precedenti, essi hanno individuato un sistema di tassazione che esenta il reddito normale e colpisce

solamen-— 4 —

(7)

— 5 —

te i sovraredditi (3). La proposta di Boadway e Brace (1984) è stata a sua volta ripresa da economisti dell’Institute/or Fiscal Studies, all’ini­ zio degli anni novanta (Gammie (1991«, b) e Devereux e Freeman (1991)). Con questa forma di tassazione, denominata Allowance for Corporate Equity (Ace), come dimostrano Bond e Devereux (1995), il risultato di neutralità permane anche in un contesto di incertezza, a condizione che: i) il coefficiente di remunerazione del reddito normale (ordinario) sia pari al tasso di interesse sui titoli non rischiosi; ii) vi sia simmetria nel trattamento dei profitti e delle perdite.

Scopo del presente lavoro è di verificare se ed, eventualmente, in che modo la presenza di incertezza disincentivi gli investimenti nel re­ gime a tassazione differenziata di prossima applicazione in Italia. In particolare, si tenterà di dare una risposta ai seguenti quesiti: i) Un sistema Dit è meno distorsivo di un sistema Irpeg? ii) In presenza di in­ certezza, la tassazione dei sovraredditi disincentiva gli investimenti? iii) A quali condizioni la Dit è neutrale? iv) I parametri scelti dal governo ita­ liano sono in grado di garantire neutralità alla Dit?

Il lavoro è strutturato come segue. Nel secondo paragrafo viene introdotto e discusso un modello a un periodo che descrive le decisioni di investimento di un imprenditore rappresentativo in condizioni di incertezza. Nel terzo paragrafo, vengono discussi gli effetti della Dit italiana sulle strategie di investimento e si tenta di dare una risposta ai quattro quesiti enunciati. Per fare ciò viene proposta una compara­ zione degli effetti derivanti dall’applicazione della Dit con quelli do­ vuti, rispettivamente, ad un regime Irpeg e Ace. Nel quarto paragrafo sono riportate le conclusioni del lavoro.

2. Il modello.

Per valutare gli effetti prodotti dalla Dit sulle strategie d’investi­ mento di un imprenditore è necessario risalire al momento in cui

(8)

prenditore decide se investire nell’impresa, e quindi rischiare, oppure acquistare titoli non rischiosi (orientativamente, cioè, titoli di Stato). Il comportamento dell’imprenditore può essere rappresentato da un modello a un periodo, mutuato da Bond e Devereux (1995), in cui l’imprenditore valuta la convenienza di un investimento rischioso di 1 Lira all’inizio del periodo. Se l’imprenditore intraprende l’investimen­ to, egli ottiene, a fine periodo, un reddito lordo incerto pari a 17. Se, in alternativa, egli decide di acquistare titoli di Stato, egli ottiene una remunerazione (certa) jjari ad i e la restituzione del capitale impiega­ to. Nell’istante iniziale, quindi, il valore attuale dell’in vestimento è funzione del reddito incerto e del saggio di sconto applicato, pari al saggio di remunerazione dei titoli di Stato: V(TI,i).

Per semplicità ipotizziamo che:

a) il cespite acquisito per l’esercizio dell’attività d’impresa non sia soggetto né ad ammortamento né a variazioni di valore e che sia facilmente liquidabile al termine del periodo;

b) l’investimento sia finanziato con mezzi propri.

L ’ipotesi a) esclude il rischio di capitale, connesso ad eventuali ri­ valutazioni o svalutazioni del cespite e a rischi di illiquidità eventual­ mente riscontrabili al momento del disinvestimento. L ’ipotesi b) esclude invece il rischio di fallimento, che si potrebbe avere nel caso in cui l’esercizio dell’impresa fosse finanziato con mezzi di terzi. Va det­ to, comunque, che questa seconda ipotesi è particolarmente indicata per il caso italiano: stando ai dati dell’ultima Relazione Annuale del Governatore, infatti, l’autofinanziamento copre all’incirca l’80% degli investimenti fissi lordi delle imprese (4).

Escludendo il rischio di capitale ed il rischio di fallimento questo

— 6 —

(9)

— 7 —

modello si concentra sull’analisi del rischio reddituale. Purtuttavia, esso non perde di generalità e consente di trarre utili indicazioni sugli effetti della Dit (5).

Per completare il modello, si ipotizzi che valga il Principio del- l’Additività dei Valori. Questo Principio rappresenta uno dei punti cardine su cui si fonda la moderna finanza e viene adottato nei princi­ pali modelli (come, ad esempio, il modello Arrow-Debreu con mercati completi ed il Capital Asset Pricing Model) (6). In base a tale Princi­ pio, dati i redditi incerti di due azioni I e J e dati due parametri n e m, vale la seguente eguaglianza:

V (n l + mJ,i) = n V (I,i) + m V (J,i).

In altri termini, se vale questo Principio, il valore di un portafo­ glio composto da n azioni della società l e m azioni della società J è pari alla somma dei valori di due portafogli, uno composto da n azioni della società I e l’altro da m azioni della società J (7). Dato il valore lordo del progetto, è possibile calcolare il valore atteso netto dell’inve­ stimento, in condizioni di laissez faire

NPV* = V(TI,i) - 1. [1]

Se, dunque, NPV* non è negativo, l’investimento rischioso risul­ ta conveniente. Se, invece, il valore attuale è negativo, all’imprendito­ re conviene acquistare titoli di Stato.

3. Risultati di neutralità.

Una volta presentato il modello, si introduca la tassazione, ipo­ tizzando che le imposte vengano pagate alla scadenza del progetto. Punto focale dell’articolo, come rilevato, è la valutazione della distor- sività della riforma italiana. Per procedere all’analisi è necessario per­ tanto presentare una condizione di neutralità che valga da termine di raffronto. Si noti allora che, per una generica imposta sui profitti, con aliquota rj, il progetto di investimento risulta neutrale se vale la se­ guente eguaglianza 5 6 7

(5) Si osservi, comunque, che il modello sarebbe facilmente estendibile con l’in­ troduzione degli ammortamenti e del finanziamento con debito, ma questo esulerebbe dagli obiettivi del presente lavoro.

(6) Per una discussione più approfondita sul principio dell’additi vita dei valori si rinvia il lettore a Bond e Dhveukux (1995).

(10)

N P V = (1 - ri) ■ f V ( n , i ) - 1 ] = (1 - n) ■ NPV*. [2] Se la condizione [2] è verificata, infatti, l’imposta non produce ef­ fetti di sostituzione (tra attività rischiose e titoli di Stato) ma sola­ mente effetti di reddito. Se, pertanto, il progetto è conveniente in condizioni di laissez faire, lo sarà anche in presenza di un’imposizione societaria, seppure con una minore redditività. Pertanto, le scelte im­ prenditoriali non risultano condizionate.

Si formalizzi ora la Dit. Date Ter , rappresentanti rispettivamen­ te l’aliquota ridotta e l’aliquota ordinaria e dato il coefficiente di ren­ dimento ordinario iE, questa imposta può essere definita come

T = tiE + f/7 7 - (1 + iE) ] . [3] Seguendo il dettato dello schema di decreto legislativo, nella [3] la base imponibile è dunque suddivisa in due componenti: il rendi­ mento ordinario iE ed il sovrareddito al netto del costo di investimen­ to (di una Lira). Si noti che l’equazione [3] può essere utilizzata per effettuare comparazioni con altri sistemi d’imposta. Se, infatti, si po­ ne il coefficiente iE pari a zero, si passa ad uno schema di tassazione Irpeg. Se, al contrario, si pone i = 0, si deriva un’imposta Ace.

