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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.44 (1917) n.2271, 11 novembre

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(1)

L’ECONOMISTA

GAZZETTA SETTIMANALE

S C IE N Z A ECO N O M ICA, F IN A N Z A , COM M ERCIO, B A N CH I, F E R R O V IE , IN T E R E S S I P R IV A T I

Anno XUV - Voi. XLVIII Firenze-Roma. Il Novembre 1917 j ™

E5è 3^ av L dgeòria„P: rgola

N. 2271

II prezzo d’ abbonamento è di L. 20 annue, anticipate, per l’Italia e Colonie. Per l ’Estero (Unione postale) l ’abbona­ mento è di L. 25 annue anticipate. Per gli altri paesi si ag­ giungono le spese postali. U n fascicolo separato L. 1.

S i prega di dirigere le rimesse e le corrispondenze all'eco- nomista, 56, via Gregoriana - Roma.

Tornerebbe sommamente gradito alla Direzione de\VEconomista di poter completare ad alcuni vecchi e fedeli abbonati, che ne hanno fatto lichiesta, le loro collezioni, alle quali non si è potuto provvedere perchè esauriti presso TAmministrazione i fascicoli mancanti.

Si fa perciò cortese preghiera a coloro che possedessero i fascicoli sotto segnati, e che non volessero conservare la intera collezione di inviarli à questa Amministrazione : faranno così opera gradita agli abbonati predetti.

Ecco l’elenco dei fascicoli che si ricercano :

N . 275 d e l IO a g o s t o 1 8 7 9 N . 20 63 d e l i i n o v e m . 1 9 1 3 » 338 » 2 6 o t t o b r e 188 0 » 2 0 6 4 » 23 » » » 8 18 » 5 g e n n a i o 18 9 0 » 2068 » 2 1 d i c e m b .» » 822 » 2 f e b b r a i o » » 2 0 7 0 )) 4 g e n n a i o 1 9 1 4 » 825 » 2 3 » » » 2 0 7 1 » l i » » » 829 » 23 m a r z o » » 2 0 7 2 » 18 » » » 860 » 26 o t t o b r e » » 2 0 7 6 » 15 f e b b r a i o » » 862 » 9 n o v e m b r e » » 2 0 79 » 8 m a r z o » » 864 » 23 » » » 2080 » 1 5 » » » 869 » 28 d ic e m b r e » » 2 0 8 3 » 5 a p r i l e » » 883 » 5 a p r i l e 1 8 9 1 » 2 1 0 9 » 4 o t t o b r e » » 835 » 1 9 » » « 2 1 1 0 » IT » » » 9 1 5 » 1 5 n o v e m b r e » « 2 1 1 8 » 6 d i c e m b . » » 20 46 » 20 lu g lio 1 9 1 3 « 2 2 2 7 » 7 g e n n a i o 1 9 1 5 » 2 0 5 s » 1 2 o t t o b r e » » 2 2 2 8 » 14 » » » 2060 » 2 6 » » » 2 2 4 0 » 8 a p r i l e » SOMMARIO: PARTE ECONOMICA.

I liberisti per il miglioramento delle industrie.

Sulla valutazione economica delle perdite umane in guerra. - Prof. A.

Co n t e n t o.

Ammortamenti e sopraprezzi nella determinazione dei sopraprofitti.-S. R. NOTE ECONOMICHE E FINANZIARIE.

Ea Cassa Nazionale Infortuni — Una interessante stati­ stica — Cooperative agricole — Circolazione metallica, servizi della Zecca e R. Scuola dell’arte della medaglia.

FINANZE DI STATO.

Introiti dell’Erario italiano — Uè entrate dei tabacchi — Nuovo prestito francese — Spese della guerra in Russia — Ritiro degli spezzati d’argento — Spese di guerra — Il debito pubblico Austro-Ungherese.

LEGISLAZIONE DI GUERRA.

Appalti di privative — Pel dopo guerra.

NOTIZIE — COMUNICATI — INFORMAZIONI.

Miniere di carbone in Russia — Carbone bianco in Russia • Accordi finanziari tra Svizzera e Francia — Petrolio della Romania — I<a produzione del carbone negli S. U. — Uè per­ centuali delle perdite di guerra — Produzione del grano in Inghilterra — Prestito Americano.

Situazione degli Istituti di Credito mobiliare — Situazione degli Istituti di emis­ sione italiani — Situazione degli Istituti Nazionali Esteri.

Quotazioni di valori di Stato italiani — Valori bancari — Valori industriali — Borsa di Parigi — Borsa di Londra — Borsa di Nuova York — Stanze di compensazione.

Cambi all’Estero — Media ufficiale dei cambi agli effetti dell’art. 39 del Codice commerciale — Corso medio dei cambi accertato in Roma — Rivista dei cambi di Londra — Rivista dei cambi di Parigi.

PARTE ECONOMICA

I liberisti per il miglioramento delle industrie.

D a qualche tem po le colonne dei giornali e delle gazzette assoldati alle industrie m anufatturiere in ge- gere e in special modo alle siderurgiche, contengono contumelie contro gli scienziati convinti delle teorie liberistiche, tentandosi di accomunare il concetto poli­ tico di neutralista, pacifista o germanofilo, con quello economico di liberista, sinceramente professato da ga­ lantuom ini e un tempo anche da alcuni di coloro stessi che adesso hanno abbracciata la teoria opposta, per ragioni che tu tti immaginano.

" Si è giunti perfino ad insinuare atrocemente contro la rettitudine professionale e giornalistica del più sin­ cero e più schietto scienzato che abbiano la cattedra ed il giornalismo nostrano, il prof. Einaudi, con accuse così solennemente volgari e deliberatamente subdole, che sarebbe davvero far torto al suo carattere ada­ m antino il voler solo accennare ad una difesa.

Raccogliere una tale lordura per ritorcerla contro gli avversari, sarebbe anche far torto ai nostri lettori ed alle nostre tradizioni, che per lungi anni ci hanno bensì consentito di partecipare a dibattiti ed a discussioni, tavolta vivacissim e, ma non mai di scendere al livello delle bassezze e delle volgarità che ormai sembrano, ed è assai male per la loro causa, il mezzo difensivo prevalente nei sostenitori del protezionismo interessato.

Dobbiamo invece serenamente dimostrare, a coloro i quali affermano che: negare il protezionismo significa uccidere la nostra industria, dispenderne i sacrifici che essa ha costato od impedirne il sorgere e lo sviluppo ed aprire così alla produzione estera le porte di tu tti i nostri mercati ; come non sia già alla insufficienza della protezione esistente che si debba la cattiva organiz­ zazione delle nostre officine, ma anzi come quella stessa protezione sia appunto la causa principale se non unica della condizione di inferiorità, in confronto alle estere, nella quale le nostre industrie si sono cullate durante i lunghi anni nei quali poterono godete dei vantaggi di una barriera doganale loro favorevole.

E perchè non si dubiti che si vogliano affermare sol­ tanto concetti astratti, non ci varremo neppure di argo­ m enti teorici, ma riporteremo esempi precisi e critiche che gl’industriali stessi hanno dovuto sentirsi rinfacciare dai loro colleghi in uno dei loro più recenti convegni.

Ogni commento o deduzione intesa a convalidare quanto sopra abbiamo affermato si rende va n a, tanto eloquenti sono le parole medesime degli industriali, quando possano aver libertà di parlare con animo di con­ sumatori, anziché con quello di produttori.

Vogliamo in fatti qui citare quanto Raffae le Bertieri, D irettore del « Risorgim ento Grafico » di Milano, affer­ m ava in una sua relazione al Congresso della Società Italiana pel progresso delle scienze, tenutosi in Milano nell’aprile scorso. E gli trattando del tem a di sua compe­ tenza specifica « Le Industrie Grafiche ed il Libro Ita ­ liano dopo la Guerra » necessariamente doveva esaminare in quali condizioni di trovassero le industrie che traggono v ita dalle arti grafiche ed incom inciare la sua analisi da quelle che costituiscono il più im portante fattore tecnico della Officina Libraria, cioè del macchinario. E cco come B ertieri è costretto ad esprimersi:

« ...Ì$ noto tu ttavia che, mentre tu tti i nostri costrut­ tori di macchine, dai prim i ai più recenti, han dato prove innegabili d i ardimento e di abilità tecnica, pochi dimostrarono di comprendere quale fosse la miglior via da seguire per il solido sviluppo della loro industria ; e, per tale incertezza, si sprecarono energie meravigliose e si consumarono ingenti capitali in ten tativi di costruzioni fra le meno adatte ai nostri mezzi, alla nostra organiz­ zazione industriale, ai bisogni delle arti grafiche.

