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I sistemi gestionali nel Food & Beverage e l'analisi della perdita d'informazione

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Academic year: 2021

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(1)

Corso di Laurea Magistrale

in

Economia e gestione delle aziende

Tesi di Laurea

I sistemi gestionali nel F&B

L’analisi della perdita d’informazione

Relatore

Ch. Prof. Agostino Cortesi

Laureanda

Baù Marianna

Anno Accademico

2016/2017

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Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo.

Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento,

non sarai lo stesso che vi è entrato. (Haruki Murakami)

(3)

Ai miei genitori, conforto e sostegno dietro ogni difficoltà.

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I sistemi gestionali nel Food & Beverage

L’analisi della perdita d’informazione

Introduzione Pag. 7

Capitolo I

Il settore Food & Beverage

1.1 La complessità del settore F&B Pag. 10

1.2 La struttura organizzativa Pag. 20

1.3 La componente umana Pag. 25

1.4 Il Food Manager e la gestione dei costi Pag. 28

1.4.1 Food Manager Pag. 28

1.4.2 Food & Beverage Cost Pag. 33

Capitolo II

I sistemi gestionali nel settore F&B

2.1 Sistemi ERP Pag. 40

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2.2.1 Restaurant e Cafè: Micros Symphony Pag. 53

2.2.2 Hospitality: Opera Pag. 59

2.3 Considerazioni Pag. 66

Capitolo III

La perdita dell’informazione

3.1 I flussi informativi nel Food & Beverage Pag. 69

3.2 L’importanza dell’informazione nella sostenibilità Pag. 74

3.3 Il sistema sostenibile zerowaste Pag. 78

3.3.1 Le iniziative zerowaste nel F&B Pag. 83

3.4Le ricadute di un approccio sostenibile Pag. 89

Capitolo IV

Gestione efficace dell’informazione

4.1 What, Why, Where Pag. 97

4.2 Area cucina Pag. 99

4.2.1 Interventi tecnico-informatici Pag. 99

4.2.2 Standardizzazione di ricette e porzioni Pag. 101

4.2.3 Componente umana Pag. 103

4.2.4 Metodi di cottura Pag. 105

(6)

4.3.1 Procedura di check-in Pag. 107

4.3.2 Piattaforme online Pag. 107

4.3.3 Standardizzazione degli ordini di acquisto Pag. 114

4.3.4 Standard di servizio Pag. 116

Capitolo V Risultati sperimentali

5.1 Indagine qualitativa sui sistemi informativi in aziende del F&B

dei Colli Euganei Pag. 118

5.1.1 Questionario Pag. 120

Conclusioni Pag. 127

Bibliografia citata e consultata Pag. 130

Sitografia citata e consultata Pag. 132

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INTRODUZIONE

 

Il mercato del Food & Beverage, a livello europeo, è un contesto dinamico e in lieve ma costante crescita. Il lavoro di ricerca rappresentato in questa tesi si concentra sull’analisi dei sistemi informativi utilizzati dalle aziende di questo settore, caratterizzato da una parte da un livello intenso di concorrenza, e dall’altra da un solo grande leader di settore (Oracle Corporation).

La decisione di non porre il focus su una specifica area geografica è data dalla complessità del suddetto mercato in questione e dalla molteplicità di generi di attività situate in esso, sia per ciò che riguarda la tipologia di offerta, sia la tipologia di forma gestionale.

Obiettivo del lavoro di ricerca è la comprensione delle ragioni per le quali si verifica una perdita d’informazione da parte dei sistemi gestionali applicati al settore Food & Beverage. Una volta note queste, si passerà all’analisi delle motivazioni per le quali tale perdita informativa costituisce una perdita economica a livello aziendale, le ricadute a livello settoriale e infine saranno esposte le soluzioni volte in primis a colmarla e successivamente evitarla: si forniranno ai Manager di settore strumenti fisici e mezzi intellettuali che, agendo in maniera proattiva, mirano a minimizzare il volume della perdita attraverso una maggiore efficienza di processo che conduca a una altrettanto maggiore efficacia di risultato.

Il metodo cui si è fatto ricorso per giungere a tali risultati, che corrispondono a soluzioni e strumenti da fornire ai manager del settore, è stato comprensivo di fonti sitografiche certificate e verificabili, fonti bibliografiche, tra le quali alcuni miei testi di studio e alcuni testi descrittivi delle dinamiche del settore Food & Beverage, e fonti verbali, ovvero testimonianze di ristoratori, responsabili di locali ma anche e soprattutto l’importante testimonianza di Esteban Javier, il responsabile del campo F&B in Starwood Hotel & Resorts a livello mondiale, contatto fornitomi dalla direttrice del Ciset (Centro Internazionale di Studi sull’Economia Turistica) Mara Manente.

Ciò che emerge come esito di tale lavoro di ricerca, e in particolar modo come esito dei risultati sperimentali frutto dell’indagine sul campo, è un pervaso e permeante interesse per le tipologie d’informazione soggette a una perdita da parte dei sistemi gestionali e un altrettanto crescente interesse per ciò che tale informazione costituisce: un vantaggio

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economico e competitivo sia nell’elaborazione di offerte ad hoc per i clienti, sia nel campo della sostenibilità. Il concetto di sostenibilità sta, infatti, prendendo sempre più piede nella nostra società e, nel corso della trattazione, sarà messo in evidenza come, di pari passo, stia crescendo altresì l’importanza che esso detiene nei confronti delle attività del settore F&B, che vi ottemperano al fine di guadagnare vantaggi monetari e reputazionali, mantenendosi al passo con la concorrenza. Ciò ha trovato riscontro anche nel campione sottoposto all’indagine, anche se nelle più modeste realtà di paese, a differenza delle grandi realtà europee, divaga un’ignoranza generale in merito a concetti aziendali (quali la sostenibilità, appunto) o funzionalità gestionali, cui sarebbe invece molto vantaggioso per esse se vi si avvalessero.

Nello specifico il primo capitolo è, come emerso in precedenza, dedicato alla descrizione del settore Food & Beverage a livello europeo; descrizione che lo vedrà interessato sia dal punto di vista dell’offerta sia della domanda. Sarà analizzata la struttura organizzativa e l’importanza delle persone all’interno delle gerarchie della suddetta struttura, dal personale al food manager. Si entrerà, quindi, nello specifico della descrizione di questa figura e del compito che ad essa spetta: la gestione del food cost e del beverage cost.

Il secondo capitolo introduce la realtà dei sistemi gestionali, descrivendo ciò che si intende con l’acronimo ERP e illustrando gli ERP stessi più diffusi nel settore Food & Beverage. L’ambito di ristoranti e bar sarà separato dall’ambito alberghiero, il quale sarà assunto come riferimento in termini di efficacia informativa e dall’analisi del quale si trarranno le opportune considerazioni circa le motivazioni per le quali tale settore è in grado di perseguirla, a differenza del ristorativo (di cui fanno parte sì ristoranti ma anche bar, locali e mense).

I capitoli tre e quattro sono dedicati alla problematica centrale di questo lavoro di tesi: la perdita dell’informazione.

Nello specifico, il capitolo III pone il focus sull’importanza conferita a tale informazione nel settore F&B a livello macro, e quindi economico, e a livello micro, incentrato sulle sostenibilità, esponendo quali sono, in termini di vantaggi, le ricadute di un approccio sostenibile.