Prima di procedere nell’analisi, è necessario fare una terza ipotesi semplificatrice. Per garantire una più semplice trattabilità analitica si pone che il trattamento tributario dei risultati positivi e negativi di impresa sia simmetrico. Nel sistema tributario italiano, in realtà, i ri­ sultati negativi non danno luogo ad un immediato beneficio tributa­ rio ma sono riportati a nuovo, generando quindi un’asimmetria (8). In particolare, per quanto concerne la Dit, l’art. 1 comma 5 dello schema di decreto legislativo stabilisce che se la remunerazione ordinaria è su­ periore al « reddito complessivo netto dichiarato, la differenza è com­ putata in aumento del reddito assoggettabile all’aliquota ridotta dei periodi di imposta successivi ma non oltre il quinto ». A giustificazio­ ne di questa ipotesi semplificatrice va rilevato come l’asimmetria nel trattamento dei risultati d’impresa non sia una caratteristica specifica della Dit né, più in generale, del sistema tributario italiano. Questa asimmetria caratterizza, in modo più o meno marcato, tutti i sistemi tributari vigenti. Di conseguenza, l’ipotesi semplificatrice che adottia­ mo non inficia le comparazioni con i meccanismi d’imposta Irpeg e Ace. 8

- 8

(11)

— 9 —

Si calcoli ora il valore atteso netto dell’investimento, data la [3], Esso risulta

NPV =

V<n

- T, i) - 1 = (1 - t ) ■ NPV* + - — — ■ iE ---*--- f. [41

1 + 1 1 + i

Come mostra la [4], vi sono tre componenti che costituiscono il NPV. La prima componente, (1 — t ) ■ NPV*, misura l’effetto di red­ dito causato dall’aliquota ordinaria. Questo effetto dipende dal N P V che si avrebbe in condizioni laissez faire. La seconda componente mi­ sura il beneficio, tipico della Dit, dovuto alla dedueibilità del costo opportunità del capitale proprio investito nell’impresa. Come si può notare, esso è direttamente proporzionale alla differenza tra l’aliquota ordinaria e quella ridotta. Inoltre, esso dipende dal coefficiente di re­ munerazione iE fissato dal governo: tanto maggiore è il coefficiente tanto maggiore è il beneficio assicurato alle imprese dalla Dit. La ter­ za componente, di segno negativo, misura infine l’effetto di sostituzio­ ne prodotto dall’aliquota ordinaria sulle scelte di investimento. Come si può osservare, tanto maggiore è t tanto minore è il N P V e, pertan­ to, tanto minore è la convenienza per gli investitori a intraprendere attività rischiose. Un discorso analogo vale per i: anche in questo ca­ so, tanto maggiore è il saggio di remunerazione dei titoli di Stato tan­ to maggiore è l’effetto di sostituzione e, quindi, la convenienza ad op­ tare per investimenti non rischiosi.

Si passi ora ai quattro quesiti enunciati nell’introduzione, i) Un sistema Dit è meno distorsivo di un sistema Irpeg?

Per rispondere alla domanda, si richiami uno schema di tassazio­ ne Irpeg come quello vigente fino al 1997 in Italia. Per far ciò, come si è detto, è sufficiente fissare il coefficiente iE a zero, in modo da ottene­ re

N P V = (1 - f ) ■ NPV* - —---f. [4'ì 1 + i

(12)

— 10 —

ii) In presenza di incertezza, la tassazione dei sovraredditi disincentiva gli investimenti?

Una risposta in senso negativo a questa domanda viene da Bond e Devereux (1995), i quali, come detto, propongono l’introduzione di un meccanismo impositivo ancora più radicale di quello della Dit, vol­ to ad esentare la remunerazione normale. Fissando dunque l’aliquota ridotta a zero, dalla [4] si ottiene la seguente variante

N P V - ( 1 A t ) ■ NPV* — • x. [4"] 1 + i

Proponendo di eguagliare il rendimento ordinario al costo oppor­ tunità dell’investimento, iE = i, Bond e Devereux (1995) dimostrano che il beneficio della deduzione del rendimento ordinario annulla l’ef­ fetto di sostituzione prodotto dall’imposta sui sovraredditi. Ciò che ri­ mane è un effetto di reddito, che ci riconduce alla condizione [2] e che consente agli autori di affermare che questa imposta è neutrale anche in un contesto di incertezza.

Una volta chiarito che la Dit è meno distorsiva e che un’imposta sui sovraredditi non disincentiva, di per sé, l’assunzione di attività ri­ schiose, si passino ad analizzare più in dettaglio gli effetti della Dit. iii) A quali condizioni la Dit è neutrale?

Prima di rispondere al quesito va subito chiarito che il valore di iE proposto da Bond e Devereux (1995) non è in grado di garantire neutralità ad un meccanismo Dit. Se, infatti, si pone iE = i, si ottiene N P V = ( 1 - t ) ■ NPV* - 1 i --- • t, [4"']

1 + i

laddove il termine [ i j ( 1 + i ) ] ■ x mostra il permanere di una distorsio­ ne. A differenza dell’Irpeg, in cui la distorsione era proporzionale al­ l’aliquota ordinaria, tuttavia, la distorsione è inferiore in quanto è commisurata all’aliquota ridotta.

(13)

ali-— 11 ali-—

quote ( f — t). Questo fatto genera una seconda fonte di asimmetria, che, a differenza della prima, rappresenta una caratteristica specifica della Dit e che impedisce ad un coefficiente di remunerazione pari ad i di essere neutrale. Si richiami allora la [4']. Perché vi sia neutralità il beneficio della deducibilità dei costi opportunità deve essere tale da eliminare totalmente l’effetto di sostituzione. In altri termini, deve valere l’eguaglianza

r - t

1 + i ' l E 1 + i ■ X .

Pertanto, il coefficiente in grado di ricreare la condizione [2] ri­ sulta pari a:

f

j*E ~ — . /. [5]

T - X

Come si può notare, il coefficiente i*E è maggiore del saggio di re­ munerazione dei titoli di Stato. Sulla base della [5], si può allora os­ servare come la proposta di Bond e Devereux (1995) di fissare iE — i rappresenti un caso particolare, ottimale solamente in presenza di un’aliquota ridotta nulla.

Una volta individuata la regola di fissazione del coefficiente di remunerazione ordinaria si può passare al quarto quesito,

iv) I parametri scelti dal governo italiano sono in grado di garantire neutralità alla Dit?

Come è noto, l’art. 1 comma 6 dello schema di decreto legislativo disciplina i criteri di fissazione del coefficiente di remunerazione ordi­ naria, imponendo che esso sia « determinato [...] tenendo conto dei rendimenti finanziari medi dei titoli di Stato, aumentabili fino al 2 per cento a titolo di compensazione del maggior rischio ». Va allora ri­ levato come la maggiorazione dei 200 punti base sia erroneamente giustificata dalla necessità di tenere conto del « maggior rischio » degli investimenti imprenditoriali. Da quanto precedentemente rilevato, in realtà, questa maggiorazione non è da collegarsi al rischio di intrapre­ sa, bensì aH’asimmetria tipica dei sistemi Dit.

