Università degli Studi di Pisa
Facolta di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Corso di Laurea in Matematica
Tesi di Laurea Magistrale
Immersioni di superfici in
3−varietà iperboliche chiuse
14 ottobre 2016
Candidato
Fabio Lilliu
Relatore
Prof. Bruno Martelli
Università di Pisa
Indice
Index iii
Introduzione v
Risultati preliminari . . . vi
1 Rappresentazioni di gruppi di superfici in H3 1 1.1 Coordinate di Fenchel-Nielsen complesse . . . 1
1.2 Rappresentazione quasi-Fuchsiana di un gruppo di superfici . . . 8
1.3 Stime preliminari . . . 14
1.4 Laminazioni geodetiche . . . 27
1.5 Dimostrazione del risultato principale . . . 36
2 Rappresentazioni di gruppi di superfici in M3 41 2.1 Etichettamenti . . . 41
2.2 Trasporto di misure . . . 47
3 Flussi di riferimenti e costruzione delle misure 57 3.1 Presentazione della dimostrazione . . . 57
3.2 Lemma della Catena e preparativi . . . 61
3.3 Lemmi preparatori e flusso di riferimenti . . . 71
3.4 Buona connessione . . . 78
3.5 Conclusione della dimostrazione . . . 87
Introduzione
A molti tra coloro che hanno a che fare quotidianamente con la matematica sarà noto, almeno a grandi linee, il concetto di curvatura e quello di spazio iperbolico. L’idea di vedere cosa succede cambiando le regole della geometria, dopotutto, esiste dai tempi di Euclide, dopo l’esplicitazione di tali regole: in altre parole, la scrittura degli Elementi.
In particolare, il quinto postulato di Euclide è stato quello storicamente più controverso. Per secoli s’è cercato un modo per dimostrarlo a partire dagli altri postulati, o di vedere cosa succede in sua assenza; tuttavia solo nel XIX secolo sono iniziate a nascere vere e proprie teorie su queste particolari geometrie, dette non Euclidee. In tale secolo nacquero i concetti di geometria iperbolica e di spazio iperbolico, e in seguito fu introdotto anche quello di varietà iperbolica.
Per quanto riguarda le varietà iperboliche, come vedremo nel capitolo introdut-tivo, sono stati trovati risultati interessanti soprattutto su quelle bidimensionali, in particolare sulle metriche iperboliche che possono esistere su una superficie. Per quanto invece concerne le varietà tridimensionali è stato importantissimo il contributo di Thurston tra gli anni 70 e 80 del ventesimo secolo: tra i risultati spicca la congettura di geometrizzazione, dimostrata da Perelman nel 2003, per la quale quest’ultimo ha poi vinto la medaglia Fields nel 2006. Di fatto, con l’opera di Thurston la geometria iperbolica acquisì un ruolo centrale nello studio delle 3-varietà.
Il risultato elencato sopra, la cui dimostrazione è l’obiettivo di questa tesi, riguarda un caso particolare (quello delle 3−varietà iperboliche) di uno dei più rilevanti problemi aperti degli ultimi anni riguardanti le varietà tridimensionali: la congettura dei sottogruppi di superfici, che afferma che il gruppo fondamentale di una 3−varietà chiusa irriducibile, se infinito, ha un sottogruppo isomorfo al π1
di una superficie; ed effettivamente, questo caso era l’unico per cui la congettura non era ancora stata provata. In questo lavoro verrà ripercorsa la dimostrazione di Kahn e Markovic, pubblicata nel 2011 [4].
Il modo in cui è articolata la dimostrazione è questo. Il lettore familiare con la geometria iperbolica avrà ben presente il concetto di decomposizione in panta-loni di una superficie, e l’idea per costruire la superficie del teorema è all’incirca
quella: costruire degli oggetti (pantaloni) con delle misure prefissate e una metri-ca iperbolimetri-ca, e incollarli lungo i bordi. Nel metri-capitolo 1 viene dimostrato che, se riusciamo a costruirli con le lunghezze giuste e incollarli con i parametri adatti (entrambi con un certo margine di tolleranza) in H3 arriviamo a un teorema che
implica il risultato cercato sulla funzione dell’enunciato del teorema; nel capitolo 2 viene mostrato che dando per buono un risultato è possibile trovare i pantaloni -e quindi la sup-erfici-e - n-ella vari-età richi-esta, m-entr-e n-el capitolo 3 dimostr-er-emo tale risultato, e mostreremo anche come vengono costruiti i pantaloni in questione. Dal momento che in questo lavoro verranno utilizzati molti termini più o meno tecnici di geometria iperbolica, prima di iniziare la dimostrazione vera e propria ci sarà un capitolo introduttivo, nel quale saranno illustrati i risultati e le definizioni più importanti di questo argomento, e a seguire un outline abbastanza breve della dimostrazione.
Il nostro obiettivo sarà dimostrare questo teorema.
Teorema 1 (Teorema della superficie di Kahn-Markovic). Sia M3 = H3.G una
3-varietà iperbolica chiusa, con G gruppo Kleiniano, e sia > 0. Allora esiste una superficie di Riemann S = H
2.
F, con F gruppo Fuchsiano, e una mappa
(1 + )-quasiconforme g : ∂H3 → ∂H3 tali che il gruppo quasifuchsiano g ◦ F
◦ g−1
sia un sottogruppo di G.
La mappa g di cui sopra si può estendere a un diffeomorfismo equivariante dello spazio iperbolico. Questa estensione definisce la mappa f : S → M3 e
la superficie f(S) ⊂ M3 è una (1 + )-superficie quasigeodetica immersa. In
particolare la superficie f(S) è essenziale, il che vuol dire che la mappa indotta
f∗ : π1(S) → π1(M3) è iniettiva, da cui il seguente teorema.
Teorema 2. Sia M3 una 3-varietà iperbolica chiusa. Allora esiste una superficie
iperbolica chiusa S e una mappa continua f : S → M3 tale che la mappa indotta
sui gruppi fondamentali sia iniettiva.
Risultati preliminari
In questa sezione vogliamo esporre alcune delle definizioni e alcuni dei risultati più importanti riguardanti la geometria iperbolica di base, che possono essere utili al lettore poco familiare con l’argomento per la comprensione dei temi che verranno trattati in questo lavoro. Questi concetti sono trattati in [8].
Definizione 3. Dato su Rn+1 il prodotto scalare Lorentziano
hx, yi=
n
X
i=1
vii chiamiamo iperboloide il luogo dei punti x ∈ Rn+1 tali che hx, xi = −1 e x
n+1>0.
L’iperboloide così definito, che chiameremo In, è una n-varietà Riemanniana e
ha curvatura costante e pari a −1.
Definizione 4. Sia Dn il disco unitario di Rn, e gE il tensore metrico Euclideo
su Rn. Allora i seguenti tre oggetti:
• In con tensore metrico gE
• Dn (senza il bordo) con tensore metrico
2 1−kxk2 2 · gE • Il semispazio di Rn dato da x
n>0 con tensore metrico x12
n · g
E
sono isometrici tra loro. Chiameremo spazio iperbolico la varietà da essi defi-nita (si tratta di una buona definizione, essendo questi tra loro isometrici) e la denoteremo con Hn. I tre oggetti elencati sopra vengono detti modelli dello spazio
iperbolico.
Si può verificare che Hn è completo, e che scelti due punti di esso esiste
esat-tamente una retta passante per entrambi. È importante anche il concetto di com-pattificazione di Hn, ottenuta aggiungendo ad esso i punti all’infinito, i quali ne
costituiranno il bordo. Chiameremo quest’oggetto Hn.
Proposizione 5. Un’isometria ϕ : Hn→ Hn si estende a un unico omeomorfismo
ϕ: Hn → Hn, ed è inoltre completamente determinata dalla sua traccia al bordo,
ossia da ϕ|∂Hn.
Le isometrie si possono distinguere in tre tipi. Data un’isometria ϕ : Hn→ Hn,
e considerando la sua estensione su Hn:
• Se ϕ ha almeno un punto fisso in Hn, si dice ellittica.
• Se ϕ non ha punti fissi in Hn e ne ha uno solo in ∂Hn, si dice parabolica.
• Se ϕ non ha punti fissi in Hn e ne ha esattamente due in ∂Hn, si dice
iperbolica.
Si può dimostrare che per ogni isometria è verificato esattamente uno di questi tre casi. Nel caso di H2 e di H3 le isometrie possono essere rappresentate in un
modo particolare, il quale può permetterci anche di stabilirne il tipo, come nella seguente proposizione.
