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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze. 1995, Anno 54, marzo, n.1

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MARZO 1995 Pubblicazione trimestrale Anno LIV - N. 1 Spedizione in abbonamento postale - 50%

RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO

E S C I E N Z A D E L L E F I N A N Z E

Fondata da BENVENUTO GRIZIOTTI

(e R I V I S T A IT A L IA N A D I D I R I T T O F I N A N Z I A R I O )

D I R E Z I O N E

EMILIO GERELLI - GIULIO TREMONTI

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COMITATO SCIENTIFICO

ENRICO DE MITA - ANDREA FEDELE - FRANCESCO FO RTE^ , FRANCO GALLO - SALVATORE LA ROSA GIANNINO PARRAVICINI - ANTONIO PEDONE

SERGIO STEVE AMEDEO FOSSATI

IGNAZIO MANZONI

COMITATO DIRETTIVO

ROBERTO ARTONI - FILIPPO CAVAZZUTI - AUGUSTO FANTOZZI G. FRANCO GAFFURI - DINO PIERO GIARDA - EZIO LANCELLOTTI ITALO MAGNANI - GILBERTO MURARO - LEONARDO PERRONE EN R IC O P O T IT O - PA SQ U AL E RUSSO - G IU L AN O T A B E T

FRANCESCO TESAURO - ROLANDO VALIANI

N.ro INVENTARIO

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di diritto pubblico della Facoltà di Giurisprudenza dell’ Università di Roma. Questa Rivista viene pubblicata con il contributo finanziario del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Direzione e Redazione: Dipartimento di Economia pubblica e territoriale del­ l’ Università, Strada Nuova 65, 27100 Pavia; tei. 0382/504.406, (Fax) 504.402. Ad essa debbono essere inviati bozze corrette, cambi, libri per recensione in duplice copia.

Redattori: Silvia Cipollina, Angela Fraschini, Giuseppe Ghessi. Segretaria di Reda­ zione: Claudia Banchieri.

L’ Amministrazione è presso la casa editrice Dott. A. G ILFFRÈ EDITORE S .p .A ., via Busto Arsizio, 4 0 - 2 0 1 5 1 Milano - tei. 3 8 . 0 8 9 . 2 0 0

PUHBLICITÀ:

dott. A. Giuffrè Editore S.p.a. - Servizio Pubblicità via Busto Arsizio, 4 0 - 2 0 1 5 1 Milano - tei. 3 8 . 0 8 9 . 3 2 4

C O ND IZIO N I DI A B B O N A M E N TO PER IL 1 9 9 5

Abbonamento annuo Italia . Abbonamento annuo estero

L. 1 0 0 .0 0 0 L. 1 5 0 .0 0 0 Annate arretrate senza aum ento rispetto alla qu ota annuale.

L’ abbonamento decorre dal 1“ gennaio di ogni anno e dà diritto a tutti 1 numeri dell’ annata, compresi quelli già pubblicati.

Il pagamento può effettuarsi direttamente all’ Editore, anche con versamento sul conto corrente postale 721209, indicando a tergo del modulo, in modo leggibile, nome, cognome ed indirizzo dell’ abbonato; oppure presso i suoi agenti a ciò autorizzati.

Gli abbonamenti che non saranno disdetti entro il 10 dicembre di ciascun anno si intenderanno tacitamente rinnovati per Tanno successivo.

Il rinnovo dell’ abbonamento deve essere effettuato entro il 15 marzo di ogni anno: trascorso tale termine, TAmministrazione provvede direttamente all incasso nella ma-

niera più conveniente, addebitando le spese relative. _ . . . .

I fascicoli non pervenuti all’ abbonato devono essere reclamati entro 10 giorni dal ricevimento del fascicolo successivo. Decorso tale termine si spediscono, se disponibili,

contro rimessa dell’ importo. . . . .

All’ Editore vanno indirizzate inoltre le comunicazioni per mutamenti di indirizzo. Per ogni effetto l’ abbonato elegge domicilio presso l’ Amministrazione della Rivista. Ai collaboratori saranno inviati gratuitamente 50 estratti dei loro saggi. Copie supplementari eventualmente richieste all’ atto del licenziamento delle bozze verranno fornite a prezzo di costo. La maggiore spesa per le correzioni straordinarie è a carico dell’ autore.

Registrazione presso il Tribunale di Milano al n. 104 del 15 marzo 1968 Iscrizione Registro nazionale stampa (legge n. 416 del 5.8.81 art. 11)

n. 00023 voi. I foglio 177 del 2.7.1982 Direttore responsabile: Emilio Gerelli Rivista associata alfUnione della Stampa Periodica Italiana

Pubblicità inferiore al 50%

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INDICE-SOMMARIO

Domenicantonio Fausto - Su di un recente tentativo di ricostruzione storica della teoria della finanza pubblica in Italia ... Fabio Padovano - Emilia Bonaccorsi Di Patti- Una teoria positiva dei sus­

sidi ai prezzi ...

David Williams - Le procedure ed i metodi di accertamento alla luce dei principi costituzionali ...

John Ward - L'interpretazione delle norme tributarie e gli effetti sugli uffi­ ci e sui contribuenti nel Regno Unito ...

John F. Avery Jones - I poteri di controllo dell’amministrazione fiscale nel Regno Unito ...

Adrian J. Shipwright - Attività di accertamento tributario e discrezionalità dell'amministrazione...

John Brown- Tutela amministrativa del contribuente ... Stephen Oliver- Il contenzioso tributario nel Regno Unito ...

53 73 106 120 166 183 NUOVI LIBRI 204

RASSEGNA D I PUBBLICAZIONI RECENTI 206

P A R T E S E C O N D A

Gabriele Bottino - Alla ricerca di una « leale collaborazione » fra Stato e Regioni in materia finanziaria ... Domenico La Medica - Necessità della notifica dell'atto di pignoramento al

debitore esecutato, nel procedimento di riscossione delle entrate patri­ moniali dello Stato...

SENTENZE ANNOTATE

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U N I V E R S I T À D E G L I S T U D I DI B E R G A M O

DIPARTIMENTO DI SCIENZE GIURIDICHE

GIORGIO SACERDOTI

SERGIO ALESSANDRINI

REGIONALISMO ECONOMICO

E SISTEMA GLOBALE

DEGLI SCAMBI

Sommario:

SISTEM A M ULTILATERALE D EG LI SCAMBI E REG IO N A LISM O ECONOMICO: G. Sacerdoti, Nuovi regionalism i e regole del G att dopo l’Uruguay Round - E. Grilli, Regionalismo e multilateralismo: conflitto o coesistenza? - E. Sassoon, Regionalismo, m ultilateralism o o integrazione?

- M . Lunati, Nuovo regionalismo, armonizzazione tecnica ed asimmetrie tra

Paesi - F. Munari, La libertà degli scambi intemazionali e la tutela dell’ambiente - S. Saviolo, Integrazione multinazionale di imprese e integrazione economica regionale. DINAMICA E SPECIFICITÀ DEI REGIONALISMI ECONOMICI: S. Alessandrini, Gli accordi di associazione della Cee con i Paesi dell’Europa centro orientale - C. Dordi, Le regole di origine negli accordi regionali: modalità applicative nella Comunità Europea - G. Porro, I settori oggetto di liberalizzazione n ell’accordo sullo Spazio Economico Europeo - F. Bestagno, Clausole di salvaguardia e trattati di integrazione economica: il caso dell’accordo sullo Spazio Economico Europeo - A. Lang, La procedura decisionale dello Spazio Economico Europeo - M. M. Salvadori, La disciplina degli appalti pubblici nello Spazio Econom ico Europeo - J. E. Briceno Berru, A spetti giuridici dell’integrazione regionale nell’America Latina. APPENDICE DOCUMENTARIA: Art. XXIV del Gatt - “Understanding on thè interpretation of art. XXIV of Gatt 1994”, del 15.12.93 (Uruguay Round) - Nota della Commissione Cee del 12.5.93 sul N afta - D ecisione m in isteriale “T rade and E n v iro n m en t”, Marrakech 14.4.1994.

