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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze. 1992, Anno 51, marzo, n.1

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MARZO 1992 Pubblicazione trimestrale Anno LI - N. 1

RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO

E S C I E N Z A D E L L E F I N A N Z E

F on d a ta da B E N V E N U T O G R I Z I O T T I

(e R IV IS T A IT A L IA N A D I D IR IT T O F IN A N ZIA R IO )

DI REZI ONE

ENRICO ALLORIO - EMILIO GEREL COM ITATO SCIENTIFICO ENRICO DE MITA - ANDREA FEDELE - FRANCO GALLO - SALVATORE LA ROSA - GIANNINO PARRAVICINI - ANTONIO PEDON

SERGIO STEVE ROBERTO ARTONI - G. FRANCO GAFFURI ITALO MAGNANI - ENRICO POTITO FRANCESCO TESAURO

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territoriale dell’ Università, della Camera di Commercio di Pavia e dell’ Istituto di diritto pubblico della Facoltà di Giurisprudenza dell’ Università di Roma. Questa Rivista viene pubblicata con il contributo finanziario del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Direzione e Redazione: Dipartimento di Economia pubblica e territoriale del- l’ Università, Strada Nuova 65, 27100 Pavia; tei. 0382/387.406, (Fax) 387.402.

Ad essa debbono essere inviati bozze corrette, cambi, libri per recensione in duplice copia.

Redattori: Silvia Cipollina, Angela Frasche« , Giuseppe Ghessi. Segretaria di R ed a ­ zion e: Claudia Banchieri.

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Registrazione presso il Tribunale di Milano al n. 104 del 15 marzo 1968 Iscrizione Registro nazionale stampa (legge n. 416 del 5.8.81 art. 11)

n. 00023 voi. I fogbo 177 del 2.7.1982

Direttore responsabile: Emilio Gerelli__________________

Rivista associata aU’ U nione della Stampa P eriod ica Italiana P u b b licità in feriore al 7 0 %

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INDICE-SOMMARIO

P A R T E P R I M A

Fr a n c o Re v ig l io - Servizi pubblici: privatizzazione o gestione pubblica di­

retta? ... 3 Ce s a r e Do s i - Approcci valutativi e trattamento delle imposte indirette nel­

l’analisi costi benefici ... Fr a n c e s c a St r o f f o l in i - Equilibrio alla Nash e variazioni modello di concorrenza fiscale ... Giu l io Tr e m o n t i- Scienza e tecnica della legislazione ... Lo r e n z o d e l Fe d e r i c o - I lineamenti della nuova finanza

vi margini di autonomia statutaria ... APPUNTI E RASSEGNE

Fr a n c e s c o Te s a u r o- Il regime Iva delle attività degli enti pubblici

LEGGI E DOCUMENTI

Eurotasse ecologiche: una strategia com unitaria per limitare le emissioni di anidride carbonica e migliorare l’efficienza energetica ... 119

RECENSIONI

Ja c o b sO .H . - Internationale Untemehmensbesteuerung (M .C . Fr e g n i) ... 138

NUOVI LIBRI ... 141 RASSEGNA D I PUBBLICAZIONI RECENTI ... 145

P A R T E S E C O N D A

Ma u r iz io In t e r d o n a t o - « Sconto d’imposta », « adesione » e « moltiplica­ tori » nelle successioni apertesi prima dell’l luglio 1986 ... 4 An t o n e l l a Ba r e t t o n - Su di un caso di mancata allegazione della copia

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Imposta sulle successioni e donazioni - Successioni apertesi prima d e in lu­ glio 1986 - Adesione ai valori accertati al fine di fruire della riduzione dell’imponibile prevista dall’art. 11 della L. n. 880 del 1986 - Impossi­ bilità di assimilazione della fattispecie all’accertamento per adesione di cui all’art. 27 del D .p.r. n. 637 del 1972 (Comm. T n b. II gr. di V e­ nezia, Sez. I, 29 novembre 1990, n. 438) (con nota di M. In t e r d o n a t o) ...

Diritto processuale tributario - Art. 15 D .p.r. 636/72 - Onere di allegazione della copia dell’atto impugnato - Sussiste - Inammissibilità del ricorso privo della copia (Comm. Trib. I gr. di Venezia, Sez. X I , 23 maggio

1989, n. 440). , ..

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Rivista di diritto fin an ziario e scienza delle fin a n ze, L I, 1 , 1, 3-15 (1992)

SERVIZI PUBBLICI: PRIVATIZZAZIONE O GESTIONE PUBBLICA D IRETTA?

di Franco Reviglio (*)

Università degli studi di Torino

So m m a r i o: 1. Le forme di organizzazione dei servizi pubblici consentite dalla legge 142/1990. — 2. Perché si sceglie l’azienda pubblica. — 3. E meglio l’eserci­ zio diretto o per delega?. — 4. Quali sono i metodi per l’esercizio diretto o in concessione. — 5. Quali sono i criteri per l’esercizio in concessione. — 6. In particolare, i criteri per la gestione con una società anonima. — 7. I cri­ teri per la formazione dei prezzi. — 8. I giudizi generalmente negativi sui risultati dell’impresa pubblica erogatrice di servizi. — 9. Come riorganizza­ re i servizi in futuro.

1. Le forme di organizzazione dei servizi pubblici consentite dalla legge 1^2/1990.

La legge 142/1990 ha lasciato alla libera scelta dei Comuni e delle Province di gestire i servizi pubblici locali direttamente o in concessione a terzi attraverso l’affidamento a privati. Nel caso di gestione diretta ha lasciato la facoltà di organizzare la produzione e l’erogazione dei servizi in economia in modi diversi, a mezzo di azienda speciale o di istituzione senza rilevanza imprenditoriale o a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale.

Ci si è chiesti quali possano essere i criteri rilevanti per com­ piere la scelta della forma di gestione sulla base dell’analisi econo- mico-fmanziaria e dell’esperienza storica, distinguendo in partico­ lare quelli che hanno significato obbiettivo da quelli che, invece, comportano una valutazione soggettiva e quindi, latu sensu, politica.

Invero, il problema della scelta tra l’esercizio diretto o in con­ cessione dei servizi pubblici è da lungo tempo dibattuto dalla

scien-(*) Relazione al convegno “ Dal pubblico al privato: valutazioni e prospet­ tive 18 mesi dopo l’entrata in vigore della legge 142/90 ” , Riforma srl, Torino, 5-6

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za finanziaria, assai prima che la recente moda delle privatizzazio­ ni portasse l’argomento all’onore delle prime pagine. Luigi Einau­ di, nel suo “ Corso di scienza delle finanze ” pubblicato oltre 60 anni fa, aveva dettato in modo che oggi definiremmo moderno le regole auree a cui ispirarsi, soffermandosi sui meriti di tutte e cin­ que le forme di gestione dei servizi pubblici ora consentite agli Enti locali in base all’art. 22 della legge 142, che nell’ipotesi delle azien­ de speciali possono essere istituite dagli Enti locali anche in modo consortile (art. 25).

Cercheremo di riassumere i criteri suggeriti dal grande econo­ mista piemontese, che spesso vengono dimenticati e sacrificati sul­ l’altare delle semplificazioni ideologiche, una trappola in cui il grande economista di fede liberale non è mai caduto. Integreremo le argomentazioni della sua analisi con qualche rilievo dettato dal­ l’esperienza e dell’evolversi dei fenomeni economici, consapevoli, tuttavia, che il fondamento analitico da lui costruito appare ancora oggi pienamente valido.

Einaudi risponde a quattro domande fondamentali: perché si sceglie di soddisfare un bisogno individuale e divisibile non attra­ verso imprese puramente private, ma mediante una azienda pub­ blica, quali sono le ragioni che possono fare preferire l’esercizio di­ retto a quello in concessione (che chiama “ per delegazione ” ), quali sono i diversi metodi in esercizio diretto o per delegazione e, infine, quali sono le regole per la formazione del prezzo, a differen­ za da quelle che valgono per la formazione dei prezzi privati. Egli si riferisce genericamente all’impresa pubblica, dello Stato o degli enti locali, ma i suoi argomenti possono essere bene utilizzati anche solo dall’angolo visuale dei secondi.