Il capitolo IV, infine, fornirà degli strumenti gestionali volti a minimizzare o prevenire la perdita dell’informazione, distinguendo tra l’informazione proveniente dall’area cucina, e quindi attinente al campo culinario, dall’informazione ottenuta dall’area sala, la quale, com’è intuibile, deriva dall’interazione tra clienti e personale.

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Tali strumentazioni troveranno riscontro al quinto capitolo, nel quale, attraverso un questionario che è stato sottoposto a un campione di dieci realtà ristorative della zona dei Colli Euganei, si entrerà a conoscenza delle esigenze a livello informatico e informativo dei gestori e si comprenderà se tali esigenze possono essere soddisfatte dalle soluzioni apportate loro.

L’applicazione delle strumentazioni gestionali, di natura fisica o educativa, alle realtà ristorative a me geograficamente vicine fornirà uno spunto di riflessione, utile nei confronti di una concezione ormai comune che vede il business del F&B più sotto il profilo artistico-creativo che operativo-gestionale, come in realtà è perché pur sempre di aziende e di imprese si parla.

(10)

Capitolo I

Il settore Food & Beverage

Il presente capitolo fornirà una descrizione dettagliata delle tipologie di offerta e di domanda caratterizzanti il settore F&B nel contesto europeo. Tale descrizione vedrà interessata la struttura organizzativa e il personale che all’interno di tale struttura opera, primo fra tutti il Food Manager, cui è affidata la gestione dei costi.

1.1 La complessità del settore F&B

L’acronimo F&B cela al suo interno un mondo vasto e complesso.

Il suo significato letterale è Food and Beverage (“cibo e bevande”) e se pur semplice e quasi banale, in realtà questa terminologia fa riferimento a un’industria alla quale appartengono un numero elevato di attività, di tipologie differenti anche se tra loro coerenti: ristoranti, bar, alberghi (hotel), catering, centri commerciali etc., ossia qualsiasi attività vanti un’offerta commerciale di piatti e bevande che sono destinati all’immediato consumo, in loco o all’esterno1.

                                                                                                               

1 Nello specifico l’ISTAT definisce che “l'aspetto decisivo è che vengano forniti pasti per il consumo

immediato, indipendentemente dal tipo di struttura che li offre. È esclusa la fornitura di pasti non preparati per il consumo immediato o che non siano prodotti per essere consumati immediatamente o di cibo preparato che non può essere considerato un pasto (cfr. divisioni 10: Industrie alimentari e 11: Industria delle bevande). È inoltre esclusa la vendita di alimenti non prodotti in proprio che non possono essere considerati un pasto o di pasti non pronti per il consumo immediato (cfr. sezione G: commercio all'ingrosso e al dettaglio e riparazione di autoveicoli) ”. Fonte: www.istat.it

(11)

È bene precisare che, nello specifico delle realtà alberghiere, coincide con il servizio di ristorazione, i cui reparti appartenenti non sono però solamente sala pranzo, cucina e caffetteria ma anche il servizio ai piani (noto come “servizio in camera”) e il servizio di banchettistica, sempre più richiesto ma di profonda difficoltà gestionale, motivo per cui è costituito da una unità autonoma e indipendente.

Il settore da noi comunemente definito “Food & Beverage”, è noto in termini tecnici come settore Ho.Re.Ca (acronimo di Hotellerie, Restaurant, Cafè) e coincide con il settore di cui fa parte la distribuzione di prodotti di genere alimentare presso alberghi, ristoranti e caffè ( voce identificata con attività di catering), da non confondere con il settore della GDO (Grande Distribuzione Organizzata)2.

Alla luce delle precedenti descrizioni si evince nitidamente come la compresenza di funzioni quali produzione (di piatti e bevande) e distribuzione (di materie prime di genere alimentare) sia la fonte primaria di complessità nella gestione del settore F&B, complessità che spetta al manager gestire, coordinando e facendo dialogare le suddette funzioni, nonostante presentino fabbisogni divergenti.

Da non tralasciare, poi, la complessità data dalla natura del settore stesso: fino a una decina di anni fa il mondo del F&B era molto meno complesso, sia con riferimento all’offerta sia alla domanda, poiché l’individuo che decideva di consumare un pasto fuori casa si recava al ristorante, mentre laddove la preferenza fosse il consumo di una bevanda, si recava al bar. Oggi, invece, c’è la possibilità di mangiare e bere ovunque e a qualsiasi ora e di conseguenza l’offerta delle attività è sempre più ampia: sono sempre più i bar che conferiscono al cliente la possibilità di consumare del cibo e poi di ballare fino a tarda notte; i ristoranti che investono risorse e denaro per possedere anch’essi un bar interno aperto al pubblico e infine gli hotel che si avvalgono di un’offerta di ristorazione anche verso una clientela esterna, con annesso il servizio di banchettistica.

La nostra società sta evolvendo verso un modello economico che si nutre non più di un’offerta di prodotti bensì di servizi e il settore F&B trova in esso massima aspirazione, espandendosi ed evolvendosi attorno al principio base che ogni output dev’essere ideato ad hoc per il cliente.

                                                                                                               

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La sfida affrontata è quella di un’identificazione con la filosofia di cucina che più si avvicini alle esigenze del mercato, fatte da richieste di prodotti tipici del territorio, di origine biologica e che rispettino anzitutto l’ambiente. Raggiungere tale tipologia di offerta costituisce un forte vantaggio competitivo nel settore ristorativo e, quindi, investire in attività di ricerca e sviluppo e in analisi di procedure lavorative volte all’ottenimento di un prodotto finale che esprima lo stile e la filosofia stessa del locale e/o del cuoco, sono le variabili chiave che ne decretano il successo.

Variabili che devono essere gestite al fine di raggiungere l’obiettivo primario comune alle aziende ristorative, ovvero la soddisfazione del cliente in una delle sue esigenze primarie: quella fisiologica. Il concetto però non è meramente quello di sfamarlo bensì di gratificarlo, poiché solamente il cliente soddisfatto sarà quello che ritornerà e che, inconsciamente, compirà una vera e propria campagna pubblicitaria presso parenti e amici. Ambire a tale target di clienti da fidelizzare costituisce una mission di non semplice persecuzione poiché soddisfare il cliente non significa banalmente offrirgli un prodotto dalle buone proprietà organolettiche, ma anche e soprattutto un’esperienza, laddove con il termine “esperienza” si indica l’insieme degli eventi, delle sensazioni, dei gesti e delle emozioni che il cliente percepisce e recepisce nel consumo del pasto fuori casa.

Ciò detto, si conferma ancor di più come sia proprio la complessità del mondo F&B il fattore critico da gestire e come tale complessità ricada in particolar modo sul ruolo del manager, incaricato di garantire sia la bontà del prodotto finale, in termini quantitativi e qualitativi, sia la bontà del servizio offerto al cliente, attraverso un’alta performance del personale posto a diretto contatto con esso.

La complessità cui si è fatto in precedenza riferimento è data anche dalla struttura organizzativa delle attività presenti nel settore Food & Beverage (Ho.Re.Ca, appunto)3, struttura che richiede accorte attività di analisi e di programmazione sia a livello operativo sia organizzativo, come verrà approfondito al paragrafo seguente.

Prima di proseguire con il suddetto paragrafo, però, mi soffermo nel dare un po’ di numeri riguardanti il settore Food & Beverage in Italia, il suo andamento e l’andamento ad esso correlato circa il consumo degli italiani di pasti fuori casa, in confronto a quello delle popolazioni europee.