(14)

— 12 —

di rendere neutrale la Dit, risulterebbe di poco superiore all’8%, men­ tre il coefficiente massimo consentito dallo schema sarebbe pari al 6 % e, pertanto, decisamente inferiore.

Della permanenza di distorsioni nella Dit italiana è consapevole la Commissione dei Trenta, allorché rileva che questa imposta « po­ trebbe operare ancora più incisivamente, qualora le condizioni del gettito lo consentissero ». La Commissione aggiunge che vi sono due vie perseguibili per la riduzione degli effetti distorsivi: la prima è rap­ presentata dall’abbassamento dell’aliquota agevolata, mentre la se­ conda consiste in un « innalzamento del differenziale sui tassi di mer­ cato nel rendimento riconosciuto ai nuovi apporti ». Valutando la pri­ ma delle due opzioni si osserva come, dato il livello attuale degli inte­ ressi, un abbassamento dell’aliquota ridotta dal 19 al 12.5% (ed un conseguente coordinamento con il regime dei titoli di Stato) annulle­ rebbe di fatto la distorsione prodotta dall’asimmetria. In questo caso, infatti, i*E sarebbe pari a 1.51 ■ i. Mantenendo l’ipotesi di un tasso i del 4% , quindi, il coefficiente i*E risulterebbe all’incirca pari al 6% e renderebbe i 200 punti base di maggiorazione sufficienti a garantire neutralità. Tuttavia, la Commissione mostra alcune riserve su que­ st’opzione, rilevando che « se in futuro si dovesse arrivare ad un’ali­ quota unica di tassazione dei rendimenti finanziari (a cui di conse­ guenza dovrà coordinarsi anche la tassazione dei rendimenti delle nuove riserve) questa non potrà che aggirarsi nei dintorni del 19% ». La Commissione propende quindi per la seconda opzione. In uno sce­ nario di tassi fluttuanti, tuttavia, il valore ottimale della maggiorazio­ ne è variabile. Per ricavare la regola di fissazione della maggiorazione che assicuri neutralità, in un contesto di tassi d’interesse variabili è necessario differenziare la [5]

Come si può osservare dalla [6], la variazione della maggiorazione dipende dal rapporto tra l’aliquota agevolata ed il differenziale delle due aliquote. In particolare, tanto maggiore è l’aliquota agevolata tanto maggiore è la sensibilità di (i*E — i) al livello dei tassi di interes­ se. Si può dunque affermare che, nella prospettiva di un auspicato, ulteriore calo dei tassi di interesse, la maggiorazione richiesta per aversi neutralità sarà via via decrescente.

d (i*E ~ i)

di X — X

X

(15)

— 13 —

4. Conclusioni.

Pur nella sua estrema semplicità il modello presentato consente di chiarire alcuni aspetti relativi all’applicazione della Dit. Un primo risultato riguarda gli effetti di questa imposta rispetto a quelli deter­ minati dal vecchio sistema Irpeg. Come si è mostrato, la distorsione eventualmente prodotta dalla Dit è sempre inferiore a quella generata da un sistema Irpeg. Pertanto, si può rilevare come la riforma italiana rappresenti un passo decisivo verso la riduzione delle distorsioni, non solo finanziarie ma anche reali.

Un secondo risultato mostra come la tassazione dei sovraredditi non sia di per sé disincentivante in un contesto di incertezza. Ciò si evince facilmente dall’analisi di Bond e Devereux (1995), i quali mo­ strano come essa non colpisca gli investimenti marginali, a condizione che il coefficiente di remunerazione ordinaria sia scelto opportuna­ mente.

Il terzo risultato si collega al precedente e riguarda la condizione in grado di assicurare neutralità ad un meccanismo Dit. Il coefficiente di remunerazione ordinaria deve essere maggiore del rendimento dei titoli di Stato. In particolare, il quid pluris in grado di garantire neu­ tralità è determinato sulla base del rapporto tra l’aliquota ordinaria ed il differenziale tra le due aliquote. Applicando questo coefficiente, quindi, si neutralizza il fattore di asimmetria implicito nello schema Dit e derivante dal fatto che, nel caso di risultati inferiori a quello normale, il beneficio d ’imposta non è proporzionale all’aliquota ordi­ naria, bensì al differenziale tra l’aliquota ordinaria e quella ridotta.

Dati i parametri contenuti nello schema di decreto legislativo, si dimostra come la Dit italiana non sia neutrale. Di questo fatto è con­ sapevole la Commissione dei Trenta, la quale ha indicato due vie per l’annullamento delle distorsioni, perseguibili allorché le condizioni del gettito lo consentiranno. La prima consiste in un abbassamento del­ l’aliquota di tassazione agevolata. La seconda, preferita dalla Com­ missione, è invece rappresentata da un aumento della maggiorazione sul rendimento. Come si è mostrato, la maggiorazione richiesta per aversi neutralità dipende direttamente dal livello dei tassi di interesse.

Bibliografia

Alvvorth, J., Hamaiji, R., Lovisoi.0, S. e G., Qu aran tin i, (1997), La tassazione dei redditi da capitale in Italia: le deleglee, i loro problemi e altri possibili sentieri di ri­

(16)

— 14 —

■ Auerbach, A., (1986) « The Dynamic Effects of Tax Law Asymmetries », in Review of Economic Studies, 53, pp. 205-226.

Banca d’ Italia, (1997), Relazione Annuale del Governatore, giugno.

Boadyvay, R. e N., Bruce, (1984), « A General Proposition on the Design of a Neutral Business Tax », in Journal of Public Economics, 24, pp. 231-239.

Bonàto, L., Hamaui, R. e M., Ratti, (1993), « Come spiegare la struttura finanziaria delle imprese italiane », in Politica economica, pp. 49-103, n. 1, aprile. Bond, S.R. e M.P., Devereu x, (1995), « On the Design of a Neutral Business Tax un­

der Uncertainty», in Journal of Public Economics, 58, pp. 57-71.

Bordignon, M., Giannini, S. e P., Panteghini, (1997), Corporate Taxation in Italy: The 1997 Reform, mimeo.

Commissione dei Trenta- (Commissione Parlamentare Consultiva in materia di rifor­ ma fiscale ai sensi della L. 23 dicembre 1996, n. 662), (1997), « Dual Income Tax », in Bollettino delle giunte e delle commissioni parlamentari, dicembre. Devereu x, M.P. e H., Freeman, (1991), « A General Neutral Profits Tax », in Fiscal

Studies, 13, pp. 1-15.

Domar, E.D. e R., Musgrave, (1944), « Proportional Income Taxation and Risk Ta­ king », in Quarterly Journal of Economics, LVIII, pp. 382-422.

Flora, F., (1903), Manuale di scienza delle finanze, Giusti, Livorno.

Gammie, M., (1991a), « Equity for Companies: A Corporation Tax for the 1990s », in Gammie, M., (a cura di), A Report of the IFS Capital Taxes Group, The Institute for Fiscal Studies, Commentary 26, Londra.

Gammie, M., (19916), « Corporate Tax Harmonization: An ACE Proposal », in Euro­ pean Taxation.

Giannini, S., (1997), La riforma della tassazione sui redditi di impresa: effetti sui bilanci e sui mercati, Credito Italiano, Milano.