2. Perché si sceglie l’azienda pubblica.

Alla prima domanda purtroppo non può rispondersi in base a determinate caratteristiche tecniche della produzione e della vendi­ ta dei beni o servizi pubblici, ma solo attraverso il fine di pubblica utilità che l’ente pubblico persegue. Pertanto il giudizio è squisita­ mente politico e come tale viene espresso in relazione a condizioni che storicamente evolvono.

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decisione, rimane ancora aperto il problema se la produzione del­ l’impresa deve essere svolta dall’operatore pubblico oppure se de­ ve essere affidata a un privato concessionario.

In questo secondo caso per i servizi offerti si pagherà non un prezzo privato, ma un prezzo pubblico, un prezzo tale che comun­ que copre il costo del servizio. Questo avviene in via generale; in casi particolari non si può escludere (ma questo Einaudi non am­ mette esplicitamente), che il prezzo non sia tale da coprire intera­ mente il costo medio, quando, ad esempio, viene lasciato all’Ente pubblico di fornire gratuitamente, anche se solo in parte, le infra­ strutture dell’impresa.

Anche se il giudizio, quindi, su quali produzioni e distribuzioni di beni e servizi sottrarre al libero gioco del mercato è politico, Ei­ naudi cerca di definire le condizioni che devono sussistere affinché esista il fine di pubblica utilità e l’impresa possa (non debba) essere pubblica.

Tra queste, ricorda:

(a) le imprese aderenti alla strada, quali le ferrovie, le tran­ vie e i trasporti, la fornitura di acqua potabile, di gas, elettricità e le linee telefoniche, perché sono quasi sempre imprese monopoli­ stiche. Vi è, infatti, una limitazione fisica assoluta al numero di im­ prese che possono esercitarsi sulla strada ed esse possono mettersi d ’accordo tra di loro;

(b) le imprese che possono fare raggiungere fini non di lucro, extra economici, non raggiungibili da imprese private, quali quello di garantire il trasporto ferroviario, della posta o di una linea tele­ fonica anche tra luoghi in cui per un’impresa privata non vi sareb­ be la convenienza, così agevolando i contatti e l’integrazione nazio­ nale e garantendo la sicurezza interna ed esterna;

(c) le imprese che, ove lasciate ai privati, farebbero costituire attorno ad esse gravi e potenti interessi privati contrari all’interes­ se pubblico o almeno tali da influire sulla condotta del governo o della pubblica amministrazione secondo direttive non conformi al pubblico interesse (Einaudi ha in mente il caso delle imprese di ar­ mamenti o di navi da guerra);

(d) le imprese che sono sussidiarie a quelle già esercitate da imprese pubbliche, quali i telefoni e i telegrafi che sono appunto sussidiari delle imprese postali.

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cambiamenti delle tecnologie e degli scenari politici, economici e sociali, che oggi dominano la vita degli agglomerati urbani, impon­ gono che la funzione dell’impresa pubblica debba essere riesamina­ ta, perché molti dei servizi che in passato potevano essere adegua­ tamente offerti dall’Ente pubblico non lo sono più e perché vi è una richiesta crescente all’Ente pubblico di nuovi servizi.

D ’altra parte, sono profondamente cambiate le esigenze redi­ stributive e i modi di produrre i servizi pubblici tradizionali, che devono essere offerti sempre più “ su misura ” rispetto alle esigen­ ze particolari e mutevoli degli utenti.

3. E meglio l’esercizio diretto o per delega?.

Si è visto che quando sussistono le condizioni per sottrarre una produzione o una distribuzione al mercato, affidandola all’impresa pubblica, rimane poi da stabilire se essa debba essere esercitata di­ rettamente o affidata a imprese private sotto la sorveglianza e tute­ la dell’Ente pubblico, mediande vincoli all’esercizio, fissando, ad esempio, il prezzo, che dovrà avere un carattere pubblico.

Per effettuare tale scelta, Einaudi propone alcuni criteri:

(a) le industrie complicate male si prestano all’esercizio stata­ le. Tra queste vi sono l’esercizio delle ferrovie più che quello delle poste e l’esercizio dei telefoni;

(b) le imprese soggette all’alea delle nuove invenzioni (Ei­ naudi ha in mente l’illuminazione e le ferrovie);

(c) le imprese, quali le ferrovie, caratterizzate da redditi va­ riabili che potrebbero pregiudicare il bilancio dell’Ente pubblico;

(d) le imprese, quali le poste e le ferrovie, in cui vi è un grande numero di dipendenti, perché essi potrebbero avere una importanza elettorale o, quindi, dare luogo ad una gestione ineffi­ ciente e costosa per il bilancio pubblico;

(e) le imprese, quali le ferrovie, in cui vi è una pericolosa pressione degli utenti e dei fornitori e una predisposizione dell’En­ te pubblico a non effettuare Tammortamento dei debiti accesi o dei cespiti utilizzati per non veder diminuire il reddito netto.

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li. Si tende, tuttavia, a sottolineare che la gestione pubblica diretta di un monopolio può, più facilmente della forma organizzativa al­ ternativa, determinare l’occupazione di spazi impropri da parte del potere politico che conducono a gestioni particolarmente inefficienti.

4. Quali sono i metodi per l’esercizio diretto o in concessione.

Risolti i due primi quesiti (se l’impresa debba essere sottratta al mercato e se sia meglio esercitarla direttamente o per delega) ri­ mane da risolvere il metodo da seguire in entrambi i casi, che può essere l’esercizio diretto, un’azienda con bilancio o con amministra­ zione autonoma o l’esercizio per delegazione a terzi, oggi diremmo per concessione.

L ’esercizio diretto, sostanzialmente quello che nell’art. 22 della legge 142 è detto “ in economia ” , dovrebbe essere applicato solo ai casi più semplici in cui l’Ente pubblico esercita l’impresa per mezzo dei suoi funzionari perché non vi sarebbe giustificazione a creare un’impresa a se stante.

L ’azienda con bilancio e gestione autonoma appare opportuna quando si vuole introdurre nell’impresa un po’ di spirito imprendi­ toriale e sottrarre l’azienda alle influenze politiche. L’indipendenza può essere ulteriormente incentivata creando un’amministrazione speciale per gestire l’impresa. Questa forma di gestione ha il pregio di mettere in evidenza le entrate e le spese proprie dell’azienda. Essa può essere costruita, come- è previsto dall’art. 22 della legge 142, come istituzione strumentale dell’Ente locale dotata di autono­ mia gestionale e come azienda speciale dotata di personalità giuri­ dica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto.

Come è noto, questa è la forma di gestione più diffusa a livello statale e locale per gestire beni e servizi pubblici. Essa si presenta spesso come eccessivamente burocratica, con un insufficiente gra­ do di autonomia organizzativa, di investimento, tariffaria rispetto all’Ente proprietario.

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In molti casi i conti economici delle aziende autonome o spe­ ciali sembrano costruiti apposta per impedire la trasparenza e quindi i giudizi di efficienza e di efficacia. Il caso macroscopico è quello delle ferrovie dello Stato, il cui bilancio non può servire ad approfondire le grandi scelte di efficienza e distributive senza esse­ re adeguatamente ricostruito. In particolare, i criteri con cui i conti sono costruiti sembrano essere diretti a rendere difficile l’immedia­ ta percezione del contributo complessivo a carico dello Stato.

D ’altra parte, le tariffe praticate dall’azienda autonoma o spe­ ciale, in quanto pubbliche o addirittura politiche, non possono di per se stesse essere utilizzate come indicatore di efficienza, neppu­ re confrontandole con quelle di aziende similari anche di altri pae­ si. L ’unico strumento disponibile per valutare l’efficienza tecnica e la qualità del servizio risulta allora il confronto degli indicatori, da quelli sulla qualità e quantità del servizio, a quelli sulla produttività tecnica ed economica dei fattori.