8°, p. VIII-406, L. 48.000

(6)

MODELLI

ORGANIZZATIVI

E

INTERVENTO

PUBBLICO

a cura di

GIUSEPPE SOBBRIO

G. Sobbrio, Introduzione - M. J. Ricketts, La teoria economica d e ll’ organizzazione: scrigno del tesoro o scatola vuota? -F. Br e so l in, La privatizzazione nei paesi dell’ est europeo -G. Sobbrio, Localismo, decentramento, accentramento: la scelta dei modelli organizzativi in una realtà che cambia - M. S. Catalani

e G. F. Clerico, Processo decisionale e burocrazia: una rassegna sui problemi della fallibilità delle decisioni delle istituzioni - M. OterieM. Trimarchi, Scelta del livello legislativo e comporta­ mento elettorale: un’analisi economica del referendum nell’espe­ rienza italiana - A. Petrucci, Spesa pubblica, imposizione diretta e dinamica del tasso di cambio reale - P. Navarra, Competizione politica e gruppi di interesse: contratti idiosincratici e regole elet­ torali tra gli agenti del mercato politico - P. Catanoso, Una nota sulla gerarchia burocratica.

8 ° , p . 2 4 4 , L . 2 8 . 0 0 0

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A S T O L F O D I A M A T O

DIRITTO PENALE

DELL’IMPRESA

TERZA EDIZIONE

L’opera espone in modo chiaro e schematico il complesso

delle disposizioni della parte speciale del diritto penale che

costituiscono il diritto penale dell’impresa, con particolare

attenzione ai principi elaborati dalla giurisprudenza.

Sommario:

Introduzione - I principi fondam entali della parte generale del diritto penale - 1 problem i generali del diritto penale dell’im presa - 1 reati societari - 1 reati fallimentari - La disciplina penale dell’attività bancaria, dell’attività assicurativa e dell’attività editoriale e radiotelevisiva - La tutela penale del m ercato - La disciplina penale dei mezzi di pagam ento e del m ercato finanziario - La tutela penale dell’am biente - I reati tributari - I reati doganali.

8 ° , p . 5 5 4 , L . 6 0 . 0 0 0

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COSA & COME

Luca Angeluccì

Guida pratica

agli investimenti finanziari

Analizzare le proprie esigenze, individuare i prodotti finanziari in grado

di soddisfarle, acquisire le conoscenze tecniche relative a tali prodotti.

È questo il processo decisionale che il risparmiatore deve seguire per

investire bene i propri risparmi. Guida pratica agli investimenti finan­

ziari olire al risparmiatore tutti gli elementi per un acquisto consapevo­

le e competente dei prodotti finanziari e per un investimento ottimale.

p. 2 3 8 , L. 2 6 .0 0 0

GIUFFRÈ EDITORE

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URBANISTICA, TRASPORTI, ECOLOGIA

SERVIZI, LAVORO e SANITÀ

IN UN’AGGIORNATA RASSEGNA DELLE

DECISIONI DEGLI ORGANI DI CONTROLLO

E DEI VARI GRADI DELLA GIUSTIZIA

AMMINISTRATIVA

IL MONDO SCIENTIFICO E DELLE

PROFESSIONI A CONFRONTO CON

LA POLITICA E L’ECONOMIA PER IL

FUTURO DELLA PUBBLICA

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MANUALE

DI

DIRITTO TRIBUTARIO

L’opera offre una trattazione istituzionale, com pleta

ed aggiornata della com plessa m ateria tributaria.

A tal fine è articolata in una parte generale dedicata

a ll’in d a g in e in o rd in e ai p rin c ip i g e n e ra li del

vigente ordinam ento tributario, alle procedure di

accertamento e riscossione delle imposte, al sistema

s a n z io n a to rio a m m in is tra tiv o e p e n a le e d al

n u o v o c o n te n z io so trib u tario ; e d in u n a p arte

speciale, ove v en g o n o direttam ente esam inati i

principali tributi, diretti ed indiretti, erariali e locali,

contem plati dall’attuale legislazione fiscale.

8°, p. XXH- 814, rii., L. 95.000

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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, LIV, 1 , I, 3-28 (1995)

SU D I UN R E C E N T E T E N T A T IV O D I R IC O STR U ZIO N E STO RICA

D ELLA T E O R IA D ELLA FIN A N ZA PU BBLICA IN IT A L IA

di Do m e n i c a n t o n i o Fa u s t o ( * )

Università degli studi di Napoli « Federico II »

Le note che seguono riguardano i contenuti di un volume di Nicolò Bellanca diretto ad offrire una ricostruzione storica della teoria della finanza pubblica in Italia (1).

L ’opera si articola in una premessa ed otto capitoli: il primo il­ lustra le posizioni epistemologiche del gruppo di autori preso in esame; il secondo discute l’influenza di Sax sugli studiosi italiani e i contributi di Pantaleoni e di Puviani; il terzo riguarda le imposta­ zioni di Mazzola e di D e Viti D e Marco; il quarto ritorna specifica- mente su Pantaleoni; il quinto e il sesto si occupano, rispettivamen­ te, di Conigliani e di Borgatta; il settimo prende in esame alcuni contributi di Einaudi, Fasiani e Cosciani; l’ottavo, infine, riespone la tesi storiografica principale svolta nel volume. Come avverte l’autore, i capitoli, quarto, quinto, sesto e settimo, riguardano saggi già pubblicati in stesure parzialmente differenti.

Il volume, si legge nella premessa, « non vuole costituire un’organica storia della scienza economica italiana durante circa un sessantennio che si apre con Pantaleoni [1883] e si chiude con Bor­ gatta [1946]; vuole ripercorrere la non tramontata esigenza di una “ economia pubblica” , e l’evolversi di alcuni approcci e temi ad es­

(*) Ringrazio il prof. Amedeo Fossati per i numerosi e utili suggerimenti.

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sa collegati. In tal senso gli studiosi esclusi dalla ricostruzione, o non sentirono quell’esigenza, o non diedero ad essa risposte rile­ vanti (pur svettando magari in altri campi), o vi meditarono attra­ verso differenti premesse epistemologiche » (p. 10). L ’autore ag­ giunge poco dopo: « La tesi storiografica che svolgo, suggerisce che la scienza delle finanze nel nostro paese fu in quegli anni una “ scuola” non solo e non tanto per il ricorrere degli argomenti inda­ gati, bensì soprattutto per l’adozione — inizialmente assai consape­ vole, e in seguito via via offuscatasi — di un’impostazione episte­ mologica basata sul principio del “ duplice carattere” (politico ed economico) dell’attività finanziaria » (p. 11). E precisa poi: « la ca­ tegoria ermeneutica ed esegetica tramite cui un autore o un proble­ ma vengono ripercorsi, è costituita da qualche variante del princi­ pio del “ duplice carattere” dell’attività finanziaria. Sta in ciò — se vi è — l’unitarietà delle pagine che seguono » (p. 12).

Quello che viene privilegiato è, dunque, un angolo visuale molto particolare: certo accettabile nella stesura di singoli saggi de­ stinati ad essere accolti se mai in volume, discutibile se posto alla base di un lavoro che si offre come una ricostruzione storica della teoria della finanza pubblica in Italia nell’arco di un sessantennio.

Tra i tanti problemi che il lavoro di Bellanca solleva, il primo sorge già con le frasi di apertura del volume. Scrive l’autore: « Il pensiero finanziario, secondo una classificazione consolidata, viene diviso nelle tre branche teoriche della finanza pubblica, degli effetti delle imposte e delle spese, ed infine della politica fiscale. In que­ sta monografia — come precisa il suo titolo — mi soffermo soltanto sulla prima branca, che, studiando le attività di bilancio del settore pubblico, soprattutto ricerca le ragioni che giustificano e qualifica­ no l’intervento statale nel campo economico » (p. 5). Se ben inter­ pretiamo il periodare di Bellanca, la branca teorica, finanza pubbli­ ca, di cui egli si occupa, escluderebbe argomenti come gli effetti delle imposte e delle spese e la politica fiscale. Quest’impostazione non manca di lasciar perplessi. A nostro avviso, infatti, la teoria della finanza pubblica, proprio in quanto ricerca la spiegazione del­ l’intervento pubblico nell’economia, non può non riguardare la teo­ ria dell’attività finanziaria nella sua interezza.

