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Tratto da SaluteInternazionale.info

Riforma del Terzo settore. Verso la privatizzazione del welfare

2015- 06- 01 09:06:22 Redaz ione SI

Marisa Nicchi

L’aspet t o più grave di quest a rif orma è lo schiacciament o dell’esperienza part ecipat iva e sociale del T erzo set t ore nella dimensione imprendit oriale e privat ist ica dei cosiddet t i «mercat i sociali», magari assist it i dal sist ema

polit ico. Dif at t i, nel t est o approvat o dalla Camera è previst a la possibilit à per le imprese sociali di pot er ripart irsi gli ut ili, cosa f inora viet at a. il T erzo set t ore divent erebbe f ornit ore di servizi a basso cost o in sost it uzione del welf are pubblico.

Quando si parla di T erzo settore, si parla di una grande ricchezza, che ha un valore innanzitutto umano e sociale, poi economico. Un mondo che si basa, secondo i dat i dell’ult imo censiment o, sul cont ribut o lavorat ivo di 4,8 milioni di volont ari, di 681 mila dipendent i, di 271 mila lavorat ori est erni, di 6 mila lavorat ori t emporanei. Il no prof it occupa nel t essut o produt t ivo it aliano il 6,4 per cent o delle unit à economiche at t ive.

È una posizione di t ut t o rilievo. Sempre il censiment o IST AT ha st imat o che, t ra il 2001 e il 2011, il non prof it è il settore più dinamico del sistema

produttivo italiano, con un aumento del 28 per cento degli organismi, del 39,4 per cento degli addetti, per un totale di più di circa 300 mila

istituzioni no prof it. È una realt à complessa che ha reso mat ura la necessit à di rispondere alla domanda: qual è la visione che si ha di quest o mondo in cont inua crescit a e t rasf ormazione e quale f unzione si vuole ad esso assegnare?

Due potevano essere le prospettive da seguire per rispondere a questa domanda.

L’una rivolta a def inire politiche per garantire nuovi spazi di azione civica

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e una più virt uosa connessione t ra quest e e la ripresa di int ervent o pubblico at t raverso la def inizione di regole più t rasparent i e di risorse adeguat e.

Insomma, per più St at o, più sociale e comunit ario.

O all’opposto, l’altra linea da seguire era quella di modellarlo per essere strumento di allargamento di un mercato sociale privato in sostituzione dell’iniziativa pubblica. Un grimaldello per ridisegnare in modo privat ist ico il welf are.

Alla f ine quest a è la st rada delineat a, come era int enzione del Governo sin dall’inizio, salvo qualche lieve novit à. Anche il T erzo set t ore ha f at t o part e dei numerosi annunci del President e del Consiglio che, circa un anno f a, dichiarò di voler dare corso alla “rif orma del T erzo set t ore”. E le parole che si usano la dicono bene sulle int enzioni “rif orma del T erzo set t ore”, quest o è il t it olo del t est o approvat o alla Camera, t radisce una pret esa paradossale: come si può da “f uori” e dall’ “alto” rif ormare organismi intermedi autonomi che sono il f rutto di costruzioni sociali? “E’ come dichiarare di voler rif ormare la Chiesa, il Sindacat o”, così Giovanni Moro[1] e Giulio Marcon hanno ben f at t o comprendere la port at a f uorviant e dell’int ent o del Governo. Del rest o, è not a la visione negat iva e a t rat t i dispregiat iva che Mat t eo Renzi ha verso i

cosiddet t i “corpi int ermedi”: past oie da cancellare o al più ogget t i di concessione “corporat iva” per mant enere consenso polit ico.

Il metodo di decisione seguito non è stato neutrale: grande battage pubblicitario, sbandierata velocità dei tempi di decisione, evanescenza dei contenuti e poi una f orte delega di comando al Governo. Lo

st rument o della legge delega è st at o quello più consono a quest e esigenze comunicat ive e polit iche, ma non cert o il più ut ile, né il più ef f icace. Anche per la desiderat a brevit à dei t empi. È passat o un anno, ora la Camera ha vot at o un t est o che sarà esaminat o nei prossimi mesi al Senat o, poi il t empo dei decret i legislat ivi: dall’annuncio ai primi ef f et t i concret i passeranno almeno t re anni. La legge delega non ha accelerato l’esito ha solo sottratto poteri legislativi al Parlamento che invece sarebbe stato la sede più

democratica per la complessità della materia. Con la legge delega, il Parlament o si limit a a dare delle vaghe indicazioni generali, ma sarà poi il Governo a st ilare i decret i at t uat ivi e sarà in quella sede che si giocherà la reale possibilit à di innovazione af f idat a, probabilment e alla cont rat t azione t ra i vari sogget t i ed il governo sulla base dei rapport i di f orza. E quest o

rappresent a un imbut o democrat ico perché si rischia di non coinvolgere t ut t a la dif f usa art icolazione di quest o mondo, ma solo i più f ort i, i più capaci di f are pressione di lobbies.