Purtroppo, l’insufficiente grado di sofisticazione di questa for­ ma organizzativa rende questi confronti spesso impraticabili. La ri­ levazione dei dati produttivi e di bilancio che l’azienda autonoma o speciale di fatto consente è infatti di norma inferiore a quella di al­ tre forme più sofisticate proprie delle imprese private che competo­ no sul mercato, specialmente quando sono società per azioni quotate. Pure con questi limiti e difficoltà, una vasta messe di informa­ zioni analitiche è stata accumulata. Essa, sembra indicare resisten­ za non tanto di eccessi di spesa e di risorse assorbite, quanto piut­ tosto di gravi carenze della produzione. Queste, in linea di princi­ pio, potrebbero anche essere superate attraverso innovazioni nel­ l’organizzazione e negli incentivi, rese possibili da una migliore raccolta e utilizzazione delle informazioni sulle risorse impiegate e sui prodotti ottenuti. Molti, tuttavia, ritengono, come vedremo più avanti, che i rimedi migliori siano di ricorrere a forme di privatiz­ zazione.

5. Quali sono i criteri per l’esercizio in concessione.

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sembra naturalmente più portato a gestire con criteri privatistici, eliminando gli sprechi e le inefficienze.

Naturalmente di per sé una organizzazione efficiente non con­ duce all’efficacia rispetto al soddisfacimento dei bisogni che si vuo­ le soddisfare, perché l’obbiettivo del concessionario è soltanto la massimizzazione del profitto. Il risultato dipende dai regolamenti della concessione e dai controlli che verranno effettuati.

L ’esperienza indica che spesso il risultato delle concessioni è scadente a causa dell’inadeguatezza della convenzione, particolar­ mente nei casi in cui essa non è stata in grado di prevedere gli ef­ fetti di eventi imprevisti, nei casi in cui si è registrata una forte liti­ giosità del concessionario e quando l’ente concedente non è stato capace di effettuare i previsti controlli sull’applicazione della con­ venzione.

Einaudi ci ricorda che la convenzione dovrebbe rispondere ad alcuni criteri: non valere per un tempo troppo lungo, quale 50 anni, perché in tale periodo possono avvenire cambiamenti rilevanti nei parametri tenuti presenti nella definizione della convenzione, né troppo breve, ad esempio 5 anni, perché il concessionario non avrebbe tempo di ammortizzare gli impianti. In ogni caso, poi, ap­ pare opportuno rinnovare di mutuo accordo le concessioni prima della scadenza, perché negli ultimi anni il concessionario è portato a non investire, facendo solo le manutenzioni minime previste dai capitolati.

Nella convenzione si devono indicare quali sono gli oneri del concessionario e i criteri per determinare le tariffe e il canone da versare alll’Ente pubblico concedente. Einaudi si sofferma sulle ipotesi di canone fisso con partecipazione dell’Ente pubblico agli utili netti della concessione e di canone variabile in ragione del pro­ dotto lordo o dell’utile netto, suggerendo per ciascuna delle ipotesi criteri che dopo tanti anni conservano intatta la propria attualità.

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garan-tisce affatto l’efficienza e l’economicità del servizio. Valga per tutti il caso dei servizi telefonici intercontinentali tra l’Italia e gli Stati Uniti che sono molto più costosi quando la telefonata parte dal no­ stro paese.

Recentemente, sulla base di esperienze straniere, si è proposto di mettere all’asta le concessioni, non tanto per fornire una entrata all’Ente pubblico, quanto piuttosto per stabilire nuove regole di trasparenza nel rapporto tra Ente pubblico e privato, accrescendo così la concorrenza e con essa l’economicità delle gestioni.

6. In particolare, i criteri per la gestione con una società anonima.

La legge 142 consente anche la scelta della delegazione ad una società anonima con l’Ente pubblico principale azionista. Alla so­ cietà viene affidato l’esercizio a concessione dell’impresa (questa ipotesi è la quinta e ultima opzione prevista dall’art. 22 della legge 142), rimanendo, tuttavia, l’Ente locale proprietario in tutto o in parte dell’azienda.

Nel mondo privato questa forma giuridica ha il pregio di con­ sentire una gestione con criteri di rapidità, oculatezza, economia. Vi è, tuttavia, il rischio, peraltro secondo Einaudi superabile, che i consiglieri nominati dall’Ente pubblico non si comportino con la ra­ pidità e decisione di cui godono i consiglieri nominati dagli azionisti privati perché essi sono custodi di denaro pubblico e pertanto de­ vono riflettere e riferire al loro mandante.

Qui l’economista di Dogliani non poteva avere presente l’altro rischio, che l’esperienza successiva, particolarmente negli ultimi anni, ha dimostrato essere molto più serio, che i consiglieri non si preoccupino tanto del denaro pubblico, quanto della volontà del re­ ferente partitico che di fatto li ha designati.

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s i presenta, inoltre, spesso il problema dell’indisponibilità de­ gli azionisti privati di partecipare alla copertura di eventuali perdi­ te di gestione con apporti di capitale e, più in generale, di parteci­ pare agli aumenti di capitale necessari per lo sviluppo efficiente dell’impresa.

7. I criteri per la formazione dei prezzi.

L ’ultima parte dell’analisi di Einaudi si occupa dei criteri per la formazione del prezzo che devono servire tanto nel caso di ge­ stione diretta, quanto in quello di gestione delegata (di concessio­ ne). Assunto che il prezzo praticato diviene pubblico, quando deve globalmente coprire il costo totale di produzione senza, tuttavia, superarlo, la trattazione einaudiana, a titolo esemplificativo, pren­ de a riferimento il caso del monopolio naturale, e in particolare i casi delle ferrovie, delle tranvie e delle poste, che rappresenta la prima delle giustificazioni dell’intervento attraverso l’impresa pub­ blica.

Einaudi sviluppa i motivi che fanno in generale preferire la ta­ riffa a prezzi molteplici alla tariffa a prezzo unico, la tariffa a base variabile decrescente alla tariffa a base fissa o a base variabile cre­ scente nel caso del trasporto di lunga distanza, la tariffa a base va­ riabile crescente rispetto a quella a base variabile decrescente nel caso del trasporto a breve distanza, la tariffa a base fissa unica nel caso della tariffa postale.

Successivamente, Einaudi si sofferma sull’ipotesi che l’Ente pubblico decida di non coprire con le tariffe interamente il costo di produzione perché ritiene che non predomini l’interesse privato e reputa necessario raggiungere certi fini pubblici, soprattutto allo scopo di favorire certe classi sociali o dati gruppi deila collettività a carico di altri. L ’Ente pubblico giudica che è opportuna una mag­ giore produzione del bene o del servizio di quella che avverrebbe con l’impresa privata e ritiene che il bene o il servizio debbano es­ sere venduti, in tutto o in parte, a un prezzo inferiore a quello in concorrenza, allo scopo di consentire a certe classi sociali di poter godere, o poter godere in maggior misura, di quel bene.

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come nel caso di prezzo pubblico, interamente divisibile tra gli utenti poiché in parte si tratta di un costo indivisibile.

Einaudi avverte che vi sono grandi difficoltà a distinguere la parte divisibile da quella indivisibile, anche perché al momento della distinzione si subiscono le pressioni contrastanti degli utenti e dei contribuenti. Il giudizio non può essere obbiettivo perché esso è squisitamente politico.

Successivamente alla trattazione di Einaudi, la teoria della fis­ sazione dei prezzi è stata approfondita, giustificando in termini di ottimo collettivo la tarifficazione al costo marginale quando i costi siano decrescenti. Questo sviluppo teorico ha fornito una facile giu­ stificazione teorica ai disavanzi, affrancando gli Enti locali dalla ne­ cessità di esplicitare le scelte distributive tra gli utenti e i contri­ buenti e all’interno dello stesso gruppo degli utenti e liberando nel contempo gli amministratori dell’obbligo di rendere conto della dif­ ferenza tra i costi redistributivi e quelli dell’inefficienza.