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re, che una tale scuola sia esistita è indubbio: a dispetto della « presenza di impianti eterogenei di filosofia politica, nonché di re­ quisiti teorici e metodologici plurali [sic!], non diede infatti luogo a indirizzi di pensiero reciprocamente escludentisi, propugnatori di un unico “ punto di vista” sull’oggetto e sullo stile d ’indagine. Al contrario, venne a delinearsi un patrimonio comune di concezioni, strumenti e metodi, al quale ogni studioso attingeva per perseguire una sintesi personale » (p. 32) (2). E c e poi da considerare il modo in cui gioca un principio epistemologico — quello dei « costrutti non-teorici » — al quale Bellanca sembra attribuire rilevante im­ portanza. Egli scrive: « posto che sovente i teoremi vengono chia­ mati i costrutti teorici — poiché sono, in senso rigoroso, ciò che si riesce a “ costruire” da certe assunzioni date » (p. 37), « i costrutti non-teorici non si riferiscono direttamente ai fenomeni empirici, e non si propongono quindi di rappresentare ciò che vi è di regolare nella realtà. Essi stabiliscono un “ modello possibile” per mezzo del quale ordinare i dati concreti, una struttura euristica che imprima un significato alla complessità dell’evento storico. Per riuscire in ciò, tali costrutti non-teorici debbono non scindere o isolare le linee di sviluppo del fenomeno che stilizzano, riuscendo quindi a sintetiz­ zare determinazioni storiche e generiche, individualizzanti e gene­ ralizzanti, istituzionali (sovraeconomiche) e mercantili » (p. 35).

Questa distinzione appare a Bellanca decisiva per poter affer­ mare l’esistenza di una scuola italiana di finanza pubblica. Egli scrive, infatti: « durante un sessantennio circa, l’approccio secondo cui la distinzione tra costrutti teorici e non-teorici consente di acco­ starsi al fenomeno finanziario salvaguardandone la poliedricità, fu predominante tra gli studiosi italiani, contribuendo alla costituzione di una “ scuola nazionale” » (p. 38).

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Sembrerebbe, dunque, che Bellanca svolga la sua argomenta­ zione muovendosi almeno su due piani. Sul primo, afferma resi­ stenza di una scuola, perché gli studiosi italiani avevano in comune una serie di « concezioni, strumenti e metodi ». La qual cosa, pur se vera, è banale, una volta che sia debitamente considerato che vi furono nel contempo differenze anche notevoli tra i vari studiosi, così che sarebbe forse preferibile parlare di tradizione, anziché di scuola italiana. Sul secondo, l’afferma ricorrendo all’esistenza di un loro duplice m odo di porsi (costrutti teorici - costrutti non-teorici) nei riguardi dei fenomeni studiati. La qual cosa sta, grosso modo, a significare che questi studiosi adottavano nelle loro ricerche il me­ todo scientifico. M a una scuola non nasce per il solo fatto che degli studiosi adottano il metodo scientifico.

Del resto, che il distinguo costrutti teorici - costrutti non-teorici finisca in realtà con l’essere poco pregnante, lo si desume dalla scarsa significatività del passo (un brano di Paolo Ricca-Salerno, a commento della prolusione al corso di scienza delle finanze, letta nell’Università di Pavia il 25 gennaio 1878, dal padre, Giuseppe), portato da Bellanca a titolo di esempio di « costrutto non-teorico ». Nel passo in questione si dice: « Ciò che nell’indagine del Ricca- Salerno vi è di nuovo, e si può dire di italiano — anche per lo svi­ luppo che la concezione in essa delineata ha avuto in Italia — è [la] distinzione tra il fenomeno in sé e le relazioni esterne; è in sostanza la separazione dei fatti finanziari dagli altri fatti, per cui la finanza è considerata nel quadro delle condizioni che la determinano. E l’indagine, pur allargandosi a comprendere le relazioni esterne e facendo riferimento a principi politici, economici e giuridici, gravita tutta attorno alla concezione del fenomeno finanziario; tende, pur attraverso inevitabili imprecisioni e confusioni, a riconoscere e di­ stinguere il fenomeno stesso in confronto agli altri fenomeni » (p. 47). Nel brano, in effetti, risulta solo l’affermazione che il fenome­ no finanziario va studiato per conto proprio (dalla scienza delle fi­ nanze), sia pure facendo riferimento ai principi esterni (politici, economici e giuridici). Se allora questa « rappresenta, a mia cono­ scenza [di Bellanca], l’interpretazione complessiva del gruppo di autori qui in esame, più vicina a quella che ho avanzato » (p. 48), si evince come — sfrondato da tutti i paludamenti verbali — il pen­ siero di Bellanca si ridimensioni di molto.

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comu-— 7 comu-—

nanza di concezioni strumenti e metodi, ma anche per il principio epistemologico del « duplice carattere » (pp. 39-44). Sotto questo profilo, l’idea base di Bellanca è corretta, ma è anche ovvia, in quanto consiste sostanzialmente nell’affermazione: « La scienza delle finanze nacque in Italia con un’impronta dualistica. L ’esigen­ za di articolare un costrutto non-teorico del proprio oggetto d’inda­ gine, viene espressa individuando la natura duplice del fenomeno finanziario, il quale è tanto un’attività politica quanto un’attività

economica » (p. 40).

Una qual certa inclinazione di Bellanca all’immaginifico lo por­ ta ad infiorare tale concetto, nel considerare questo o quell’autore, di una serie di affermazioni apodittiche, a cominciare da quella che esso è da intendere « non come una diade (la fusione di due princi­ pi), né come una dualità (la compresenza di due principi, non ne­ cessariamente simbiotici), bensì come un dualismo (la rivalità tra due principi opposti). Il significato dell’insistito atteggiamento dua­ listico sta — per ciò che qui interessa — nell’efficacia del catturare ogni evento, effettivo o virtuale, nella rete di due principi antiteti- co-polari; tali cioè per cui quello che non rientra nell’uno, deve rientrare nell’altro: tertium non datur » (p. 40). M a di affermazioni apodittiche se ne possono cogliere altre: quelle riguardanti, ad esempio, le differenze, rispetto all’approccio degli scienziati delle finanze, di alcuni autori che « ritengono anche essi che, sul terreno

dell’analisi teorica (cioè degli enunciati derivati), sia proficuo e ine­

liminabile il pluralismo di concetti tipico-ideali; ossia, maggiore è il numero e la varietà delle propensioni secondarie che si riescono a dedurre da quelle originarie, e più ricca esplicitamente è la teoria. Sul terreno non (o pre) analitico, invece, è possibile e opportuno, a loro avviso, formulare un unico “ costrutto non-teorico” , centrato su di un unico dualismo (o“ duplice carattere” ) » (pp. 42-43). Qualun­ que cosa possa significare un passo del genere — ci asteniamo qui dal formulare ipotesi interpretative — resta il fatto che non vi è l’appoggio di nessuna citazione di autori italiani in tutto il paragrafo in cui il passo è inserito, eccetto il rinvio (senza indicazione di pagi­ na) al « testo canonico che pone la centralità dei concetti dualistici nelle scienze umane, e in particolare in economia finanziaria (...) Pantaleoni M.-Bertolini A. (1891) » (p. 40, nota 72) (3).

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Comunque, questo discorso in tema di dualismo non sembra particolarmente mirato, in quanto alla fine la conclusione appare piuttosto scontata: « com ’è naturale, la tesi epistemologica del du­ plice carattere dell’attività finanziaria può subire diverse torsioni interpretative » (p. 43). E così Conigliani rappresentò « l’esponente che (assieme ad Amilcare Puviani) maggiormente equilibrò il peso dei due principi o aspetti o caratteri » (p. 43); D e Viti D e Marco « fu senza dubbio la figura più rilevante tra coloro che intesero in qualche misura sottomettere il connotato “ politico” a quello “ eco­ nom ico” » (p. 44); Mazzola « sostenne la piena equivalenza del prendere le mosse dallo studio del fattore “ politico” , ovvero di quello “ econom ico” , in quanto la loro costitutiva complementarità assicura che i risultati dell’analisi non cambino » (p. 44); Borgatta « ottenne i migliori risultati dalla sottomissione del carattere “ eco­ nom ico” a quello “ politico” » (p. 44); infine, per Pantaleoni, occor­ reva « stabilire caso per caso l’influenza dei due principi euristici » (p. 44).