Proposizione 6. Con il modello del semipiano il gruppo delle isometrie di H2
che ne preservano l’orientazione è isomorfo a PSL(2, R) - vale a dire, il gruppo delle matrici 2 × 2 a coefficienti in R e determinante 1, considerate a meno del segno. Analogamente, con il modello del semispazio il gruppo delle isometrie di H3 che ne preservano l’orientazione è isomorfo a PSL(2, C). Inoltre, con questa rappresentazione si può identificare facilmente il tipo di isometria. Detta A ∈
PSL(2, R) oppure A ∈ PSL(2, C), a seconda di quale dei due casi ci troviamo, si
ha:
• A è ellittica se e solo se tr(A) ∈ (−2, 2) ⊂ R. • A è parabolica se e solo se tr(A) ∈ {−2, 2}. • A è iperbolica se e solo se tr(A) ∈ C \ [−2, 2].
Un altro concetto che ci servirà è il seguente:
Definizione 7. Lo spostamento minimo d(ϕ) di un’isometria ϕ di Hn si definisce
come
d(ϕ) = inf
x∈Hnd(x, ϕ(x))
Possiamo notare che lo spostamento minimo di un’isometria ellittica è zero, realizzato nel punto fisso di tale isometria; lo spostamento minimo vale zero anche per un’isometria parabolica, pur non venendo realizzato in alcun punto, mentre quello di un’isometria iperbolica è un numero reale strettamente positivo, e si ottie-ne in tutti i punti della geodetica che ha per estremi i due punti fissi dell’isometria su ∂Hn. Tale geodetica prende inoltre il nome di asse di ϕ.
Possiamo introdurre ora il concetto di varietà iperbolica.
Definizione 8. Una varietà iperbolica è una n−varietà Riemanniana tale che
ogni suo punto abbia un intorno isometrico a Hn.
Dalla definizione si può notare che una varietà iperbolica ha curvatura sezionale costante pari a −1. Vale anche il viceversa, ossia è possibile dimostrare che una varietà Riemanniana a curvatura costante pari a −1 è iperbolica.
Le varietà iperboliche hanno una caratterizzazione particolare, come vedremo nella seguente proposizione; in particolare, il loro rivestimento universale è sempre Hn.
Proposizione 9. Una varietà Riemanniana completa è iperbolica se e solo se
è isometrica a Hn/G per un gruppo discreto G di isometrie composto solo da
ix Vorremmo in particolare concentrarci sulle 2−varietà, vale a dire le superfici. Ricordiamo che ogni superficie compatta, connessa e orientabile è diffeomorfa a Sg, ossia la sfera S2 a cui vengono aggiunti g manici, e ricordiamo inoltre che il
teorema di Gauss-Bonnet afferma che, per una superficie compatta, vale
Z
S
Kp = 2πχ(S)
Dove Kp è la curvatura nel punto p e χ indica la caratteristica di Eulero di S,
definita come χ(Sg) = 2 − 2g sulle superfici Sg e invariante per diffeomorfismo.
Tenendo conto di questi due fatti, risulta evidente che una superficie a curvatura costante può essere iperbolica solo per g ≥ 2.
Per quanto riguarda le superfici con bordo valgono fatti analoghi. Innanzitutto ogni superficie compatta connessa orientabile con bordo è diffeomorfa a Sg,b per
una qualche coppia di numeri non negativi g, b, dove Sg,b è la sfera con g manici
a cui son stati rimossi b dischi aperti. Inoltre per le superfici a curvatura costante continua a valere, dal teorema di Gauss-Bonnet, la formula
K · Area(S) = 2πχ(S)
dove K è la curvatura della superficie e χ è la caratteristica di Eulero, dove stavolta χ(Sg,b) = 2 − 2g − b.
Un modo per costruire una metrica a curvatura negativa sulle superfici compa-tibili, ossia quelle di caratteristica χ(S) ≤ −1, è quello di costruirla su superfici con bordo a caratteristica −1 e successivamente incollare queste tra loro in modo da ot-tenere la superficie richiesta. Le superfici che utilizzeremo sono quelle diffeomorfe a S0,3, vale a dire la sfera S2 con tre buchi, e vengono chiamate pantaloni.
Proposizione 10. Dati tre numeri reali positivi a, b, c esiste a meno di isometrie
un unico pantalone iperbolico con bordo geodetico, le lunghezze delle cui curve di bordo siano a, b, c.
Il modo di costruirlo è il seguente: dati i tre numeri reali a
2,
b
2,
c
2 si può costruire
un solo esagono retto in H2 che abbia tre lati alternati con quei numeri come
lunghezze. Prendendone due copie e incollandoli lungo gli altri tre lati, si ottiene effettivamente un paio di pantaloni con a, b, c come lunghezze di bordo; inoltre la metrica è quella indotta da H2, quindi iperbolica.
Una volta fatto questo, si può verificare che una superficie con bordo Sg,b a
caratteristica negativa può essere decomposta in 2g + b − 2 pantaloni. Costruendo quindi quel numero di copie di pantaloni in modo tale che le lunghezze di bordo corrispondano tra loro, e incollandoli lungo tali bordi, riusciamo a indurre una metrica iperbolica su tale superficie. Appare anche evidente che la metrica che possiamo indurre non è unica, dal momento che per esempio abbiamo avuto libertà
Figura 1: Un bigono.
di scelta sulle lunghezze delle geodetiche corrispondenti ai bordi dei pantaloni. A breve vedremo esattamente quante metriche possiamo costruire su una superficie del tipo Sg.
Definizione 11. Una geodetica chiusa in una varietà Riemanniana M è una
mappa liscia α : S1 → M tale che, sollevata a una mappa R → M, sia una
geodetica non costante.
Si può dimostrare che su Sg con metrica piatta o iperbolica ogni curva chiusa
omotopicamente non banale è omotopa a una geodetica semplice chiusa, e che due geodetiche semplici chiuse con supporti distinti sono sempre in posizione minimale, ossia non bordano dischi con due lati (detti bigoni, vedi figura 1). Inoltre, due curve semplici chiuse omotopicamente non banali in Sgsono omotopicamente equivalenti
se e solo se sono legate da un’isotopia ambiente.
Definizione 12. Una multicurva µ in Sg è un insieme finito di curve semplici
chiuse disgiunte omotopicamente non banali. Due geodetiche chiuse in Sg si dicono
parallele se bordano un anello S0,2.
In Sg con g ≥ 2 una multicurva µ contiene al massimo 3g − 3 curve a due a
due non parallele, e ne ha esattamente 3g − 3 se e solo se tagliando la superficie lungo µ si ottengono solamente anelli e pantaloni. Similmente a prima diciamo che due multicurve sono in posizione minimale se, al variare delle multicurve appar-tenenti alle loro classi di isotopia, loro sono quelle con il minimo numero di punti d’intersezione.
Grazie al concetto di multicurva possiamo definire - e verificare - quello di decomposizione in pantaloni di Sg: chiameremo decomposizione in pantaloni di
Sg una multicurva tale che, tagliando Sg lungo essa, si ottengano solo pantaloni.
Per quanto detto poco fa si può inoltre dedurre che il numero di pantaloni della decomposizione è 2g − 2.
Possiamo ora addentrarci nell’argomento accennato in precedenza, ossia quante metriche iperboliche è possibile ottenere su una superficie Sg.
xi
Figura 2: L’azione di un terremoto su una geodetica chiusa (qui viene raffigurato solo l’intorno di un segmento di tale geodetica). In rosso è raffigurata γ, mentre in verde delle geodetiche trasversali a γ prima e dopo il terremoto.
Definizione 13. Lo spazio dei moduli di Sg è lo spazio delle metriche
iperboli-che su Sg considerate a meno di isometrie. Lo spazio di Teichmüller di Sg è lo
spazio delle metriche iperboliche su Sg considerate a meno di isometrie isotope
all’identità; quest’ultimo viene denotato come Teich(Sg).
Analizzeremo ora lo spazio di Teichmüller. Il primo concetto che ci interessa definire è quello di terremoto: informalmente, scelti una geodetica semplice chiu-sa γ e un numero reale θ, un terremoto di angolo θ è una torsione della metrica lungo γ, dove l’angolo di torsione sarà l’angolo θ scelto (vedi figura 2). I terre-moti definiscono metriche a meno di isometrie isotope all’identità, ed è possibile dimostrare che due metriche ottenute tramite terremoti di parametri diversi sono distinte nello spazio di Teichmüller.