8. I giudizi generalmente negativi sui risultati dell’impresa pub­ blica erogatrice di servizi.

L ’impresa pubblica, che pratica prezzi pubblici o politici, è una istituzione molto diffusa nel nostro paese. A livello collettivo essa non viene, di regola, considerata un’esperienza di successo. In ge­ nerale, il giudizio negativo sull’impresa pubblica di servizi di pub­ blica utilità viene esteso all’intero settore dei servizi che è conside­ rato la palla al piede della nostra economia perché con la sua ineffi­ cienza ne blocca la competitività sul mercato globale.

Un giudizio così drastico sull’impresa pubblica appare in parte immeritato perché alcune grandi imprese di servizi organizzate, quali gli Enti pubblici, che producono e distribuiscono energia elet­ trica, e le società per azioni che distribuiscono gas metano, regi­ strano livelli di efficienza e tariffe in linea con quelli migliori dei paesi industriali.

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gene-— 13 gene-—

Talmente piuttosto burocratiche e inefficienti perché i funzionari di queste imprese preferiscono esercitare il potere monopolistico in si­ tuazioni protette, non rischiano il posto, seguono rigidamente le procedure e impongono una rete di controlli formali, rendendo il processo di decisione di impresa lento e inadeguato. Si sottolinea, infine, che le politiche di assunzioni e retribuzione del personale sono inefficienti e inutilmente costose.

Molti addirittura ritengono che le inefficienze delle imprese pubbliche costino ai consumatori più di quelle che si avrebbero con la gestione con un’impresa privata monopolistica, perché questa, diversamente dall’impresa pubblica, sarebbe in grado di ampliare il servizio nelle dimensioni necessarie a operare al costo minimo.

Altre critiche puntano al modo con cui le tariffe vengono defi­ nite dall’esterno. Si è messo in rilievo che spesso nella definizione dei criteri per l’applicazione delle tariffe pubbliche si permette al­ l’impresa di ricavare un certo tasso di rendimento sul capitale, spingendo così l’impresa ad impiegare una quantità eccessiva di ca­ pitale, superiore a quella delle tecnologie che minimizzano i costi.

Più in generale, specialmente negli ultimi anni è stata sottopo­ sta ad una critica sempre più serrata anche la stessa applicazione delle tariffe politiche. Nel nostro paese l’applicazione di tariffe che non coprono i costi medi è abbastanza ampia. A livello nazionale, gravano sul bilancio pubblico per l’applicazione di tariffe politiche le Ferrovie, l’Anas, i trasporti marittimi domestici, i Monopoli di Stato e le Poste.

A livello locale, l’erogazione di beni e servizi a tariffa politica è ancora più diffusa che a livello nazionale. Rientrano in quest’area di applicazione quasi ovunque i trasporti urbani e in molti casi altri servizi di pubblica utilità, quali gli acquedotti e le farmacie comu­ nali. Nel 1990 le perdite complessive delle aziende municipalizzate hanno raggiunto 5.260 miliardi, contro utili complessivi per “ solo ” 415 miliardi.

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D ’altra parte, con il miglioramento dei livelli di vita è via via divenuto meno giustificato attuare una redistribuzione generale a favore degli utenti, avvantaggiando anche quella parte crescente di essi, spesso la maggioranza, che è ormai in grado di pagare un prezzo che copra il costo del servizio. Rimane, tuttavia, un’area abbastanza ampia di interventi sul territorio servito dai servizi pubblici che ancora giustifica l’applicazione di tariffe politiche, par­ ticolarmente quando il servizio pubblico, come nel caso dei traspor­ ti urbani, risente gli oneri della mancanza di idonee politiche di ge­ stione del territorio.

9. Come riorganizzare i servizi infuturo?.

Nella società non più povera e arretrata, in cui vengono do­ mandati servizi di migliore qualità e maggiormente tagliati rispetto alle diverse esigenze, è sempre più costoso e inefficiente interveni­ re a fini redistributivi attraverso strumenti generali, quali la forni­ tura di servizi di bassa qualità finanziati da tariffe politiche, che hanno una efficacia redistributiva sempre più ridotta. Un’efficace azione redistributiva deve invece poggiare su interventi tagliati su misura in relazione ai bisogni di quei cittadini che non sono in con­ dizioni di soddisfarvi con i propri mezzi.

Si sottolinea, inoltre, che nella competizione sul mercato globa­ le è destinata a crescere enormemente la quantità necessaria di servizi di pubblica utilità che dipendono da infrastrutturare di rete e che richiedono grandi investimenti per il loro ammodernamento, quali l’elettricità, il gas naturale, i trasporti e le telecomunicazioni. Si ritiene che sia opportuno garantire che questa provvista avvenga attraverso più operatori aprendo i monopoli alla concorrenza, per­ ché si riesce così a controllare i costi. Come alcune recenti espe­ rienze straniere insegnano, mantenendo in mani pubbliche le infra­ strutture di rete e lasciando ai privati il loro utilizzo si può miglio­ rare grandemente l’efficienza e l’efficacia dei servizi.

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APPROCCI VALUTATIVI

E TRATTAM EN TO DELLE IMPOSTE IN D IR E TTE NELL’ANALISI COSTI-BENEFICI

di Cesare Dosi (*)

Dipartimento di scienze economiche dell’ Università di Udine

So m m a r i o: X. Introduzione. — 2. Analisi costi-benefici e approcci valutativi. — 3. Il trattamento delle imposte indirette. — 4. a c b, trattamento delle imposte indirette e ‘inverse optimum problem . — Riferimenti bibliografici.

1. Introduzione.

L ’indicazione di carattere generale che accomuna i molti con­ tributi dedicati all’analisi costi-benefici (a c b) riguarda la necessità di valutare le azioni, attraverso cui si estrinseca l’intervento pub­ blico, alla luce del contributo che esse forniscono in termini di ‘be­ nessere sociale’ .

È noto, tuttavia, che al consenso sulle finalità generali dell’ACB non corrisponde un’analoga identità di vedute sulla scelta delle uni­ tà di conto che dovrebbero descrivere tale contributo. E d è altret­ tanto noto che le ragioni della controversia devono essere in ultima analisi ricercate nell’assenza di unanimità di opinioni circa l ’argo­ mento delle funzioni di utilità, la nozione stessa di ‘benessere indi­ viduale’ o la natura, la forma generale e i parametri della ‘funzione del benessere sociale’ .

Se, in un’area in cui si realizza una forte compenetrazione di considerazioni di natura ‘normativa’ e ‘ positiva’ , questa varietà di vedute è inevitabile, ed entro certi limiti legittima, altrettanto non si può dire della tendenza a non esplicitare in modo sempre

ade-(*) Desidero ringraziare il Prof. Gilberto Muraro per i suggerimenti e i ri­

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guato il raccordo tra gli obiettivi assegnati alla valutazione e le pro­ poste formulate in tema di unità di conto. Un’insufficiente esplicita- zione è suscettibile infatti di configurare una sorta di arbitrio dell’a­ nalista, non meno indesiderabile di quello che, attraverso I ’a c b, si

vorrebbe evitare, ponendo la selezione dei progetti al riparo dalla discrezionalità del decisore pubblico.

Un esempio di tale tendenza è costituito, a nostro avviso, dalle indicazioni sul trattamento da riservare alle imposte indirette gra­ vanti su beni suscettibili di costituire l’input o l’output di un proget­ to pubblico. L ’obiettivo principale, anche se non unico di questa nota, è di ricondurre tali indicazioni alle finalità che, non di rado implicitamente, vengono attribuite dai proponenti all’ACB. A tale scopo verrà proposta una rassegna di lavori che, a vario titolo, sono sembrati in grado di contribuire all’esplicitazione di questo raccordo.

Nell’affrontare questo tema siamo consapevoli del fatto che nella prassi operativa la questione del trattamento delle imposte in­ dirette è stata da tempo risolta, considerando le imposte un trasfe­ rimento, ed escludendole, quindi, dal calcolo dei costi e benefici economici del progetto. Nondimeno, abbiamo ritenuto di qualche interesse riproporre questo tema anche perché non è sempre evi­ dente se 1’affermarsi di questa impostazione debba essere attribuita ad una effettiva adesione alla ‘ filosofia’ che sottende tale soluzione metodologica, o se abbiano invece prevalso considerazioni di ordi­ ne ‘tecnico-procedurale’ .