Un altro punto merita di essere considerato. Sempre rimanen­ do in tema di « duplice carattere » dell’attività finanziaria, Bellan- ca scorge « la tesi epistemologica del “ duplice carattere” (economi­ co e politico) della scienza delle finanze » (p. 46), anche in un passo di Paolo Ricca-Salerno. L ’interpretazione del passo citato è ragio­ nevole, ma il metodo seguito appare decisamente discutibile. Giu­ seppe Ricca-Salerno viene ancora preso in considerazione attraver­ so l’interpretazione che il figlio, Paolo, dà della prolusione pater­ na (4). Ciò avviene nonostante che Bellanca definisca tale interpre­ tazione « un po’ “ sollecitata” » (p. 46, nota 80). Da qui la sua pre­ cisazione: « anche per questa considerazione, la data d ’inizio della scuola italiana è stata da me posta nel 1883, e non nel 1878 » (p. 46, nota 80).

In realtà, da una lettura diretta della prolusione di Giuseppe Ricca-Salerno sembra emergere una visione dell’attività finanziaria più complessa, che si avvicina a quella a cui approderà poi

Griziot-Bertolini A., Pantaleoni M. (1892), Cenni sul concetto dei massimi edonistici in­ dividuali e collettivi, in Giornale degli economisti, II s., I l i , aprile; rist. in Panta- leoniM. (1925), voi. II.

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— 9

ti. N el mettere in rilievo i caratteri salienti della scienza delle fi­ nanze, Giuseppe Ricca-Salerno sottolinea infatti che « i fenomeni finanziari non sono semplici fenomeni economici e non vanno giudi­ cati alla stregua dei criteri forniti dall’economia privata: il diritto e la politica generale sono fonti della scienza delle finanze non meno dell’economia » (5); e significativamente aggiunge poi: « la scienza studia i fenomeni della finanza pubblica da tutti i loro aspetti e nel­ la triplice serie di relazioni politiche, economiche e giuridiche » (6).

M a torniamo a Bellanca e a certe sue propensioni classificato­ rie. Egli sembra tener molto al concetto di « ordine sociale misto », tanto da sentirsi spinto ad aggiungere al titolo del secondo capitolo: « Dalla “ scuola austriaca” alla “ scuola italiana” », il sottotitolo: « La finanza pubblica come “ ordine sociale misto” ». La chiave di lettura del capitolo è appunto che « Pantaleoni, Sax e Puviani con­ dividono una visione della finanza pubblica come “ ordine sociale misto” » (p. 49).

Gli « ordini sociali misti » — che, secondo Bellanca, « includo­ no in particolare lo Stato, nella sua dimensione economica » (p. 51) — sono individuati richiamando un passo di Menger: « istituzioni, sorte per via organica, trovano la loro prosecuzione e trasformazio­ ne nell’attività delle autorità pubbliche diretta scientemente a fini sociali [... cosicché esse] si presentano come il risultato dell’attività combinata di [...] fattori “ organici” e “ positivi” [o “ pragmatisti­ ci"] » (pp. 50-51) (7). Secondo Bellanca, « la distinzione

mengeria-(5) Ibid., p. 260. (6) Ibid., p. 271.

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na fra fattori “ organici” e “ pragmatistici” viene ripresa da Emil Sax come differenza tra due ‘ forze formatrici della società’ : il Col­ lettivismo e l’Individualismo. [ . . . ] . Nel Collettivismo l’individuo è agito [sic!] ‘solo come membro del gruppo e in rapporto ad esso’ ,

mentre nell’Individualismo prevale la tendenza dell’uomo a foggia­ re la sua condotta ‘come emanazione della sua personalità e della sua autonomia’ » (p. 51). L ’analisi dell approccio di Sax così prose­ gue: « L ’oggetto della riflessione saxiana è ‘ il lato economico del Collettivismo’ . Questo campo di studio include sia le “unioni libe­ re” degli uomini, che danno luogo alle “ economie comunitarie” , sia le “ unioni coattive” . È lo Stato in senso lato, a sintetizzare in sé en­ trambi i generi di organizzazione, presentando le ‘comunità umane [...] come unioni coattive durature’ : esso appare dunque un com po­ sto chimico di fattori “ organici” e “ pragmatistici” » (p. 52). La fi­ nanza pubblica sta « in prevalenza sul versante dello Stato come “ unione pragmatica” , e può essere indagata se si riconosce fin dal­ l’inizio che essa è consentita dalla coazione e dalla “ rappresentanza politica” di molti da parte di pochi » (p. 53).

Il Bellanca nota, a questo punto, che tale « connotato di “ reali­ smo politico” del pensiero saxiano è sfuggito agli interpreti, [anche se] è proprio questo connotato “ realistico” che solleva l’autentica difficoltà metodologica di un approccio mengeriano alla finanza pubblica. Se l'attività finanziaria è un “ ordine misto” (in cui i fatto­ ri “ pragmatistici” giocano un ruolo determinante, e quelli “ organi­ ci” quasi solo una funzione genetica), il dilemma diventa il seguen­ te: può un ordinamento (un’istituzione) sociale essere, congiunta- mente, “ spontaneo” e “ pianificato” , “ comunitario” e “ coattivo” , “ organico” e “ pragmatico” ? » (p. 53).

Una risposta all’interrogativo sollevato potrebbe essere: lascia­ mo perder il concetto di « ordine sociale misto », così ci caviamo da ogni impiccio! Che è un p o ’ la soluzione scelta implicitamente dallo stesso Bellanca, visto che nel seguito confessa: tale « dilemma me­ todologico [...] non viene enunciato expressis verbis da Sax, emer­ gendo piuttosto con vigore nel corso della sua analisi. Ciò avviene anzitutto nella discussione del concetto di “ bisogno” (p. 54). In realtà, il problema non è negli « ordini sociali misti » — che sono

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una superfetazione di Bellanca — ma piuttosto nel voler trattare gli assetti coercitivi con la metodologia neoclassica marginalista.

Sempre in tema di « ordini sociali misti », Bellanca ritiene che « la posizione pioneristica di Pantaleoni appare [...] la più limpida e avvertita trattazione della finanza pubblica come “ ordine sociale misto” » (p. 72). E ciò perché, oltre all’applicazione tendenziale del marginalismo alla determinazione della spesa da parte del Parla­ mento, Pantaleoni indica una serie di criteri che la prassi ha sele­ zionato per semplificare il lavoro che sarebbe altrimenti « assoluta- mente insolubile per un Parlamento », quale, ad esempio, « il cal­ colo delle variazioni al margine » o tecnica del bilancio incrementale. Su Pantaleoni — di cui viene preso in esame, nel corso del se­ condo capitolo, esclusivamente il saggio, Contributo alla teoria del

riparto delle spese pubbliche, — le osservazioni di Bellanca non

sembrano nel complesso molto significative. Che risultato euristico si può ottenere mai con costrutti del tipo: « logicamente ragionevole e non astrattamente razionale »? (p. 70).