Gordon, R.H., (1985), « Taxation of Corporate Income: Tax Revenues Versus Tax Distortions », in The Quarterly Journal of Economics, pp. 1-27, febbraio. Grizio tti, B., (1928), « Nuovi orientamenti nei sistemi tributari », rist. in Studi di

scienza delle finanze e diritto finanziario, Milano, 1956, voi. I. Hobson, J.A., (1919), Taxation in the New State, Londra.

La Porta, R., Lopez-De-Silanes, F., Sh leifer, A. e R.W., Vishny, (1997), « The Legal Determinants of External Finance », in The Journal of Finance, pp. 1131- 50, luglio.

Leccisotti, M., (1997), « Non premia chi produce più utili », in II Sole-24 Ore, 1 feb­ braio 1997.

MacKie-Mason, J.K., (1990), « Some Nonlinear Tax Effects on Asset Values and In­ vestment Decisions Under Uncertainty », in Journal of Public Economics, 42, pp. 301-327.

Mintz, J., (1995), « The Corporation Tax: A Survey », in Fiscal Studies, 16, pp. 23-68. Sandmo, A., (1974), « Investment Incentives and the Corporate Income Tax », in Jour­

nal of Political Economy, 82, pp. 287-302.

Schumpeter, J.A., (1956), The Theory of Economic Development: An Inquiry into Pro­ fits, Capital, Credit, Interest, and the Business Cycle, trad, di Opie, R., Transac­

tion Publishers ed., New Brunswick e Londra.

Ste ve, S., (1976), Lezioni di scienza delle finanze, Cedam, Padova.

(17)

Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, LVII, 1, I, 15-33 (1993)

Sommario: Abstract. 1. Introduzione. — 2. Controllo delle performance contrattuali e rimborso dei costi. — 3. Il modello. — 4. Discussione e conclusioni. — Biblio­ grafia.

Abstract: Il controllo della qualità del servizio e l’efficienza dell’impresa produt­ trice dello stesso sono due questioni centrali nello studio delle politiche di esternalizza- zione. La possibilità di vincolare l’ammontare di trasferimenti pubblici alla condotta dell’impresa e alla qualità del suo prodotto risulta un’opzione rilevante per il soggetto pubblico e una via attraverso la quale indurre un aumento della qualità del servizio. Per fare questo è tuttavia necessario individuare indicatori sintetici della qualità del­ l’offerta, da abbinare a un particolare contratto a incentivo che renda non convenienti comportamenti opportunistici dell’impresa concessionaria.

1. Introduzione.

La rilevanza sociale di alcuni servizi ha comportato la decisione di delegare, tramite mandato legislativo, la loro supervisione, organiz­ zazione e controllo a governi locali o nazionali, ai quali spetta l’indivi­ duazione degli opportuni strumenti tramite i quali realizzarli in modo efficiente. Al tempo stesso è richiesto al soggetto pubblico il raggiun­ gimento di una serie di obbiettivi redistributivi giustificabili sulla ba­ se dello stato di sostanziale necessità e indigenza dei destinatari del servizio, della natura talvolta meritoria dello stesso, o della particola­ re utilità sociale riconosciutagli. La redistribuzione avviene in genere tramite una diminuzione del prezzo relativo (Bognetti (1990)) legata a un atto di consumo specifico e raggiunge il suo massimo in corrispon­ denza di un prezzo pari a zero.

La produzione di questi servizi può poi essere effettuata o diret­ (*) Desidero ringraziare per i suggerimenti Giorgio Bellettini, Flavio Delbono e Alessandro Petretto oltre ette un anomino referee. Ovviamente ogni responsabilità per qual- che errore o omissione è imputabile solo all’autore.

CONTRACTING OUT, EFFICIENZA E QUALITÀ

(18)

— 16 —

tamente dal soggetto pubblico (produzione in house), o mediante enti autonomi della Pa, o con la concessione a soggetti privati del diritto di produrre e gestire il servizio (contracting out). La decisione di quale debba essere la forma istituzionale nella prestazione dei servizi, spetta al soggetto pubblico che dovrà valutare non solo elementi tecnico-effi- cientistici, ma dovrà ricercare quella soluzione capace di garantire la maggiore tutela di alcuni diritti riconosciuti.

Come ormai assodato all’interno della disciplina (1), numerose so­ no le situazioni in corrispondenza delle quali appare socialmente desi­ derabile che il soggetto pubblico rinunci, almeno in parte, alla produ­ zione diretta e deleghi un soggetto privato all’erogazione e gestione di un servizio al fine di ottenere risparmi di risorse, maggiore efficienza tecnologica — raggiunta tramite incrementi di produttività, modifica della composizione della forza lavoro utilizzata o dei metodi manage­ riali (2) — , prezzi più bassi per i fattori produttivi (3). La scelta del- l’esternalizzazione risulta quindi sempre più frequente e sempre più mirata ad affiancare a strutture pubbliche già esistenti, soggetti pri­ vati che eroghino lo stesso servizio. Questo genera un mercato misto all’interno del quale vi è un continuo confronto competitivo tra pub­ blico e privato (Caillaud (1990)), diversificazione dell’offerta, aumento della varietà dei prodotti (McGuire e Riordan (1995)) e spinte a inve­ stimenti migliorativi aventi come esito un’innalzamento della qualità del servizio e un aumento del benessere dell’utenza (4).

La concessione a soggetti privati del diritto ad erogare e gestire parte di un servizio di interesse sociale si sostanzia tramite la conclu­ sione di un accordo contrattuale (convenzione) all’interno del quale vengono specificate le caratteristiche del servizio, gli oneri delle parti, la durata della concessione e i meccanismi di controllo e monitoraggio sull’operare dell’impresa privata. La conclusione di un preciso accor­ do con un partner privato è tuttavia solo l’ultimo passo di un processo lungo e articolato. In prima istanza è necessario decidere quale porzio­ ne dell’offerta di un servizio decidere di delegare a un’impresa conces­ sionaria. Evidentemente sarà differente cercare partner che gestiscano un servizio totalmente facente capo a soggetti privati o partner chia- * 8

(1) Si veda in merito Wisniiìwski (1991), Graddy (1986), Dojiberger et al. (1986), Szymanski e Wii.kins (1993), Domberger, Hai.i, e An Lik (1995) per citare alcuni lavori recenti in merito.

(2) In merito McMaster (1996), Boussofiane, Martin e Parker (1997). (8) Si veda Oiilsson (1996) per una verifica empirica.

(19)

— 17 —

mati a offrire solo una piccola parte del servizio globalmente erogato. Nel primo caso sarà fondamentale un’attenta definizione del servizio e un rigoroso monitoraggio, nonché la selezione di un’impresa privata solida e già esperta, nel secondo saranno più importanti le capacità di innovazione del soggetto privato e la sua attitudine a ricercare nuovi modelli organizzativi che meglio si adattino alle esigenze dell’utenza. A tal scopo è quindi necessario comprendere quale sia la porzione otti­ male di un servizio da dare in concessione ai privati affinché sia mas­ simo il benessere sociale.

In un secondo momento sarà necessario selezionare in modo effi­ cace l’impresa privata attraverso una qualche forma di gara di asse­ gnazione (asta pubblica, licitazione privata, trattativa privata, appal­ to concorso eec...) del diritto ad erogare e gestire il servizio. L ’indica­ zione delle caratteristiche qualitative minime del servizio e dell’impre­ sa privata, all’interno del bando di gara o di delibere di indirizzo ecc..., facilita la selezione dell’impresa più efficiente, ha effetti positivi sulla successiva performance dell’impresa e rende del tutto innocua la scelta dell’offerta più conveniente (5).