La nota è articolata nel modo seguente. Nel par. 2 viene pro­ posta una classificazione degli approcci valutativi rinvenibili nella letteratura dedicata all’ACB. Nel par. 3 viene presentata una rasse­ gna delle indicazioni in tema di trattamento delle imposte indirette. Nel par. 4, viene formulata una proposta di carattere metodologico che si ispira ad alcuni contributi che si caratterizzano per l’esten­ sione del metodo delle preferenze rivelate allo studio delle scelte pubbliche, e vengono svolte alcune considerazioni sull’uso e l’inter­ pretazione di tali procedure inferenziali.

2. Analisi costi-benefici e approcci valutativi.

2.1. La valutazione di un progetto presuppone la specificazio­ ne di una funzione obiettivo la quale consente di identificare le uni­ tà di conto attraverso cui verranno selezionate, classificate e pesate le conseguenze materiali ‘rilevanti’ attribuibili all’intervento

propo-— 17 propo-—

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sto. Nei contributi dedicati all’ACB, tale funzione viene indicata co­ me ‘ sociale’ , anche se a tale aggettivo vengono attribuiti significati diversi a seconda dell’approccio valutativo adottato dai vari autori.

Secondo la classificazione proposta da Sugden e Williams [1978], tali approcci possono essere ricondotti, essenzialmente, a due scuole di pensiero.

La prima (‘Paretian approach') si caratterizza per il fatto di ri­ vendicare all’analisi economica un’autonomia di giudizio riguardo la nozione di ‘desiderabilità sociale’ di un intervento riallocativo. Secondo gli interpreti più ortodossi di questo approccio, l’approva­ zione di un progetto dovrebbe essere subordinata al superamento del test basato sul criterio paretiano, anche se alcuni autori, ricono­ scendone i limiti operativi, suggeriscono di rinunciare al criterio paretiano e di adottare quelli basati sul concetto di compensazione potenziale.

La seconda (‘decision-making approach'), dal canto suo, si ca­ ratterizza per il fatto di non rivendicare tale autonomia, e di attri­ buire ad un obiettivo la prerogativa di costituire un ‘obiettivo socia­ le’ nella misura in cui viene identificato come tale da un soggetto cui la collettività ha delegato il compito di operare scelte pubbliche.

I rappresentanti della prima scuola attribuiscono all’approccio valutativo proposto la proprietà di consentire una valutazione sce­ vra di ambiguità concettuali e compatibile con i presupposti etici di una società democratica, ed interpretano l’approccio alternativo co­ me una sorta di ‘asservimento’ dell’analista, o, comunque, come un esercizio sostanzialmente estraneo alla professione.

I fautori del ‘decision-making approach', dal canto loro, sosten­ gono la necessità di evitare una divaricazione tra le finalità attri­ buite dall’analista alla valutazione di un progetto e gli obiettivi che ne hanno presumibilmente ispirato la formulazione, e attribuiscono all’adozione del ‘Paretian approach’ un’ingiustificata astrazione da molte delle preoccupazioni che tipicamente informano le scelte pubbliche, tra le quali, in particolare, quelle di natura (re)distributiva.

2.2. Un esame della letteratura suggerisce tuttavia di non considerare la classificazione proposta da Sugden e Williams come esaustiva di tutti i possibili orientamenti in tema di valutazione eco­ nomica dei progetti.

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configura necessariamente un’abdicazione alla funzione ‘normati­ va’ dell’economista: tali obiettivi, infatti, vengono legittimati nella misura in cui sia possibile ricondurne la formulazione ad una qual­ che accettabile nozione di ‘razionalità economica’ . O, prendendo un diverso angolo visuale, è possibile identificare un certo numero di contributi i quali, pur aderendo, in linea di principio, al primo dei due approcci menzionati, si caratterizzano per l’adozione di una nozione di efficienza più ampia rispetto a quella generalmente rin­ venibile presso i contributi che Sugden e Williams classificano nel­ l’ambito dell’approccio paretiano.

In sintesi, se la nostra interpretazione è corretta, i rappresen­ tanti di questo approccio ‘intermedio’ ritengono che, in molti casi, il mancato accoglimento degli obiettivi dell’operatore pubblico derivi dall’adozione di una nozione ristretta, e insoddisfacente, di efficien­ za economica e/o da una sorta di avversione pregiudiziale nei con­ fronti della risposta fornita, attraverso un processo decisionale col­ lettivo diverso dal mercato, alle ‘distorsioni’ introdotte da quest’ul­ timo.

E opportuno infatti sottolineare che la nozione di efficien- za/inefficienza di un intervento riallocativo rinvenibile nei contri­ buti che Sugden e Williams classificano nell’ambito del ‘Paretian

approach’ deriva non solo dalla preoccupazione di legare il giudizio circa la desiderabilità sociale di un progetto all’esame delle conse­ guenze che la sua realizzazione dispiegherà nei confronti del be­ nessere dei singoli membri della collettività, ma va ricondotta an­ che ad alcune assunzioni riguardo l’argomento delle funzioni di uti­ lità e la nozione stessa di benessere individuale.

Per quanto concerne l’argomento delle funzioni, si assume l’as­ senza di funzioni di utilità interdipendenti, o, al più, si riconoscono forme di interdipendenza limitate agli effetti esterni associati al consumo di particolari categorie di beni.

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‘ottimisti-che’ circa la qualità dell’informazione disponibile per gli individui allorché effettuano le proprie scelte di consumo.

Tali assunzioni, in definitiva, consentono, da un lato, di identi­ ficare nel consumo aggregato il parametro rispetto al quale giudica­ re le performance di un intervento riallocativo. E, dall’altro, di at­ tribuire ai prezzi che, a partire da una certa distribuzione delle ri­ sorse tra i membri della collettività, si sono formati nel mercato, il ruolo di unità di conto atte a descrivere il grado di accostamento, o scostamento, rispetto a questo parametro.

E opportuno precisare che non si intende qui sostenere che quanti aderiscono a questa nozione ‘unidimensionale’ del concetto di benessere sociale suggeriscano un’indiscriminata legittimazione dei prezzi di mercato. Per i postulati stessi di questo approccio, in­ fatti, tale legittimazione presuppone che essi costituiscano le solu­ zioni di equilibrio di un sistema di mercati perfettamente concor­ renziali. Ne consegue che, in assenza di mercati perfettamente concorrenziali, oltre a depurare i prezzi di quelle pecuniarie, una coscienziosa a c b, come precisa Mishan [1974], uno dei più entusia­

sti sostenitori dell’approccio ‘unidimensionale’ , dovrebbe includere una valutazione di tutti gli effetti esterni (1).

Ai fini di tale valutazione, sarebbe tuttavia illegittimo, sempre secondo Mishan, importare nell’ACB i giudizi di valore impliciti ne­ gli interventi correttivi adottati dal decisore pubblico. Qualora l’a­ nalista non fosse in grado di pervenire autonomamente ad una sti­ ma dell’ammontare di moneta, da pagare o da ricevere, suscettibile di riportare il benessere di un individuo al livello precedente il ma­ nifestarsi dell’esternalità, egli dovrebbe limitarsi a sottoporre, a la-

tere, all’attenzione del decisore pubblico, l’elenco delle conseguen­ ze, probabilmente rilevanti, ma non incluse negli indicatori di

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venienza calcolati a partire dal flusso di benefici monetari netti del progetto (2).