Grazie a questo fatto, scelte due multicurve in posizione minimale µ e ν tali che la prima decomponga in pantaloni Sg e la seconda divida i pantaloni in coppie
di esagoni, è possibile costruire una bigezione tra Teich(Sg) e R3g−3>0 × R3g−3, data
da
h 7→(l1, . . . , l3g−3, θ1, . . . , θ3g−3)
Dove gli li sono le lunghezze delle geodetiche omotope alle rispettive curve di µ, e
i θi sono i parametri di torsione relativi a tali geodetiche, e indicano lo sfasamento
tra i due esagoni retti ottenibili dai pantaloni adiacenti ad esse; in questo modo, viene provato che Teich(Sg) è isomorfo a R6g−6. Gli elementi (li, θi) prendono il
Un fatto curioso è che, su n−varietà differenziabili con n > 2, esiste al più una sola metrica iperbolica definita su di essa a meno di isometrie isotope all’identità; questo risultato è noto come teorema di rigidità di Mostow.
Data una superficie Σ = Sg,0,p, c’è un altro modo di parametrizzare Teich(Σ),
utilizzando triangolazioni invece di pantaloni. È un fatto noto che esistano trian-golazioni della superficie Sg, e che sia possibile farla con un numero arbitrario di
vertici p, e questo fatto ci sarà utile.
Definizione 14. Chiamando T la triangolazione di Sg con p vertici e Σ la
super-ficie ottenuta rimuovendo i vertici di T da Sg, diremo che T è una triangolazione
ideale di Σ e che Σ è una superficie punta.
Se ora nella triangolazione T sostituiamo i triangoli che la compongono con triangoli iperbolici ideali, otteniamo quella che chiamiamo triangolazione iperbolica ideale di Σ. Dal momento che le isometrie con cui incollare tra loro i lati dei triangoli non sono univocamente determinate, la struttura iperbolica di Σ dipende da quali isometrie vengono usate per ciascuna coppia di lati da incollare. Per determinare la metrica, si nota innanzitutto che ogni lato di un triangolo ideale ha un punto medio, ossia l’intersezione con la retta ortogonale a esso partente dal vertice opposto. Quando vengono incollati due lati dei triangoli ideali usati nella triangolazione, viene valutata la distanza (compresa di segno) tra i punti medi di due lati: questa distanza si chiama shear. Se 2k è il numero di triangoli che compongono T , la 3k−upla data dagli shear relativi a ciascuna coppia di triangoli (che denoteremo con (d1, . . . , d3k)) determina la struttura iperbolica di Σ.
Descrizione della tesi
Vogliamo ora fare una breve descrizione di come sarà articolato il lavoro in ciascuno dei capitoli della tesi.
Per cominciare, supponiamo di avere una superficie topologica chiusa S con una decomposizione in pantaloni C, una mappa continua f : S → M3 (dove M3
indica una 3−varietà iperbolica chiusa) e la mappa indotta sui gruppi fondamentali ρf : π1(S) → π1(M3), e supponiamo che ρf sia iniettiva su ogni paio di pantaloni
della decomposizione di S. Allora ad ogni curva C ∈ C possiamo associare una mezza lunghezza complessa hl(C) ∈ C/2πiZ e un parametro di twist s(C) ∈ C/hl(C)Z+2πiZ, che chiameremo coordinate complesse di Fenchel-Nielsen: questo è ciò che mostreremo nella prima sezione del capitolo 1.
Nell’altra parte del capitolo 1 dimostreremo il seguente risultato (che sarà formulato in maniera leggermente diversa, vedi Teorema 25):
Esistono costanti universali ˆ, K0 positive tali che valga quanto segue. Detto
xiii avere per ogni C ∈ C
hl(C) − R 2 < |s(C) − 1| < R
per un qualche R > K0. Allora ρf è iniettiva, e la mappa ∂ ˜f : ∂ ˜S → ∂ ˜M3 si
estende a una mappa (1 + K0)−quasiconforme da ∂H3 a se stesso, dove con ˜S e
˜
M3 indichiamo i corrispondenti rivestimenti universali.
Questo risultato implicherà il Teorema 1, per cui ciò che resta da fare è costruire una coppia (f, (S, C)) che ne soddisfi le ipotesi. Detto Π un paio di pantaloni, diremo che f : Π → M3 è un paio di pantaloni sghembi se ρ
f è iniettivo e f(∂Π) è
l’unione di tre geodetiche chiuse. Supponiamo di avere un insieme {fα : Πα → M3}
di pantaloni sghembi al variare di α in un insieme di indici A, e per semplicità assumiamo che fα non mandi mai due componenti di bordo di Πα nella stessa
geodetica.
Per ogni geodetica chiusa γ ⊂ M3, chiamiamo A
γ = {α ∈ A|γ ∈ fα(∂Πα)}.
Date delle permutazioni σγ : Aγ → Aγ, possiamo costruire una superficie chiusa su
M3 nel seguente modo. Scegliamo per ogni (fα,Πα) due paia di pantaloni sghembi
in M3 uguali tra loro a meno dell’orientazione, e per ogni γ incolliamo tramite
σγ un paio di pantaloni che ha γ come bordo a uno che ce l’ha con l’orientazione
opposta. Nel Capitolo 2 mostreremo che se i pantaloni sono ‘ben distribuiti’ per ciascuna geodetica γ, possiamo costruire una superficie che soddisfi le ipotesi del teorema prima citato.
Infine, nel Capitolo 3 costruiremo la misura sui pantaloni sghembi che ci per-metterà di avere la collezione Πα di cui sopra. Il modo con cui lo faremo utilizza il
flusso dei riferimenti per costruire una misura sull’insieme dei pantaloni sghembi le cui proprietà di equidistribuzione seguono dal mixing esponenziale del flusso di riferimenti. Essendo questo capitolo di cruciale importanza, la costruzione della misura verrà presentata all’inizio di essa e poi sviluppata.
Capitolo 1
Rappresentazioni di gruppi di
superfici in H
3
In questo capitolo, dopo una breve sezione sulla notazione, lavoreremo princi-palmente alla dimostrazione del teorema cruciale di cui abbiamo parlato nell’in-troduzione, il Teorema 25, che sarà il primo fondamentale risultato di questa tesi.
1.1
Coordinate di Fenchel-Nielsen complesse
Nel capitolo introduttivo abbiamo definito le coordinate di Fenchel-Nielsen per una superficie iperbolica; quello che vorremmo fare ora è, analogamente, introdurre le Coordinate di Fenchel-Nielsen complesse per una superficie immersa in H3. Per
farlo definiamo innanzitutto la notazione, e poi costruiremo le coordinate. Per un’altra trattazione di queste, vedere [6].
Denotiamo la distanza iperbolica tra due insiemi X, Y ⊂ H3 con d(X, Y );
inoltre, data la geodetica orientata γ∗
⊂ H3comprendente i punti p e q, indichiamo
con dγ∗(p, q) la distanza compresa di segno tra i due punti - vale a dire considerata
positiva se percorrendo la geodetica nel suo verso d’orientazione incontriamo prima p e poi q, negativa altrimenti. La stessa notazione indicherà anche la distanza tra due geodetiche nel seguente modo: date due geodetiche orientate α∗ e β∗, se γ∗ è
l’ortogonale a entrambe, definiremo dγ∗(α∗, β∗) come la distanza complessa tra le
due curve. La parte reale di questa distanza complessa sarà data da dγ∗(p, q), dove
p = γ∗ ∩ α∗ e q = γ∗ ∩ β∗, mentre la sua parte immaginaria è l’angolo orientato
(da γ∗) tra u0 e v, dove v è il vettore tangente a β∗ in q, u il vettore tangente a α∗
in p, e u0 il trasportato parallelo di quest’ultimo su q lungo γ∗ (vedi figura 1.1).