                                                                                                               

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I dati e numeri che seguiranno sono validi e certificati perché provenienti dalla consultazione del sito della Fipe, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi4 che, per la stesura di report e indagini, si avvale della consulenza dell’ente pubblico di ricerca per eccellenza: l’Istat.

A dicembre 2015 negli archivi delle Camere di Commercio italiane risultavano attive 325.110 imprese appartenenti al codice di attività 56, con il quale vengono classificati i servizi di ristorazione5.

La rete dei pubblici esercizi del Food & Beverage è ampia e articolata lungo l’intero territorio nazionale, da nord a sud, da est a ovest, nei piccoli al pari dei grandi centri urbani e nel sistema economico-produttivo del nostro Paese non ha eguali.

La ditta individuale resta la forma giuridica prevalente, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno dove la quota sul totale raggiunge soglie che arrivano al oltre il 70% del numero complessivo delle imprese attive (è il caso della Calabria). Le società di persone si confermano opzione diffusa di organizzazione imprenditoriale, soprattutto nelle aree settentrionali del Paese, mentre importanza marginale è data alle società di capitale.

Per ciò che concerne lo specifico del canale bar, esso rappresenta una delle maggiori articolazioni della rete dei pubblici esercizi, sicché nei registri delle Camere di Commercio si contano 149.085 imprese appartenenti al codice di attività 56.3, riguardante “bar e altri esercizi simili senza cucina”. Sono sei le regioni nelle quali si concentrano i due terzi delle imprese del settore, ossia Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lazio e Campania.

                                                                                                               

4 “La Federazione Italiana Pubblici Esercizi è l’associazione leader nel settore della ristorazione,

dell’intrattenimento e del turismo, nel quale operano più di 300 mila aziende. FIPE rappresenta e assiste bar, ristoranti, pizzeria, gelaterie, pasticcerie, discoteche, stabilimenti balneari, ma anche mense, ristorazione multi localizzata, emettitori buoni pasto e casinò. FIPE si propone come aggregatore del tessuto imprenditoriale del turismo e, in particolare, della ristorazione e dell’intrattenimento in Italia nelle sue più varie forme. Il principale obiettivo è la diffusione della conoscenza dell’attività dei propri associati, il ruolo preminente che essi rivestono nella creazione del PIL del nostro Paese, la difesa del Made in Italy tipica del settore e la capillarità della presenza in tutto il territorio nazionale. Obiettivo di FIPE è rendere strutturale e consolidare nel lungo periodo le relazioni con i suoi associati e con il Governo, proponendosi come trait d’union tra questi due fondamentali

stakeholders”. Fonte: www.fipe.it

5 Rielaborazione de “Ristorazione 2016 – Rapporto Annuale” di www.fipe.it. Con il termine ristorazione si fa

riferimento a bar, ristoranti e mense. Si tralascia quindi momentaneamente la casistica dell’alloggio nell’attività alberghiera”.

(14)

Il comparto ristorazione (identificato con il codice di attività 56.1), dal canto suo, vanta ben 172.688 unità, superando nettamente il canale bar. Probabilmente la motivazione è da riscontrare nella dinamica del mercato che si è evoluto, e tale evoluzione ha determinato un cambiamento del sistema delle regole, per il quale gli imprenditori privilegiano di qualificarsi come ristoranti anziché bar, per disporre anche di maggiori libertà commerciali.

L’andamento del settore Food & Beverage, e in particolar modo di quello ristorativo (bar, ristoranti, mense) è un andamento di crescita: nel periodo che va dal 2000 al 2015 il tasso medio annuo di crescita della domanda nella ristorazione è stato appena lo 0,4% per l’azione combinata della crescita registrata nella prima parte del periodo (2000-2007) e della flessione della seconda fase (2007-2015) quando il tasso medio annuo è stato negativo per un decimo di punto percentuale6(Grafico 1.1).

Grafico 1.1: Consumo delle famiglie nella ristorazione7

Come si può notare dal Grafico 1.2 che segue e che è rappresentativo della dinamica del fatturato delle imprese di ristorazione, nel quarto trimestre del 2016, l’indice di fatturato (valore corrente che incorpora la dinamica sia delle quantità sia dei prezzi) delle imprese che erogano servizi di ristorazione è stato pari a 99,7 segnando una variazione rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente del +1,4%.

Nell’anno 2016 la variazione media sull’anno precedente si è attestata a +1,9%.8

                                                                                                               

6 “Ristorazione 2016 – Rapporto Annuale” di www.fipe.it

7 Fonte: elaborazione C.S. Fipe su dati Istat.

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Grafico 1.2: Dinamica del fatturato delle imprese di ristorazione nel 20169

Sono dati che fanno ben sperare su una continuazione di una crescita, soprattutto dopo il buio periodo 2007-2015 che ha visto una caduta dei consumi generali da parte delle famiglie di oltre 57 miliardi di euro, 18 dei quali nel comparto alimentare e circa 27 in quello dei trasporti10(Tabella 1.1).

L’unico settore che ha visto crescere la propria domanda è stato quello alberghiero, da non confondere con il consumo presso il ristorante poiché è stata una domanda assorbita per la quasi totalità dal servizio di alloggio: il settore aggregato degli alberghi e dei ristoranti ha, infatti, visto crescere, nel periodo in questione, la domanda per poco più di 430 milioni di euro che vanno, come precisato, imputati agli alloggi, poiché la ristorazione, come si evince dalla Tabella 1.1, ne perde 344.

                                                                                                               

9 Fonte: si veda nota precedente.

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Tabella 1.1: Variazione dei consumi delle famiglie nel periodo 2007-2015

(in milioni di euro- valori concatenati con l’anno 2010 di riferimento)11.

Secondo una visione più generale, comunque, l’impatto fortemente negativo circa i consumi di genere alimentare in casa ha determinato una lieve crescita per la ristorazione, smentendo l’ipotesi (suggestiva) che riguarderebbe un potenziale ritorno dei cittadini italiani alla preferenza dei consumi in casa rispetto a quelli fuori casa. Ad oggi, consumare dei pasti fuori casa si attesta attorno al 35% dei consumi totali delle famiglie, affermandosi come un vero e proprio trend, in lieve ma costante crescita.

Il quesito che ci si pone ora è se l’italiano medio come “pasto fuori casa” prediliga pranzo o cena. Nel corso del 2016, la Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) a tal proposito ha svolto un’indagine.

Volendo iniziare con l’analisi del pranzo, questo dipende in gran parte dal giorno della settimana. Il 67% degli italiani, pari a poco meno di 34 milioni, consuma il pranzo fuori casa durante la settimana. Per 5 milioni è un’occasione abituale, ovvero 3-4 volte alla settimana. Si vengono a delineare due macro categorie di consumatori: gli heavy, che consumano il pranzo di frequente al bar consumano un panino o un primo piatto già pronto, e gli avarage (tendenti a essere low), che scelgono sia il bar che il ristorante, preferendo però in quest’ultima casistica la pizza.

                                                                                                               

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Figura 1.1: Il pranzo12

Per ciò che concerne, invece, la cena, il 61,7% degli intervistati ha consumato almeno una cena fuori casa con riferimento a un mese tipo. Poco meno di due milioni hanno cenato fuori casa almeno tre volte alla settimana e le mete prescelte sono osteria oppure, come seconda scelta, pizzeria.