M a andiamo oltre. L ’esame del pensiero di Puviani contenuto nei paragrafi, I I .6 (« Come e perché Puviani giunge agli “ ordini sociali misti” ») e I I .7 (« Asimmetrie informative e cambiamenti di stato in Puviani »), è per più versi opinabile. Il primo dei due para­ grafi richiamati, riguarda la lettura dei primi due libri di Puviani (che precedono la Teoria della illusione finanziaria) « sotto un’an­ golazione che li accosta all’impostazione saxiana » (p. 75). Un acco­ stamento, invero, piuttosto ardito. Com e riconosce lo stesso Bellan­ ca, — che all’idea di finanza pubblica quale « ordine sociale mi­ sto » accenna solo nella frase conclusiva del paragrafo (p. 76): « le somiglianze non vanno ovviamente sopravvalutate, dato che lo stu­ dioso austriaco rifugge con severità da commistioni tra etica ed economia, e da filosofie della storia » (p. 75). Nel secondo dei para­ grafi in precedenza enumerati, poi, all’« ordine sociale misto » si fa riferimento all’inizio dell’esposizione e, in seguito, praticamente una sola volta, quando viene affermato: « nei suoi scritti [di Puvia­ ni] si possono rinvenire almeno quattro concezioni di questo feno­ meno [l’illusione], che nel loro complesso evidenziano efficacemen­ te il suo verificarsi in un “ ordine misto” » (p. 78).

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una pluralità apparentemente contraddittoria di comportamenti: consensuali e trasgressivi, egoisti e solidaristi, strategicamente coordinati e istintivamente irriflessi » (p. 87). La trattazione prose­ gue con espressioni di incerto significato e di più che dubbia perti­ nenza: « N ell’individuazione e nell’applicazione scientifica di questi principi [l’istituzionalizzazione di norme che riducano l'incertezza e la complessità; il sorgere di asimmetrie informative sistematiche; l’utilizzo dei cambiamenti individuali di stato], il contributo di Pu- viani è decisivo. Gli altri due autori [Sax e Pantaleoni], pur impo­ stando in maniera analoga l’indagine, ragionano soltanto sul princi­ pio del consolidamento di consuetudini vantaggiose e di esperimen­ ti programmati. Rimane estranea la considerazione diretta di quel­ la classe di “ giudizi collettivistici” che deliberano di abbandonare una via battuta o che ne edificano una nuova. Ad essi dedica la sua principale attenzione Puviani, consapevole che è proprio sul per­ corso della ‘soggettivazione’ del cittadino, che questo approccio tro­ va la sua delicata verifica » (p. 87).

Di lettura più agevole è il capitolo terzo, che esamina le teorie della finanza pubblica di Mazzola e D e Viti D e Marco, pur se alcu­ ni riferimenti alla teoria economica non mancano di sollevare pro­ blemi.

Allo scopo, ad esempio, di meglio intendere e commentare il contributo di De Viti D e Marco, Bellanca sintetizza in una tabella (p. 118) il suo punto di vista. Vi si legge, tra l’altro: « prezzo unita­ rio delle utilità private e pubbliche dei beni ». La frase non sembra molto felice, e non sembra ben rispondere al concetto a cui si riferi­ sce, cioè di un prezzo « rappresentativo così dell’utilità pubblica come dell’utilità privata di un bene » (p. 129). Più in generale, si può notare che dalla tabella traspare 1’ « originalità » della lettura di De Viti D e Marco da parte di Bellanca.

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Tutte affermazioni perentorie che non trovano rispondenza nella letteratura finanziaria rilevante (8), né un riscontro documen­ tato nella trattazione di Bellanca, che, di alcuni di questi argomen­ ti, come la teoria del prestito pubblico, non discute specificamente, mentre ad altri accenna in modo superficiale, sia nel capitolo terzo che nei successivi. Ad esempio, nel capitolo settimo, a proposito della teoria dello Stato fattore di produzione, egli sbrigativamente afferma: « I luoghi di quest’opera [Principii di economia finanzia­

ria] citati per sostenere che essa afferma la tesi dello Stato-fattore

sono le pp. 18-19: 190-191: 196: ma né in questi passi, né altrove, vi è nulla che implichi quella tesi. La quale viene anzi esplicitamente negata fin dal 1888: si veda D e Viti D e Marco A. (1888), pp. 128- 129 » (p. 281, nota 76).

Bellanca chiaramente non sembra aver colto che la teoria dello Stato fattore di produzione è essenziale nell’impostazione di D e Vi­ ti D e Marco, — come riconoscono quasi tutti i maggiori studiosi ita­ liani di finanza pubblica, a partire da Fasiani. Il passo seguente — che figura tra quelli elencati da Bellanca — sembra ineccepibile: « Altro principio derivante dalla teoria è che ogni particella di red­ dito prodotto contiene la quota-parte di costo, che lo Stato ha soste­ nuta per la prestazione dei suoi servizi produttori; e poiché l’impo­ sta è il corrispettivo di questo costo, così come il salario è il corri­ spettivo del lavoro prestato dagli operai, segue che ogni particella di reddito nasce gravata dal relativo debito tributario » (9). Questo è il pensiero più maturo di D e Viti D e Marco.

Quanto al saggio II carattere teorico dell’economia finanziaria (1888). le pagine citate (tra l’altro, non decisive per la tesi avanzata da Bellanca) si riferiscono alla teoria della riproduttività di Stein, e non al concetto di Stato fattore di produzione. La teoria della ripro­ duttività — astratta, prolissa e legata a considerazioni di natura extra-economica — può essere considerata solo una vaga anticipa­ zione della teoria dello Stato fattore di produzione.

(8) Riguardo ai quattro temi — la teoria delle decisioni finanziarie, la teo­ ria dell’imposta, la teoria della traslazione, la teoria della finanza straordinaria — in cui si possono raggruppare i contributi di D e Viti De Marco, Steve ha sottoli­ neato di recente: « l’originalità e il rigore della costruzione teorica e la profonda consapevolezza storica fanno tuttora del suo lavoro un punto di riferimento fonda- mentale per gli studi finanziari » (cfr. Steve S ., La finanza di Antonio De Viti De Marco, in questa Rivista, anno L U I, 2, 1994, pp. 185-186).

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Sempre a proposito di De Viti D e Marco, Bellanca ritiene di poter stabilire una connessione tra la sua analisi dei beni pubblici e la nozione di « indeterminazione dinamica » (p. 123); e, poco dopo, sembra negare ai beni pubblici i loro connotati intrinseci proprio sulla base della nozione di « indeterminazione dinamica » (pp. 124- 125). Si può osservare che la nozione di « indeterminazione dina­ mica » può essere forse legata al problema dell’individuazione dei beni pubblici, ma non si comprende perché dovrebbe essere ogget­ to di « indeterminazione dinamica » la loro analisi.

D e Viti De Marco fornisce a Bellanca anche lo spunto per ac­ cennare ad argomenti moderni di analisi economica, come l’equili­ brio di Nash. Ciò avviene nonostante che, nella prefazione, avesse preannunziato « l’elusione di diretti raffronti con la frontiera odier­ na della nuova economia pubblica » (p. 8).

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buto, rispetto al reddito. Si tratta di un equilibrio di Nash: se Tizio domanda x, l’erario gli impone un’aliquota d ’imposta y, e se l’onere tributario è y, Tizio domanda x. La regola d ’isoproporzionalità ca­ ratterizza lo Stato moderno, poiché riduce l’elemento particolaristi- co-coercitivo senza nutrire la pretesa di esaudire perfettamente i criteri orizzontali e verticali di equità, né di pervenire all’ottimo paretiano » (pp. 306-307).