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7^6 L ’ ECO N O M ISTA n novembre 1917 ■— N. 2271 avrebbe potuto affermarsi felicemente e corrispondere

alle crescenti esigenze delle industrie grafiche sempre in maggior sviluppo. I dell’Orto, l ’Huguet, il Tarizzo, i Bollito e Torchio ed altri dello stesso tempo, a parte il valore delle loro costruzioni ^le quali risentivano dello stato in cui trovavan si le officine di tal genere nella prima metà dell’Ottocento), rivelano un evidente concetto di praticità nella scelta dei tip i di macchine, tanto che qual­ cuna di esse ha resistito quasi sino a noi, non ostante l’incessante progresso costruttivo degli ultim i cin- quant’anni. Se invece esaminiamo l ’opera dei fabbricanti più vicin i al nostro tempo, e persino di qualcuno della nostra epoca, vediamo che in pochi casi il costruttore anziché insistere nel perfezionamento della fabbricazione normale, e perciò di quella più necessaria ed urgente, si è lasciato non di rado fuorviare in tentativi costosi e disastrosi. Così Norberto Arbizzoni di Monza, abile allievo dei dell’Orto, dopo aver costruito per alcuni anni macchine tipografiche semplici, ma pratiche e adatte alle necessità di numerose officine nostre, volle tentare la fabbricazione delle rotative per giornali e nell’assurdo tentativo sciupò denari e rischiò di compro­ mettere il suo nome. E dopo l’Arbizzoni altre ditte troviam o che si lasciarono prendere dal miraggio di co­ struzioni complicate, per le quali le nostre fabbriche non erano assolutamente preparate. Il più recente caso del genere fu il tentativo della d itta Nebiolo e C. di To­ rino ; la quale, dopo pochi anni da che in Europa fun­ zionavano le macchine americane a giro continuo del cilindro, e quando in Italia eravamo ben lungi dal pos­ sedere una organizzazione produttiva come quella che oggi possiamo vantare, poco curandosi delle notevoli deficenze delle nostre officine meccaniche e della inesperienza nostra, forse ignorando che quei tip i di macchine non erano sino allora riusciti nemmeno nelle vecchie officine germaniche, con una disinvoltura sorprendente iniziò la costruzione delle tipografiche a giro continuo, creando pur troppo delle macchine che, a mala pena affacciatesi nelle officine, dovettero essere ricondotte in fabbrica dannate a divenir rottame. E d il tentativo inopportuno, ed in alcun modo giustificabile, rappresentò anche questa volta un prezioso tempo perduto, che poteva esser invece destinato a migliorare la costruzione normale iniziata da vario tempo... E furon denari sprecati senza beneficio alcuno per. l ’industria. Nè sì fa tta tendenza pericolosa può dirsi del tu tto scomparsa ; ma almeno oggi si costruiscono in Italia macchine che possono reggere e reggono con innegabile vantaggio il confronto con .la produzione straniera : ma si costruisce poco e ber limitale categorie, per ciò e perchè il nostro prodotto non offre all’acquirente paesano (imbevuto pur troppo ancora di pregiudizi) il benefico di un prezzo più conveniente, l’Ita ­ lia tipografica prim a della guerra era in gran parte sud­ dita dall’esterò, e principalm ente della Germania.

« Ora, questa supremazia tedesca, più che nel prezzo ha ragione nella poca varietà dì costruzioni italiane. I tipi nei quali la fabbricazione nostra eccelle per qualità ed è notevole come quantità di prodotto, sono le macchine da stam pa tipografiche e litografiche per cui i fabbri­ canti italian i han trovato conveniente campo di vendita in vari paesi esteri, come la Francia, la Spagna., l’Ame­ rica del Sud, ecc. Ma, oltre a qui due tip i, occorrono alle officine nostre numerose altre macchine e per molte di queste la costruzione è stata appena iniziata, mentre per altre, non si ha neppure il conforto del tentativo. Perciò l ’ industriale grafico fu costretto finora, per forza, a rivolgersi all’estero e particolarmente alia Germania; la quale, infiltrandosi così con le macchine per le quali non avea da temere concorrenza di sorta, riusciva ad imporre anche quelle che l’industriale italiano poteva procurarsi in casa propria. E di qui il dominio dell’in- dustria germanica nelle officine grafiche italiane, dominio formatosi col tempo e mantenutosi di poi, e per la facile acquiescenza di molti fra noi, e per l’abilità sottile del venditore capace di servirsi d’ogni mezzo pur di tener soggetto il cliente (dai lunghi fidi procreatori d i arti­ ficiose concorrenze, all’offerta incessante di novità, agli aiuti finanziari, alle.... operazioni di sconto!).

« Queste le condizioni in cui trovasi la fabbricazione delle macchine in Italia. Tecnicam ente, quello che oggi si fa non lascia niente a desiderare, ma dal lato industriale manca una forma qualsiasi dì organizzazione, e l'industria non rispónde così ai bisogni della tipografia... »

L ’unica aggiunta che si possa fare a così esplicita critica form ulata da un tecnico, è di ricordare che la lettera m del n° 3ro della Tariffa Doganale Italian a con­ tem p lam i dazio di entrata d i L .-io al quintale sulle mac­ chine della tipografia e la litografia.

Noi n o n ‘ vediam o perchè se il dazio fosse stato di L. 50 o 100 o m agari 1000 al quintale, si sarebbero po­ tu ti perciò solo eliminare i mali denunciati e lam entati dal Bertieri ed ancor più dagli stessi proprietari od azio­ nisti di quelle industrie meccaniche che appunto, sotto la protezione di quelle io lire di dazio, non hanno saputo meglio rispondere alla protezione d i cui godevano.

E poiché i liberisti vogliono, ed a ragione, innanzi tutto e soprattutto il m iglioram ento delle industrie nella loro tecnica, nella loro organizzazione, nei loro com­ merci, m iglioram ento che solo può nascere dalla spinta di una concorrenza ampia e libera, sia pure in qualche caso eccezionalmente accompagnata da illum inati aiuti statali sotto forma di facilitazioni, di esenzioni tribu­ tarie, ecc., gioverà rileggere ciò che il prof. Belluzzo, che non è un economista, ma un insegnante di meccanica in un politecnico, ha potuto dire, nello stesso Congresso nel quale parlava il Bertieri, ai siderurgici e metallurgici italiani, con loro crescente stupore, perchè m etteva chia­ ramente al nudo le miserevoli condizioni tecniche di quelle industrie che a più gran voce proclamano un in­ discutibile diritto alla esistenza e quindi alla protezione.

Ecco come il Belluzzo si esprime testualm ente, od è riassunto in un convincente scritto del prof. R icci sulle industrie siderurgiche e meccaniche (1) :

L ’autore premette due considerazioni di carattere generale :

a) non si può avere una vera industria meccanica se uno studio tecnico formato da persone esperte non ne regola l’andamento, studiando e soprattutto disegnando quello che si deve produrre. Il nostro paese è ancora troppo tributario per i disegni dall’estero. Le nostre of­ ficine meccaniche devono creare l’ottim o in casa per essere sempre alla testa del progresso, per non essere rimorchiate. È necessario insom m a creare in Italia degli abili costrut­ tori meccanici, incom inciando col mettere alla testa dei relativi insegnam enti in tu tte le scuole delle persone che sappiano insegnare la costruzione per esperienza fatta e non si lim itino a commentare delle formulette praticam ente molto discutibili ».

b) è indispensabile applicare all’industria italiana quel complesso di regole che sono state propugnate in Am erica da T aylor e vanno sotto il nome di organiz­ zazione scientifica del lavoro. E sop rattutto l’A. racco­ m anda la lavorazione in serie. «Tutte le costruzioni mec­ caniche si possono ridurre a lavorazioni di serie, com­ presi i m otori e le macchine, qualora si educhino i tecnici a servirsi di determ inati tip i, fissi, fondamentali, e non si lasci sbrigliare la loro fantasia nelle esigenze di forma, di potenza, di velocità. Pochi ma ottim i tipi, pochi modelli, pochi calibri, pochi attrezzi, macchine utensili speciali, servono a ridurre il valore assoluto delle spese generali, mentre ne aumentano il valore relativo rispetto alla mano d ’opera, della quale la spesa tende a ri­ dursi al minimo, pure permettendo alle m aestranze o t­ tim i guadagni. Se si pensa che oggi le nostre officine mec­ caniche, anche senza l ’aiuto di un m acchinario speciale, possono ottenere una granata di acciaio da 75 completa spendendo per mano d’opera L. 1,25, mentre all'inizio della guerra si spendeva almeno tre volte tanto, si com­ prende quale enorme beneficio possa portare.la lavorazione in serie applicata a tutte le lavorazioni meccaniche, dalle locom otive ai vagoni, dalle pompe alle turbine, dalle caldaie ai m otori a vapore, dai m otori d'autom obili ai m otori D iesel di grande potenza ».