Infine, tra gli elementi compresi nella convenzione vi dovranno essere una serie di meccanismi e strumenti di controllo delle perfor­ mance contrattuali che ostacolino comportamenti opportunistici e inefficienti dannosi per l’utenza.

Appare dunque possibile individuare tre diverse fasi del processo di esternalizzazione: (a) la determinazione della quantità di servizio erogato dal concessionario, (b) la scelta di quest’ultimo (c) la conclu­ sione di un’accordo contrattuale che fissi gli oneri delle parti e i mec­ canismi di regolamentazione dell’operare del soggetto privato. Il pre­ sente lavoro intende indagare su alcuni aspetti della prima e dell’ulti­ ma fase, mettendo in ombra la seconda, in riferimento a servizi a do­ manda individuale (assistenza anziani, servizi per la prima infanzia ecc...). Questo ci permetterà di considerare la quantità erogata del ser­ vizio in termini di posti all’interno di strutture gestite da imprese pri­ vate e da imprese pubbliche. La quantità prodotta dal concessionario sarà quindi stabilita in sede precontrattuale dal soggetto pubblico, sulla base della massimizzazione del benessere sociale, tanto che l’im­ presa privata potrà unicamente scegliere il livello di qualità da confe­ rire al servizio da lei prestato e il conseguente costo associato alla sua erogazione (cui sarà legato il relativo prezzo). I consumatori

(20)

— 18 —

ranno un prezzo minore del costo del servizio offerto dall’impresa pri­ vata, per ragioni assistenziali o redistributive, e la differenza sarà compensata dal soggetto pubblico tramite un trasferimento monetario al concessionario. Come indicheremo nel seguito sarà possibile, colle­ gando il trasferimento monetario ad alcuni indicatori della qualità della performance privata comparata a quella pubblica, incentivare una produzione efficiente e un adeguato livello qualitativo del servizio.

2. Controllo delle performance contrattuali e rimborso dei costi. Non sempre il soggetto pubblico è in grado di prevedere in sede contrattuale tutte le caratteristiche identificative di un determinato servizio. Spesso accade che il concessionario tenti di innalzare i propri margini di remuneratività a scapito della qualità della prestazione of­ ferta. Di indubbio interesse appare quindi la ricerca di meccanismi o condizioni che rendano non conveniente per l’impresa privata il com­ portarsi in modo opportunistico.

Come indicato dalla letteratura sul second sourcing o concorrenza ex-post (6), la possibilità per il soggetto pubblico di far subentrare for­ nitori alternativi che prendano il posto del concessionario, può disci­ plinare l’impresa operante nel mercato. In alcuni casi è difatti possibi­ le che la minaccia di essere sostituiti da un’altra impresa, avente trat­ ti similari e capace di offrire servizi di qualità più elevata a prezzi mi­ nori, induca l’impresa assegnataria del diritto di fornitura a intra­ prendere i dovuti investimenti migliorativi e a comportarsi in manie­ ra efficiente (Hartley e Huby (1986), Domberger et al. (1986)). Affin­ ché questo accada è tuttavia necessario che l’operare della concorren­ za potenziale, vincolato alla conclusione di un contratto di fornitura di breve termine, risulti possibile e socialmente desiderabile. Affinché questo avvenga i potenziali entranti devono aver accesso alla medesi­ ma tecnologia e alle stesse conoscenze dell’incumbent, i costi fissi legati all’erogazione del servizio non devono essere troppo elevati, tanto che adeguati ammortamenti siano realizzabili solo nel lungo periodo (7), e non devono esistere rilevanti effetti di learning by doing nell’ erogazio­ ne del servizio.

La difficile realizzabilità di queste condizioni sembra consigliare come, laddove la concorrenza potenziale non riesca a esercitare il suo 6 7

(6) Vedi in merito Picthktto (1993).

(21)

19

effetto benefico, sia necessario individuare, al minimo, standard quali­ tativi da sottoporre a verifica periodica attraverso ispezioni. Come ac­ cade frequentemente tuttavia la fissazione di livelli minimi di qualità induce a distorsioni e comportamenti lassisti che consentono all’im- presa a mala pena di adagiarsi sul livello minimo richiestogli. Alcuni lavori empirici hanno in merito mostrato, controintuitivamente, come l’introduzione di indicatori di performance e standard abbia spesso l’ef­ fetto di un peggioramento del livello medio di qualità del servizio of­ ferto da privati (8). Per tale ragione è oramai ampiamente condivisa la convinzione che la fissazione di standard minimi di qualità sia uni­ camente un requisito necessario, ma non sufficiente, a cui affiancare un qualche altro strumento di controllo dehe performance contrattuali.

Una possibilità, suggerita da Klein e Leffler (1981), è il controllo della qualità da parte dell’utente. Se infatti i consumatori sono perfet­ tamente informati, capaci di comunicare senza costi e in grado di ef­ fettuare acquisti ripetuti nel tempo, essi sono anche in grado di sce­ gliere tra un servizio di qualità minima, imposta dal regolatore, offer­ to a prezzo concorrenziale e un servizio di qualità elevata a prezzo più alto. Sotto specifiche ipotesi gli stessi mostrano che, se i profitti di breve non sono eccessivamente alti per il produttore, la concessione di un premio in termini di maggior prezzo da parte dell’utenza garanti­ sce l’erogazione di un servizio di alta qualità e rende suicida per l’im­ presa la scelta di ingannare i propri clienti rifilando loro un « bidone ». La ripetizione nel tempo del rapporto cliente-venditore sembra dun­ que un efficace meccanismo di controllo, sulla base del quale non si ha alcuna necessità di un costoso e difficile intervento esterno.

Il modello di Klein e Leffler appare tuttavia troppo legato a ipo­ tesi particolari. Spesso infatti i consumatori non sono perfettamente in grado di osservare la qualità, è difficile che riescano a comunicare tra loro senza costo, e non riescono ad ottenere tutte le informazioni necessarie (bilanci degli enti locali, dell’impresa concessionaria, il con­ tratto di erogazione del servizio ecc...) per una corretta valutazione del servizio. L ’impresa dal canto suo può non dare alcun valore al passato e ritenere desiderabile ingannare gli utenti. In tal caso, il m o­ nitoraggio messo in pratica dall’utente sulla performance dell’impresa concessionaria è ancora efficace? La risposta è evidentemente negati­ va. In quei casi è necessario dare la possibilità al consumatore di eser- 8

(22)

— 20 —

citare il proprio controllo (esprimendo la sua opinione sul servizio o avendo l’opzione del passaggio aH’interno delle strutture pubbliche), affiancando ad esso meccanismi che spingano l’impresa a essere effi­ ciente anche innanzi a utenti miopi e disinformati. Tali meccanismi, facenti parte dell’accordo contrattuale tra le parti, dovranno preferi­ bilmente assumere 1 connotati di strumenti di controllo e regolazione indiretti, capaci di indurre l’impresa a perseguire gli obiettivi del sog­ getto pubblico.