Ora, se tale raccomandazione può apparire coerente con l’opi­ nione secondo cui ad un intervento riallocativo possono essere as­ sociate conseguenze nei confronti delle quali l’economista non sarebbe professionalmente abilitato ad esprimere un giudizio” [Harberger, 1971, p. 785] (3), essa, di fatto, finisce per neutralizza­ re l’aspirazione di pervenire ad una valutazione ‘autonoma’ dei progetti. Se, come crediamo, tale aspirazione è motivata anche da un giudizio negativo nei confronti delle modalità attraverso cui l’o­ peratore pubblico provvede a mitigare vere o presunte inefficienze del mercato, la soluzione procedurale suggerita da Mishan — e, più in generale, dagli esponenti dell’approccio ‘unidimensionale’ — non solo consente al decisore di ripetere gli ‘errori’ commessi nel passa­ to, ma, e questa ci pare la conseguenza più indesiderabile, gli con­ sente anche di adottare, di volta in volta, valutazioni ad hoc.

2.3. Tra gli aspetti distintivi dell’approccio ‘unidimensionale’ può essere ricompresa anche l’indicazione di evitare di mutuare, ai fini della selezione dei prezzi contabili, la preoccupazione, manife­ stata dall’operatore pubblico attraverso alcuni interventi di politica fiscale, di incoraggiare o scoraggiare il consumo di particolari beni in ragione della loro natura ‘meritevole’ o ‘riprovevole’ .

Al riguardo, come è noto, non solo nell’ambito della letteratura dedicata all’ACB, ma, più in generale, dall’insieme dei contributi di economia pubblica, non è possibile ricavare indicazioni univoche circa la legittimità di tali interventi. Mentre alcuni autori (4) riten­ gono di poter identificare un fondamento giustificativo nell’obietti­ vo di prevenire possibili conflitti tra ‘ preferenze rivelate’ e

‘benes-(2) Resta ovviamente aperta, a proposito del calcolo dell’effetto ‘esterno’ la questione della scelta tra la ‘vnllingness to pay’ e la 'willingness to accept’ del­ l’individuo. A questo riguardo, ricerche empiriche e di tipo psicologico hanno con­ fermato l’esistenza di ‘un’asimmetria nelle preferenze’ che pone non pochi pro­ blemi ad un’analisi di tipo ‘paretiano’ (si veda ad esempio in proposito Br o o k s h i- r e-Co u r s e y, 1987).

(3) Tra tali implicazioni dovrebbero essere incluse, secondo Harberger, quelle la cui valutazione presuppone una qualche nozione di equità distributiva. Tuttavia, come vedremo più avanti allorché verrà richiamata la sua proposta di tener conto nella selezione delle unità di conto del contributo di un intervento pubblico al soddisfacimento di alcuni essenziali, non sembra che Harberger [1978] nutra dubbi circa la ‘qualificazione professionale’ dell’economista ad interpretare la desiderabilità sociale di alcune forme di redistribuzione in natura.

(4) Si vedano in proposito i contributi di He a d [1969], Bu r k h e a d- Min e r

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sere individuale’ (5) (6) o di correggere significative esternalità di consumo, gli interpreti più ortodossi della ‘nuova economia del be­ nessere’ ne hanno sostenuto la sostanziale incompatibilità con una teoria della finanza pubblica à la Musgrave (7) (8). Nel caso in cui gli interventi in parola siano informati dalla prima preoccupazione, essi sarebbero incompatibili con l’etica di una teoria che attribuisce un ruolo centrale al principio del rispetto della sovranità del consu­ matore. D ’altra parte, se gli interventi devono essere interpretati come un tentativo di internalizzazione di alcune esternalità ricon­ ducibili all’attività di consumo, allora la stessa nozione di ‘bisogni meritori/immeritori’ sarebbe superflua, avendo già la teoria econo­ mica enucleato le categorie che provvedono un fondamento giustifi­ cativo per l’intervento pubblico (9).

Accanto alla preoccupazione di prevenire possibili conflitti tra benessere individuale ex ante ed ex post, o quella di correggere esternalità di consumo, l’esistenza di un’ulteriore possibile

motiva-(5) Evidentemente, la legittimazione o meno della rimozione di tali conflit­ ti dipende dalle assunzioni circa l’argomento della ‘funzione del benessere socia­ le’ , ed in particolare se tale argomento debba essere definito adottando una nozio­ ne di benessere individuale ex post o ex ante. Si veda in proposito Sa n d m o[1983].

(6) A questo riguardo, occorre notare che lo stesso Musgrave, anche se in modo implicito, sembra suggerire una distinzione tra sovranità del consumatore ‘in senso stretto’ e sovranità del consumatore ‘in senso lato’ . La differenza e, so­ prattutto, la rilevanza delle due nozioni ai fini della legittimazione (o meno) degli interventi che configurano una forma di interferenza con le preferenze individua­ li, sembra riposare sul riconoscimento (o meno) dell’assenza di adeguate informa­ zioni, suscettibile di indurre " ... distorsioni nella struttura delle preferenze” [Mu­ sgrave, 1959, p. 14].

(7) Come è noto, si deve allo stesso Musgrave l’introduzione delle espres­ sioni ‘m en i e ‘demerit goods’ nella letteratura economica. Soprattutto nella prima edizione del suo Theory o f Public Finance [1959], Musgrave avanza notevoli ri­ serve circa la legittimazione, nell’ambito della propria teoria normativa della fi­ nanza pubblica, di questi interventi. Ci pare comunque che, in successivi lavori [1969a, 1976], le iniziali perplessità, pur non sparendo, siano perlomeno venute attenuandosi.

(8) La critica probabilmente più severa, e, a parere dello scrivente, anche meno convincente, può essere rinvenuta in M e Lu r e [1968].

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— 23 —

zione per il particolare trattamento fiscale riservato ad alcuni beni è suggerita dal fatto che, non di rado, i principali beneficiari del­ l’intervento pubblico appartengono alle classi meno abbienti. Una giustificazione di tali interventi può essere rinvenuta anche presso autori che manifestano, in linea generale, notevoli perplessità, se non una totale avversione, nei riguardi della possibilità di legitti­ mare la ‘fornitura’ di beni meritevoli. Tale giustificazione deriva, da un lato, da una temporanea rimozione della nozione di ‘ sovrani­ tà del consumatore’ in favore di quella di ‘ sovranità del contribuen­ te’ e, dall’altro, ancora una volta, dalla formulazione di alcune ipo­ tesi riguardo l’argomento delle funzioni di utilità individuali. Secon­ do Musgrave, ad esempio, poiché gli individui “ ... sono disponibili alla concessione di sussidi aventi finalità specifiche, ma meno di­ sposti a sottoscrivere elargizioni in denaro che possono essere uti­ lizzate senza il controllo dei donatori” [almeno una porzione delle preoccupazioni che ispirano la fornitura di beni meritori appare compatibile con una teoria della finanza pubblica] in cui il giudizio circa l’efficienza di una certa allocazione delle risorse deve essere in ultima analisi subordinato alle preferenze individuali [Musgrave- Musgrave, 1976, p. 66].

Argomentazioni sostanzialmente analoghe informano anche il

‘basic needs approach’ suggerito da Harberger [1978], vale addire la proposta di rappresentare nell’ACB la preoccupazione, nop '«fi. ra­ do manifestata dall’operatore pubblico, di contribuire al ^'^disfaci­ mento di alcuni bisogni essenziali. Anche secondo Harberger, in­ fatti, la rappresentazione di tale obiettivo sarebbe compatibile con lo spirito di una procedura di valutazione avente per oggetto la mi­ sura del contributo, sotto il profilo ‘ allocativo’ , di un nuovo inter-iS ■ , > y ■ Jj y vento, in quanto “ ... l’altruismo che osserviamo nella società ^ n ^ - - nifesta soprattutto in relazione a certi bisogni essenziali [degli ìfiffe-». vidui meno abbienti] piuttosto che alla loro percezione del proprio benessere o al loro livello complessivo di consumi” [Harberger, 1978, p . 112].

N elle intenzioni di Harberger, l’approccio dei bisogni essenzia­ li deve essere interpretato come alternativo rispetto all’uso di ‘pesi distributivi’ nell’ACB suggerito in vari contributi riconducibili all’ap­ proccio ‘pluridimensionale’ (10) (11).