Esposte queste considerazioni di carattere gene­ rale, il professor Belluzzo si domanda se i sistemi di scarico e immagazzinamento delle materie prime in ­ dispensabili alle industrie meccaniche sono oggi, nei nostri stablim enti, i più razionali ed economici. Ecco la risposta ; « Non sembra : scaricare il carbone in terra all’aperto perchè la pioggia, il vento, il sole, ne riducano l’energia term ica potenziale, scaricare dai carri ferroviarii tonnellate di ghisa, di ferro, di acciaio per poi ricari­ carle su altri carri, fare eseguire questo lavoro di Sisifo a braccia d ’uomo vecchio, di valore fisico lim itato, è un errore che si perpetua in troppe delle officine meccaniche italiane dove il furto facilita l’opera deleteria del tempo. Guanti kilogram m etri spesi inutilm ente, quante calorie disperse ! ».

A riguardo delle fonderie il prof. Belluzzo non potrebb’essere pili esplicito : « L a scienza può trovare del lavoro serio da compiere nelle nostre fonderie ; se appena si vorrà conoscere che cosa si getta nel cubilot, che cosa se ne ricava ; abbandonando l’ empirismo classico dei nostri fonditori d i ghisa si otterrà un

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i i novembre 1917 — N. 2271 L ’ ECO N O M ISTA 787 gio grandissimo. Analisi, analisi chimiche occorrono

nelle nostre fonderie, se si vogliono ottenere delle ghise a composizione costante ; ed invece, quante delle nostre fonderie hanno un laboratorio chim ico ed un chimico provetto ? È d ’attualità un esempio che dovrebbe con­ vincere i nostri industriali della necessità di laboratorii chimici nelle fonderie di ghisa; la produzione della ghisa acciaiosa è stata un mezzo disastro per la maggior parte delle fonderie di ghisa, ed è invece ottim anente riuscita nelle acciaierie, perchè nelle fonderie di ghisa si è sciupato del coke m etallurgico e della ghisa per ottenere a lume di naso, a fiuto, quello che le acciaierie hanno ottenuto con le analisi metodiche, con le ricerche scientifiche ».

« Ci si può anche domandare se la scienza non possa proprio nulla insegnare nella costruzione dei forni a t­ tuali che lasciano uscire le fiamme dal rispettivo camino, ed hanno quindi dei pessimi rendimenti ; nelle stufe dove si essiccano le staffe e le anime, e che spesso fanno a pugni coi principi più elementari della tecnologia del calore. Ci si può domandare ancora se l’estrazione di getti fusi dalla terra, la loro sbavatura affidata ad uomini tardi di età e di intelligenza, non possa trovare qualche soluzione più economica, più rapida, assieme ai mezzi di trasporto in molte fonderie così prim itivi ».

Nè meno critica è la relazione elei prof. Belluzzo per quanto riguarda la fticina : « D ire che le fucine italiane dove si plasma il ferro, l ’acciaio, sono irrazio nati è dire poco) basta osservare come sono disposte. P om i di riscaldo im piantati qua e là senza alcun criterio, fucine dove si distilla il carbone spruzzato di acqua per renderlo migliore, caldaie antiquate, a bassa pressione, che forniscono del vapore saturo col 50 % di um idità a dei magli di tipo inglese dal cilindro nudo, che mangiano 100, 150 kg di vapore per cavallo utile sviluppato; fumo, polvere di carbone, vapore che soffia dai giunti di tu tte le tubazioni nude, ecco la realtà dell’oggi. In questi due anni di guerra, le fucine italiane hanno distrutto, ’ non utilizzato il carbone, malgrado esso costi quasi come

il pane, tanto esse sono irrazionali, empiriche, primitive. più che la scienza, ma ad ogni modo prima di essa, nelle nostre fucine deve entrare il buon senso. Chi vorrà impiantare con criteri moderni una fucina potrà battere facilmente la concorrenza di tutte le fucine, che hanno trent’ anni e più di vita ».

D alle fucine L ’A. entra nei reparti di lavorazione del metallo sulle macchine utensili, e noi fedelmente die­ tro, con gli orecchi spalancati per nulla perdere delle notevoli sue rivelazioni. « Nella maggior parte delle no­ stre officine qui c’è tutto da rifare: dal d ia g ra m m a tili semplice e più rapido e più economico di lavorazione che nessuno studia, alla form a degli utensili, alle velocità di taglio che nessuno controlla, c’è un campo smisurato da arare, per raccogliere a larghe mani una serie di vantaggi che ora solo si intravvedono per effetto di quella tale tra­ dizione, per effetto della deficienza dei capi, della in ­ sufficienza di ingegneri, che in m olti casi non hanno mai sentito nominare il T aylor, e fresano quello che si dovrebbe piallare, piallano quello che si potrebbe fresare, torniscono quello che si può staccare alla fiamma ossiacetilenica e chi più ne ha più ne m etta ».

I l Belluzzo poi non si perita nemmeno di ricono­ scere che l’industria tedesca, quella famosa industria accu­ sata di esercitare il dumping per abbattere l’industria ita liana, è assai più razionalmente ordinata che non la nostra. « Sapete cpme è oraganizzata la grande industria tedesca in fatto di lavorazioni meccaniche ? N elle grandi officine tedesche v i è sempre un ingegnere che ha raccolto gli elementi di costo per tu tte le lavorazioni fatte secondo le m igliori regole, per i diversi tip i di m acchina, per i più svariati tip i di organo meccanico, il quale controlla continuam ente il metodo di lavorazione delle diverse macchine utensili, verifica se le velocità im piegate, la form a dell’utensile sono le migliori. Quando si pensa che in m olte delle nostre officine meccaniche ancora oggi è possibile vedere un gruppo di torni identici, che compiono la stessa operazione ad un identico proiettile, andare a velocità diverse, si intuisce quale vasto orizzonte sia ancora chiuso ai nostri capi, ai nostri ingegneri di officina. Si è parlato molto spesso del « dumping » tedesco, ma non vor­ rei che in fa tto di lavorazioni m eccaniche esso si ri­ ducesse in ultim a analisi : al costo ridotto al minimo di tutte le lavorazioni, alla utilizzazione al massimo rendimento di tutte le macchine utensili, perchè esse hanno un program­ ma, perchè l’operaio che le sorveglia studia i m ezzi per ottenere da esse il m assim o lavoro ».

Il prof. Belluzzo conclude, im placabilm ente, cosi : « Ho toccato alcuni punti fondam entali, ma su molti altri si potrebbe richiamare l’attenzione dei tecnici, in­

cominciando dalle trasm issioni non sempre moderne, non sempre tenute a dovere, per finire alla utilizzazione dei cascami, al trasporto dei pezzi da lavorare, dei tru ­ cioli di lavorazione. Su tu tti io richiam o l’attenzione degli industriali, se vogliono che l ’industria meccanica italian a v iv a di vita propria e non avvenga che l'Italia uscita dal giogo tedesco debba trovarsi industrialmente sotto quello inglese od americano. A gli industriali m eccanici italian i spetta introdurre rispettata e venerata la scienza nei loro stabilim enti, nei reparti dove regna l ’empi­ rismo «.

Non è certo verso categorie d ’industrie in tali condi­ zioni che possono rivolgersi le sim patie dei liberisti e dei consumatori, costretti, questi ultim i, a gettar via nell’acquisto dei prodotti, oltre all’im porto dei dazii anche quello del maggior costo dovuto alla inettitudine ed alla incapacità dei dirigenti le industrie più volte ricordate. Ma criticando acerbamente direttam ente ed indirettam ente quelle industrie si vuole appunto che, se esse posseggono elementi notevoli di vita, si per­ fezionino, si organizzino, diventino degne dell’atten ­ zione e della cura dello Stato, il quale oggi più che mai ha il dovere di rivolgere il patrim onio della collet­ tiv ità soltanto agli organism i sani e vitali, per non sacri­ ficare questi a vantaggio d i quelli che non hanno nè base, nè capacità di miglioramento.