Il contratto di fornitura pubblica (convenzione) diviene dunque la sede in cui ricompréndere una serie di strumenti che limitino l’oppor­ tunismo post-contrattuale (crollo della qualità, innalzamento dei prezzi ecc...), distribuiscano il rischio di produzione del servizio, pre­ vedano trasferimenti compensativi per colmare la discrepanza tra co­ sti effettivi e prezzo fatto pagare all’utenza. In genere il tentativo è quello di prevedere dei pagamenti che prevedono una quota di costi non coperti a carico del produttore. Questo spinge il concessionario a ricercare incrementi di efficienza, ad aumentare l’impegno per la ridu­ zione dei costi e ad intraprendere il livello ottimale di sforzo (9). Come mostrano Laffont e Tirole (1993), il benessere sociale sarà massimo in coincidenza di un contratto a incentivo che si collochi logicamente tra un contratto in cui il trasferimento all’impresa sia dato da una somma fissa fissata ex-ante e indipendente dal livello effettivo dei costi (fixed, price) e un accordo contrattuale in cui sia prevista la totale copertura dei costi sostenuti (cosi plus). Tale contratto dovrà, oltre a fissare la quantità offerta (numero di posti ottimale) e il livello minimo di qua­ lità del servizio, determinare come collegare il trasferimento all’impre­ sa alla condotta (in termini di efficienza e qualità del servizio) della stessa.

Una possibilità (Laffont e Tirole (1993)) è che il trasferimento al­ l’impresa aumenti (diminuisca) della differenza tra costi effettivi e co­ sti previsti moltiplicata per un coefficiente che rappresenta la quota dei maggiori costi coperti dal soggetto pubblico. La quota di questi coperta dal concedente dipenderà a sua volta dalla disutilità dell’im­ presa selezionata associata allo sforzo profuso: maggiore sarà il suo sforzo maggiore sarà la copertura ottenuta dal soggetto pubblico nel caso di eccessivo rigonfiamento dei costi (cosi overrun) (10). 9 10

(9) Si veda per un’analisi dei contratti a incentivo Laffont e Tirole (1993) eh. 1.

(10) In tal senso un contratto a incentivo ha effetti positivi sul fenomeno del

(23)

rivol-— 21

In quel che segue si tenterà di delineare un meccanismo di coper­ tura dei costi alternativo che, seguendo la logica suindicata, risulti semplicemente implementabile e si rapporti anche con la spinosa que­ stione del controllo qualitativo della performance.

3. Il modello.

Si consideri un soggetto pubblico benevolente che decida di dare in concessione il diritto ad erogare parte di un servizio sino a quel mo­ mento da lui solo offerto. La domanda di mercato per il servizio, con­ siderato omogeneo, è pari a

P = a - bx ^

dove p è il prezzo e a: è la quantità totale domandata.

La quantità totale — ovvero il numero complessivo di posti — che si vuole offrire è pari a M, tra cui m posti offerti dal soggetto pub­ blico e n posti che saranno dati in convenzione. I costi di produzione di un posto sono equivalenti per imprese private e pubbliche e pari a

y2

CT(m ) = C T(n) ^ k + y con y = m, n. [2] Il soggetto pubblico agisce da leader fissando il numero di posti da convenzionare. La sua leadership riguarda le quantità ed è tale che la variabile n risulta un parametro per l’impresa privata.

Possiamo dunque prefigurare il problema come la determinazione del numero di posti che massimizza una funzione di benessere sociale data dalla somma dei surplus dei consumatori e dei produttori, sotto un vincolo di costo per il gestore pubblico e un vincolo di partecipa­ zione per il gestore privato. Se il numero totale di posti da rendere di­ sponibili è M, la funzione di benessere sociale W può essere scritta co­ me

W = |(a - bx)dx - C T (M ) [3]

(24)

— 22 —

da cui è possibile ottenere, chiamato m il numero di posti pubblici e n quello dei posti privati (tale che M = m+n), la seguente espressione di W

W s a(m+n) -, (m+n)2 k

-d

d

[4]

Il vincolo di costo per il soggetto pubblico può essere scritto come [5]

, m

k * T ~

e-dove c0 rappresenta la massima spesa sostenibile. Il vincolo di parteci­ pazione sarà esprimibile come un vincolo di minimo profitto per l’im­ presa ipotizzato che questa non possa offrire altri posti se non quelli a lei assegnati dal contratto con il soggetto pubblico. Esso avrà la se­ guente forma dove p è il prezzo richiesto dall’impresa privata in parte pagato dagli utenti in parte dal soggetto pubblico:

7 n >

p n - k ---< 0.

F

2

[6]

Il problema sarà dunque massimizzare la [4] rispetto a m e n sot­ to i vincoli [5] e [6]. Costruendo l’usuale lagrangiana e considerando i moltiplicatori di Lagrange rj come strettamente positivi abbiamo:

L-a(m+n) - ~ ( m + n ) 2 - k -

_ K

d

d

7 rnr

k + T ~c‘ +T1

p n - k

[7] da cui si ottiene il sistema delle F oc’s dato dalla [8]

(25)

23 —

Effettuando i calcoli otteniamo che il numero ottimo di posti è dato dalle seguenti espressioni:

m* = -\j 2c„ — Zk [9.1]

n* = p - Vp 3 - 2k [9.2] quest’ultima verificata per A, p > 0 e p > sj 2k.

Questi risultati, oltre a specificarci il numero ottimo di posti, ci permettono di evidenziare tendenze di massima della politica di ester- nalizzazione di un servizio. Immediato risulta infatti stabilire che:

dm dc0 dm dk dn dk > 0 < 0 > 0. [10]

Dalla [10] si nota che al crescere del budget pubblico c0 crescono i posti offerti dal soggetto pubblico, mentre al crescere dei costi fissi di produzione è più conveniente far gravare questi sul gestore privato, aumentando i posti in convenzione (in quest’ultimo caso sarà difficile che si realizzino le condizioni che permettono alla concorrenza poten­ ziale di regolare il concessionario). La derivata di n rispetto a p ha in­ vece sempre segno negativo, e questo cattura l’intuizione che all’au- mentare del prezzo riscuotibile per un posto è nell’interesse del gesto­ re pubblico aggiudicarsi un numero crescente di utenti riducendo i posti in convenzione. Questo è senz’altro vero se vi è un aumento di p a parità di costi, mentre, se il variare di p è legato a un incremento dei costi k, potrebbe non essere ottimale per il soggetto pubblico au­ mentare m. Se infatti calcoliamo la derivata seconda incrociata rispet­ to a k di n otteniamo

dn

dpdk

V

V(

P 2' 2 k ) 3 < 0. [11] Dalla [11] possiamo notare come al crescere di k deve diminuire la riduzione dei posti in concessione successiva a un aumento di p. In altri termini più l’incremento del prezzo è imputabile all’esigenza di copertura dei costi, più si attenua l’incentivo del soggetto pubblico a sostituire posti privati con posti pubblici. Al limite questo effetto sarà nullo in quanto una variazione dell’un per cento di p corrisponderà a un’uguale variazione di k. In tale situazione la [11] e la derivata di n rispetto a p avranno segno nullo.

(26)

— 24 —

tner privato (n di conseguenza sarà una variabile esogena per l’impre­ sa), al pianificatore sociale si presenta il problema (oltre a quello della selezione dell’impresa privata più efficiente che, come abbiamo detto, è posto in ombra) di assicurarsi che la qualità del servizio sia suffi­ cientemente elevata. Per farlo esso conclude con il concessionario un contratto incentivante nel quale cerca di specificare un meccanismo che spinga il soggetto privato a non comportarsi in modo opportuni­ stico gonfiando i propri costi e impoverendo il servizio. Come abbiamo anticipato il singolo utente non paga un prezzo pari al costo di produ­ zione dell’impresa privata, ma parte di questo è coperto da un trasfe­ rimento pubblico (11).