(10) Si v e d a in p r o p o sito Da s g u p t a- Ma r g l i n-Se n [1972], Sq u ir e- Va n De r Ta k[1979], Lit t l e- Mir r l e e s [1980],

(11) L ’espressione ‘pluridimensionale’ che, come quella ‘unidimensionale’

o

a

v

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Entrambe le proposte possono essere in qualche modo ricon­ dotte a quei contributi teorici che si caratterizzano per il tentativo di moderare le implicazioni della tripartizione delle attività del go­ verno formalizzata da Musgrave [1959], ed in particolare, per il tentativo di rimuovere la dicotomia tra implicazioni ‘allocative’ e ‘ redistributive’ dell’intervento pubblico, attraverso il ricorso ad una nozione di efficienza allargata al caso delle funzioni di utilità inter­ dipendenti. Tuttavia, mentre la proposta di utilizzare pesi distribu­ tivi è, almeno in parte, riconducibile ad un’interpretazione dell’ar­ gomento delle funzioni di utilità individuali à la Hochman-Rodgers [1969], l’approccio dei bisogni essenziali assume un argomento à la Pauly [1970]. Come abbiamo visto, infatti, in Harberger [1978] la legittimazione di interventi che configurano una sorta di redistribu­ zione in natura (e la de-legittimazione di altre forme di redistribu­ zione) deriva dall’assunzione che non sia l’utilità del donatario ad entrare nella funzione di utilità del donatore, ma il consumo da parte del primo di particolari categorie di beni. Ne deriva che ai fi­ ni della valutazione delle conseguenze di un progetto, l’attribuzione di un premio, attraverso la selezione di appropriate unità di conto, dovrebbe essere limitato, secondo Harberger [1978] ai casi in cui

l’output consista di beni suscettibili — nella misura in cui i destina­ tari appartengono ad alcune classi sociali — di soddisfare ‘ bisogni essenziali’ , laddove, ad esempio Little e Mirrlees [1980], precisano invece che l’iniezione dei pesi distributivi dovrebbe avvenire pre­ scindendo, in linea generale, dalla natura dei beni che, grazie al progetto, un individuo riceve.

3. Il trattamento delle imposte indirette.

3.1. Passando alla questione del trattamento delle imposte in­ dirette, un esame della letteratura dedicata all’ACB rivela l’assenza di unanimità di opinioni circa l’opportunità o meno di ‘depurare’ i prezzi di mercato delle imposte indirette (12) gravanti su beni su­ scettibili di costituire l’input o l’output di un progetto pubblico.

è presa a prestito da Mu r a r o [1989], viene qui utilizzata per descrivere i contribu­ ti che non assumono come unico parametro di riferimento il ‘consumo aggregato’ . A tale approccio possono essere ricondotti sia quelli descritti da Sugden-Williams come espressione del ‘decision-making approach’ sia quelli che abbiamo indicato come ‘ intermedi’ . Per quanto concerne i contributi richiamati nella nota prece­ dente, essi, dovrebbero essere inclusi, a nostro parere, in quest’ultima categoria.

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— 25 —

Occorre peraltro notare che, ai fini dell’esplicitazione del rac­ cordo tra le proposte in tema di trattamento delle imposte indirette e le finalità attribuite dai proponenti alla valutazione, una classifi­ cazione dei contributi basata sull’indicazione di operare o meno ta­ le depurazione appare di scarsa utilità, se non addirittura fuorvian- te. E possibile, infatti, rinvenire indicazioni aventi identiche impli­ cazioni sotto il profilo contabile presso contributi che interpretano in modo diverso tali finalità, così come indicazioni apparentemente difformi presso contributi accomunati dallo stesso approccio valuta­ tivo. Tale apparente asimmetria non deve essere interpretata come un’eccezione alla relazione biunivoca che lega i prezzi contabili alla funzione obiettivo ipotizzata, ma deriva dall’introduzione di ipotesi particolari che, di volta in volta, integrano quelle di carattere gene­ rale che informano la specificazione di tale funzione.

3.2. Ai fini del raccordo tra le indicazioni in tema di tratta­ mento delle imposte indirette e gli approcci valutativi richiamati nel par. 2, pare opportuno classificare le diverse proposte secondo due orientamenti.

Il primo orientamento consiste nel legare il trattamento delle imposte alle modalità di copertura del ‘fabbisogno materiale’ del progetto o, più in generale, all’esame delle conseguenze nei con­ fronti de\Youtput generato da altri settori.

Anderson-Settle [1978] ad esempio, per quanto concerne il cal­ colo dei benefici, ritengono che, nel caso in cui il progetto contri­ buisca a “ ... piccoli aumenti nella produzione [... e] vi siano ragioni per ritenere l’imposta non transitoria, un’analisi rigorosa dovrebbe utilizzare [il prezzo al lordo dell’imposta] come punto di partenza per misurare il valore dell’output" (p. 42). Se al contrario, al nuovo

output corrispondono riduzioni nell’output generato da altri settori, i benefici dovrebbero essere calcolati usando la curva di offerta de­ purata delle imposte; in questo caso la ‘ivillingness to pay dei con­ sumatori può essere ignorata in quanto, di fatto, “ ... il loro benes­ sere non ha subito variazioni [...] essi continueranno a consumare lo stesso volume di beni e la sola differenza è rappresentata dal fat­ to che l’output proviene da una fonte diversa” [Anderson-Settle, 1978, p. 43],

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progetto venga soddisfatto attraverso un’offerta addizionale, men­ tre nei casi in cui la realizzazione di un progetto pubblico implichi un dirottamento di risorse dai loro impieghi attuali dovrebbe essere utilizzato il prezzo pieno.

Almeno per quanto concerne alcuni autori, agli stessi presup­ posti generali che informano la proposta di Anderson-Settle posso­ no essere ricondotte anche tanto quella di utilizzare, ai fini della valutazione dei costi (benefici), il prezzo lordo (netto) tout-court, quanto quella, apparentemente antitetica, di utilizzare il prezzo netto (lordo): in alcuni contributi, infatti, la prima indicazione deri­ va dall’ipotesi, più o meno implicita, che il sistema economico inte­ ressato dalla realizzazione del progetto sia già caratterizzato da una situazione di piena occupazione delle risorse (13), e la seconda a quella che l’intervento ipotizzato non produca alcun dirottamento delle risorse dai loro impieghi attuali (14).

La stessa proposta di Anderson-Settle [1978], peraltro, può es­ sere ricondotta all’espressione generale per il ‘ costo opportunità so­ ciale àe\Y input di un progetto pubblico’ (15), Ps, suggerita da Har- berger [1969, pp. 301-304]: D Pi3 - P(l+t) a (— ) S P‘ D “ - “ < S '

secondo cui Ps sarebbe costituito dalla media aritmetica ponderata del prezzo al netto, P, e al lordo, [P(l+t)], dell’imposta, rispettiva­ mente pesati con:

(13) Si veda ad esempio Sterpi [1974].

(14) Si veda in proposito Noti [1987], Git t in g e r [1982], Sa s s o n e-Sh a f f e r

[1978]. Secondo Nuti, ad esempio, le imposte andrebbero escluse dal computo dei costi in quanto non costituiscono un “ ... sacrificio di risorse necessarie per la pro­ duzione ma semplici trasferimenti allo Stato... [Per quanto attiene invece il com­ puto dei benefici,] poiché i prezzi di mercato riflettono la ‘willingness to pay del consumatore, le imposte fanno parte a tutti gli effetti del prezzo da adottare nella valutazione” [No ti, p. 80].

(31)

ss

— 27 — ÓG ÓS ÓS = (-TT-) (— ■) dG S 1 ~ [(Ì(T )] [ P(SIP)-a(DIP) ÒP - ] = J _______ p-a(DIS) ÒD ÒD ÒP (— — ) = - ( — ■) (— - ) = ÓG ÒP = [a(DIP)] [-p(SIP) -a(DIP) ÓG -] = a(D/S) p-a(DIS)

dove a è l’elasticità — calcolata all’iniziale combinazione prezzo quantità — della domanda privata (D), /3 l’elasticità dell’offerta del- l’input (S), e G=S—D il fabbisogno del progetto pubblico (16).