Sulla valutazione economica

delle perdite umane in guerra.

1.

1. — - L a questione della determinazione del valore economico d ell’uomo è t u t t ’altro che recente (1) cosicché parrebbe che l ’unico aspetto dal quale essa abbia a venir tra tta ta fosse quello relativo alla form a di sviluppo del calcolo corrispondente.

In realtà, l ’individuo, considerato come capitale, as­ sume una figura e un com pito e presenta attitudini e lim iti di im piego così speciali e differenziati da ogni altra form a di ricchezza, da rendere assai dubbio se esso possa valutarsi, nella sua im portanza economica, alla stessa stregua dei beni o capitali materiali. B asti pen­ sare che, nella produzione, l ’uomo si identifica col lavoro che esplica, per rilevarne da un lato le profonde diffe­ renze, nel campo della determ inazione del suo valore, in confronto a quello degli altri beni (2), mentre, d ’altra parte, non può disconoscersi che esso si com porta e può riguardarsi come un capitale, che si consum a lentamente nell’opera produttiva, al pari degli altri capitali fissi, e di cui il valore può determ inarsi in base al costo di pro­ duzione. Ma poiché la retribuzione del capitale umano non è l ’interesse, m a il salario, cioè il compenso del la ­ voro, può dirsi che l ’uomo sia un capitale considerato individualm ente, cioè in quanto rappresenta un organi- nismo vivente, più o meno sviluppato, di cui si può va-, lutare il costo, nelle spese incontrate per ottenerlo, mentre, d all’ aspetto sociale, l ’im portanza e il valore dell’uomo sono nel lavoro che esplica, il quale vale non pure per quanto è costato, m a per quanto produce, non potendosi asserire esservi una stretta correlazione fra costo e p rod u ttività del lavoro.

Ci sembra che di tale necessaria distinzione delle basi del calcolo del valore economico d ell’uomo, consi­ derato come individuo, o come forza sociale com plessiva, non sia sta to tenuto il debito conto da quegli studiosi che, presso di noi, si occuparono dell’ argomento, per ri­ cavarne il valore dei cap itali umani sottratti all’Italia del fenomeno emigratorio.

Il Coletti, che mosse acute e fondate obbiezioni alla possibilità pratica di determinare con sufficiente esattezza il costo di produzione dell’uomo e di applicare questa base di calcolo a valutare la perdita prodotta a un paese

li) Seme- occupò, con originalità, Sir Wil l ia m Pe t t y, relati­ vamente all’intiera popolazione inglese, e ne trattò teoricamente

Ad a m o Sm ith nella sua Ricchezza delle Nazioni. Ma fu soltanto in questi ultimi tempi che la ricerca si pose su basi concrete e nume­ riche, in relazione a determinate classi sociali, é di età, ecc.

(2) Vedi per una completa trattazione di questo argomento, la nota opera del Th o r n to n: II. lavoro, sue pretese, suoi diritti.

Vedi pure : per una bibliografia dei lavori che trattano della valutazione economica dell’uomo, il Ric'c a-Sa l e r n o: La teoria

(4)

788 L ’ECO N O M ISTA i i novembre 1917 —- N. 2271 d all’emigrazione (i), non si ferm a però a discutere se e

quali altri principi debbano adottarsi per riescire allo scopo, ritenendoli tu t ti insufficienti, mentre gli altri studiosi che d ell’argomento si occuparono (2) accettano senz’altro il procedim ento insegnato d all’Engel (3) ten­ dente appunto a determ inare quel costo individuale, tenendo conto del valore dell’uomo alla nascita (rappre­ sentato dalle spese inerenti alla gestazione della madre, al parto ecc.) scelto quale unità di m isura e applicando ad esso una d ata proporzione di incremento annuale fino alla età che si consideri.

2. — Si ritiene adunque da questi autori, che la emigrazione sia una perdita per il paese, e che l’entità di questa possa m isurarsi calcolando quanto siano co­ sta ti gli em igrati nel loro allevam ento fino all’età del­ l’espatrio.

Su queste basi, m entre il P areto calcolava, per il pe­ riodo dal 1887 al 1893, che l’emigrazione avesse sottratto all’Italia un valore da 400 a 450 m ilioni di lire all’ anno, il Beneduce, con ricerche più specificate, determ inava tale perdita in capitali personali, per l ’epoca intorno al 1903, in circa 287 m ilioni annui (4).

Ricordiam o questi precedenti, perchè, pur non avendo noi ad occuparci della perdita causata dal fenomeno emi­ gratorio, dovrem o tenerne conto per rilevarne, criti­ cando il procedim ento ad ottato, le differenze e le analogie col problema che ci riguarda.

3- —■ Cominciando dalle circostanze differenziali, esse sono m olteplici ed evidenti.

Gli em igranti appartengono generalmente alla stessa classe sociale (agricoltori od operai) mentre sono costi­ tu iti di in d ivid u i dei due sessi e più o meno variam ente assortiti per e tà (5) ; i m orti in guerra provengono da tu tte le categorie sociali, m entre in essi non sono rappre­ sentati ch e il solo sesso m aschile e le classi medie di età (6). Econom icam ente considerati, gli em igranti rappre­ sentano spesso, in p a tiia , anziché una fonte di reddito, un passivo sociale, essendo costituiti di individui se non sempre im produttivi del tutto, certo scarsamente pro­ duttivi, e da questo lato la loro partenza può non costi­ tu ire una perdita per il paese.

A l contrario, per le occupazioni e i guadagni che o t­ tengono a ll’estero, e le conseguenti rimesse di denaro nei paesi di origine, per l ’incremento al commercio che provocano fra la patria e i paesi di destinazione, ecc., possono rappresentare in definitiva un vantaggio per lo S ta to (7). I soldati che lasciano la v ita in campo, pur comprendendo anche quella parte d i individui maschi che altrim enti sarebbe em igrata, provengono in

maggio-(1) 11 costo di produzione dell'uomo e il valore economico degli emigranti, in Giornale degli Economisti, marzo 1905 ; Ancora del costo di produzione ecc. stessa Rivista, agosto 1905.

(2) Iniziò tali ricerche il Parf.t o, nel suo Cours d’Econoinie Politique; il Ra s e r i (Valore economico della vita umana in Italia,

calcolato per varie classi di popolazione, in Rivista d'igiene e sanità pubblica, Anno III, 1892) applicò il metodo dell’ENGEL a ricavare il costo di allevamento per la popolazione agricola e per la popola­ zione industriale ; il Be n e d u c e (Capitati sottratti all'Italia dall'e-

migranone per l’estero (Giornale degli Economisti, dicembre 1904) e Capitali personali e valore economico degli emigranti, stessa R i­ vista, luglio 1905) applica lo stesso calcolo, tenendo conto dei mutati elementi demografici ecc. Alle conclusioni del Be n e d u c e

sono dirette essenzialmente le osservazioni del Co l e t t i nei lavori citati, mentre pure il Pa r e t o intervenne nella polemica (Rivista

citata, fase, di aprile 1905) a sostenere l ’applicabilità di quel calcolo con risultati proficui.

(3) Der Preis der Arbeit (Wesen and Preis der Arbeìt : Die. selbst- hoslen der Arbeit: zwei Vorlesungen, in Sammlung gemeinvet- staendlicher wissenschafthcher Vortraege (Berlin, 1866, Heft 20-21). Der Preis der Arbeit im preussischen Staatsdienste, im Jahre 1875. In Zcitsckrift des k. preuss. statisi. Bureaux, Berlin, 1876.

(4) l,a somma complessiva rappresentante il valore degli indi­ vidui sarebbe per lui di 380 milioni.

A tale somma aggiungendo quella rappresentata dai beni che gli emigranti recano con sè (circa 34 milioni) e togliendo il valore cor­ rispondente agli individui rimpatrianti annualmente, rimane una Perdita media netta di circa 287 milioni.

(5) Nel periodo 1912-13, dopo il quale remigrazione si contrasse Per causa della guerra, circa % degli emigranti era di sesso femmi­ nile, circa1/!odi età non superiore ai 15 anni,circa z/6eli professione diversa da quella agricola o industriale (Vedi il volume Emigra­ zione italiana pei l ’estero, per quel biennio, Roma, 1915).