Ment re, al cont rario, servirebbe correggere l’at t uale polarizzazione, per cui il 5% delle organizzazioni det iene oggi l’82% del f lusso di risorse economiche dest inat o ogni anno al nonprof it . Si tratta di circa 15 mila organizzazioni che – per oltre il 60% – si concentrano su sanità, istruzione e assistenza sociale, mentre si è ridotto l’associazionismo che si occupa di cultura, attività ricreative, ambiente (il 65% delle ist it uzioni nonprof it , il 59% dei

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volont ari, il 7% dei lavorat ori dipendent i), con un -25% di addet t i per le associazioni riconosciut e e un -20% per le non riconosciut e (Alessandro Messina). Dati che mettono in luce la tendenza all’ esternalizzazione , privatizzazione del welf are.

L’impresa sociale. Verso la privatizzazione del welf are

Era sicuramente lodevole e condivisibile l’intenzione di af f rontare, in modo organico, una materia che coinvolge molteplici soggetti in

costante trasf ormazione. Era lungimirant e l’esigenza di def inire un coerent e asset t o ist it uzionale ent ro cui def inire e valorizzare le diverse nat ure, anche giuridiche, dei sogget t i del t erzo set t ore senza appiat t iment i in medesimi cont enit ori. Era giust a l’esigenza di met t ere ordine in un af f ast ellament o di norme sediment at e al di f uori di un disegno complessivo, ma quest o giust o int ent o è st at o il t ramit e per un obiet t ivo sbagliat o: virare la natura e la f unzione del terzo settore verso un’impostazione a imprenditoriale e privatistica che si esplicit a in alcune scelt e f at t e e in alt ri signif icat ivi vuot i.

Il f uoco crit ico principale riguarda ciò che è st at o previst o per l’impresa sociale con le modif iche che si sono volut e t est ardament e apport are per quest a

part icolare f at t ispecie. L’aspet t o più grave di quest a rif orma è proprio quest o, lo schiacciamento dell’esperienza partecipativa e sociale del T erzo

settore nella dimensione imprenditoriale e privatistica dei cosiddetti

«mercati sociali», magari assistiti dal sistema politico.

Dif atti, nel testo approvato è prevista la possibilità per le imprese sociali di poter ripartirsi gli utili, cosa f inora vietata. E’ da ricordare che l’impresa sociale, f inora, si carat t erizzava per l’assenza di carat t ere lucrat ivo, la non ripart izione degli ut ili era la più import ant e discriminazione t ra prof it e no prof it in quant o le agevolazioni f iscali e t ribut arie di cui gode il non prof it sono f inalizzat e a sost enere un’at t ivit à il cui unico f ine è quello di increment are i beni e i servizi di int eresse sociale anche at t raverso il reinvest iment o degli ut ili.

Sempre su quest a linea si prevede per le imprese sociali un ampliament o delle at t ivit à olt re quelle ist it uzionali e si è int rodot t a la possibilit à, f inora viet at a, che negli organi di amminist razione delle imprese sociali possano assumere cariche sociali imprese privat e anche con f ini di lucro e pubbliche

amminist razioni. L’unico limit e è il diviet o di assumere la direzione, la

presidenza e il cont rollo dell’impresa sociale st essa. Insomma, attraverso questa revisione si apriranno ancora di più le porte alla privatizzazione del welf are. E’ molt o preoccupant e t ale t rasf igurazione giuridica dell’impresa sociale seppure la Commissione della Camera l’abbia lievement e mit igat a rispet t o alla primaria versione del Governo.

Il ruolo dell’impresa sociale viene più enf atizzato e spinto nelle logiche del mercato indebolendo il carattere sociale rispetto al quello

economico. Il rischio che si delinea è quello di f acilit are l’accent rament o in pochi sogget t i in grado di compet ere per aggiudicarsi le gare di appalt o al massimo ribasso ot t enut o con l’ abbat t iment o dei cost i del lavoro. e insieme di occupare una sleale posizione dominant e per i vant aggi f iscali previst i. Il

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t ut t o con pregiudizio della qualit à dei servizi erogat i. Quest a logica di

conquist a di mercat i che port a laddove ci sono ut ili produce inolt re, un alt ro ef f et t o collat erale negat ivo: la perdit a di radicament o t errit oriale e di

prossimit à di quest e esperienze.

Insomma. si sono volute creare le condizioni verso un possibile modello americano di non prof it, un welf are sostitutivo del pubblico, alimentato da agevolazioni f iscali e da donazioni dei privati. Una gamba privat a ricca e qualif icat a per i più abbient i e una pubblica, residuale e compassionevole. Un modello che produrrà nuove diseguaglianze sociali. E non solo. Proprio i f at t i indegni di “maf ia-capit ale”, o i casi di speculazione amorale nella gest ione dei campi rom, dei cent ri di accoglienza per migrant i, delle residenze per non aut osuf f icient i che hanno coinvolt o diverse organizzazioni del T erzo Set t ore avrebbero dovut o obbligare a prendere di mira proprio le logiche mercant ili che li hanno aliment at i. Al cont rario, le t rasf ormazioni dell’impresa sociale indicat e nel t est o rischiano di f avorire e non spezzare l’int reccio perverso t ra accent rament o in pochi sogget t i a grandi dimensioni e appalt i di servizi a massimo ribasso. Int endiamoci, generalizzazioni negat ive sono sbagliat e.