È facile vedere che la distanza complessa in questione è ben definita modulo 2πi, e lo è quindi ogni identità esprimibile in termini di distanza complessa. In
Figura 1.1: La costruzione per determinare la distanza tra le due geodetiche α∗
e β∗. In particolare la parte reale sarà la distanza tra le loro intersezioni con γ∗,
mentre la loro parte immaginaria sarà l’angolo tra u0 e v0.
particolare, abbiamo le identità:
dγ∗(α∗, β∗) = −dγ∗(β∗, α∗)
d−γ∗(α∗, β∗) = −dγ∗(α∗, β∗)
dγ∗(−α∗, β∗) = dγ∗(α∗, β∗) + iπ
Indicheremo con d(α∗, β∗) la distanza d
γ∗(α∗, β∗) considerata però a meno del
segno. Si vede facilmente che per questa valgono le identità
d(α∗, β∗) = d(β∗, α∗) = d(−α∗, −β∗) = d(−β∗, −α∗).
Possiamo definire anche la lunghezza l(A) per un elemento A ∈ PSL(2, C) iperbolico come la sua lunghezza di traslazione complessa, la cui parte reale è lo spostamento minimo di A e la cui parte immaginaria è definita come segue: preso un vettore u ∈ TpHn con p nell’asse di A e chiamando u0 il vettore ottenuto
per trasporto parallelo in A(p) lungo l’asse di A, la parte immaginaria di l(A) è definita come l’angolo tra u0 e A(u). Per com’è stata costruita l(A) ha una parte
reale positiva, e come la distanza complessa anch’essa è definita modulo 2πi. Vogliamo definire anche un altro paio di concetti importanti, riguardanti gli esagoni in H3. L’argomento è trattato in particolare in [3].
1.1. COORDINATE DI FENCHEL-NIELSEN COMPLESSE 3
Definizione 15. Un esagono iperbolico sghembo retto in H3 è un insieme
for-mato da sei archi di geodetica Li in tale spazio tali che, per ogni indice i
(con-siderato sempre modulo 6 in questo contesto), si ha che Li e Li+1 si intersecano
ortogonalmente.
Detta li la lunghezza complessa di Li, vale a dire la distanza complessa tra Li−1e
Li+1lungo Li considerata a meno di segno (e quindi indipendente dall’orientazione
di Li), valgono due teoremi molto importanti.
Teorema 16 (Teorema del Seno). Con la notazione utilizzata, si ha
sinh l1 sinh l4 = sinh l3 sinh l6 = sinh l5 sinh l2
Teorema 17 (Teorema del Coseno). Sempre con la stessa notazione, abbiamo
cosh ln= cosh l
n+3−cosh ln+1cosh ln−1
sinh ln+1sinh ln−1
La Definizione 15 può inoltre estendersi al caso in cui uno dei lati Ln sia un
punto, cosa che si verifica nel caso in cui Ln−1 e Ln+1 abbiano in comune un punto
all’infinito (il quale sarà considerato come Ln). In questo caso le parti reali di ln−1
e ln+1 sono infinite, ln = iπ dato che è la distanza complessa tra due segmenti che
si intersecano con la stessa tangente e direzione opposta, e la formula di sopra del teorema del coseno è ancora utilizzabile per determinare ln+3.
Vogliamo ora costruire le coordinate di Fenchel-Nielsen complesse. Per farlo, avremo bisogno di una rappresentazione adeguata. Procediamo così:
Definizione 18. Prendiamo Π0 paio di pantaloni topologico, e consideriamolo
come varietà con bordo. Data una 3-varietà iperbolica M3, possiamo definire un
paio di pantaloni in quella varietà come un omomorfismo iniettivo ρ : π1(Π0) →
π1(M3), considerato a meno di coniugio.
La rappresentazione su π1(M3) appena vista induce una rappresentazione fedele
e discreta ρ : π1(Π0) → PSL(2, C), che chiameremo paio di pantaloni libero. A un
paio di pantaloni corrisponde una mappa continua f : Π0 → M3, unica a meno
di omotopia, e allo stesso modo a ogni paio di pantaloni libero corrisponde una mappa f : Π0
→ H3/ρ(π
1(Π0)). Nel seguito, denoteremo H3/ρ(π1(Π0)) con Mρ.
Consideriamo ora un paio di pantaloni libero ρ : π1(Π0) → PSL(2, C) e una
corrispondente mappa f : Π0 → M
ρ, e orientiamo le tre componenti di bordo Ci
di Π0 in modo tale che il paio di pantaloni sia sempre sulla sinistra di ciascuna di
queste componenti, percorsa lungo l’orientazione. Tra Ci−1e Ci+1(considerando gli
Figura 1.2: A sinistra, il paio di pantaloni con le curve di bordo Ci e gli
ar-chi ai. A destra, tramite omotopia, sono state mandate nelle geodetiche γi e ηi
rispettivamente, con ciascuna ηi ortogonale alle rispettive γi−1 e γi+1.
questo arco ai. A meno di omotopia le componenti Ci si possono mandare in
geodetiche γi, e gli ai in geodetiche ηi ortogonali a entrambe γi−1 e γi+1; essendo
ai unico a meno di isotopia, le ηi sono ben definite. La situazione è illustrata nella
figura 1.2.
L’1-complesso formato dalle γi e ηi è dato da sei segmenti di geodetica
general-mente non complanari tra loro e formanti angoli retti tra due lati consecutivi; dalla definizione di esagono iperbolico sghembo retto, abbiamo che questo 1-complesso divide l’immagine di Π0 tramite f in due regioni delimitate da due esagoni di
que-sto tipo. I due esagoni in questione sono isometrici tra loro, dato che hanno tre lati alternati in comune e gli altri tre dipendono da questi per via del Teorema del Coseno (Teorema 17) enunciato poco sopra.
Ora cambiamo punto di vista, e lavoriamo sul rivestimento universale H3.
Scel-to i ∈ {0, 1, 2}, coniughiamo ρ in modo tale che ci sia un sollevamenScel-to ˜γi di γi che
sia la retta tra 0 e ∞ (nel modello del semispazio), e per il resto della sezione de-notiamo con ˜γi questo sollevamento. Se consideriamo Aγi l’elemento di PSL(2, C)
tale che γi = ˜γi/hAγii, abbiamo che si estende sul bordo di H
3 come la mappa
z 7→ el(γi)· z. Inoltre, i sollevamenti di η
i−1 e di ηi+1 si alternano lungo ˜γi, per cui
partendo da questo contesto ha senso definire dγi(ηi−1, ηi+1) come dγ˜i(˜ηi−1,˜ηi+1),
con l’ovvia notazione sui sollevamenti e considerandoli come successivi lungo ˜γ. Al-lo stesso modo, scambiando gli indici si definisce dγi(ηi+1, ηi−1) = dγ˜i(˜ηi+1,˜ηi−1).
Illustriamo quanto appena detto in figura 1.3.
Sempre fissando l’indice i, orientiamo ηi−1e ηi+1in modo tale che si allontanino
1.1. COORDINATE DI FENCHEL-NIELSEN COMPLESSE 5
Figura 1.3: I sollevamenti citati, con le rispettive orientazioni. In rosso, in particolare, viene evidenziato il tratto in cui viene calcolata dγ˜i(˜ηi+1,˜ηi−1).
uguale a dγi(ηi+1, ηi−1). Questo ci permette di definire
hl(γi) = dγi(ηi−1, ηi+1)
che era il nostro primo obiettivo.
Passiamo ora alla costruzione che ci permette di definire l’altro tipo di coor-dinata. Continuando a lavorare sul rivestimento universale, se definiamo q
Aγi ∈
PSL(2, C) come l’isometria che manda z in ehl(γi) · z, si ha che questa
isome-tria scambia i sollevamenti di ηi−1 con quelli di ηi+1. Inoltre, il fibrato unitario
normale N1( ˜γ
i) è un torsore per C/2πiZ, vale a dire ogni elemento di C/2πiZ
agisce in maniera libera e transitiva su N1( ˜γ
i); allo stesso modo, N1(γi) è un
torsore per C/ 2πiZ + l(γi) · Z , e N1(√γ i) (definito come N1( ˜γi)/h q Aγii) lo è per C/ 2πiZ + hl(γi) · Z . La definizione di N1(√γ
i) è intrinseca: sappiamo che
N1(γi) = N1( ˜γi)/hAγii, e q Aγi 2 = Aγi, per cui N 1(√γ i) è un quoziente di N1(γ i).
Ora, per i 6= j, chiamiamo n(i, j) ∈ N1(γ
i) il vettore unitario in γi ∩ ηj che
punta nella direzione di ηj. Considerando sempre ˜γicome il sollevamento che in H3
sia la retta da 0 a ∞, abbiamo cheq
Aγi scambia i sollevamenti di n(i, i−1) (ossia i
vettori in ˜γi∩˜ηi−1che puntano nella direzione di ˜ηi−1, al variare del sollevamento di
ηi−1scelto) con quelli di n(i, i + 1), per cui ha senso considerare la coppia formata
da n(i, i − 1) e n(i, i + 1) come elemento di N1(√γ
Sottolineiamo ora un fatto importante.