(6) Se sotto le armi sono uomini da 18-20 a 40 o 45 anni, quelli esposti a morire per causa diretta di guerra sono generalmente i più giovani : generalmente fino ai 30 o 35 anni.

(7) . È noto come presso di noi si calcolassero intorno a 500 mi­ lioni annui le rimesse degli emigranti.

ranza dalle categorie sociali pivi produttive, per ragioni di professione e insieme di età, sì che la loro m ancanza costituisce una perdita secca per lo Stato.

Gli em igranti possono tonfare (e invero, ogni anno, una proporzione notevole di rim patri si rileva presso di noi) e risarcire col futuro lavoro più intenso lo Stato della perdita occasionata, mentre, sia per la parte che ritorna, sia per l ’ altra, a causa dello scarso im piego e reddito che avevano in patria, della categoria essenzialmente m anuale di lavoro cui appartengono etc. possono . essere più o meno facilm ente sostituiti d al lavoro di coloro che ri­ mangono ; tale sostituzione, sia per il carattere definitivo della perdita, sia per il genere di lavoro compiuto, sia per la quantità delle perdite in una guerra come l’attuale, sia per essere i soldati tu tti m aschi e giovani, difficil­ m ente può avvenire, pei m orti in guerra, se non con ca­ rattere più o meno parziale e a scadenza più o m eno lunga, m ediante la sostituzione ad essi di vecchi, di donne, di fanciulli, spesso d istratti da altre cure dome­ stiche, scolastiche ecc., con danno, almeno iniziale, ge­ nerale deH’intiera economia sociale.

L ’emigrazione essendo generalm ente costituita dal soprappiù di lavoro disponibile, tende solo lim itatam ente ad aumentare il costo del lavoro rim anente ; invece, dopo una guerra, tan to più se assai grave di perdite, tu tta la m ano d ’opera necessariam ente rincara (a parte gli effetti com pensatori d ell’introduzione di nuove macchine e si­ stem i produttivi) rendendo più onerosa l’esecuzione dei lavori, sia di S tato che della produzione sociale.

Per lo Stato la emigrazione, come osservammo, può essere fonte di reddito, pel m ovim ento di denaro, di tr a f­ fico, commerciale, postale ecc. per l’increm ento tributario ecc., che arreca ; le perdite umane di guerra sono sempre un peso, in quanto im portano non pure diminuzioni di entrate, ma aum ento di oneri, in sussidi, pensioni ecc. alle fam iglie dei morti.

4; — D i fronte a queste, che possono considerarsi le più im portanti differenze fra i due fenomeni, in rela ­ zione alla loro origine, ai loro elementi, alle loro conse­ guenze, sta una sola, fondam entale circostanza analo­ gica, consistente nella sottrazione al paese di un certo numero d i uom ini validi, cioè d i una determ inata q uan ­ tità di lavoro. Considerato sotto questo aspetto, il pro­ blem a della valutazione della perdita risentita dallo S ta to può venire im postato e risolto nei due casi, p a r­ tendo dagli stessi principi, salvo a tener conto, nei ri­ sultati, del carattere più o m eno temporaneo e parziale della perdita nel caso dell’emigrazione, dell’aspetto defi­ n itivo della sottrazione quando trattasi dei m orti per causa di guerra. D ato ciò, e facendo per ora il caso più generale, le domande da proporsi sono quéste : è logi­ cam ente e statisticam ente corretto determ inare il valore del lavoro perduto , in base al costo di produzione dei lavoratori fino al momento, del loro abbandono del paese, per m orte od em igrazione ? o non piuttosto, prescin­ dendo dal costo, che è un elem ento del passato, occorrerà stim are il danno in considerazione del m ancato lavoro e reddito futuro ? si possono, come alcuni ritengono, considerare come coincidenti ed equivalenti i due con­ ce tti ? quali sono, comunque, gli elementi statistici da rilevare per giungere a quella valutazione ?

5- ■— Che il costo di produzione d ell’uomo non sia facilm ente ed esattam ente valutabile in base al proce­ dim ento d all’E n gel insegnato, ricorrendo da un lato ai d ati sui consumi, desunti dalie monografie di fam iglia, d a ll’altro a quelli ricavati dagli studi eseguiti nei ga b i­ n etti di fisiologia, di chim ica ecc., noi crediamo superfluo dimostrare.

M entre queste ultim e ricerche sulla quantità m edia di m ateriali n u tritivi consum ati, o necessari al consumo dei vari organismi, hanno im portanza più che altro te o ­ rica, le notizie su l bilancio passivo domestico, che pos­ sono desumersi dalle m onografie di fam iglia, hanno un valore lim itato nella sua estensione in corrispondenza alla lim itazione delle indagini relative, e tan to meno p os­ sono servire a costituire una base generale di conoscenza del fenomeno, quando, ad es. come pél nostro paese, il tenore di v ita pur delle fam iglie di agricoltori, o di op e­ rai, presenti profonde d iversità secondo gli ambienti regionali, in relazione agli elementi economici, dem ogra­ fici ecc. (1).

(5)

i l novembre 1917 — N. 2271 L ’ ECO N O M ISTA Rim andiam o, del resto, circa la difficoltà del calcolo

del costo di produzione dell’uomo, pur lim itatam ente alle classi lavoratrici, alle acute osservazioni del Coletti nello studio citato, m entre in generale basterà, per ren­ dersene ragione, risalire alle differenze di origine e di funzioni, per le quali il capitale umano, cioè il lavoro, non può valutarsi alla stessa stregua, diremo così, meccanica, dei capitali o dei beni economici materiali.

Certo, non negheremo la possibilità di una simile valutazione, ma essa dovrebbe tener conto di elementi così complessi e m utabili, da rendere ben arduo rica­ varne dei risu ltati attendibili per un nucleo id popola­ zione che non sia strettam ente lim itato.

[Continua). Ae d o Co n t e n t o.

su alcuni bilanci di famiglie operaie rilevati dalla Direzione Generale di Statistica e sulle cento monografie di famiglia raccolte dal Cheys- son) per la popolazione artigiana, in lire 75, mantenendo per le classi agricole la stessa misura del Raseri, forse senza considerare abba­ stanza il semplice fatto che il suo studio si riferiva a Un’epoca di vent’anni posteriore a quella del Raseri (1903 e 1892). Entrambi calcolavano l’incremento annuo di spesa, a I/io dell’unita o valore iniziale, (cosicché la spesa di allevamento sarebbe doppia di quella iniziale nel decimo anno) adottando la proporzione accolta già dal- l ’Engel, risultante da ricerche di gabinetto del clr. Flügge, che pur risalgono intorno al 1880 (la traduzione italiana dell’opera del Flügge: Istituzioni di Igiene, risale al 1886).

Si noti ancora che, per l’applicazione del calcolo essendo neces­ sario porre a carico dei sopraviventi a una data età le spese fatte per coloro che sono morti prima di diventare economicamente pro­ duttivi, nonché la capitalizzazione degli interessi delle'somme spese dal capo famiglia fino all’età in cui il figlio diventa produttivo, è evidente come questi elementi siano soggetti a variare più o meno fortemente secondo lo sviluppo successivo dell’elemento demogra­ fico, economico, ecc.

Ammortamenti e sopraprezzi

nella determinazione dei sopraprofitti.

N ella valutazione dei sopraprofìtti dipendenti dalla guerra gli svalutam ettti dei nuovi capitali d ’im pianto e trasform azioni dei cap itali d ’im pianto preesistenti, nonché il m aggior costo derivante da sopraprezzo di questi cap itali hanno u n ’im poitanza grandissim a, in quanto d etti svalutam enti e sopraprezzo, essendo am ­ méssi in detrazione d al reddito tassabile, riducono notevolm ente le cifre dei sopraprofitti e la conseguente tassazione viene a risultare m olto più m ite di quel che non parrebbe.

L e provvidenze legislative riguardanti gli ammor­ tam enti e i sopraprezzi sono apparse qua e là in diversi decreti luogotenenziali e infine, m eglio disciplinate e chiarite, riprodotte nel nuovo T esto Unico 14 giugno 1917, n. 971.

D ata la im portanza dell’argom ento crediamo di fare opera grata ai nostri lettori di esporre con tratti brevi e sem plici le disposizioni che regolano la m ateria.

L e quali disposizioni furono em anate per rimediare al danno positivo derivante ai produttori dalle seguenti due condizioni di fa tto :

I. — Svalutamento inevitabile a guerra finita dei nuovi capitali d’ impianto e trasform azioni di qu elli pre­ esistenti.