E evidente, infatti, il collegamento tra l’indicazione di Harber- ger e la posizione prima illustrata di Anderson-Settle: nel caso in cui l’offerta sia infinitamente elastica,

lim lim

{ P l

-l-(a/p)(D/S) -] - P(l+t)

[-a(D/S)

P-a(DIS) -1 } = P

mentre, nel caso in cui l’offerta abbia elasticità pari a zero (totale dirottamento delle risorse dall’uso privato al progetto), Ps =

P(l+t) (17).

(16) L ’imposta ipotizzata da Harberger si rifa all’ imposta sui consumi ame­ ricana che viene formalmente prelevata sul consumatore, pur restando il vendito­ re il sostituto di imposta, in quanto aggiunta alla fine al prezzo di offerta. Nell’i­ potesi di imposta già inclusa nel prezzo, nel senso che è proporzionale al ricavo

Po

lordo del venditore, è noto che si ottiene: P j = --- dove P j è il prezzo

corri-( l 7 t)

sposto dal consumatore, e P 0 il prezzo netto per il venditore.

(32)

Accanto alla proposta di legare il trattamento delle imposte al­ l’esame delle conseguenze della realizzazione del progetto nei con­ fronti Ae\Y output generato da altri settori, è possibile, come diceva­ mo, identificare un approccio alternativo secondo cui tale tratta­ mento dovrebbe essere subordinato all’identificazione della natura ‘ politica’ delle imposte.

Tale proposta è contenuta nel manuale di Little e Mirrlees [1980], i quali suggeriscono di limitare l’uso dei prezzi inclusivi del­ le imposte ai casi in cui non sia possibile identificare una giustifica­ zione economica per le imposte diversa da quella di accrescere il gettito (imposte ‘distorsive’) e di utilizzare i prezzi netti in tutti i ca­ si in cui gli input o output del progetto consistano di beni assogget­ tati ad imposte concepite per il perseguimento di obiettivi tra i qua­ li quello strettamente fiscale riveste un ruolo non prevalente, o, co­ munque, non esclusivo (imposte ‘correttive’) (18).

Secondo Little e Mirrlees, se le imposte gravanti su beni inter­ medi dovrebbero essere classificate, in linea generale, come ‘di­ storsive’ a quelle gravanti su beni destinati al consumo finale do­ vrebbe essere attribuita, sempre in linea generale, natura ‘corret­ tiva’ (19).

altri beni, [P (l+ t')]. Si noti che, combinando le considerazioni svolte sopra con l’espressione proposta da Sugden e Williams, il ‘costo opportunità’ risulterà pari a

[P (l+ t)] o [P(l + t’)] a seconda che il fabbisogno materiale del progetto venga sod­

disfatto dirottando risorse dai loro impieghi attuali o attraverso un’offerta addizio­ nale. Inoltre, nel caso in cui tutti i beni (incluso quindi quello suscettibile di esse­ re impiegato nell’ambito del progetto) siano assoggettati alla stessa aliquota, l’e­ spressione suggerita da Sugden-Williams implica che, indipendentemente dalle modalità di copertura del fabbisogno, il ‘costo opportunità’ dovrebbe essere sem­ pre pari al costo pieno.

(18) A tale proposta ci pare aderiscano anche Da s g u p t a e Pe a r c e [1972] anche se, per quanto attiene il trattamento da riservare alle imposte indirette, es­ si si limitano a esprimere la preoccupazione di evitare di ‘esagerare’ la valutazio­ ne dei benefici netti di un progetto utilizzando i prezzi lordi per la valutazione d ell’output.

(19) Un esempio numerico consente di descrivere le implicazioni nei con­ fronti della selezione dei progetti delle proposte sopra richiamate. Si consideri il problema costituito dalla scelta tra due progetti alternativi, [1] e [2], il primo dei quali richiede, come input, un’unità del bene a — normalmente assoggettato ad imposizione fiscale con aliquota ad valorem pari al 10% — mentre il secondo un’unità del bene b (aliquota 5%). Si assuma che tanto il bene a quanto il bene b siano normalmente destinati al consumo finale, che tanto la decisione di realizzare il primo che il secondo progetto implicherebbe una contrazione della disponibilità totale del bene a, o b, per i consumatori, che il prezzo al netto dell’imposta sia pa­ ri per entrambi i beni a 50, e che ad entrambi i progetti venga attribuito un out­

(33)

29 —

3.3. Il trattamento delle imposte suggerito da Harberger [1969] sarebbe compatibile, secondo Layard [1972], con il punto di vista secondo cui non vi sarebbe “ ... giustificazione economica per la tassazione indiretta a parte il desiderio di accrescere il gettito” (p. 20).

D a q u e s to p u n to d i v is t a , la ste ssa p r o p o sta di H a r b e r g e r

[1969] p o t r e b b e , in d e fin it iv a , e s s e r e ric o n d o tta a ll’ a p p ro c cio g e n e ­ r a le su g g e rito d a L ittle e M i r r le e s [1980], e d o v r e b b e e s s e r e in te r­ p r e ta ta c o m e la c o n s e g u e n z a d e l l ’ a ttr ib u z io n e di u n a n a tu ra p r e v a ­ le n t e m e n t e ‘ d is to r s iv a ’ a lle im p o s te g ra v a n ti sui b e n i su scettib ili di c o stitu ire l’input o l’output d i u n p r o g e tto .

L ’ in te r p r e ta z io n e d i L a y a r d , c h e s o s ta n z ia lm e n te c o n d iv id ia ­ m o , n o n c o n s e n te , tu tta v ia , di c o g lie r e a p p ie n o la ratio d e lla p r o p o ­ sta di H a r b e r g e r . C o s ì c o m e s a r e b b e in fa tti im p r o p rio so s te n e r e il m a n c a to r ic o n o s c im e n to , d a p a r te d i L it t le e M i r r le e s [1980], d e lla p o ssib ilità c h e im p o s te a v e n ti (a n c h e ) fin a lità c o r r e ttiv e in tr o d u c a ­ n o n u o v e d isto rsio n i, a ltr e tta n to im p r o p rio s a r e b b e so s te n e r e il m a n c a to r ic o n o sc im e n to d a p a r te d i H a r b e r g e r [1971] d e lla p o ssib i­ lità c h e fin a lità e x tra -fisc a li in te g r in o le p r e o c c u p a z io n i di g e ttito d e l le g isla to r e .

U n ’ id e n tità d i v e d u t e p u ò e s s e r e p e r a ltr o r in v e n u ta a n c h e ri­ g u a r d o la n e c e s s ità di a c c e tta r e , a lm e n o n e ll’a m b it o di u n o s c h e m a c o n v e n z io n a le d i e c o n o m ia d e l b e n e s s e r e a p p lic a ta q u a l è I’a c b, un c e rto g ra d o d i a p p r o s s im a z io n e . D i v e r s o , tu tt a v ia , è il tip o d i a p ­ p r o s s im a z io n e s u g g e r ito d a H a r b e r g e r [1971] e L it t le -M ir r le e s

[1980]. M e n t r e il p r im o p r o p o n e di a s s u m e r e c h e le d isto rsio n i in ­ tr o d o tte d a lle im p o s te n e a n n u llin o le p r o p rie tà c o r r e ttiv e (p . 795) e , q u in d i, su g g e r isc e di c la ssific a r e tu tte le im p o s te c o m e ‘ d isto rsi- v e ’ , i se c o n d i, c o m e a b b ia m o v is to , a lm e n o p e r q u a n to c o n c e r n e q u e lle g ra v a n ti su b e n i d e stin a ti al c o n s u m o fin a le , su g g e r isc o n o di c la ssific a re tu tte le im p o s te c o m e ‘ c o r r e t t iv e ’ .

L ’ a ttr ib u zio n e di u n v a lo r e c o n v e n z io n a le a lla c la ssific a z io n e d e lle im p o s te c o m e ‘ c o r r e t t iv e ’ o ‘ d is to r s iv e ’ è tu tta v ia s ic u r a m e n te

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