L ’impresa privata vorrà massimizzare i propri profitti rispetto al­ la variabile rimasta sotto il suo controllo: la qualità (12). Ipotizziamo che il prezzo richiesto dall’impresa dipenda dal livello di qualità da lei implementato e che la relazione tra le due variabili abbia le seguenti caratteristiche: P = P ( * ) -con p ’ > 0 p " > 0. [12] [13] Il costo unitario di ogni posto dipenderà anch’esso dalla qualità dello stesso e l’impresa non sopporterà alcun costo fisso (13). In assen­ za di trasferimenti monetari dal soggetto pubblico a quello privato il problema di massimizzazione dei profitti per il concessionario privato avrebbe la seguente forma:

max \p (s) - c(n; s)]n [14]

sotto un vincolo di qualità minima che supponiamo soddisfatto (14). Dalla risoluzione del problema [14] si ottiene che il livello di qualità che massimizza i profitti è dato da

( li ) Ovviamente il soggetto pubblico realizza un risparmio assoluto di costo se il costo totale del soggetto privato risulta minore del proprio.

(12) A questo punto è possibile chiedersi se la quantità non dipenda dal nume­ ro di posti dati al gestore privato; tale dipendenza, pur essendo una possibilità, è qui esclusa facendo le ipotesi, forse di comodo, che non vi siano una sorta di rendimenti crescenti di scala di tipo qualitativo ne, di conseguenza, costi medi decrescenti per cui al crescere della quantità risulta sempre meno costoso innalzare la qualità del servizio.

(13) Assumiamo per semplicità che costi fissi come la sede fisica, gli arredi ecc... siano a carico del soggetto pubblico.

(27)

Il livello di prezzo fissato sarà quello corrispondente al livello di qualità della [15].

In riferimento ad alcuni servizi tuttavia, come abbiamo detto, il soggetto appaltante fa gravare sull’utente solo una parte del costo to­ tale del soggetto privato pari, di norma, alla più alta tariffa pubblica per lo stesso servizio nelle strutture pubbliche che chiameremo t. La differenza tra p, cioè il prezzo richiesto dall’impresa privata in linea con i suoi costi, e t, prezzo pagato dall’utente, è coperta attraverso un trasferimento pubblico, corrisposto dopo che il concessionario ha di­ chiarato il suo prezzo (15). Dal punto di vista dell’impresa privata il prezzo ottenuto per ogni posto sarà dunque identico a quello del caso precedente, quindi il suo problema di massima sarà identico a quello espresso dalla [14], dando origine agli stessi risultati.

Tale meccanismo di copertura della differenza tra prezzo richie­ sto dall’impresa e prezzo fatto pagare all’utente, può indurre a volte effetti perversi non fornendo incentivi efficaci al concessionario a non incrementare, all’interno dell’intervallo di concessione, il prezzo ri­ chiesto. È infatti facile che, in seguito alla sicurezza di vedersi rimbor­ sati incrementi dichiarati di prezzo, il gestore privato non ponga alcu­ na attenzione al risparmio e alla razionalizzazione delle risorse, for­ nendo un servizio di qualità elevata ottenuta tuttavia attraverso lo sperpero di ingenti risorse finanziarie. Il rischio è quello di sproposita­ ti rigonfiamenti di spesa e dell’uso, da parte del concessionario, della leva qualitativa (jper mantenere la stessa qualità servono maggiori risor­ se) per ottenere maggiori trasferimenti.

Una possibile via per ovviare a tale problema è quella di condi­ zionare l’ammontare del trasferimento alla condotta del gestore priva­ to, collegando l’ammontare di risorse pubbliche, ad esso trasferito, agli incrementi richiesti (da un anno all’altro) di p in rapporto agli in­ crementi (dello stesso periodo) delle tariffe pubbliche. L ’intuizione di base è la seguente: un concessionario privato che aumenti in modo esorbitante i propri prezzi rispetto agli aumenti pubblici o è ampia­ mente più inefficiente o sta cercando di gonfiare oltre misura i trasfe­ rimenti a suo favore. In entrambi i casi esso dovrà essere in parte pe­ nalizzato attraverso una riduzione, in termini relativi, dei trasferi- 15

— 25 —

» * = ? > , ) • [15]

(28)

— 26

menti, al fine di incentivarlo a essere più efficiente o a non adottare comportamenti opportunistici. Per contro, se il gestore in concessione aumenta il proprio prezzo di poco rispetto al soggetto pubblico, o del­ lo stesso ammontare, allora la sua condotta potrebbe non essere op­ portunistica e l’incremento in linea con l’aumento generale dei costi. In tal caso è bene non penalizzarlo, ma adeguare i trasferimenti pub­ blici al nuovo livello dei costi. Nel caso poi in cui l’impresa privata aumenti i propri prezzi meno di quanto non siano aumentati quelli pubblici, ciò potrebbe essere un segnale di maggiore efficienza, a cui associare una sorta di premio rappresentato da un aumento relativo dei trasferimenti pubblici. Attraverso tale meccanismo correttivo si può cercare di evitare il rigonfiamento immotivato dei prezzi (e quin­ di degli oneri per l’amministrazione pubblica) spingendo il gestore pri­ vato verso la ricerca di maggiore efficienza.

A fianco di tali considerazioni vi è poi l’aspetto del controllo della qualità; l’aumento di p può essere infatti in parte giustificato da una maggiore qualità riscontrata dal soggetto pubblico nell’offerta dei ser­ vizi in concessione; per tale ragione è possibile che siano riconosciuti al gestore privato maggiori trasferimenti in quanto l’aumento del prezzo appare, almeno in parte, imputabile alla non facile ricerca di li­ velli più elevati di qualità. Efficienti strumenti di rilevazione e verifi­ ca degli standard qualitativi sono dunque nell’interesse di entrambe le parti: il soggetto pubblico per monitorare sulla qualità del servizio, il gestore privato per evitare che non gli vengano riconosciute legittime richieste di maggiori trasferimenti. Vediamo di specificare meglio quanto detto.

Costruiamo un indice di rigonfiamento dei prezzi del soggetto pri­ vato rispetto alla dinamica delle tariffe pubbliche. Per semplicità as­ sumiamo che, da un periodo all’altro, vi sia un incremento minimo, sia dei prezzi del soggetto privato (p) che di quelli del gestore pubbli­ co (t), pari al tasso di inflazione calcolato secondo l’indice dei prezzi al consumo Istat. L ’incremento dei prezzi privati potrà così, al minimo, essere pari a quello dei prezzi pubblici. Escludiamo poi il caso in cui il privato aumenti i suoi prezzi meno del soggetto pubblico. L ’indice in questione è definito dalla seguente espressione:

dp (s) dt

_ r i [16]

H ~ dp(s) 1{s) p{s)

(29)

— 27 —

struito come il rapporto tra il grado di adempimento degli standard qualitativi di base da parte del soggetto pubblico e da parte di quello privato. Esso viene calcolato associando un numero (a), da 1 a 4, al grado di soddisfacimento (da scarso a ottimo) dei diversi standard (i ) e ponderandolo attraverso un peso relativo (p ). Facendo questo per il gestore pubblico e il soggetto privato, e mettendo i due risultati in rapporto, si ottiene un semplice indicatore di qualità relativa (16). In sintesi esso assume la seguente forma:

n .

a ¡{s)pi | Concessionario

s(s) .--- --- e [0; °°) [17] £oc,p, [ Sogg. pubbl.

i =1

i cui valori saranno sempre positivi. Espresso in generale in funzione di s esso avrà le seguenti caratteristiche:

s — s(s)

f i o

con s" < 0.