La fascia di prezzo su cui una cena-tipo si attesta è tra i 10 e i 20 euro, anche se più di un terzo degli italiana riserva a una singola cena, tra i 20 e i 30 euro. Solo un intervistato su cento è disposto a pagare più di 50 euro per consumare l’ultimo pasto della giornata, prediligendo di spenderli per una cena in coppia.

Anche in questo caso si delineano due macro categorie che, a differenza delle precedenti, si differenziano significativamente: gli heavy consumer pagano in media tra i 20 e i 30 euro, mentre più del 50% dei low consumer si accontentano di una cena che si attesta attorno ai 10 euro.

Ciò detto, va sottolineato che il nord ovest d’Italia vanta di una maggiore propensione alla spesa: il 13,2% paga più di 30 euro per una cena tipo, percentuale che nel sud e nelle isole è inferiore al 5%13.

                                                                                                               

12 Fonte: Indagine Fipe – Format, 2016

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Figura 1.2: La cena14

I consumi alimentari valgono in Europa 1.541 miliardi di euro per il 64,2% nel canale domestico e per il restante 35,8% nella ristorazione.

La ristorazione, con 552 miliardi di euro è la cartina tornasole non solo dello stato di maturità delle diverse economie europee ma anche dei diversi modelli di consumo che ne caratterizzano la società. Ed infatti il peso della ristorazione sul complesso dei consumi alimentari non segue soltanto l’intuitiva relazione con i livelli di benessere delle popolazioni ma dipende in larga misura dai modelli di consumo in auge nei diversi paesi. E così, mentre la ristorazione rappresenta meno del 30% del totale dei consumi alimentari in Germania, la stessa sale al 47% nel Regno Unito, al 52% in Spagna e addirittura al 57% in Irlanda. In Italia, la quota si attesta al 35%, sei punti percentuale al di sopra della Francia.

Dal punto di vista dei valori assoluti, l’Italia è il terzo mercato della ristorazione dopo Regno Unito e Spagna, con un valore di oltre 76 miliardi di euro.

La recessione che ha caratterizzato l’economia mondiale negli anni 2007 e 2008 ha avuto un dannoso impatto sui consumi, in particolar modo su quelli di genere alimentare.

In Europa tra il 2007 e il 2015 la concentrazione del mercato del Food & Beverage è stata di circa 22 miliardi di euro e quasi totalmente associati alla ristorazione. Ancora più forte la flessione nella zona euro dove ha toccato i 23 miliardi. Una dinamica, questa, nettamente

                                                                                                               

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opposta alla casistica italiana, dove la concentrazione degli alimentari è quasi totalmente riconducibile al canale domestico.

Nel nostro Paese infatti, come si è visto in precedenza, l’impatto sulla ristorazione è stato contenuto e di natura differente da quanto è accaduto in Spagna, che ha assistito a una perdita di 14,3 miliardi di euro, o nel Regno Unito, di 7 miliardi di euro.15

Concludendo, il settore del Food & Beverage in Italia nel complesso vanta un turn over imprenditoriale elevato, a conferma dell’assodata fragilità del tessuto produttivo del settore e della negativa influenza apportata dalla crisi.

Nel 2015 hanno avviato l’attività poco più di 16mila imprese, mentre circa 27mila l’hanno cessata. Un saldo che risulta essere negativo per oltre 10mila unità e che detiene ulteriore negatività poiché concerne un settore che da sempre fornisce valori incrementali al tessuto imprenditoriale.

Grafico 1.3: Saldo dei servizi di ristorazione16

                                                                                                               

15 Fonte: “Rapporto Annuale Ristorazione 2016” da www.fipe.it/centro-studi/centro-studi-2017.html.

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1.2 La struttura organizzativa

Alla luce di quanto detto nel paragrafo precedente con riferimento alla vastità ed eterogeneità del settore F&B, s’intuisce come, per sopravvivere, un’attività debba possedere una buona struttura organizzativa al suo interno. Dagli studi economici effettuati in questi cinque anni abbiamo, io e i miei compagni di corso, imparato cos’è l’elemento imprescindibile per una buona gestione: la struttura organizzativa a fasi. Suddividere un processo produttivo come un’organizzazione aziendale in fasi significa conferire al processo e all’organizzazione la connotazione di efficienza di cui sarebbe, senza una base schematica, priva.

Conoscere e approfondire il funzionamento delle fasi di un’attività, sia essa produttiva o distributiva (o entrambe contemporaneamente, come nella nostra casistica), è la base per l’attuazione di un metodo di gestione di successo poiché la conoscenza delle fasi implica la conoscenza degli agenti che determinano il risultato finale, dal “consumo” di risorse fino alla “creazione” delle stesse, giudicandoli poi efficaci (o meno) e efficienti (o meno).

L’organizzazione gestionale per eccellenza di un’attività appartenente al settore F&B consta delle seguenti macro fasi17:

- Acquisto di materie prime - Ricezione e controllo delle merci - Deposito delle merci in magazzino - Lavorazione e trasformazione - Servizio e Offerta

Ogni fase è di competenza di un diverso reparto ma ogni reparto opera sotto la supervisione di un unico Food Manager18 : è il Food Manager che controlla che l’acquisto, la ricezione e il controllo delle merci sia avvenuto con successo sia per il reparto bar che per il reparto ristorante, ed è sempre il Food Manager che, al pass (o service), conferisce il giudizio finale sulla bontà del processo di lavorazione e trasformazione della materia prima.

                                                                                                               

17  Si è soliti far riferimento al numero cinque in letteratura in riferimento alle fasi su cui la struttura

organizzativa di un’attività del F&B prende vita.

(21)

Non è, però, il Food Manager che le svolge in prima persona e il motivo principale è che tali fasi vertono su attività che sono solo una piccola percentuale di tutte quelle che devono essere necessariamente svolte per l’ottenimento di un’operatività efficace, tra le quali attività non catalogate come “attività di produzione”, bensì “di amministrazione” e quindi finanziarie, di controllo di gestione e di reclutamento e selezione di risorse umane19 e infine di “ideazione del modello di business”, ossia la strategia che si è decisa di perseguire per l’erogazione dell’offerta aziendale, che nella nostra casistica si concretizza nelle decisioni inerenti al menù, al listino bar e all’erogazione del servizio in camera.

Vediamo ora le fasi nel dettaglio:

1. Acquisto di materie prime

La fase di acquisto di materie prime è la prima e quindi più determinante fase per la buona riuscita del processo operativo. Da essa dipende in primis la bontà della materia prima, poiché è di sua competenza l’individuazione e la decisione della stessa, in seguito l’affidabilità e la garanzia dei fornitori, perché in essa vengono scelti, e infine la puntualità dell’approvvigionamento del magazzino, perché in essa avviene l’invio degli ordini.

Colui al quale viene affidato l’onere di questa funzione, viene altresì affidato l’incarico di perseguire ciò che in letteratura è noto come “The Four W”20 dell’acquisto (what, when, where e why) e che consiste nell’insieme dei quesiti che il soggetto deve porsi nel corso del procedimento d’ordinazione.

Elemento critico di questa prima fase è riscontrato nella figura del fornitore. È di grande importanza, ai fini di una buona performance, scegliere il fornitore giusto, che coincida con la figura di un fornitore affidabile, puntuale, aperto al compromesso e dal cui buon rapporto lavorativo si ottengano anche buone condizioni economiche (laddove per “buono” si intende “economicamente vantaggioso”).