Proposizione 19. Se ρ : π1(Π0) → PSL(2, C) è una rappresentazione fedele e
discreta per cui per ogni elemento C di bordo si ha hl(C) ∈ R+, allora si ha,
even-tualmente a meno di coniugio, che ρ(π1(Π0)) ∈ PSL(2, R), e che H2/ρ(π1(Π0)) è
un paio di pantaloni topologico.
Dimostrazione. Utilizziamo per Π0 la notazione del Π di questa sezione, con le
tre curve di bordo denominate C0, C1 e C2. Sappiamo che, a meno di coniugio,
possiamo normalizzare ρ rispetto a un rappresentante c0 di C0: questo vuol dire
che ρ(c0) avrà per asse la retta da 0 a ∞ in H3, e avrà lunghezza di traslazione
complessa l(C0). Dal momento che questa trasformazione si scrive sul bordo come
q l(C0) 0 0 √1 l(C0)
e hl(C0) è reale positivo, abbiamo che anche l(C0) lo è, per cui ρ(c) ∈ PSL(2, R).
Una volta quindi scelto il rappresentante di ρ come sopra, scegliamo due rap-presentati c1 e c2 rispettivamente di C1 e C2, e consideriamo gli assi di ρ(c0), ρ(c1)
e ρ(c2). Questi, insieme alle loro perpendicolari comuni (presi a due a due),
for-mano un esagono sghembo su H3: se riusciamo a dimostrare che questo esagono è
contenuto in H2 ⊂ H3, otteniamo la tesi.
D’altra parte, per ogni i, sappiamo che i segmenti geodetici di questo esagono corrispondenti agli assi di ρ(ci) hanno lunghezza hl(Ci). Per il teorema del coseno
inoltre abbiamo che, detto ηi il segmento ortogonale a ci−1 e ci+1,
cosh(l(ηi)) = cosh(hl(C
i)) − cosh(hl(Ci−1)) cosh(hl(Ci+1))
sinh(hl(Ci−1)) sinh(hl(Ci+1))
ed essendo hl(Ci) reale per ogni i lo sarà anche cosh(l(ηi)), e conseguentemente
l(ηi) dal momento che viene considerato modulo 2iπ. Quindi, avendo l’esagono
lati di lunghezza complessa senza parte immaginaria, esso sarà contenuto in H2 ⊂
H3.
Vale anche il viceversa, ossia che se abbiamo una rappresentazione fedele e discreta ρ : π1(Π0) → PSL(2, R) ⊂ PSL(2, C) e H2/ρ(π1(Π0)) è omeomorfo alla
parte interna di Π0, allora hl(C) ∈ R+ per ogni componente di bordo C.
Adesso possiamo fare la seguente costruzione: prendiamo S0 superficie chiusa
orientata di genere almeno 2, e C0 decomposizione in pantaloni di tale superficie;
identificheremo con C∗ l’insieme ottenuto prendendo ciascuna di queste curve sia
con un’orientazione che con l’altra. Per quanto visto nel capitolo introduttivo, detto g il genere della superficie, C0 ha 3g−3 elementi e C∗ ne ha 6g−6. Definiamo
1.1. COORDINATE DI FENCHEL-NIELSEN COMPLESSE 7 quindi un paio di pantaloni Π per (S0, C0) come la chiusura di una delle componenti
connesse di S0\ C0, e un paio di pantaloni marcato come una coppia (Π, C), con
C ∈ C∗ componente di bordo di Π orientata in modo tale che, percorrendo C lungo l’orientazione, Π stia sulla sinistra. Si può osservare che per ogni paio di pantaloni marcato (Π, C) ne esiste un altro (Π0, C0) tale che C0 sia la stessa curva di C
considerata però con l’orientazione opposta (cosa che denoteremo con C0 = −C),
anche se a priori Π potrebbe coincidere con Π0.
Supponiamo che ρ : π1(S0) → PSL(2, C) sia una rappresentazione che una
volta ristretta su π1(Π) sia discreta e fedele per ogni paio di pantaloni Π ottenuto
da (S0, C0) - cosa che non dipende dal punto base - e che a ρ, come detto prima,
corrisponda una certa funzione continua f : S0 → H3/ρ(π
1(S0)) (cosa che
denote-remo con ρ = f∗). Con queste ipotesi si ha che per ogni paio di pantaloni (Π, C)
esiste un’unica geodetica γ liberamente omotopa a f(C), e ha senso definire hlΠ(γ)
con la f così trovata.
Proposizione 20. Se (Π0, C0) è il paio di pantaloni con C0 = −C, si ha che
hlΠ(C) = hlΠ0(C) oppure hlΠ(C) = hlΠ0(C) + iπ.
Dimostrazione. Sappiamo che f manderà C e C0nello stesso elemento di PSL(2, C),
per cui lΠ(C) = lΠ0(C), e hlΠ(C) = hlΠ0(C) è verificata a meno di aggiungere iπ
a uno dei due termini.
Se tra questi due casi è il primo a verificarsi, possiamo scrivere hl(C) =
hlΠ(C) = hlΠ0(C).
Definizione 21. Con la notazione utilizzata, una rappresentazione si dice valida
se per ogni paio di pantaloni Π di (S0, C0) è discreta e fedele su Π, ed è inoltre tale
che hlΠ(C) = hlΠ0(C) per ogni coppia di pantaloni Π, Π0 contenente C.
Data una rappresentazione valida, possiamo quindi definire s(C) = footγ(ρ|Π) − footγ0(ρ|0
Π) − iπ
dove la differenza footγ(ρ|Π) − footγ0(ρ|0Π) indica la distanza su C tra footγ(ρ|Π)
e footγ0(ρ|0
Π). Per com’è definita, s(C) ∈
C/2πiZ + hl(C) · Z
. La definizione è buona dato che scambiando nella costruzione (Π, C) con (Π0, C0) la differenza tra
footγ e footγ0 si inverte, ma lo fa anche l’orientazione di γ. Abbiamo quindi definito
gli oggetti (hl(C), s(C)), che chiameremo coordinate ridotte di Fenchel-Nielsen per ρ.
1.2
Rappresentazione quasi-Fuchsiana di un
grup-po di superfici
In questa sezione enunceremo il teorema principale di questo capitolo, e inizieremo a vedere i concetti legati ad esso.
Iniziamo col definire tre di questi concetti:
Definizione 22. Un omeomorfismo f tra due spazi metrici (X, dX) e (Y, dY) si
dice K−quasisimmetrico se esiste una mappa crescente K : [0, +∞) → [0, +∞) tale che per ogni tripla x, y, z ∈ X valga la seguente disuguaglianza:
dY(f(x), f(y)) dY(f(x), f(z)) ≤ K d X(x, y) dX(x, z)
Definizione 23. Dato G < PSL(2, C), si dice insieme limite di G l’insieme dei
punti di ∂H3 che siano punti di accumulazione per l’azione del gruppo G su H3.
Definizione 24. Un gruppo Kleiniano è un sottogruppo discreto di PSL(2, C).
Un gruppo quasi-Fuchsiano è un gruppo Kleiniano il cui insieme limite è inclu-so in una curva invariante semplice chiusa. Un gruppo Fuchsiano, infine, è un sottogruppo discreto di PSL(2, R).
Il nostro obiettivo principale per questo capitolo sarà dimostrare il seguente teorema:
Teorema 25. Sia S0 una superficie topologica chiusa orientata di genere almeno
2 con una decomposizione in pantaloni C0. Dato 0 < < 0, con 0 costante
universale, esiste R0() > 0 tale che si verifichi quanto segue. Se ρ : π1(S0) →
PSL(2, C) è una rappresentazione valida tale che
|hl(C) − R 2| < |s(C) − 1| <
R
per un qualche R > R0, allora esiste una rappresentazione ρ0 : π1(S0) → PSL(2, C)
valida tale che hl(C) = R e s(C) = 1 per ogni C ∈ C0, ed esiste una mappa
K−quasisimmetrica h : ∂H3 → ∂H3 tale che
h−1ρ0h = ρ
con K dipendente da e tale che K → 1 uniformemente per → 0. In particolare, ρ è iniettiva e il gruppo ρ(π1(S0)) è quasi-Fuchsiano.