Prima di entrare nel merito di queste affermazioni, è forse op­ portuno chiarire che non interessa in questa sede — né al Bellanca — il quesito se nella realtà la relazione tra imposte e servizi pubbli­ ci è meglio interpretabile da un equilibrio paretiano piuttosto che di Stackelberg o di Nash. L ’affermazione di Bellanca è puramente che l’equilibrio devitiano è un equilibrio di Nash non-paretiano: e quello che interessa qui, più che la verità di tale asserzione (10), è che essa non è dimostrata. La caratteristica dell’equilibrio di Nash è che l’allocazione delle risorse ad esso corrispondente viene rag­ giunta quando ciascun agente agisce nel proprio interesse e corret­ tamente ritiene che gli altri seguano un’analoga linea di comporta­ mento, e quando la strategia di ciascun agente costituisce la rispo­ sta ottima a quelle selezionate dagli altri. In altri termini, la nozio­ ne di equilibrio di Nash va opportunamente utilizzata per descrive­ re contesti caratterizzati da interazione strategica tra gli agenti. Queste condizioni non sembrano affatto presenti nell’ipotesi devi- tiana che l’equilibrio possa essere caratterizzato dall’eguaglianza « tra il rapporto domanda-reddito e il rapporto imposte-reddito », come asserisce Bellanca. Tale ipotesi implica (per Y — reddito e t

= aliquota d ’imposta):

PQi/Yi = tYHYi da cui PQ i = tYi

oppure

PiQ/Yi = tYi/Yi da cui PiQ = tYi

a seconda si supponga che il soggetto « virtualmente » consumi una quota individuale del consumo collettivo, oppure paghi un prezzo « individuale » riferito alla quantità complessiva prodotta di servizi

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pubblici. Comunque, al soggetto viene richiesto un tributo

Ti = tYiy eguale alla somma che sarebbe disposto a spendere per

quella certa quantità di servizi pubblici. Egli, quindi, è nell'equili­ brio che massimizza la sua utilità (sulla sua curva di domanda « virtuale »). Poiché si deve supporre che ciò valga per tutti i citta­ dini, l’ottimo individuale implica l’ottimo paretiano, in assenza di comportamenti strategici (se le parti sono price-taker). Pertanto, l’affermazione di Bellanca che si tratta di un equilibrio di Nash non-paretiano è fondata solo se si può dimostrare che le parti ab­ biano un comportamento strategico. Ma, a tal proposito, Bellanca si limita all’affermazione: « se Tizio domanda x, l’erario gli impone un’aliquota d ’imposta y, e se l’onere tributario è y, Tizio domanda

x ». La qual cosa non implica o dimostra o assume alcunché di stra­

tegico. Essa esprime semplicemente la caratteristica di un equili­ brio ed ha lo stesso valore dell’affermazione: « in equilibrio concor­ renziale, se si domanda x, il prezzo si fissa a y\ se si determina il prezzo y , si domanda la quantità x ». L ’espressione di Bellanca, « Tizio domanda », non può (nel contesto devitiano) essere letta come mossa strategica. La quantità x è domandata da Tizio in quanto il suo reddito ha quel certo valore, ed egli sa di dover con­ tribuire in relazione al suo reddito (consumo di servizi pubblici) mediante la fissazione di un’aliquota adeguata.

L ’interpretazione che Bellanca dà della teoria finanziaria di De Viti D e Marco è nel complesso molto originale. Egli scopre un De Viti De Marco completamente diverso dalla interpretazione esi­ stente nella letteratura finanziaria rilevante. Sfortunatamente, tale originalità stravolge gli usati concetti, sostituendoli con ragiona­ menti poco significativi, o con divagazioni comunque non conclusive. Passando ai capitoli successivi del volume di Bellanca, si può osservare che, col quarto capitolo, volto ad una lettura unitaria dei contributi più personali di Pantaleoni all’economia politica, si apre la parte forse migliore del volume, composta da quattro saggi già in precedenza pubblicati, che si distinguono per una migliore focaliz- zazione dei problemi e per una maggiore chiarezza espositiva.

La principale critica che ci sembra di poter muovere ai conte­ nuti del quarto capitolo, riguarda una certa superficialità nel com ­ mento alla replica di Coletti a Conigliani, che aveva criticato il sag­ gio di Bertolini e Pantaleoni, Cenni sul concetto di massimi edoni­

stici individuali e collettivi. Scrive Bellanca: « Sospetto che la ri­

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tutto farina del suo sacco, e che la linea principale dell’argomenta­ zione sia stata suggerita da Pantaleoni, che presumibilmente non reputava opportuno controbattere direttamente al giovanissimo Co- nigliani » (p. 157, nota 52). L ’attribuzione a Pantaleoni del suggeri­ mento di argomentazioni per l’articolo di Coletti risulterebbe più sensata se Bellanca evidenziasse almeno qualche elemento che lo induce al sospetto.

Il quinto capitolo prende in considerazione l’opera di Coniglia- ni, quale esponente che ha elaborato una riflessione più organica sul duplice carattere dell’attività finanziaria. A giudizio di Bellan­ ca, « con una riflessione assai profonda ed efficace sui nessi tra po­ litica ed economia, Conigliani elabora un modello teorico che appa­ re rigoroso entro le proprie premesse » (p. 205). Bellanca si sforza di illustrare questo punto anche attraverso l’elaborazione di quattro figure. Il giudizio positivo che egli dà dell’opera di Conigliani lo spinge poi, nel paragrafo finale del capitolo, a svolgere alcune con­ siderazioni circa i possibili suoi riferimenti alle teorie finanziarie più recenti, conseguenti all’analisi keynesiana. La conclusione a cui giunge è che « la teoria di Conigliani riesce soddisfacentemente a differenziare l’assetto politico e quello economico del fenomeno fi­ nanziario anche nel contesto dello Stato post-keynesiano » (p. 213). Questa conclusione ci sembra molto discutibile, come parimenti di­ scutibile ci appare il rimprovero che Bellanca muove a Pica di un « accostamento scorretto a Conigliani », per averlo affrontato — a suo dire — « con un “ taglio interpretativo” che gli toglie a priori qualsiasi validità scientifica » (p. 179, nota 1). In realtà, non pare che la teoria economica di Conigliani abbia oggi qualche rilevanza. L ’albero si giudica dai frutti. Quali sono quelli di Conigliani? Che la politica e l’economia influenzino in modo determinante le scelte pubbliche è cosa scontata; ciò che importa, però, è che la teoria economica, a partire anche da elementi di natura extra-economica, ha introdotto meccanismi di analisi. Il problema consiste nell’indi- viduare un oggetto da sottoporre ad analisi per poter giungere a delle conclusioni chiare e ben definite.

Sempre nell’ultimo paragrafo di questo capitolo, facendo riferi­ mento alla spesa pubblica nella finanza post-keynesiana, Bellanca afferma: « Nel suo trattato di scienza delle finanze, Cesare Coscia- ni introduce una duplice distinzione. La prima è tra spese produtti­

ve (che accrescono il reddito nazionale) e spese redistributive (che

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se-prezzo (con cui lo Stato paga il corrispettivo di una prestazione)

e spese-sussidio (assunte come mero onere) » (p. 212). Si tratta di una affermazione quanto meno ambigua. « Introduce » è termine vago. Nel caso concreto, un lettore poco esperto di storia del pen­ siero finanziario potrebbe essere indotto a ritenere che la distinzio­ ne sia dovuta a Cosciani. Il che, ovviamente, non è (11).

Il sesto capitolo ha come titolo: « Sul declino della scuola italia­ na di finanza pubblica », e come sottotitolo: « Gino Borgatta tra economia e sociologia ». Bellanca dichiara di restare « assai lonta­ no dalla pretesa di ricostruire ravvicinatamente l’intero profilo scientifico di Borgatta » (p. 216) (12). La sua analisi riguarda es­ senzialmente il confronto con Pareto sui fondamenti della scienza economica, il contributo alla sociologia finanziaria, il tentativo di dinamizzare l’analisi economico-finanziaria, la finanza dei periodi di emergenza.

(11) Il lettore potrebbe essere indotto in errore anche per la circostanza che Bellanca fa riferimento a: Cosciani C., Scienza delle finanze, V i l i ed., Utet, Torino, 1977, cap. VII. Se Bellanca, invece, avesse fatto riferimento alla prima edizione dell’opera (Cosciani C ., Principii di scienza delle finanze, Utet, Torino, 1953, pp. 569-570), il lettore avrebbe potuto constatare che Cosciani, a proposito della duplice distinzione, cita: Pigou A.C ., A Study in Public Finance, Macmil­ lan, London, 1949, pp. 19-23; Robinson M .E ., Public Finance, Nisbet, London, 1937, pp. 4-13; Dalton H., Principles o f Public Finance, Routledge, London, 1949, pp. 205-208.