Esso rispecchia il fatto che ad alti livelli di qualità implementata dal gestore privato corrispondano valori elevati dell’indicatore, ma con aumenti via via decrescenti, data la maggiore difficoltà di rileva­ zione di incrementi di s per valori elevati dello stesso. Come si vede maggiori livelli di qualità del servizio in concessione diminuiscono il valore di H e consentono al privato di ottenere maggiori trasferimenti.

La prima frazione della [16] può poi essere vista separatamente (la indicheremo con K ( s ) ) come una funzione di s, la cui derivata pri­ ma risulta essere positiva, data la forma della funzione p, al verificarsi delle condizioni esplicitate nella prima appendice. Il trasferimento dal pubblico al privato viene quindi ridotto di un ammontare pari all’e­ spressione [16] che risulterà tanto più elevata quanto maggiore è l’in­ cremento dei prezzi privati rispetto a quelli pubblici e tanto minore, al limite zero, se gli incrementi sono molto simili o al limite ugua­ li (17). 16 17

(30)

-— 28 —

Ne segue che la funzione di profitto per l’impresa risulterà essere pari alla seguente espressione:

(pW - 1) n — c(n; s)n. [19]

Massimizzandola per s si giunge, dopo alcuni passaggi, all’equa­ zione qui scritta (18)

p'(s) - H p{s) + W zm) [ p ( s ) - t \ = C s [ 2 0] dove £ rappresenta l’elasticità dell’indice di qualità rilevata al variare di s. Come spiegheremo più avanti essa è un elemento per valutare la bontà del sistema di rilevazione della qualità.

Noi sappiamo dalla [15] che p'(s) H

per cui sostituendo nella [20] e riarrangiando, possiamo ottenere la se­ guente condizione:

p'{s) = (p{s) - t) K\s)

s [21]

Posto che la funzione p sia monotona, crescente e convessa, l’in­ troduzione del fattore H porta a un livello maggiore di qualità, rispet­ to al caso di sua assenza, se la parte destra della [21] è maggiore di cs. Ciò posto, facendo l’inversa di p si otterrà un più elevato livello otti­ mo di qualità fissato dall’impresa concessionaria. Questo è vero se e solo se

(p(s) - t) 8- dK(s)

ds K(s) > C . s [22] ovvero, con alcuni passaggi, se

css/

/ p (s ) - t ' [28] Come si vede in tale espressione compaiono due elasticità. La pri­ ma è l’elasticità dell’indicatore s(s) al variare del livello di qualità s. Essa ci dice quanto reattivo è il rilevamento della qualità a incremen- 18 110)/5 = 38. Piu p cresce a confronto con 1 più sarà elevato H, e più sarà basso, in pro­ porzione il trasferimento. Se infatti p crescesse di ben il 100% (400), il trasferimento ottenuto sarebbe (400 - 110)/10 = 29. Se invece la crescita dei prezzi è simile, il trasferi­ mento sarà sempre più vicino alla semplice differenza tra i livelli di prezzo.

(31)

— 29 —

ti della stessa, e misura la bontà del sistema di verifica della qualità esistente. Se questo è scadente, aumenti rilevanti di qualità non sa­ ranno rilevati e il valore di e^s sarà tendenzialmente zero, rispecchian­ do la rigidità dell’indicatore; se, per contro, questo è eccellente, infini­ tesime variazioni di s si ripercuoteranno in modo immediato sul valo­ re di Ss:S. Nei due casi l’elasticità è rispettivamente nulla e infinita. La seconda elasticità sintetizza invece il grado di accelerazione nel valore di p in seguito a una variazione di s. Entrambe assumono valori da zero a infinito e hanno segno positivo, data la crescenza rispetto a s di s(s) e p.

Tale risultato rappresenta una via alternativa a quella di Laffont e Tirole (1993) tramite la quale ancorare il trasferimento pubblico alla condotta dell’impresa. Nel nostro caso esso sarà collegato alla diffe­ renza tra prezzi richiesti dal privato e prezzi pubblici, e al livello rela­ tivo di qualità del servizio in concessione rispetto a quello gestito dal pubblico. La sua possibile interpretazione è la seguente: in sede di de­ finizione dei meccanismi con cui assegnare trasferimenti compensativi al gestore privato, l’introduzione di un elemento che non assicuri l’au­ tomatica copertura degli incrementi di prezzo, non giustificati da in­ crementi di qualità o oggettivi (in quanto sperimentati anche da sog­ getto pubblico) aumenti di costo, può risultare desiderabile, nel senso disincentivare comportamenti opportunistici e condurre a un più ele­ vato livello di qualità del servizio, a patto che ad essa venga associato un efficace meccanismo di verifica della qualità del servizio in conces­ sione. Se il soggetto pubblico è in grado di rilevare piuttosto efficace­ mente ogni variazione del livello di qualità del servizio erogato dal privato, potrà introdurre una posta H capace di tutelarlo da immoti­ vati rigonfiamenti dei costi di copertura del servizio in concessione, e di assicurargli che l’impresa privata abbia più forti incentivi a imple­ mentare un livello maggiore di qualità del servizio. Se gli strumenti di verifica della qualità del servizio sono invece altamente imperfetti ri­ sulta conveniente utilizzare un più tradizionale meccanismo di coper­ tura automatica della differenza tra prezzi privati e tariffa pagata dall’utente, o, se sono noti i costi del concessionario e il suo livello di sforzo, un trasferimento alla Laffont e Tirole. 4

4. Discussione e conclusioni.

Riferimenti

Documenti correlati

Può infatti accadere che la partecipazio­ ne detenuta dalla società beneficiaria nella scissa sia stata iscritta, al m om ento dell’acquisto, a un valore diverso da

Nel titolo V (Disposizioni fi­ nali) della direttiva 90/434/Cee è contenuta la norma anti-abuso (art. 11 re­ cita al comma 1: « Uno Stato membro può rifiutare di

and West, in Environmental Monitoring and Assessment, voi.. Il ricorrente deve pur sempre avere interesse. Ciò significa, secondo l’amministrazione che « de­ ve

L ’articolata visione di Griziotti non può essere, dunque, tra­ scurata in qualsiasi tentativo di ricostruzione storica della teoria della finanza pubblica in

Infatti, per quanto attiene alla natura del diritto di usufrutto, la motivazione del­ la decisione di 1“ grado non appare convincente in quanto si fonda sulla affermazione

Ma un altro significativo passo in avanti lungo questa via è sta­ to fatto con il nuovo criterio, proposto recentemente da Yitzhaki e Thirsk [1990], per la

c) un terzo punto riguarda il problema della esportazione del carico fiscale al di fuori dei confini amministrativi dell'autorità che applica l'imposta. Anche i recenti studi

Se risultasse che la produzione pubblica in monopolio si è com­ portata come una produzione protetta, non esposta alla concorren­ za e, perciò immobile e