                                                                                                               

19 Contrariamente all’opinione comune, la tipologia e il numero di funzioni non dipende dalla dimensione

aziendale poiché le suddette funzioni sono sempre presenti ma può essere che siano concentrate su una figura anziché più.

(22)

Anche la variabile “quantità”, nonostante non sia menzionata nel paradigma delle “Quattro W”21 richiede attenzione poiché elevate dimensioni di lotti consegnati implicano elevati costi di gestione, da quelli sostenuti per l’organizzazione fisica degli spazi nel magazzino, a quelli relativi all’osservanza della deperibilità dei viveri nonché quelli indiretti, coincidenti con le spese da sostenere per mantenere le scorte.

2. Ricezione e controllo delle merci - Deposito di quest’ultime in magazzino

La ricezione delle merci e il deposito delle stesse sono due fasi difficilmente distinguibili poiché talmente ravvicinate a livello di processo da rischiare di sovrapporre la fine della prima con l’inizio della seconda.

La fase di ricezione delle merci implica il controllo qualitativo e quantitativo delle stesse, controllo inteso come confronto tra ciò che è stato ordinato e ciò che è stato effettivamente consegnato. Per il corretto ed efficace svolgimento di questa funzione non è sufficiente la sola capacità d’individuazione della non-conformità tra merci e ordini ma anche conoscenza contabili e manageriali.

Al medesimo soggetto viene poi affidato l’incarico di destinare la merce al magazzino o, laddove necessario, direttamente alla cucina. Il ruolo qui rivestito è di grande importanza perché solo svolgendolo correttamente si avrà una correttezza nella quantità necessaria di merci da utilizzare al fabbisogno, nonché l’ottemperamento delle stesse alla normativa igienico sanitaria HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Point)22.

                                                                                                               

21 Keister D. C., “Food and beverage control”, Prentice Hall, Englewood Cliffs N.J., 1990.

22 “Le aziende che operano nel settore alimentare e in generale tutte quelle nelle quali i lavoratori sono a

contatto con cibi e bevande hanno necessità di certificare il proprio adeguamento alla Normativa HACCP. La certificazione HACCP dimostra – ufficialmente – il rispetto di quanto previsto dalle Leggi in materia di igiene alimentare, sia a carattere nazionale sia a carattere europeo. (…) Obiettivo dell’ottenimento della certificazione è dimostrare l’adozione di misure di prevenzione rischi per la sicurezza alimentare.

I rischi per l’igiene e la sicurezza di alimenti e bevande possono essere diversi e di diversa natura.

Pertanto il sistema HACCP prevede, innanzitutto, un’attenta valutazione dei rischi (chimici, biologici, fisici) che possano eventualmente compromettere la salubrità degli alimenti.” Fonte: www.certificazionehaccp.it

(23)

3. Lavorazione e trasformazione

Con la quarta fase ci si addentra nelle attività di “preparazione” alla vera e propria erogazione del servizio.

La fase di preparazione è critica se analizzata secondo il modello di economia circolare previsto dalla sostenibilità23: l’obiettivo primario deve coincidere con la minimizzazione degli scarti alimentari destinati a rifiuto attraverso la massimizzazione dell’efficienza operativa. Affinché questo goal sia raggiunto, si ricorre a metodologie di lavorazione standardizzate e all’utilizzo di strumenti che affianchino l’operatore nel perseguirle24.

4. Servizio e Offerta

Fase conclusiva dell’iter organizzativo aziendale nella quale attraverso l’erogazione del servizio, identificato con la vendita di piatti e con procedure di assistenza al cliente, si ottiene l’incasso finale.

Nonostante sia alla fine del processo produttivo e non nel mezzo, essa incide in egual modo nel determinare il risultato finale come successo o fallimento: è la fase in cui emerge la vera efficacia del servizio poiché in essa avviene il primo avvicinamento tra azienda e clientela. Il contatto con il mercato, se attuato nel modo sbagliato, è in grado di condizionare l’opinione del consumatore finale in senso positivo, e quindi offrendogli un bel ricordo di una bella esperienza che vorrà rivivere, o negativo, non facendolo più ritornare. Per tale ragione l’atteggiamento e la cordialità del personale sono caratteristiche imprescindibili e delle quali i responsabili stessi rispondono in prima persona poiché è loro onere motivare e incentivare il personale al successo.

                                                                                                               

23 Per un’analisi approfondita si guardi il Capitolo III. In termini generali, l’approccio sostenibile all’economia è

un approccio che prevede la tutela dell’ambiente in primis e degli interessi degli stakeholder. In campo produttivo e precisamente culinario, la minimizzazione degli scarti è ottenuta in misura proporzionale alla tipologia di preparazione, esistendo prodotti finali ottenuti con solo avanzati da altre preparazioni. Esempi ne sono il ragù di carne (da macinato, a sua volta dato da scarti di ritagli di carne), il polpettone e il fumetto di pesce (da lische di pesce avanzate dalle lavorazioni precedenti).

(24)

Non si deve tralasciare, inoltre, il ruolo strategico rivestito dallo stesso laddove sia posto al servizio del cliente, poiché deve essere in grado di recepire una mole sufficiente di dati che saranno utilizzati in seguito per delineare la tipologia di offerta.

Come chiarito in precedenza, queste quattro macro-fasi (Aquisto, Ricezione, Controllo delle merci, Lavorazione e trasformazione, Servizio e offerta) esistono per aumentare l’efficienza di processo e di conseguenza la probabilità di raggiungere gli obiettivi prefissati.

Il numero e la tipologia di obiettivi dipende dalla tipologia di azienda, dalla sua struttura e dalla sua dimensione, ma a prescindere dalle determinanti specifiche che la realtà può assumere, rientrano in generale in due macro-categorie: finanziari e/o operativi.

Obiettivi Finanziari: sono gli obiettivi corrispondenti all’ottenimento di buoni profitti finanziari e quindi ottenuti attraverso un buon volume di vendite, un buon controllo dei costi provenienti dalla gestione e soprattutto attraverso una buona efficienza operativa, risultato di un buon rapporto tra vendite e ricavi e di buona razionalizzazione degli acquisti.

Obiettivi Operativi: corrispondono alla performance in generale, senza porre il focus sul guadagno. La strategia adottata al fine del loro raggiungimento è una strategia data da una filosofia aziendale che ruota attorno al concetto di qualità, raggiunta sia attraverso l’identificazione con la mission aziendale, sia attraverso l’adozione di un’immagine vincente a scopo comunicativo e reputazionale, sia infine tramite la generale standardizzazione della qualità dei servizi.

Ciò detto, è intuibile quanto profondamente la componente umana contribuisca al raggiungimento degli obiettivi preposti e della perfomance generale.

Nella stesura del mio lavoro ho quindi deciso di dedicare alle risorse umane un paragrafo (il seguente) per comprendere al meglio l’importanza del loro contributo e la difficoltà gestionale che la loro presenza richiede.

(25)

1.3 La componente umana

“La differenza fra l’oasi e il deserto non sta nell’acqua ma nell’uomo”.

Antico Proverbio Arabo

Non esiste un’idea imprenditoriale innovativa, destinata a produrre uno sviluppo sostenibile nel tempo, che non abbia in sé anche un’idea innovativa per la scoperta, la crescita e la valorizzazione delle persone chiamate a realizzarla e perpetuarla. Una buona business idea è sempre associata a una buona human resource idea25.

Le risorse umane costituiscono un requisito critico determinante per decretare il successo o, al contrario, l’insuccesso dell’azienda.