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19 —

Come ha sottolineato fin dal primo capitolo, Bellanca ritiene che, nello studio dell’attività finanziaria, « Gino Borgatta, pur at­ traverso un tragitto intellettuale tormentato e punteggiato da battu­ te d ’arresto e ripensamenti, appare l’autore che ottenne i migliori risultati dalla sottomissione del carattere “ econom ico” a quello “ politico” » (p. 44). Il suo contributo più rilevante appare il volu­ me, La finanza della guerra e del dopoguerra, in cui focalizza l’at­ tenzione sulle cause economiche del fenomeno finanziario, sottoli­ neando la netta prevalenza, in questioni di finanza straordinaria, di una « logica particolaristico-coercitiva » (p. 251). Questo giudizio positivo è del tutto condivisibile, anche alla luce della considerazio­ ne che il volume, tra l’altro, sistema i risultati dei molti saggi che su specifici argomenti di finanza straordinaria ed economia di guerra Borgatta scrisse in occasione della prima e soprattutto della secon­ da guerra mondiale.

Perplessità, quasi insuperabili, suscita invece l’altro giudizio di Bellanca: « è con questo volume di Borgatta che, propriamente, si può datare l’epilogo della tradizione italiana di scienza delle finan­ ze, della quale esso rappresenta una delle vette » (p. 216, nota 6). Tanto più che Bellanca cerca di giustificare questa tesi ricorrendo implicitamente ad un ragionamento di tipo sillogistico: 1) Borgatta afferma che tra il 1914 e il 1946 la finanza italiana è stata di emer­ genza; 2) la finanza di emergenza è volta ad un fine che è, per defi­ nizione, eslusivamente extra-finanziario (ad esempio, vincere la guerra); 3) se dunque il fine è extra-finanziario, anche l’analisi de­ ve essere extra-finanziaria; 4) ma allora la finanza (intesa come analisi) è morta; 5) siccome l’analisi è al centro della riflessione de­ gli studiosi della scuola italiana di finanza pubblica, anche la scuola italiana è morta.

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viene delegato, in sua mancanza, all’intrecciato controllo di più dottrine unilaterali » (p. 237).

Bellanca prosegue il suo argomentare sul declino della scuola italiana di finanza pubblica nel capitolo settimo, che ha come sotto­ titolo: « Il dibattito Einaudi-Fasiani-Cosciani ».

Innanzitutto, si può notare che il dibattito si svolge tra Einaudi e Fasiani, mentre l’intervento di Cosciani trae solo spunto dalla po­ lemica; ne consegue, a stretto rigore, che il suo è un contributo sul­ l’argomento, non una partecipazione diretta al dibattito. Risulta poi difficile comprendere come Bellanca possa ritenere di aver dimo­ strato l’assunto: « lo straordinario vigore creativo della scuola ita­ liana di finanza pubblica si esaurisce sostanzialmente al termine degli anni ’30, ed ha gli estremi stimoli vitali proprio con gli scritti di Fasiani e Cosciani » (p. 258). Le poche citazioni di supporto sono quelle tratte da Cosciani, che alla morte di Fasiani scrive: « questa nostra scienza [...] ormai non vive più di vita propria ma del suo passato, della sua tradizione » (p. 257); e quelle tratte da Einaudi (riportate alle pp. 262-263), secondo cui la scienza delle finanze non è mai esistita.

In realtà, la discussione presa in esame da Bellanca prova che la tradizione italiana di scienza delle finanze è viva, e non esauri­ sce certo il campo degli interessi degli studiosi italiani: come dimo­ strano le discussioni che, su svariati temi, essi hanno da sempre ali­ mentato (13). E poi, l’argomentazione finisce con l’essere in con­ traddizione con quella riguardante Borgatta, sintetizzata nel sillogi­ smo riportato in precedenza.

Quanto agli altri punti del capitolo, nel § V II.4, che riguarda « La riflessione metodologica di Einaudi », colpisce l’espressione ridondante: « Bisogna guardare “ al fondo’’ della realtà storica, al contrasto dialettico tra solidarietà ed egoismo, vita e morte, bene e male: la contrapposizione è dunque quella tra Stato e non-Stato, tra principio d'ordine e d ’uguaglianza e principio di coazione e di

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struzione » (p. 276). Verrebbe fatto di osservare: si può anche am­ mettere il contrasto dialettico tra solidarietà ed egoismo e tra bene e male, ma che vita e morte diventino quasi sinonimi di Stato e non-Stato è davvero troppo!

Molte difficoltà interpretative presenta, poi, il § V II.5 (« Ri- duttivismo e crocianesimo in Cosciani »). Sulla base di due semplici citazioni di passi di Cosciani, e con l’intermezzo di una citazione di Arena, Bellanca giunge alla drastica conclusione: « lo schema di­ venta inattaccabile vanificando l’idea stessa di attività finanziaria; essa non è distinguibile da qualunque atto di comando o di sopraf­ fazione, e non richiedendosi la sua individuazione peculiare tra le attività dello Stato, risulta indifferente se e in quale misura lo Stato la pratichi. La sessantennale riflessione degli scienziati italiani del­ le finanze sulle ragioni della condotta dello Stato finanziario, e sui modi per analizzarlo, non poteva essere esautorata più nettamen­ te » (p. 278).

A nostro avviso, la chiave di lettura dell’articolo di Cosciani (citato da Bellanca) è del tutto diversa. Cosciani si propone di « de­ terminare le ragioni, cioè le premesse, capaci di giustificare l’auto­ nomia della economia finanziaria nei confronti della economia ge­ nerale » (14). A commento del già citato dibattito Einaudi-Fasiani, egli rileva: « l’unico carattere che valga la pena d ’essere assunto come punto di partenza, come premessa dei propri ragionamenti per elaborare un’economia finanziaria, è la coazione » (15). La con­ clusione (che viene sostanzialmente ripetuta nel passo citato da Bellanca a p. 278) è che: « mentre i rapporti economici che si svol­ gono nell’ambito dell’assetto volontario sono studiati dalla scienza

economica in generale, quelli che si svolgono nell’ambito dell’asset­

to coercitivo vengono studiati daWeconomia finanziaria » (16). C o­ sciani, cioè, fissa i limiti del campo di studio proprio dell’economia finanziaria, dando così una risposta precisa al problema che aveva posto in precedenza, cioè che « l’elaborazione di una disciplina scientifica ha ragione di venir effettuata in sede autonoma, rispetto ad un’altra disciplina similare, soltanto ove il campo di studio sia diverso » (17).

(14) Cosciani C ., Sui connotati del gruppo pubblico e dell’oggetto di studio dell’economia finanziaria come disciplina autonoma, in Rivista di politica economi­ ca, voi. X X X I I I , settembre-dicembre, 1943, p. 457.

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Ingiustificato appare, poi, il seguente passo di Bellanca: Co- sciani decide di abbandonare « l’impostazione usuale della scuola italiana. A suo giudizio, infatti, il problema fondativo dell’economia finanziaria non ha un “ carattere teorico” — per rifarsi al titolo del primo grande libro di De Viti D e Marco — , essendo solo di utilità pratica l’elaborazione di una disciplina che parta da premesse’ , quali la coazione, diverse da quelle della scienza economica. Co- sciani adotta esplicitamente la posizione di Croce, per cui la scien­ za ha carattere assolutamente non teoretico, mentre soltanto la filo­ sofia può intendere e giudicare » (pp. 279-280). La citazione di Co- sciani, in questo passo di Bellanca, appare fuorviante: perché mon­ ca e perché isolata dal suo contesto. Cosciani scrive, infatti: « è di scarsa utilità pratica l’elaborazione di una disciplina che parta da premesse uguali o per lo meno simili a quelle da cui è partita un’al­ tra disciplina » (18). Come risulta evidente, Cosciani cerca solo di impostare il problema della delimitazione dell’ambito di studio del­ l’economia finanziaria, a cui poi dà la risposta già riferita.

Circa il preteso crocianesimo di Cosciani, la questione non ci sembra gran che rilevante. E vero che Cosciani riporta alcune cita­ zioni di Croce a supporto della validità del concetto di coazione co­ me categoria empirica (19), ma ciò avviene dopo che ha precisato: « tutte le categorie economiche, nessuna esclusa, sono delle catego­ rie arbitrarie, astratte ed empiriche, ma mai categorie filosofiche. Questo riconoscimento, del resto, lo si trova in tutti gli economisti, dove esplicitamente dove implicitamente » (20). Da questo punto di vista, quindi, non solo l’economia finanziaria, ma tutta la scienza economica, avrebbe un carattere non-teoretico.