1.2. RAPPRESENTAZIONE QUASI-FUCHSIANA DI UN GRUPPO DI SUPERFICI9 Quello che faremo principalmente in questa sezione è arrivare a enunciare il Teorema 29, e sarà quello il teorema che effettivamente dimostreremo in questo capitolo; una volta provato, da lui seguirà il Teorema 25.
Per il resto della sezione, fissiamo una superficie chiusa orientata S0 di genere
almeno 2 con una decomposizione in pantaloni C0. Fissiamo inoltre un paio di
pantaloni Π di questa decomposizione, i cui bordi sono curve di C0che chiameremo
C0, C1 e C2. L’inclusione Π → S0 induce un omomorfismo iniettivo definito a meno
di coniugio π1(Π) → π1(S0); consideriamo c0, c1 ∈ π1(Π) elementi delle classi di
coniugio di C0 e C1 rispettivamente.
Sia ρ : π1(S0) → PSL(2, C) una rappresentazione valida. A meno di coniugare
per un elemento di PSL(2, C), possiamo supporre che l’asse di ρ(c0) sia la geodetica
da 0 a ∞ nel modello di H3 del semispazio, e che il punto 1 ∈ ∂H3 sia il punto da
cui parte ρ(c1); questa situazione è ottenibile grazie al fatto che ρ è valida e quindi
in particolare iniettiva se ristretta a Π. Con questa configurazione, diciamo che ρ è normalizzata.
Dato ora R > 0, indichiamo con Ω l’insieme delle coppie (z, w) tali che si abbia z ∈ C/2πiZ, z − R 2 <1 w ∈ C/2πiZ + z · Z, |w −1| < 1 R
Se R è abbastanza grande, per esempio R > 2, è possibile associare a ogni C ∈ C0 una coppia (z
C, wC) ∈ Ω e verificare che esiste una rappresentazione valida
normalizzata ρ tale che si abbia hl(C) = zC, s(C) = wC per ciascun C ∈ C0;
dimostreremo questa cosa tra pochissimo.
Supponiamo di avere una rappresentazione valida normalizzata ρ0 : π
1(S0) →
PSL(2, C) con coordinate tali che |hl(C)−R2| <1 e |s(C)−1| < 1
Rper ogni C ∈ C
0,
e chiamiamo z0
C = hl(C) e w
0
C = s(C). Per definizione abbiamo allora (z
0
C, w
0
C) ∈ Ω
per ogni C ∈ C0; vale anche il viceversa, come da seguente proposizione.
Proposizione 26. Supponiamo di prendere per ogni C ∈ C0 una coppia (z
C, wC) ∈
Ω. Allora per R abbastanza grande esiste un’unica rappresentazione valida norma-lizzata ρz,w tale che
• zC = hl(C) e wC = s(C) per ogni C ∈ C0, dove le coordinate di
Fenchel-Nielsen sono riferite a ρz,w.
• La famiglia di rappresentazioni ρz,w varia in modo olomorfo al variare di z
e w.
• Se ρ0 è la rappresentazione normalizzata di cui sopra, ρ0 = ρ
La costruzione della dimostrazione viene trattata in [10] e [7], in particolare quest’ultimo per i dettagli più tecnici.
Dimostrazione. Vogliamo agire in questo modo. Prima di tutto vogliamo definire ρz,w sul gruppo fondamentale del paio di pantaloni fissato Π, e in maniera analoga
potrà essere definito su ogni paio di pantaloni della decomposizione C0.
Successi-vamente vogliamo incollare queste rappresentazioni, o in altre parole mostrare che ρz,w normalizzata su Π può essere estesa all’unione di Π con i pantaloni di C0 a
esso adiacenti: in questo modo, induttivamente, ρz,w sarà definita su tutto π1(S0).
Prendiamo dunque il paio di pantaloni Π: vogliamo costruirgli una rappresen-tazione normalizzata ρ tale che (hl(Ci), s(Ci)) = (zCi, wCi) per ogni i ∈ {0, 1, 2}.
Iniziamo dal considerare che, data una trasformazione M ∈ SL(2, C) di lun-ghezza di traslazione complessa l(M), vale la formula
tr(M) = 2 coshl(M)2 (1.2.1)
la formula può risultare ambigua dato che la traccia di M è definita a meno di moltiplicazione per ±1 per via del fatto che M ∈ SL(2, C), ma d’altra parte una volta definita l(M) abbiamo che l(M )
2 è definita a meno di sommare un termine
iπ dal momento che l(M) ∈ C/2iπZ, per cui entrambi i termini della 1.2.1 sono definiti a meno di segno.
Il gruppo fondamentale di un paio di pantaloni Π è generato dai rappresentanti delle classi di coniugio dei bordi c0, c1, c2, e possiamo scegliere di mandarli in tre
elementi tali che c0c1c2 vada a finire nell’identità, cosa che quindi supporremo da
qui alla fine della dimostrazione.
Lemma 27. Scelti tre numeri σ0, σ1, σ2 ∈ C a parte reale positiva, esiste un
omomorfismo ρ : π1(Π) → SL(2, C) tale che tr(ρ(ci)) = −2 cosh σi, e che, se gli
estremi degli assi dei ρ(ci) sono a due a due disgiunti, questo è unico a meno di
coniugio su SL(2, C).
Dimostrazione. L’omomorfismo lo costruiamo così. Normalizzandolo in modo che l’immagine di c0 abbia l’asse di estremi 0, ∞ e quella di c1 abbia come punto fisso
repulsivo 1, definiamo ρ(c2) = 1 S0 −C 2S0+ C2C0+ C1 −(C2+ C1C0− S1S0)(C0+ S0) (C2+ C1C0+ S1S0)(C0− S0) −C2S0− C2C0− C1 ρ(c1) = 1 S0 −C 1S0+ C1C0+ C2 −C2− C1C0 + S1S0 C2+ C1C0+ S1S0 −C1S0− C1C0− C2 ρ(c0) = −C 0 − S0 0 0 −C0+ S0
1.2. RAPPRESENTAZIONE QUASI-FUCHSIANA DI UN GRUPPO DI SUPERFICI11 Dove Si = sinh σi, Ci = cosh σi. Per com’è stato costruito ρ abbiamo che l’asse
dell’immagine di c0 è la retta da 0 a ∞, e l’asse dell’immagine di c1 ha come punto
fisso 1 dato che la somma dei termini della prima riga è uguale a quella dei termini della seconda; inoltre è facile verificare che le tracce sono come volevamo.
Passiamo ora a dimostrare l’unicità. Supponiamo di avere un’altra rappresen-tazione ρ0 con queste proprietà, e analizziamo innanzitutto il caso in cui i ρ0(c
i) non
abbiano tutti i punti fissi distinti tra loro; esiste allora un punto fisso in comune a tutti e tre i ρ0(c
i), altrimenti c0c1c2 non potrebbe essere mandato nell’identità.
Supponiamo che questo punto sia 0, e facciamo in modo che gli altri punti fissi di ρ0(c1) e ρ0(c0) siano 1 e ∞. La scrittura diventa così:
ρ0(c2) = a 2 0 b2 a12 ρ0(c1) = a 1 0 b1 a11 ρ0(c0) = 1 a1a2 0 0 a1a2
Dal momento che tr(ρ0(c
i)) = −2 cosh σi, ricaviamo a1 = e±σ1, a2 = e±σ2, e eσ0 =
e−σ1−σ2, il che implica che la somma dei σ
i sia 2iπ. Se quindi i σi non verificano
questo, i ρ0(c
i) hanno tutti i punti fissi distinti tra loro. Dato che nella proposizione
abbiamo supposto R grande abbastanza, non sarà questo il nostro caso. Una volta che sappiamo che gli assi dei ρ0(c
i) non hanno punti fissi in
comu-ne, facciamo in modo che gli assi di ρ0(c
1) e di ρ0(c0) abbiano come punti fissi
rispettivamente (1, p) e (0, ∞), e che ρ0(c
2) sia rappresentata dalla stessa
geode-tica ottenuta normalizzando ρ. Costruendo quindi l’esagono retto sghembo con quelle tre rette, abbiamo che i lati corrispondenti a quelle tre geodetiche hanno lunghezza complessa pari a σi a cui può essere aggiunto un termine iπ a seconda
di come orientiamo gli altri tre lati, e li orienteremo in modo di aggiungere tale termine. Il teorema del coseno ci dice che, chiamando le altre lunghezze τi con la
notazione di prima, vale
τi =
−C2− C1C0
S1S0
Il che prova che
p= C2+ C1C0− S1S0 C2 + C1C0+ S1S0
che però vuol dire che ρ(c1) e ρ0(c1), in seguito alla normalizzazione, sono
rappre-sentati dalla stessa geodetica, e quindi che ρ e ρ0 coincidono a meno di coniugio in
In questo modo, scegliendo σi = zCi, abbiamo la rappresentazione richiesta ρ
per Π, e abbiamo che è unica a meno di coniugio.