Nello specifico del settore ristorativo e alberghiero uno degli elementi che più influenza la decisione da parte del cliente nella scelta di un’attività piuttosto che di un’altra è l’immagine che quell’attività comunica. L’immagine stessa inoltre, a sua volta, dipende strettamente dal personale con cui l’ospite entra in contatto e quindi dal suo comportamento.

È molto importante che sia affabile, sorridente, cordiale e disponibile ad ogni esigenza e tale obiettivo è responsabilità del Manager, incaricato di motivarlo e stimolarlo correttamente. Il Food Manager si occupa in prima persona della gestione della componente umana perché da essa dipende la positività del risultato aziendale. È fondamentale la definizione della struttura organizzativa del personale per fare in modo che ogni dipendente comprenda il ruolo assegnatoli, i compiti e le mansioni che questo ruolo prevede e la responsabilità che ad esso consegue.

Anche le relazioni che devono essere intrattenute con le altre funzioni sono importanti da definire, poiché solo attraverso la comprensione della loro tipologia, siano esse di subordinazione o di supervisione, si ottiene una struttura aziendale di tipo gerarchico.

                                                                                                               

25  Costa G. e M. Giannecchini, “Risorse Umane”, McGrawHill, 2009. Gli autori nella loro opera definiscono le

risorse umane come le persone presenti in azienda e portatrici del “capital umano, il quale si esprime attraverso conoscenze, capacità e competenze. Il capital umano si costituisce attraverso i processi di socializzazione e di acculturazione, a livello di famiglia e comunità, di scolarizzazione, a livello di istituzioni formative pubbliche e private, e, infine, di professionalizzazione, che avvengono soprattutto nelle aziende e sono poi rinforzati attraverso la formazione continua” proseguendo poi con la proposta del “modello del ciclo di valore delle risorse umane, che si basa su quattro nodi: le persone, le relazioni, la prestazione e la valorizzazione.” Pag.40 e seguenti.  

(26)

In tal modo si facilita la profilazione delle figure chiave, dai responsabili di funzione/reparto al vero e proprio manager, al quale tutti, responsabili compresi, devono rispondere.

Con ciò non si vuole escludere la necessità dell’esistenza di un dialogo che deve essere intrattenuto tra titolare e subordinati poiché solo grazie alle opinioni e alle consulenze di questi ultimi egli è in grado di attuare una gestione efficace, fermo restando che il potere decisionale è detenuto unicamente ed esclusivamente da lui.

Posto che la struttura organizzativa sia definita, sussistono problematiche di motivazione e di permanenza all’interno della realtà aziendale.

La motivazione in primis non dev’essere trascurata, soprattutto in un settore come questo, del Food & Beverage, in cui il turnover del personale è molto elevato e lo stipendio esiguo. Alto tasso di rotazione e bassa remunerazione sono fattori che trovano fondamento su un dato di fatto: il lavoro del personale addetto alla sala (nel settore ristorativo e alberghiero) e al servizio ai tavoli (nel settore del bar) è un lavoro considerato dalla maggior parte dei soggetti che vi si propongono al pari di un lavoro secondario, fonte maggioritaria di entrata economica per il soggetto stesso ed eventualmente la famiglia a carico. A ciò è sommato il sacrificio che questa tipologia di lavoro comporta in termini di fasce orarie sia di lavoro sia di tempo libero, il tutto correlato, ribadisco, a un’esigua remunerazione.

Il bacino occupazionale è chiaramente molto ristretto e in questa ristretta dimensione rientrano in modo preminente candidati non professionalmente qualificati e per tale ragione con una bassa probabilità di permanenza. In campo prettamente economico sostenere dei costi per collocare, formare, assecondare e motivare un personale con un ricambio elevato non è definito “investimento”, bensì “perdita” di denaro e di efficienza.

La coda lunga26 di questo fenomeno è data da tutti i successivi, minori ma frequenti costi che

                                                                                                               

26  Il termine, coniato da Chris Anderson nel 2004 in occasione dell’articolo n. 10 di Wired dal titolo “The Long

Tail”, verte attorno alla sua stessa affermazione: «The biggest money is in the smallest sales», ossia che,

nell’esempio della casa discografica apportato nell’articolo, le vendite che apportano maggior guadagno non sono quelle delle “hit” del momento ma dei brani meno attuali e meno noti ma non per questo meno famosi e meno prestigiosi. Il concetto alla base della “teoria della coda lunga” è stato poi generalizzato nel campo economico per indicare che le entrate (o uscite) più consistenti non per forza riguardano una sola spesa (o entrata) consistente, ma sono date dalla somma di quelle più piccole ma più frequenti.

(27)

dovranno essere di conseguenza sostenuti per sostituire il personale, vagliare le nuove proposte per il posto vacante, assumere e formare quella ritenuta più adatta.

Nel contesto aziendale, a prescindere dal settore di riferimento, ogni azienda decide in maniera autonoma di quale iter procedurale avvalersi per gestire il personale, coerentemente con le esigenze e i limiti del caso: alcune realtà prediligono personale qualificato in modo tale da non dover sostenere costi per renderlo tale; altre aziende prediligono invece l’assunzione di lavoratori inesperti riservandosi la possibilità di farli crescere ed educarli secondo i propri principi e nella propria metodologia; altre ancora vertono sulla scelta di soggetti sì qualificati ma che l’azienda, a sua volta, qualifica ulteriormente in altre mansione per rendere la risorsa efficace al 100% e abile nel ricoprire, al bisogno, altri ruoli o altre funzioni27.

Le aziende scelgono altresì autonomamente quali strategie adottare per motivare28 il proprio personale, intervenendo sulla dimensione interiore dell’individuo e spingendolo verso sentimenti di orgoglio e apprezzamento del ruolo ricoperto, dai quali ha origine la job satisfaction.

Il settore del Food & Beverage è comunque un settore ad alto tasso di rotazione ed è quindi difficile implementare procedure motivazionali: un tempo di permanenza esiguo non consente l’instaurazione dei tipici valori provenienti da rapporti interpersonali duraturi, quali fiducia e stima, che aiutano il Manager ad interagire e supportare la risorsa nel cammino verso l’identificazione con l’ulteriore categoria di valori aziendali.

Tuttavia, per riuscire nell’intento di motivare, si ricorre al contributo di alcuni autori, i quali partono dall’assunto base che gli individui indirizzino i loro sforzi verso azioni e comportamenti che portino a ricompense desiderabili29.

Tali ricompense sono ritenute per di più ricompense di natura economica, e solo dopo un’attenta valutazione di queste i soggetti in questione valutano se e in che modo agire. È molto importante comprendere la natura della ricompensa desiderata e la modalità adatta a

                                                                                                               

27  Costa G. e M. Giannecchini, “Risorse Umane”, McGrawHill, 2009.  

28 Laddove con il termine motivazione s’intende il “processo dinamico che finalizza l’attività di una persona

verso un obiettivo” cit. si veda nota precedente.

(28)

conferirla, al fine di soddisfare le aspettative senza creare quelle disillusioni30 che si riverserebbero inevitabilmente sull’atteggiamento dell’individuo e di coloro che con esso interagiscono. Il malumore, infatti, è un sentimento che tende a propagarsi a discapito dell’intera organizzazione e del risultato finale, al fine di evitare il quale l’azienda è costretta a licenziare per non creare un danno ulteriore.