Un altro punto di questo capitolo che ben esemplifica la meto­ dologia d ’indagine di Bellanca, è il preteso rovesciamento di posi­ zione di Fasiani a proposito della teoria della doppia tassazione del risparmio.

A commento di un passo di Einaudi circa la teoria dello Stato fattore di produzione, Bellanca teatralmente afferma: « il movente di questa netta presa di distanza è costituito dal trauma per il tradi­ mento scientifico perpetrato ai suoi danni dall’ea: allievo Fasiani » (p. 282); e alla pagina successiva: « Mauro Fasiani, che tuttavia

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23 —

adesso — in una lunga appendice al secondo volume dei Principi — rovescia la propria posizione » (p. 283).

Il trauma per il tradimento scientifico e il rovesciamento di po­ sizione appaiono largamente frutto di una cattiva lettura. E vero che il pensiero di Fasiani aveva subito una evoluzione, ma le cita­ zioni riportate da Bellanca tendono a dare l’impressione erronea che Fasiani avesse mutato opinione circa la doppia tassazione del risparmio. Scrive Bellanca, citando Fasiani: « vi è una critica di ben maggiore forza, esposta in modo magistrale dal De Viti De M arco” ed a cui non ha riconosciuto “ in altre occasioni tutto il peso che merita” » (p. 283). Bellanca poi aggiunge: « Fasiani ammette che si tratta di una “ teoria assolutamente ineccepibile” » (p. 284). Questa ultima citazione di Fasiani è imprecisa e monca. La versio­ ne integrale è: « Come, date le premesse, la teoria del De Viti sia

ineccepibile. — Data l’ipotesi fondamentale, che i servizi del capo­

tribù siano un fattore di produzione, e un fattore di tale importanza da riuscire praticamente insostituibile, la teoria del D e Viti mi sem­ bra assolutamente ineccepibile » (21). Fasiani, poi, nelle pagine successive, si dedica a respingere l’ipotesi del De Viti De Marco e a ribadire l’esistenza del fenomeno della doppia tassazione del ri­ sparmio (22).

Il settimo capitolo si conclude con un paragrafo dal titolo: « Le cause epistemologiche del declino della scuola italiana », di cui vie­ ne offerta una strana interpretazione alla luce di estesi passi tratti da Le città invisibili di Italo Calvino. Questi ed altri richiami a Cal­ vino (23), da cui, « a mo’ di suggeritore sapiente » (pp. 288-289), Bellanca si lascia guidare « lungo tutto il cammino » (p. 289), ap­ paiono fuorvianti. Calvino, si sa, è uno scrittore che cerca di ri­ creare, attraverso la sperimentazione e il gioco letterario, un mon­ do fantastico, alternativo a quello reale, indecifrabile e violento, uno scrittore che si propone di giungere al migliore dei mondi pos­ sibili esplorando tutti gli innumerevoli percorsi dell’immaginazione.

(21) Fasiani M ., Principii di scienza delle finanze, voi. II, II ed., Giappi­ chelli, Torino, p. 297.

(22) Ibid., pp. 297-304.

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Ben diversi sono le impostazioni e i fini della teoria della finanza pubblica.

Il capitolo finale ha lo scopo di riesporre la logica che ha ispi­ rato l’autore nel corso della ricerca, mettendo in evidenza come nel volume — a detta di Bellanca — si sia tentato « di tratteggiare il carattere “ scolastico” di un gruppo di economisti italiani, attivi lun­ go un sessantennio, e tra cui spiccano Pantaleoni, De Viti De Mar­ co, Mazzola, Conigliani, Puviani e Borgatta — oltre ad un influente non italiano, Sax. Il loro comune proposito conoscitivo consiste nel comprendere il significato delle istituzioni finanziarie così nel con­ testo politico, come nel contesto dei comportamenti volontari. Que­ sta attenzione ai due tipi di contesto è cruciale » (p. 294). Ciò che immediatamente colpisce nell’elencazione, è la mancata menzione di Einaudi, Fasiani e Cosciani, che pur tanta parte avevano avuto nel capitolo precedente.

Qualche perplessità suscita anche un altro punto. Bellanca, nel riepilogare le ragioni del declino della scuola italiana, sottolinea che « la ricerca anche di spiegazioni generali del processo finanzia­ rio, oltre che di soluzioni operative, usuale nella scuola italiana, ap­ pare una debolezza negli anni degli economisti-dentisti » (p. 311) (24). Il termine « economisti-dentisti » non è accompagna­ to da alcuna citazione specifica. Se — come tutto lascia credere — egli allude ad alcune frasi con cui Keynes conclude il saggio Econo­

mie Possibilities fo r our Grandchildren (1930), allora Bellanca

avrebbe dovuto forse chiarire perché usa il riferimento in senso di­ verso da Keynes, che non mostra di avere una opinione negativa di quegli economisti che Bellanca etichetta come « economisti-denti­ sti » (25).

(¿4) Nel già citato articolo, contenente le principali conclusioni del volume, Bellanca. al posto dell’espressione « negli anni degli economisti-dentisti », usa l’e­ spressione « negli anni degli economisti-tecnici e degli economisti consiglieri » (cfr. Bellanca N ., Intorno alla teoria italiana della finanza pubblica: 1883-191(6, p. 37).

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Il giudizio complessivo sul volume può partire dalle parole del­ lo stesso autore, che, nella frase con cui si apre il capitolo conclusi­ vo, scrive: « lo scopo del volume sta nel tentativo di ridonare com­ plessità ad un segmento importante della storia delle idee finanzia­ rie » (p. 293). E un risultato che sembra essere stato raggiunto so­ prattutto sul terreno del linguaggio: vengono infatti coniati spesso frasi e modi di dire pomposi, ma di incerto significato, come abbia­ mo avuto modo di esemplificare commentando il volume. E di esempi ne potremmo aggiungere altri (26). L ’autore rivela inoltre una forte inclinazione a creare neologismi (27). Quanto allo stile, esso non appare sempre improntato al necessario garbo espositivo verso gli autori con cui dialoga (28).

Il metodo di indagine di Bellanca, sfrontato dalle bellurie dello

(26) Ci limitiamo ad un solo altro esempio. Il settimo capitolo si conclude in modo del tutto enigmatico. Scrive Bellanca: « il quarto connotato epistemologi­ co [...] che mette in crisi la scuola italiana è costituito dalla natura inventiva, e non standardizzabile, del suo metodo di ricerca. Quali e quante ‘eccezioni vadano sottratte al modello’ per individuare un “ città” , non sta scritto su alcun manuale; né si danno istruzioni per l’uso che permettano di ‘non spingere l’operazione trop­ po oltre’. Non resta, che affidarsi allo “ intuito economico” , al “ senso artistico” o alla “ capacità di stilizzazione” dello studioso: un po’ poco, nell’epoca della ripro­ ducibilità tecnica delle stesse opere d’arte. Se i proseliti di una scuola non si pos­ sono reclutare tramite un protocollo iterativo, come stupirsi ch’essi, alla lunga, si diradino o siano poco fedeli all’originaria cifra intellettuale? » (p. 292).

(27) Tra i molti neologismi che figurano nel testo, possiamo ricordare: “ tut­ tologia” (p. 18); “ panpoliticismo” (p. 40); “ paneconomicista” (p. 40); tradotta in americano (p. 66, nota 68); tetragonisti (p. 72); last but noi thè least (p. 78); stiliz­ zazione “ finzionalista” (p. 98, nota 36); modello finzionalista (p. 101); astrattifica- ta (pp. 271-272 e p. 290).

(28) Alla nota (12) ci siamo già imbattuti nella critica, a nostro parere, rude ed ingiusta di Bellanca nei confronti di Scotto, e abbiamo già visto che egli eti­ chetta come « accostamento scorretto » quello di Pica a Conigliani (p. 179, nota

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