A questo punto dobbiamo incollare i pantaloni, o meglio, estendere ρ a tutta S0. Per semplicità trattiamo il caso di Π come sopra e Π0 tale che −C
0 sia un
bordo di Π0: dal momento che le rappresentazioni sinora create possono essere,
tramite coniugio, rinormalizzate in modo tale che l’asse e l’estremo scelti siano arbitrari, utilizzare questo procedimento opportunamente riadattato ci permetterà di estendere ρ come richiesto.
Prendiamo quindi ρ come sopra che normalizza Π rispetto a c0e c1. Chiamiamo
˜
Ci gli assi di ρ(ci) in H3, e D l’ortogonale comune di ˜C0 e ˜C1 orientata verso
quest’ultima. Per quanto riguarda Π0, facciamo la stessa costruzione: chiamiamo
Ci0i suoi bordi in modo tale che C00 = −C0, c0i rappresentanti di tali bordi in π1(Π0),
e ρ0 la rappresentazione normalizzata rispetto a c0
0 e c01. Chiamiamo inoltre ˜Ci0 gli
assi di ρ0(c
i), e D0 l’ortogonale comune di ˜C00 e ˜C 0
1 orientata verso quest’ultima.
A questo punto consideriamo la trasformazione iperbolica Ap ∈ PSL(2, C) che
abbia per asse la retta tra 0 e ∞, e mandi 1 ∈ ∂H3 in un certo punto p ∈ C = ∂H3.
Noi definiremo ρp nel seguente modo. Per ogni i ∈ {0, 1, 2} definiamo:
• ρp(ci) = ρ(ci)
• ρp(c0i) = Ap◦ ρ0(c0i).
Per com’è definita, ρp è un’estensione di ρ a Π∪Π0. A noi, nello specifico, interessa
un caso particolare. Chiamiamo Ci gli assi di ρp(c0i), e D l’ortogonale comune tra
C0 e C1 orientata verso quest’ultima. Per come l’abbiamo definita, C0 = ˜C0, per
cui possiamo calcolare dC˜0(D, D), e questa varierà in tutto C/2πiZ a seconda del
p scelto: scegliamo allora p in maniera tale che dC˜0(D, D) = wC0. Per ρp, allora,
abbiamo che s(C0) = wC0, che è ciò che volevamo.
Estendendo ulteriormente questa rappresentazione nella maniera illustrata a tutti i pantaloni che contengono S0, otteniamo in maniera induttiva una
rappre-sentazione ρz,w su S0, che per costruzione si comporta come richiesto.
Ricordiamo che, con la notazione che stiamo usando, S0 indica una superficie
chiusa e C0 una sua decomposizione in pantaloni.
Definizione 28. Dato C ∈ C0, siano ζC, ηC elementi del disco unitario aperto
D ⊂ C, e τ un parametro complesso a valori in D. Fissiamo R > 1 e definiamo
hl(C)(τ) = 1
2(R + τζC)
s(C)(τ) = 1 + τ ηC R .
1.2. RAPPRESENTAZIONE QUASI-FUCHSIANA DI UN GRUPPO DI SUPERFICI13 Scegliamo inoltre un paio di pantaloni Π nella decomposizione e due elementi
c0, c1 ∈ π1(Π) ⊂ π1(S0), e definiamo inoltre ρτ come la rappresentazione
vali-da normalizzata rispetto a c0 e c1 le cui coordinate ridotte complesse di
Fenchel-Nielsen siano appunto (hl(C)(τ), s(C)(τ)).
In particolare, vediamo che ρ esiste per ogni scelta di ζC, ηC, τ ∈ D dato che
il fatto che abbiano modulo inferiore a 1 ci assicura che (hl(C)(τ), s(C)(τ)) ∈ Ω, e vediamo inoltre che ρτ dipende in maniera olomorfa da τ. Siamo pronti a
enunciare il teorema che implicherà quello enunciato a inizio sezione, e che sarà nostro obiettivo dimostrare nel resto del capitolo.
Teorema 29. Data una superficie chiusa S0 con una decomposizione in
panta-loni C0, fissati ζ
C, ηC nel disco unitario di C, esistono due costanti ˆR,ˆ tali che
per ogni R ≥ ˆR e |τ| < ˆ il gruppo ρτ(π1(S0)) è quasi-Fuchsiano ed esiste una
mappa quasisimmetrica fτ : ∂H2 → ∂H3 che coniuga ρ0 con ρτ ed è una mappa
K(τ)−quasisimmetrica, dove
K(τ) = ˆ+ |τ| ˆ− |τ| .
Il resto di questo capitolo sarà dedicato alla dimostrazione di questo teorema, e di conseguenza alla dimostrazione del Teorema 25.
Il primo passo sarà stabilire la notazione. Fissati S0, C0, ζ
C, ηC come sopra, per
ogni τ indichiamo con Cτ(R) l’insieme degli assi in H3 di tutti gli elementi ρτ(c)
, dove i c ∈ π1(S0) sono nella classe di coniugio di un C ∈ C0 fissato. Scegliamo
due di questi assi, chiamiamoli C(τ) e ˆC(τ), e chiamiamo inoltre O(τ) la loro ortogonale comune in H3. Dato che C(τ) e ˆC(τ) variano in maniera olomorfa
rispetto a τ in H3, lo stesso vale per O(τ), e in particolare per i suoi estremi in
∂H3.
Osservazione 30. C(τ) e ˆC(τ) sono ultraparalleli. Infatti, supponiamo per sem-plicità che siano gli assi di ρτ(c) e ρτ(tct−1), e che C(τ) abbia a, b come
estre-mi: gli estremi di ˆC(τ) sono allora i punti ρτ(t)(a), ρτ(t)(b) rispettivamente. Se
d = C(τ) ∩ ˆC(τ), abbiamo che ρτ(t) fissa d, impossibile dato che è iperbolica.
Inoltre, è noto che in una varietà iperbolica completa gli assi di due isometrie iperboliche non sono mai asintoticamente paralleli.
Sappiamo che O(0), che orienteremo da C(0) a ˆC(0), interseca un numero finito di geodetiche di C0(R), che chiameremo nell’ordine C0(0), . . . , Cn+1(0), dove con
C0(0) indichiamo C(0) e con Cn+1(0) indichiamo ˆC(0). Vogliamo orientare inoltre
Figura 1.4: Le geodetiche descritte. È stato in particolare evidenziato in rosso l’esagono costruito nel teorema 34.
abbiamo che le geodetiche orientate Ci(τ) variano anch’esse in maniera olomorfa
rispetto a τ.
Definiamo Ni(τ) come l’ortogonale comune tra O(τ) e Ci(τ), orientata in modo
che dNi(τ )(O(τ), Ci(τ)) abbia parte immaginaria positiva, e definiamo inoltre Di(τ)
l’ortogonale comune tra Ci(τ) e Ci+1(τ), sempre orientata in modo che l’angolo tra
Di(0) e Ci(0) sia positivo. Infine, consideriamo Fi(τ) come l’ortogonale comune
tra O(τ) e Di(τ), orientata in modo tale che l’angolo tra O(0) e Fi(0) sia positivo.
È facile vedere che F0(τ) = C0(τ) e Fn(τ) = Cn+1(τ) (vedi figura 1.4).
Da questo momento ometteremo la dipendenza dal parametro τ degli oggetti sopra definiti, considerandola sottintesa.
1.3
Stime preliminari
Costruiremo ora degli strumenti che ci permetteranno di dimostrare il Teorema 29, a iniziare da una formula per la derivata di d0(C0, Cn+1), sempre con la notazione
di prima. Per fare questo però apriamo prima una piccola parentesi per descrivere brevemente alcune proprietà riguardanti esagoni iperbolici.