“In passato, mi turbava molto l’idea di dover licenziare la gente, ma ho imparato parecchio tempo fa (e questa è una cosa che mi ha insegnato mia madre) che quando si licenzia qualcuno non bisogna pensare che si sta togliendo il lavoro a lui, ma si sta proteggendo e rafforzando l’impiego del resto del personale.

Un ristorante ha in media ottanta dipendenti e in genere con il salario di ciascun dipendente vivono tre persone: in totale fa duecentoquaranta persone che esistono grazie alla realtà economica generata da un solo ristorante.

Ma se un dipendente ostacola la vitalità di quella realtà economica, finisce per mettere a repentaglio tutti gli altri dipendenti e le persone che dipendono da loro.

Da questa prospettiva, licenziare diventa più facile. Sedetevi a un tavolo e dite semplicemente: «La tua prestazione sta compromettendo il buon andamento del ristorante e il benessere di tutti quelli che grazie a esso si guadagnano da vivere. Devi trovarti un altro lavoro»31”.

                                                                                                               

30 A tale proposito, secondo lo studio di Herzeberg sulla ricerca della soddisfazione, “soddisfazione e

insoddisfazione sul lavoro sono percezioni che stanno agli estremi opposti di un continuum (cioè al calare dell’una aumenta l’altra) ma sono distinte (il contrario dell’insoddisfazione non è una maggiore soddisfazione, ma semplicemente l’assenza di soddisfazione) e sono alimentate da gruppi diversi di fattori (…). Gli elementi che generano insoddisfazione sono strettamente legati al contesto organizzativo (per esempio le regole dell’azienda, le relazioni con il capo e i colleghi, lo stipendio), mentre quelli che generano soddisfazione riguardano il contenuto del lavoro (per esempio il successo, i riconoscimenti ricevuti, il lavoro in sé, le

opportunità di carriera)”. Costa G. e M. Giannecchini, “Risorse Umane”, McGrawHill, 2009, Pag.80.

(29)

1.4 Il Food Manager e la gestione dei costi

Al fine di comprendere in modo esaustivo ciò che stiamo trattando, è necessario chiarire due concetti racchiusi in due termini molto ricorrenti nel settore F&B:

- Food Manager

- Food and beverage cost

1.4.1 Food Manager

Colui che si occupa della gestione dell’azienda e, in essa, della gestione del food & beverage cost è il Food Manager.

La decisione di menzionare, parlando di gestione, il food & beverage cost non è casuale: non bisogna ignorare che l’obiettivo del servizio offerto nel F&B è la conquista del cliente attraverso la sua soddisfazione e che perciò l’offerta stessa dev’essere ideata ed elaborata esclusivamente ad hoc. Traguardo non semplice se si considera che l’offerta in questione debba prendere forma da un’impostazione razionale, imprescindibile al fine di ottenere risultati profittevoli.

Tale precisazione spiega il perché della necessità di un’accurata programmazione e organizzazione dell’intera catena produttiva e, di conseguenza, di una persona che prenda le decisioni, che ne verifichi i risultati e che apporti, laddove necessario, eventuali correttivi: il Food Manager.

I principali obiettivi da raggiungere per una performance soddisfacente sono obiettivi riguardanti prettamente l’offerta, ossia, come si diceva in precedenza, gratificare, soddisfare e poi fidelizzare il cliente, a cominciare dalla fase di accoglienza fino a quella critica ma fondamentale del pagamento, ed è il Food Manager a supervisionare su essi.

Posto che il ruolo da rivestire è di natura complessa, ad oggi possedere unicamente buon senso ed esperienza non è più sufficiente per riuscire a generare un buon margine di utile nel settore F&B. È necessario, quindi, detenere competenze economico-gestionali nel campo direzionale e tecnico.

(30)

Il compito di gestione riguarda l’attività produttiva e organizzativa a 360°: gestione del personale, controllo sull’approvvigionamento di cibi e bevande, controllo circa l’ottemperamento alle normative igienico-sanitarie per attrezzi da cucina, locali e impianti e infine dovere di supervisione sulle offerte di servizi di banchettistica o di colazioni e pranzi di lavoro. A queste mansioni sono poi affiancate quelle inerenti al rispetto del budget finanziario, all’assunzione di fornitori e personale e alla collaborazione con essi.

È di grande rilievo, infatti, la responsabilità detenuta dal Food Manager in merito alla gestione del personale: egli ha l’ingente onere di saper individuare il fabbisogno di personale nelle diverse attività aziendali e di saper individuare la risorsa giusta sulla quale investire e in riferimento alla quale dovrà organizzare lavoro, compiti e tempistiche, motivandola e incentivandola nella sua crescita. Tale risorsa deve detenere i connotati idonei ai criteri aziendali e il suo costo dev’essere facilmente sostenibile: avvalersi di soggetti non all’altezza delle esigenze che la mansione prevede significa dover spendere tempo e per formarli e per motivarli o, se comunque la risorsa in questione fosse all’altezza, se troppo costosa per la linea finanziaria aziendale, favorirebbe una perdita di bilancio. Il Food Manager è incaricato di individuare e soprattutto saper trattenere le risorse adatte, inseguendo nel campo umano al pari dell’operativo l’obiettivo di efficienza.

Tuttavia, l’accentramento direzionale del Manager, nonostante garantisca una coerenza nella linea decisionale, presenta dei forti limiti se adottata in una realtà vasta ed eterogenea come la realtà alberghiera.

Perseguendo l’interesse per il risultato aziendale e non del singolo soggetto, in tale contesto si ricorre al meccanismo della delega, che si concretizza nella scelta di affidare ad altri responsabili di funzione le decisioni di competenza della funzione stessa e le responsabilità che ne derivano di conseguenza.

Così facendo lo Chef di cucina, il responsabile di sala (figura nota come Maitre) e il Capo Barman deterranno la responsabilità per ciò che concerne il loro reparto, nello specifico: lo Chef si occuperà della gestione delle attività di produzione e di servizio, perseguendo obiettivi di qualità organolettica e di efficienza; il Maitre si occuperà di ottenere l’efficacia gestionale necessaria per decretare il successo del servizio senza bypassare l’efficienza operativa imprescindibile da esso, e infine il Capo Barman avrà responsabilità assimilabili a quelle dello Chef, differenziandosi per il solo reparto di competenza.

(31)

A tali ruoli di rilievo sono talvolta affidate anche mansioni previste da funzioni diverse ma per le quali i soggetti preposti a tali ruoli detengono competenze sufficienti: ne sono esempio la funzione acquisti o la funzione stoccaggio, posta l’attitudine gestionale che ogni responsabile detiene posta la propria figura professionale.

In termini generali, ciò che realmente detiene rilievo in termini di gestione è la capacità di intervenire sulle variabili considerate chiave32 ai fini della performance aziendale, a prescindere dalle specifiche della job description.

Considerazioni similari si traggono con riferimento al settore ristorativo.

Nonostante il suddetto settore non detenga l’eterogeneità funzionale detenuta dall’alberghiero, al Manager spettano parimenti numerose responsabilità e ruoli.

Si pensi, ad esempio, alla sola organizzazione del servizio ristorante:

- Gli standard di riferimento da adottare in relazione alla tipologia di offerta e di domanda;

- Lo standard delle attrezzature necessarie all’offerta; - Il numero della forza lavoro di cui avvalersi;

- I criteri nella selezione dei piatti da inserire nel menù; - Le modalità di preparazione dei piatti stessi.