I L — Sopraprezzo non recuperabile dei suddetti capitali, sopportato, a causa della, guerra.

I l danno quindi è duplice. In fa tti, astrazione facendo dai sopraprezzi, i nuovi cap itali d ’im pianto, pur avendo un prezzo d i pace, alla fine della guerra, per le m utate esigenze sociali, per cui le industrie e i commerci saranno a ttra tti verso altri scopi che non siano quelli pre­ valentem ente bellici di quest’ora tragica che viviam o, perderanno m olto del loro valore.

A questo evidente danno si aggiunga l ’altro non meno grave del sopraprezzo che, per m olteplici cause, prim a fra tu tte la grande richiesta sul m ercato di m a­ teriale a scopo bellico, deve sopportare l ’industriale. Cosicché il danno com plessivo che sopporta il pro­ duttore consiste nella differenza notevole tra il prezzo più il sopraprezzo di acquisto e il prezzo, dim inuito dello svalutam ento, del dopo guerra.

É quindi logico che dal sopraprofitto realizzato venga d etratta la suddetta differenza di valori. Non sarebbe in fa tti conforme a giustizia il voler parlare di profitti di guerra senza punto tener a calcolo le per­ dite di guerra e sono una perdita ve ra e propria dipen­ dente dalla guerra lo svalutam en to e il sopraprezzo di cui trattiam o.

789 Ma come si possa determ inare in una cifra pili o meno esatta questa perdita ? L a risposta appare m olto ardua, perchè se è possibile in certo qual m odo s tu ­ diare la p ortata di un fa tto presente quale sarebbe il sopraprezzo, il quale si verifica oggi in dipendenza d ell’acquisto, non è generalm ente possibile il determ i­ nare quale sia lo svalutam ento di un im pianto a guerra finita e cioè definire la p o rtata di un fatto futuro e incerto.

Epperò bene ha operato il legislatore, allo scopo di facilitare l ’applicazione pratica dei suddetti concetti sulla detrazione dal reddito dello svalutam ento e del sopraprezzo, stabilendo un criterio presuntivo che può sintetizzarsi nella seguente regola :

L a perdita per svalutamento e per sopraprezzo è rap­ presentata dalla differenza tra l'effettivo costo totale dei

nuovi im pianti e trasformazioni (e quindi compreso

in esso anche i l , sopraprezzo sopportato) e il valore di detti im pianti e trasformazioni a guerra finita, il quale si presume, in diletto di pruova contraria, nella m isura del 20 per cento del suddetto costo totale.

In altri term ini la presumibile perdita per sv alu ta ­ m ento e sopraprezzo ascende all’ottan ta per cento del costo iniziale.. E siccome qui si tra tta di linea presun­ tiv a, il legislatore non p o teva negare, come non ha negato, che si possa anche ammettere la dimostrazione com provata di una perdita maggiore. Questa conces­ sione rimarrà peraltro una semplice affermazione di principio, essendo impossibile, come già ora abbiam o rilevato, conoscere la cifra precisa di un futuro sv alu ­ tamento. D ’ altronde ci sem bra che, stabilendo la m i­ sura della perdita all’80 per cento, il legislatore abbia sufficientemente largheggiato a favore dei contribuenti.

Come si deve procedere alla detrazione di questa perdita dai sopraprofitti ?

Prem ettiam o che nei riguardi della tassazione l ’ac­ certam ento dei sopraprofitti non è unico, ossia esso non abbraccia tu tto il tem po in cui la guerra può du­ rare, ma è ripartito in quattro distinti accertam enti ciascuno riguardante i quatro periodi bellici *1914- 1915, 1916, 1917 e 1918.

Ciò posto il legislatore ha stabilito che nel m entre la perdita derivante dal sopraprezzo deve essere in ­ teram ente d etratta dal guadagno realizzato in quel periodo bellico in cui detto sopraprezzo per effetto degli acquisti fu sopportato, la perdita invece derivante dallo svalutam ento a fin d i guerra d e v’essere rip artita tra tu tti i periodi bellici in cui la industria o commercio, oggetto dell’accertam ento, si sia svolto.

Poniamo, a m o’ d ’esempio, che i nuovi im pianti furono costruiti nel 1916 e costarono coinplessivamente lire 200.000 ; poniamo inoltre che il sopraprezzo sop­ portato fu di lire 70.000. Stando a quello che abbiam o detto, la perdita totale ascenderà a lire 160.000 (80% del costo in L. 200.000) e di questa somma lire 70.000 rappresentano il sopraprezzo e lire 90.000 lo svalu ta ­ m ento a guerra finita. L e lire 70.000 di sopraprezzo vanno interam ente d etratte dal reddito realizzato nel 1916 le altre lire 90.000 di svalutam ento vanno detratte in parti uguali dal reddito realizzato in ciascuno de. tre periodi bellici, 1916, 1917 e 1918.

Cosicché se nei suddetti periodi si realizzassero rispet­ tivam ente i redditi d iL - 250.000, L. 300.000 e L . 200.000, i singoli accertam enti andrebbero im postati come segue : / Utile lordo. . . b. 250.000 i Sopraprezzo . . . b. 70.000 ’ Svalutamento. . )) 30.000 Anno 1916 { ! )) 1,00.000 Utile netto . . . b. 150.000 f Utile lordo. . . . b. 300.000 Anno 1Cj j7 ) Svalutamento . » 30.000 ( Utile netto . • . b. 270.000 f Utile lordo. . . . b. 200.000 Anno 1918 Svalutamento . . » 30.000

( Utile netto . . . )) I7O.OOO

Come si vede l’applicazione pratica dello istitu to d ell’ammortamento e sopraprezzo è m olto semplice e ne va d ata am pia lode al legislatore. Peraltro non possiamo non lam entare che i provvedim enti finora em anati in m ateria siano alquanto incom pleti, per cui m olti casi, che nella pratica si verificano, rim angono senza soluzione.

(6)

790 1/ E CO N O M ISTA i i novembre 1917 — N. 2271 1916 di accertam ento si abbia a dedurre, tra sopraprezzo

e svalutam ento, una cifra superiore al reddito realiz­ zato. Il contribuente non si appagherà certo d ie nessuna tassazione venga fa tta pel suddetto periodo a causa della risultanza passiva di esso, perchè penserà che vi è un’eccedenza passiva che egli non ha potuto come detrarre, per insufficienza di attivo, dagli utili del 1916 e che non può detrarre dagli utili dei periodi successivi di accertam ento, in quanto, secondo le disposizioni che regolano l ’applicazione dell’im posta di R. Mobile e che si ricollegano con quelle sui sopraprofìtti, i periodi di tassazione sono separati e distinti, in modo che il disutile di un periodo non può defalcarsi dagli utili di un altro.

Nè è a dire che questo caso sia raro a verificarsi, perchè come esiste la possibilità di un profitto, vi esi­ ste anche la possibilità di una perdita e quindi è fallace la presunzione che in ogni periodo bellico debbano verificarsi lauti guadagni. Così ogni qual volta un periodo di tassazione ci dà un risultato pari o passivo noi ci troviam o di fronte alle . giustificate lamentele del contribuente.

A ltre lacune vi esistono nei riguardi delle cessa­ zioni di industrie o commerci che possano verificarsi durante i periodi bellici e delle cessioni da una d itta o un’altra degli im pianti col medesimo sopraprezzo o con un sopraprezzo maggiore.

Se, per esempio, la d itta, a cui nel 1916, come dalle cifre sopra riportate, è stato accertato un reddito lordo di L. 250.000, dal quale sono state detratte L. 70.000 per sopraprezzo e L. 30000 per svalutam ento, nel 1917 cessasse la industria, potrebbe dire al fisco: voi mi do­ vete detrarre ancora L. 60.000 per svalutam ento ; come dobbiamo regolare la p artita ?

E se la stessa d itta ceda pel 1917 gli im pianti per lire 250.000 ad altra ditta, avremo questo che nel men­ tre è s ta ta ad essa accordata una perdita per sopra­ prezzo e per svalutam ento di L. 100000, la d itta stessa non solo non ha subito alcuna perdita del genere, ma ha guadagnato L. 50.000 di sopraprezzo sull’impianto venduto. Così nel 1916 invece di pagare la tassa su di un utile netto di L. 150.000, dovrebbe pagarla sul­ l’utile di lire 300.000 !