Lavorare come è st at o f at t o per nuove regole cont ro la corruzione e l’

illegalit à anche nel mondo del T erzo set t ore ot t enendo alcuni risult at i import ant i su t rasparenza e aut ocont rollo nel modo di essere dei vari sogget t i, non deve f arci debordare mai nel sospet t o preconcet t o e

generalizzat o di un mondo int ero. T ut t ’alt ro, è f ondament ale riconoscere e valorizzare quest e esperienze nel loro signif icat o di f ondo: sogget t i di

cost ruzione di una piena cit t adinanza, in cui cont a la qualit à sociale dat a dal t enere insieme: cosa si f a, chi si é e come lo si f a. Con questa rif orma c’è il rischio serio di snaturare il T erzo settore nel business e di indirizzarlo ad abbandonare la sua vocazione partecipativa. E tutto si tiene. La rif orma, in linea con le politiche di precarizzazione del lavoro del

ministro Poletti, non f a rif erimento come era necessario a chiari diritti e regole per le lavoratrici e i lavoratori e del T erzo settore. Quest o è un import ant e t ema eluso dal t est o approvat o, il primo di una serie di vuot i che carat t erizzano crit icament e quest o disegno. Manca una chiara dist inzione t ra l’applicazione dei cont rat t i collet t ivi nazionali di lavoro e la part ecipazione del volont ariat o alle diverse at t ivit à. E’ una lacuna grave per un set t ore che ha vist o crescere una vast a zona di lavori precari che sono passat i dal

rappresent are poco più del 20% della f orza lavoro nel 2001 al 55% a f ine 2011 in un cont est o che ha vist o un nuovo post o di lavoro ogni due che se ne perdevano nel pubblico. È mancat o il riconosciment o delle MAG, cioè delle Mut ue di Aut ogest ione. Non è previst a un’aut orit à di cont rollo, di vigilanza e di monit oraggio del T erzo set t ore, t ant o sbandierat a all’inizio dal President e Renzi.

L’istituzione del Servizio Civile Universale, scelta f ondamentale, è stata interpretata in chiave “patriottica” senza più rif eriment i alla dif esa non armat a e non sost enut a da copert ure f inanziarie adeguat e per un servizio che vuole essere “universale”. Si sono promessi 100 mila posti, ma se ne

stanno garantendo molti meno. Manca l’ist it uzionalizzazione dei corpi civili

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di pace. Manca il riconosciment o dell’accesso al servizio civile degli st ranieri resident i, come chiest o dal recent e parere del Consiglio di St at o. Inf ine, c’è il punt o dolent e delle risorse scarse. Riguardo al 5 per mille, se, da un lat o, è molt o posit ivo il non f are più rif eriment o al t et t o di spesa che ne riduceva l’ef f et t iva disponibilit à, dall’alt ro, rimane apert a la necessit à di f acilit are l’accesso per una equa redist ribuzione delle risorse sulla base della qualit à sociale e democrat ica espressa e non della capacit à “aut opromozione” dei singoli sogget t i.

Inf ine, se colleghiamo l’impianto della “rif orma” con la continuità delle politiche di austerity del Governo, allora il suo vero intento di

privatizzare getta la maschera. ll DEF all’esame del Parlament o conf erma ancora una volt a come si sia lont ani dall’uscire dal paradigma dei t agli per ent rare in quello della qualit à. In quest i ult imi anni, il nost ro paese è divent at o più diseguale sul piano della garanzia dei dirit t i sociali con t errit ori perif erici che negli anni si sono vist i sot t rarre servizi, t agliare prest azioni sanit arie e sociali, depauperare il sist ema di prot ezione sociale. Inf at t i, le polit iche per il t erzo set t ore devono essere st ret t ament e legat a alla rigenerazione di

polit iche sociali pubbliche con f ondi adeguat i e mediant e il rilancio della qualit à a part ire dalla connessione t ra l’abit are, il lavoro e la salut e globalment e

int esa. Devono essere part e di un int ervent o pubblico per prevenire i f enomeni che generano diseguaglianze crescent i, miseria, disagio, insicurezza. Se

manca l’investimento pubblico allora è f orte la possibilità, ed è già nelle realtà, che il T erzo settore svilisca il suo ruolo di f ornitore di servizi a basso costo in sostituzione di una componente ormai importante del nostro welf are pubblico.

Marisa Nicchi. Deput at o della Repubblica Bibliograf ia

1. Giovanni Moro. Cont ro il non prof it . Edit ori Lat erza, 2014.

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