Il Food Manager per riuscire in questa importante mission, deve fondare la sua politica direzionale su concetti chiave che la sua squadra deve sinceramente riconoscere per ottenere dei buoni risultati che siano soddisfacenti in termini finanziari, operativi ma anche relazionali:

1. Programmare, collaborando con la direzione generale, a inizio anno o inizio stagione tutti i goals da raggiungere.

2. Pianificare il “come” del raggiungimento dei suddetti goals (strategie, metodi etc.)

                                                                                                               

32  In economia il termine “variabile chiave” indica le variabile critiche “ovvero le variabili a cui è collegato il

successo dell’azienda e che risultano determinanti nella creazione di valore (sebbene questo non sia sempre possibile), ma anche, successivamente, alla loro comunicazione e condivisione con i soggetti interessati, in primis coloro che all’interno dell’organizzazione, in base a tali misure sono valutati, posto che tali misure

giocano un ruolo fondamentale nel processo di valutazione della performance”. Chiara Mio, “Programmazione

(32)

3. Organizzare i reparti di lavoro e i loro ambienti, al fine di conseguire un impiego ottimale del personale e della gestione delle merci.

4. Coordinare, nei reparti e tra i reparti, le attività, indipendenti e/o interconnesse.

5. Definire, controllare e documentare l’operatività svolta in adesione alla normativa HACCP33.

6. Eseguire un controllo capillare sull’andamento economico e, a determinate scadenze, sul rendiconto di medesima natura.

Poste le precedenti considerazioni sulla figura del Food Manager, è comprensibile come, per assicurare il ricercato equilibrio finanziario, a livello di reparto e di azienda, sia necessaria una assidua attività di controllo di gestione, che deve garantire quell’efficacia ed efficienza che rappresentano condizioni difficoltose da raggiungere senza una profonda conoscenza dei costi dell’organizzazione e del loro dinamismo. La conoscenza dei costi è importante non solo per ciò che quei costi rappresentano ma soprattutto per la relazione che detengono con la performance aziendale e con l’apprezzamento dell’offerta da parte della clientela.

In tutti i campi del settore Food & Beverage, dall’alberghiero al ristorativo, una buona gestione dei costi determina un buon risultato finale e per tale ragione ci si deve approcciare ad essa con la consapevolezza che sia una forte criticità aziendale.

Vediamo ora di seguito la natura dei costi sopra citati e la loro analisi nel dettaglio.

                                                                                                               

33 Si veda nota numero 22.

(33)

1.4.2 Food & Beverage Cost

La prima voce di costo e di ricavo che è oggetto di analisi nello svolgimento del controllo di gestione, soprattutto a causa del suo andamento dinamico correlato alla dinamicità delle vendite, è il cosiddetto food & beverage cost.

Nello specifico, con il termine food cost s’intende il “costo piatto” mentre con beverage cost il “costo bevande” (intese come cocktail nel settore bar) e quindi, in generale, il food & beverage cost è il “costo dei viveri”, ossia il costo totale delle materie prime, dei costi fissi e dei tempi di lavoro ad esse dedicati per la realizzazione di un pasto

Colui che detiene l’incarico della gestione del food & beverage cost è, come detto in precedenza34, il Food Manager.

Certo, ridurre la gestione aziendale alla mera gestione del F&B cost sarebbe scorretto, soprattutto posto che tale voce di costo conferisce una visione completa a livello settoriale ma parziale ai fini gestionali: essendo composto da due sole voci – la voce “cibo” e la voce “bevanda” – è in grado di rispondere alle esigenze aziendali che nascono da questa sola categoria e che, per di più, sono a loro volta composte da sotto voci non predefinite universalmente ma decise in autonomia da ogni attività e quindi differenti da realtà a realtà. Alcuni schemi prevedono, infatti, che alla voce “beverage” vengano associate le sotto voci inerenti alle bevande alcoliche, mentre alla voce “food” tutte le altre; diversamente, altri schemi si approcciano alla voce food & beverage senza apportare scissione ma solamente distinguendo ciò che si “mangia” da ciò che si “beve”.

Tale differenza di approccio nasce sia dall’obbligo di adesione alle normative di rappresentazione delle realtà aziendale nel Food & Beverage35, sia dalla necessità di individuazione delle voci di costo di competenza dei diversi responsabili gestionali e dei differenti campi semantici.

Ai fini di questo lavoro di tesi volto ad analizzare la problematica della perdita d’informazione, ho deciso di spendere le righe precedenti per far emergere l’importanza del precedente passaggio di catalogazione delle voci di costo perché solo grazie a quest’ultimo si                                                                                                                

34  Si fa riferimento al Paragrafo 1.4.1.  

35  Fonte: www.restaurant.org

(34)

sarà successivamente in grado di rispondere alle esigenze informative della realtà manageriale. Ciò detto ci saranno attività che catalogheranno nelle bevande solo le bevande a gradazione alcolica e altre, al contempo, che considereranno tutte le tipologie da consumare bevendo.

Ritornando alla trattazione d’inizio paragrafo, con il termine “costo totale delle materie prime” si fa riferimento alle voci di costo presenti nella distinta base del prodotto, la cui consultazione è imprescindibile per determinarne il costo finale.

Vi sono altre scuole di pensiero che nella voce “materie prime” non si limitano a includere solamente le voci di natura gastronomica impiegate per la realizzazione del piatto o del cocktail, ma includono anche voci di costo di altri generi diversi dall’alimentare ma comunque impiegati nella fase produttiva per l’ottenimento del risultato finale, quali detersivi, materiali per il packaging, tabacchi etc. In questa sezione adotteremo l’approccio della prima dottrina qui menzionata poiché più diffusa36.

La voce food & beverage cost può essere trattata in maniera unitaria, come vedremo in seguito, o separata, considerando voce food cost scissa dalla voce food beverage.

In questo secondo approccio la metodologia di calcolo è differente.

Si parte dalla consultazione della distinta base e ciò che si ottiene sommando il costo di ogni ingrediente individuato in essa moltiplicato per la quantità richiesta è il Food Cost Preventivo. Se, invece, si attua a posteriori una valutazione circa i consumi e le spese sostenute in un dato periodo di riferimento, si parla di Food Cost Consuntivo.

Questi due costi, pur differenziandosi per la natura delle informazioni contenute, devono coesistere: il costo a preventivo è necessario al fine di determinare quanto costerà all’azienda la messa in produzione di un determinato piatto; per contro, il costo a consuntivo costituisce un feedback quanto più oggettivo e sintetico utilizzato come indicatore di riferimento per la valutazione e l’eventuale correzione e miglioramento nella gestione aziendale. Tale distinzione tra consuntivo e preventivo è valida parimenti per la voce beverage.

                                                                                                               

36 Tale affermazione conclusiva è facilmente verificabile attraverso la consultazione di manuali di gestione dei

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Il beverage cost è calcolato attraverso la formula qui di seguito apportata nel dettaglio:

Tabella 1.2: Calcolo del beverage cost37

La formula utilizzata per il food cost è similare alla precedente:

Tabella 1.3: Calcolo del food cost38

Entrambe le formule prevedono il calcolo dei costi a consuntivo presentando voci di costo del food e del beverage riferite al venduto.

Il primo calcolo da effettuare è riferito alla denominazione “scorte”, iniziali e finali39, conteggiate nel magazzino.

                                                                                                               

37 Fonte: www.chefmate.it

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