Appare quindi chiaro che la mancanza di più ampie disposizioni in materia di svalutam ento e sopraprezzo dei capitali d ’impianto possa lasciare libero campo all'arbitrio, sia da parte dei contribuenti che da parte

degli agenti d el fisco. , S. R.

NOTE

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La Cassa Nazionale Infortuni.

Poiché il duello fra la Cassa Nazionale infortuni da un lato, e la pleiade degli istitu ti assicuratori concorrenti dall’altro, pur entrando in una fase decisiva, non si è per­ tanto risolto, gioverà, anziché profetizzare un componi­ mento o una vittoria, conoscere, per ora, con esattezza, nel suo divenire storico, uno dei protagonisti di esso : la Cassa Nazionale.

Quantunque, in m ateria di previdenza sociale, si risalga comunemente alla Germania, come a quella in cui l ’elemento collettivo ha sempre preso il sopravvento sull’individuale, bene a ragione è s ta ta di recente riven­ dicata all’Ita lia l’originalità delle provvidenze legisla­ tive in fa tto d i assicurazioni sociali (1).

Fin dal 30 novem bre 1881 — prim a cioè che Bismark gettasse le b asi dei suoi sistem i assicurativi -— l ’on. Berti, allora Ministro di A gricoltura, Industria e Com­ mercio, presentò alla Camera due disegni di legge : uno per la istituzione della Cassa Nazionale di pensioni per la vecchiaia degli operai; l’altro per il riordinamento delle Casse di Risparm io, le quali, in forza dell’art. 9 del progetto erano tenute ad una contribuzione forzata, a favore della Cassa N azionale di pensioni per la vecchiaia degli operai, com m isurata ai 2/10 degli utili n etti annuali. Ma il te n ta tiv o d ell’onorevole B erti — ottim o nella finalità se non nei m ezzi — incontrò l’opposizione au­ torevole del M antellini, che, relatore del progetto, non trovò legittimo il contributo obbligatorio; e il contrasto delle Casse di Risparm io che paventavano ulteriori in- j vadenze del Governo nel libero esercizio della loro ge­ stione. Onde, nella seduta del 28 giugno 1882, il progetto (1) Magaldi: La Cassa Nazionale Infortuni, « Bollettino men­ sile della C. N. d ’assicurazione, per gl’infortuni degli operai sul lavoio ». Anno 1917,11. 3.

naufragò, rimanendo all’on. Berti il van to di aver posto l ’argomento in discussione, e di aver in vitato le Casse di Risparm io a provvedere spontaneam ente se non volevano veder forzata la loro integrità patrimoniale.

L ’ ammonimento dell’on. Berti fu fecondo, perchè il 19 febbraio 1883 fu firm ata la convenzione per la isti­ tuzione della Cassa Nazionale per infortuni sul lavoro, fra il Ministro di Agricoltura I. e C. e le Casse di Risparmio di Milano, Torino, Bologna, Genova, Rom a, Venezia, Cagliari, Monte di Paschi d i Siena, Banco di N apoli e Banco di Sicilia ; e lo stesso giorno fu presentato alla Camera un progetto per l’approvazione della Convenzione stessa, progetto che divenne legge l ’8 giugno 1883.

Ma, pur avendo il Governo, con successivi leggi e d e­ creti, m ostrato appieno il suo interessamento per i fini del­ l ’ente testé costituito — le speranze dell’on. Cliimirri che aveva caldam ente perorato per esso non si tradussero in realtà per ignavia degli industriali e degli operai (non tenuti a ll’ assicurazione, per legge, non obbligatoria) e più ancora perchè —- essendo la Cassa Nazionale am ­ m inistrata da un Comitato esecutivo della Cassa di R i­ sparmio di Milano (il quale aveva vernato L . 625.000 sul totale complessivo di un milione e mezzo) e da un Con­ siglio di delegati degli istitu ti fondatori — m ancava nell’amministrazione una potente forza di propaganda e di affarismo, la cui deficienza si dim cstra con la mo­ destia delle operazioni compiute nel periodo 1884-1898 come dalle seguenti cifre :

Operai assicurati Premi pagati in lire

1884 . . . . 67 130.80

1885 • • • 6-556 , I7-24°-37

1890 ■ ■ ■ 9 4-5 ° 7 390.084.33

1895 . . . 138 192 600 965.79

1898 . . . 160.772 767.789.37

t a legge 17 marzo 1898, em endata con la legge 28 giugno 1903 e quindi coordinata in testo unico il 31 gen­ naio 1904 impose, Vobbligo dell’ assicurazione pei danni cagionati agli operai da infortuni occorsi per causa vio­ lenta in occasione del lavoro lasciando libera la scelta del l ’ Istituto assicuratore ; onde la Cassa Nazionale, si trovò, im preparata, a contatto con la concorrenza delle Compa­ gnie private. N è la legge provvide a favorirla. Perchè se è vero che debbono assicurarsi alla Cassa Nazionale gli operai addetti ad imprese o Stabilim enti condotti direttam ente dallo Stato, dalle Provincie, dai Comuni o da essi dati in concessione o appalto ; è anche vero che questo diritto di precedenza si annulla praticamente, quando si consente la deroga all’obbligo dell’assicura­ zione presso la Cassa Nazionale, per quegl’industriali che sieno uniti in cooperativa o sindacati. A nzi la legge la pose in condizione di sfavore di fronte alle Compagnie p rivate imponendo ad essa solo l’obbligo di accettare qualsiasi proposta di assicurazione, per. cui non m era­ viglia la progressione degli affari anche nel perio,do 1898- 1905, piuttosto lenta, ove si tenga presente il maggior numero d ’im prese soggette ad assicurazione e l ’aumento dei salari :

Anni Operai assicurati Premi pagati in lire

898 . . 160.772 767.789,37

1899 • • 178-439 1.376.005,23

1900 . . 2-355 1.547.202,19 _

r 905 . . 373-5 7° 5.8114)61,96

Il periodo che va dal 1904 al 1912 è destinato intie-rumente alla riform a interna dell’ente, in quanto erasi dim ostrato all’evidenza che conveniva renderlo indipen­ dente dagli istitu ti fondatori e che era necessario dare alla Cassa N azionale una sede in Rom a, e uno sviluppo locale m aggiore di quello avu to in passato.

(7)

com-i com-i novembre 1917 — N. 2271 L ’ ECO N O M ISTA posta della sede centrale di R om a ; altre 12 sedi com

partim entali ; un Ufficio speciale in Udine per i terri­ tori occupati dal R . E sercito ; 15 sedi secondarie ; 70 agenzie; 6 uffici di corrispondenza e 1259 sub-agenzie.

E non pare che il m ovim ento degli affari dal 1912 ad oggi sia difforme dalle aspettative di coloro che attuai rono la riform a, come dalle seguenti cifre:

Anni Operai assicurati Premi incassati in lire I9IO . • ■ 4 4 7 - 2 8 3 1 0 . 4 5 5 . 0 9 7 . 7 1 1 9 I I . . . 4 7 9 - 1 4 1 IO . 3 6 4 .6 5 7 . I I 1 9 1 2 . . . 5 1 6 . 7 1 0 1 1 . 2 0 2 . 6 5 4 . 4 9 1 9 1 3 . . ■ 6 6 3 .3 0 5 1 1 .8 0 8 . 8 8 9 .9 9 1 9 1 4 • • ■ 7 6 3 - 4 5 8 i3-05 9-7c,5-8i 1 9 1 5 . . . 7 2 6 . 8 5 9 I5-29 3 - I 2 2 - I 7 1 9 1 6 . . . 6 8 2 .6 0 6 2 3 . 2 6 1 . 1 6 1 . 4 8

le quali acquisterebbero maggiore importanza, ove si potessero confrontare con quelle degli altri istitu ti as­ sicuratori, il che facciam o solo per l ’ anno 1915 e per al­ cuni degli enti più quotati e lim itatam ente agli incassi come dal seguente quadro :

Premi incassati Anni Ente assicuratore in lire

1915 Cassa Nazionale Infortuni . . . 15.293.122.17

.» Sindacato S u b a lp in o . 2.316.613.05 » Assicuratrice i t a l i a n a . 1.648.825.68