1.3. STIME PRELIMINARI 15
Figura 1.5: Il pentagono in questione. La retta Mn, ortogonale comune di Ln e
Ln+3, delimita due pentagoni: quello che considereremo noi sarà quello di destra.
Le prime cose che dovremmo ricordare sono la definizione di esagono iperbolico retto sghembo (Definizione 15) e i teoremi del seno e del coseno per questi esagoni, enunciati nella precedente sezione. La notazione che utilizzeremo sarà quella in cui chiamiamo Li i lati dell’esagono che consideriamo e σi le rispettive lunghezze
complesse, con gli indici ovviamente considerati modulo 6 e i σi definiti a meno di
un termine iπ fino a quando non viene fissata un’orientazione sui lati.
Ora, chiamiamo Mn la perpendicolare comune a Lne Ln+3 e pn = d(Ln, Ln+3);
nel caso Li e Li+3 siano asintoticamente paralleli o incidenti, pn avrà valore
rispet-tivamente zero o a parte reale nulla. Abbiamo comunque il seguente
Lemma 31.
cosh pn = − sinh σn−2sinh σn−1
Dimostrazione. Scegliamo un’orientazione per Mn e, al pentagono formato da
Ln, Mn, Ln+3, Ln−2, Ln−1, uniamo un lato L orientato nel punto d’intersezione tra
Ln−1e Ln, facendo riferimento alla figura 1.5. Possiamo vedere che dL(Ln−1, Ln) =
±iπ
2, e dLn−1(Ln−2, Ln) = σn−1 ± i
π
2. Sostituendo nella formula del teorema del
coseno per cosh dLn−1(Ln−2, Ln), abbiamo la tesi.
Ci tornerà utile anche questo:
Lemma 32. In un esagono rettangolo sghembo valgono le seguenti formule:
cosh σn−1sinh σn+1+ sinh σn−1cosh σn+1cosh σn = − cosh σn+2sinh σn+3
Dimostrazione. La prima formula si ricava dal teorema del coseno applicato su cosh σn+2, sostituendo
cosh σnsinh σn−1sinh σn+1+ cosh σn−1cosh σn+1
al posto di cosh σn+3. L’altra formula si ricava in maniera analoga.
Questo ci permette di dimostrare la formula della derivata all’interno di un esagono, che vedremo dopo questa proposizione.
Proposizione 33. Con la notazione precedente, supponiamo di avere un
esago-no rettangolo sghembo con i lati orientati, e le distanze complesse σn dipendenti
in maniera olomorfa da una variabile complessa ζ. Denotando con 0 la derivata
rispetto a ζ, abbiamo
cosh pnσ0n= −(σ
0
n+3+ cosh σn−2σ0n−1+ cosh σn+2σn+10 )
Dimostrazione. Cominciamo con la formula del teorema del coseno, nella forma sinh σn+1sinh σn−1cosh σn = cosh σn+3−cosh σn+1cosh σn−1
Derivando rispetto a ζ e utilizzando le sostituzioni del lemma precedente, ottenia-mo
sinh σn+1sinh σn−1sinh σnσn0 =
= sinh σn+3(σn+30 + cosh σn+2σ0n−1+ cosh σn−2σn+10 )
Da cui, applicando il teorema del seno e il Lemma 31, otteniamo la tesi.
Possiamo quindi applicare questa proposizione per dimostrare la formula della derivata, che vediamo ora.
Teorema 34. d00(C0, Cn+1) = n X i=0 cosh(dFi(O, Di))d 0 Di(Ci, Ci+1) +Xn i=0 cosh(dNi(O, Ci))d 0 Ci(Di−1, Di)
Dove la derivata è intesa rispetto a τ.
Dimostrazione. Per ogni indice i da 1 a n consideriamo l’esagono retto sghembo evidenziato nella figura 1.4 che ha per lati O, Fi, Di, Ci, Di−1, Fi−1. Dal
momen-to che ognuno di questi esagoni varia in maniera olomorfa al variare di τ, dalla proposizione precedente otteniamo:
d0O(Fi−1, Fi) = cosh(dNi(O, Ci))d
0
Ci(Di−1, Di)+
+ cosh(dFi−1(O, Di−1))d
0 Di−1(Fi−1, Ci)+ + cosh(dFi(O, Di))d 0 Di(Ci, Fi) (1.3.1)
1.3. STIME PRELIMINARI 17 Ora, dalle identità F0 = C0 e Fn= Cn+1 seguono facilmente le seguenti relazioni:
n X i=0 dO(Fi−1, Fi) = dO(C0, Cn+1) d0D0(F0, C1) = d0D0(C0, C1) d0Dn(Cn, Fn) = d0Dn(Cn, Cn+1)
Tenendo conto di queste, e rielaborando la formula scritta subito sopra (vale a dire l’equazione 1.3.1), insieme all’identità
dDi(Ci, Fi) + dDi(Fi, Ci+1) = dDi(Ci, Ci+1)
si arriva a dimostrare la formula richiesta. In particolare, l’identità appena enun-ciata permette di unire le ultime due sommatorie del termine di destra nell’e-quazione 1.3.1 in quella che sarà la prima delle sommatorie del termine di destra dell’equazione enunciata nel teorema.
Quello che in particolare ci interessa fare in questo capitolo è cercare di sti-mare i termini di destra nell’equazione del teorema appena citato. Man mano che andremo avanti, spiegheremo esattamente in che modo intendiamo farlo.
Continuiamo a utilizzare la stessa notazione, in cui H è un esagono retto sghem-bo orientato in modo coerente di lati Lk, con k interi modulo 6, le cui lunghezze
complesse verranno denotate dal rispettivo σk. Ricordiamo ancora una volta il
teorema del coseno, che ci dice cosh(σk) = cosh(σ
k+3) − cosh(σk+1) cosh(σk−1)
sinh(σk+1) sinh(σk−1)
Supponiamo σ2j+1 = 12(R + a2j+1) + iπ, con a2j+1 ∈ D (il disco unitario aperto di
C) per ogni j modulo 3 - in altre parole, supponiamo di poter scrivere in quel modo le lunghezze dei lati di H con indice dispari. Un esagono con questa proprietà si dice esagono sottile. Dalla formula del teorema del coseno di cui sopra, si ricava in questo caso la seguente proposizione.
Proposizione 35. Se σi sono le lunghezze complesse dei lati di un esagono sottile,
si ha
σ2j = 2e
1
4[−R+a2j+3−a2j+1−a2j−1]+ iπ + O(e− 3R
4 ) (1.3.2)
(Vedere [1] per maggiori dettagli). Dimostrazione. Sappiamo che
cosh(σ2j) =
cosh(σ2j+3) − cosh(σ2j+1) cosh(σ2j−1)
sinh(σ2j+1) sinh(σ2j−1)
= − coth(σ2j+1) coth(σ2j−1) +
cosh(σ2j+3)
Però sappiamo che, dato che per k dispari σk = R+a2 k + iπ, abbiamo coth(σk) = eR+ak2 + e− R+ak 2 eR+ak2 − e− R+ak 2 = 1 + 2 e− R+ak 2 eR+ak2 − e− R+ak 2 = 1 + O(e−R) Per cui
coth(σ2j+1) coth(σ2j−1) = 1 + O(e−R)
e l’equazione originale diventa
cosh(σ2j) = −1 + O(e−R) − 2 eR+a2j+32 + O(e− R 2) eR+a2j+1+a2j−1+ O(1) = −1 − 2e−R+a2j+3−a2j+1−a2j−12 + O(e−R) (1.3.3)
Per la formula inversa del coseno iperbolico sappiamo che che σ2j = ln
cosh(σ2j)+ q cosh2(σ 2j) − 1 , da cui si ricava σ2j = ln −1 − 2e−R+a2j+3−a2j+1−a2j−12 + q 4e−R+a2j+3−a2j+1−a2j−12 + O(e− R 2) = ln1 + 2e−R+a2j+3−a2j+1−a2j−14 + O(e− R 2) + iπ
Utilizzando lo sviluppo in serie di Taylor al primo ordine, si ottiene quindi σ2j = 2e
−R+a2j+3−a2j+1−a2j−1
4 + iπ + O(e−
3R 4 )
che è appunto il risultato che cercavamo.
Grazie alla formula del pentagono si può stimare la distanza iperbolica tra lati opposti dell’esagono:
Lemma 36. Con la stessa notazione, vale
R
4 −10 < d(Lk, Lk+3) <
R 4 + 10 per R abbastanza grande.