» Sindacato M arittim o italiano . . 1.606.897.32

» Sindacato P u g l i e s e . 1.226.092.68

» M utuo Sindacato Nazionale , . 764.405.45

» Sindacato A d r i a t ic o . 5 1 4-3 4 2-3(> v » Siciliano solfare . . 513.107.08 » » Italia settentrionale 502.654.51 » » T o r i n e s e ... 3 3 5-824-99 » » Fiorentino . . . . 324.870.59 ». '».- E d iliz io . . . . 279.874.55 » » C is a lp in o ... 232.557.70 » » V e r c e lle s e ... 148.884.90

Allo sviluppo degli affari p riva ti corrisponde l ’au­ m entata fiducia dello S tato che la considera come il m ag­ giore istitu to di assicurazione e le riconosce im plicita­ m ente i caratteri di ente pubblico, sia per m ezzo di re­ sponsi giudiziali, sia per mezzo di leggi e decreti, aventi anche rilevanza internazionale. Con regolam ento per la esecuzione della legge 2 agosto 1913 sulla em igrazione fu stabilito che debbono assicurarsi presso la Cassa N a ­ zionale gli operai che lavorano in paesi esteri ove l’ assi­ curazione non sia obbligatoria per gli stranieri. Con de­ creto 25 m aggio 1913 venivale esclusivam ente affidata l ’ assicurazione infortuni per la Tripolitania e Cirenaica e con decreto 7 novem bre 1915 l’assicurazione esclusiva per gli operai che lavorano nei territori occupati dal R . Esercito. Con decreto 31 ottobre 1915 fu autorizzata ad accettare in riassicurazione da Compagnie private i rischi di guerra ; con decreto 3 dicem bre 1916 s ’im po­ neva l’obbligò dell’ assicurazione presso la Cassa N azio­ nale dei prigionieri di gu erra; con decreto 15 febbraio 1917 ven iva incaricata di liquidare per conto della M a­ rina e della Guerra le indennità agli operai _ adibiti in zona di guerra alle dipendenze di quei M inisteri; con decreto 8 m aggio 1917 viene affidata ad essa la liquida­ zione delle indennità dovute agli equipaggi di navi re­ quisite o noleggiate dallo Stato. Ed. altre disposizioni potrebbero citarsi onde riaffermare l ’im portanza pubbli- cistica conseguita, specie di recente, dalla Cassa N azio­ nale infortuni, la quale ci tiene ad essere considerata come un ente dì diritto pubblico, affrancato e superiore ai normali intendim enti dell’affarism o p rivato quando anche gestito in condizioni di monopolio naturale.

Ma la Cassa Nazionale — che ha conseguito la sua -autonomia am m inistrativa e una solida posizione nel campo degli affari e d i fronte alle leggi — non riposa sugli allori e tende evidentem ente a tre o b b ie ttivi che per ora ci risparm iano dal giudicare: farsi organo pro­ motore e accentratore dell’ assicurazione agricola obbli­ gatoria ; assicurarsi, con una revisione delle_ leggi sugli infortuni, una procedura più econom ica e più celere di liquidazione ; soffocare, con l’esclusività del_ diritto di assicurazione, ogni concorrenza di Sindacati o private

Compagnie. .

Q uanto al prim o obbiettivo cui la Cassa Nazionale volge ora gli sguardi, h a già ottenuto, con decreto 14 | m aggio 19 11, l ’approvazione, in via d ’esperimento, delle I tariffe dei premi e tabelle d ’indennità per l’ assicurazione | contro g l’infortuni agricoli non contem plati dalle pre­ cedenti leggi. N elle sue intenzioni, l ’ assicurazione agri­ cola — da rendersi obbligatoria — dovrebbe porsi a |

lato di quella industriale con la quale ha comuni sv o l­ gimento e m odalità, conseguendo, — se affidata alla Cassa Nazionale, che ha già largam ente dislocato nel Regno, tu tti gli organi necessari al funzionam ento del­ l ’assicurazione— sem plicità di gestione e minimo costo il che non sarebbe raggiunto con la creazione di consorzi provinciali come in un recente progetto dell’on. N itti, o di Casse provinciali di assicurazione come in un sistem a di decreto luogotenenziale alla cui applicazione si è ri­ nunciato. Questa politica accaparratrice della piazza degli infortuni agricoli, se piace a m olti dei rappresentanti degli interessi contadineschi, incontra tu ttavia, com ’è naturale, l ’opposizione degli istitu ti concorrenti e con­ seguentemente una serie di difficoltà pratiche anche di na­ tura politica non sempre ispirate ad un senso di sereno apprezzamento del benessere collettivo.

Quanto al secondo obbiettivo, che si riduce in So­ stanza al miglior amento sostanziale della legge sugli in ­ fortuni, sono tu tti d ’accordo, compresi anche quei m e­ dici, avvocati, ragionieri, mediatori, affaristi ai quali la Cassa Nazionale addebita gran parte della colpa del cattivo funzionam ento delle disposizioni legislative in m ateria di infortuni. E si comprende come non sia p os­ sibile, onestamente, contestare il desiderio che sia m i­ gliorata la procedura di liquidazione degli infortuni, oggi così lenta e m alsicura per ambedue le parti interessate. E ’ manifesto però che questo accordo teorico per una re­ visione della legge, si scinderebbe im m ediatam ente in un forte dissidio appena si scendesse a ll’esame di un d i­ segno pratico, essendo troppo in contrasto fra loro i de­ lica ti interessi della Cassa N azionale da un lato e degli operai d all’altro. F a tale com pito sarà assolto, come sempre, in modo equanime e sereno, dagli organi costi­ tuzionalm ente com petenti a porre le norme e ad attuarle nei casi pratici.

Quanto poi alla politica accentratrice della Cassa, tendente a battere gli istitu ti concorrenti, sta di fatto che in ciò essa è coadiuvata dalla sua forte organizza­ zione, recentemente ispirata a criteri di decentramento locale, e anche da moltissime disposizioni di legge, specie di questi ultim i tempi, che la pongono se non in posizione privilegiata nel senso che sielio riserbati a lei i migliori affari, certo nel senso che sono esclusivam ente suoi, un certo numero non indifferente di affari, la maggior parte dei quali le viene affidata per la particolare fiducia che essa gode presso il pubblico e presso lo Stato e come ri­ conoscimento anche della sua larga estensione affari­ stica nel Regno. Ma da questa posizione di fa tto a una corrispondente rafforzata posizione di diritto, c ’è un salto che la Cassa Nazionale vagheggia, ma non designa; e che noi, per ora, non crediam o opportuno nè esaminare nè giudicare.

Una interessante statistica. — Solo colle operazioni de­ cennali del censimento della popolazione è dato conoscere il nu­ mero quasi esatto degli abitanti di un comune e quello delle famiglie. Ma per il censimento il numero delle famiglie non corrisponde a quello che, nel concetto generale si chiamano tali.

Cosi costituiscono una sola grande famiglia, detta convivenza, le molte persone che vivono in alberghi, in conventi, in pensione. Costituiscono pure una sola famiglia le persone che vivono in camere ammobiliate con quelle che loro danno alloggio.

Ma invece nel senso, più concreto è legale, quello per esempio usato per la tassa fuocatico, costituisce famiglia l’unione di più individui, stretti da vincoli di parentela o di affinità, coabitanti e viventi alla stessa mensa.

Si aggiungono a queste le unioni conventuali, cioè le aggregazioni di persone fra loro conviventi con fine sia d’istruzione che di culto.

Orbene una statistica delle famiglie cosi intese si può solo desu­ mere dagli atti per l ’applicazione della tassa di famiglia.

L ’Ufficio imposte, a tali effetti fiscali, non potendo poggiare i propri accertamenti sulle risultanze d’anagrafe, tavolta, per incu­ ria o per arte, incomplete, ogni anno fa uno speciale censimento dei capi-famiglia e, quindi, anche di quelle persone che, per essere sole, anche presso pensioni o in camere ammobiliate costituiscono, agli effetti legali, famiglia a sè. Tale statistica passerà poi al crogiuo­ lo delle altre indagini, agli effetti delle consegne delle tessere dello zucchero e degli altri generi alimentari ; intanto però può essere ed è, in effetto, un indice interessante.

L ’ultima statistica compilata dall’Ufficio imposte municipale di Milano, non riguarda solamente il numero delle famiglie alla fine del 1916 ; ma riassume anche i principali movimenti per ogni man­ damento, nel 1916, tanto per le famiglie sloggiate, quanto per le subentrate. L ’aumento dovrebbe rappresentare il maggior numero delle famiglie createsi per ragioni di divisione e di stato civile (ma­ trimonio) e quello dipendente dalla più sensibile immigrazione in confronto della emigrazione.

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