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Cronache Economiche. N.268, Aprile 1965

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(1)

CAMERA DI COMMERCIO

INDUSTRIA E AGRICOL TURA DI TORINO

(2)

OLiVETTI PRAXIS 48 UNA DIMENSIONE NUOVA NELLA SCRITTURA ELETTRICA È una macchina di prestigio

che assicura una qualità e quantità di prestazioni rispondenti alle esigenze del privato,

del minor lavoro dell'ufficio e dello studio professionale. Per la razionalità del suo disegno e per la facilità dei suoi comandi può essere usata da tutti.

(3)

cronache

economiche

mensile a cura della camera di commercio industria e agricoltura di torino

numero 268 - aprile 1965

Corrispondenza. manOSCritti. pubblicazioni deb-bono essere Ind.rizu,ti alla DireZione della RI-vIsta. L'accettazione degh articoli dipende dal ,1I.ldizIO insmdaclbtle della DireZione. Gli scritti firmati e s.glati rispecchiano soltanto il pen-Siero dell'autore e non impegnano la DireZione della RIVISU nè l'Amministrazione CJmerale. Per le recensioni le pubblicazioni debbono es-sere InVlue In duplice copia. E' vietata lil n-Draduzione de,Ii articoli e delle note senza '-autorizzazione della D.rezione. I manOSCrI[(I, anche se non pubblicaCl. non SI restitUiscono.

Direttore responsabile: Pro! Dott. Giuseppe Carone

sommano

G. Agnelli

3 La situaZione dell'm:Justria meccanica m Piemonte e sue prospettive

G. M. Vitelli

10 I raglonlen neo-diplomati e le eSigenze del mondo produttivo

G. Biraghi

12 "programma Italiano di sviluppo economico e gli enti locali, terri -tonali e Istituzionali.

F. Saia

15 L'economia agricola sovietica e i SUOI problemi attuali

G. Sacerdote

23 Una politica per l'export

R. Videsott

27 "Parco NaZionale del Gran ParadiSO problemi e prospettive

75 Tra I libri

75 In biblioteca

84 Dalle rivlst3

Direzione, redazione e amministrazione

Torino _ Palazzo Lascaris • via Alfieri, 15 - Telefono 553.322

(4)

CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA E AGRICOLTURA E UFFICIO PROVINCIALE INDUSTRIA E COMMERCIO

Sede: Palazzo Lascaris - Via Vittorio Alfieri, 15. Corrispondenza: Via Vittorio Alfieri, 15

- Torino (120) - Casella Postale 413. Telegrammi: Camcomm.

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Servizio Cosso: Cassa di Risparmio di Torino - Sede Centrale - C c 53.

BORSA VALORI

Via San Francesco da Paola, 28. Telegrammi: Borsa.

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BORSA MERCI

Via Andrea Doria, 15.

Telegrammi: Borsa Merci - Via Andrea Doria, 15. TelefOni: 55.31.21 (5 linee).

GABINETTO CHIMICO MERCEOLOGICO

(5)

La

situazione dell'industria meccanica

in Piemonte e sue prospettive

*

J)ali sulla .<;ifllazioue delfilHlusf)'ia meccanica iII Piemonte al/a fil/e del 196..J.

Xel quadro della situazione cconomica geJ]e-rale del Pa('~(', l'industria meccanica piemontese "io('a un ruolo della mas'iima importanza. Quan-titntinllnentl' l'industria meccanica. piemontese occupa oltre l 5 degli oC'eupati nell'industria IlH'('cHnicH italiana c il 7°'0 degli occupati del-l'indu..,tria italiana in complesso.

(~uali tati nllnente l' incidenza dell'ind tlstria nlecC'Hnic<! pielllontese è certamente superiore al rapporto Cjuantitati"o. poichè la pl'oclutti\'ità Illcdia c1ell'ind Llstria meeeu Iliea i n Pi mon te è apprezzabilmente piìl ele\'ata eli quella na-zionale .

Possiamo quindi dire subito che in un esame, sia pur brc\'e, della situazione congiunturale dell'i nel llS trin meeea niea della nostra regione, trO\l'rCTllO non ..,010 riflesse, ma addirittura ae-('en tua te. Ci ueIle che ~ono le caratteristiche at-tuali della congiuntura Dell'intera industria IlH'cculli('a italiana.

~la prima di fare 'iò, "ediamo rapidamente ('ome la cOJlQ'iuntura si è caratterizzata, nel corso del l!Hi~, nei principali Paesi o('eidentali ehe ,>ono in stretta eonnessione con il nostro si ... tema ('eol1omico.

:\lcnire negli altri pacsi del ;\Iereato Comune, si sono reu'istrati, aneora nel corso del ln6-\., f'ol'tis..,imi

~~'il\lppi

della produzione industriale. in Italia la produzionc non ha regi,>trato alcun incf('!1lento ri"'petto alranno precedente.

~l'1 l nlj ~ di fronte ad un incremento eom· ple ... ..,i\() dclla Comunità elel 6,.5 0'0 ri.,petto al 1 !}(ja, l'industria italiana, che pure aye\'a regi-strato un inercmento del noo nel corso del ln63.

ha r('gi~trato soltanto un lieyissimo inel'cmento dello 0,.')0"0'

. ..\nche l'oC'cupaziol1e è: cre,;eiuta nella Comu-nità con li!) ritmo superiore all'anno precedente. mcntl'(' in Italia \i è tata una contrazione in sen..,o a~~olllto, prohahilmentc di eirca :300.000 unità.

Giovanni

Agnelli

In Gran Bretag'na il 1!){j t non (' ..,tato così brillante come nei paesi della Comunità; tutta-\'ia l'iJlel'emento del reddito è stato del .3 °'0 in termini reali, gli ilwestirnC'llti ,;ono ..,aliti del ] ~O;O, mentre i consumi pri\'ati !',ono saliti sol· tanto del 3°0'

Xegli Stati Pniti, {( l'annala eeonomica» l!lG ~ è stata una delle migliori, eon un incre-mento del reddito in termini reali del ~,(ì°o rispetto al ] 06:3; gli in\'e~timenti sono ~aliti del 7,50 () ecl i con"umi pri\'ati ~0110 ,>aliti del ~,5°0' In Italia il reddito nazionale ~i (' aecresciuto ~oJtant() del 2,7 o o (in tel'mi ni l'l'a li), malgrado reccezional apporto della fa\'ore\'ol annata agraria.

Dal ] 9;')0 al 1963 l'eeonomia italiana era sempre stata in ascesa: in questo lungo periodo il rcddito è aumentato con un tasso medio anlluo cl cl 6,8°'0; i eonsumi con un tasso clcl5,10~ e gli investimenti c n un tasso dd

n.ooo

'

Xel corso del 1\164, in\'ece questa tendenza è ~tata nettamcnte invertita c questa inversione si è manifcstata soltanto in Italia.

L'inverc;ione della tendenza è: stata pftl ac-centuata nelle grandi aree industriali, poi eh è gli impulsi po~iti"i e negativi ~i trasmettono con un certo ritardo alle altrc aree.

Perciò, l'industria piemontese c in partico-lare qu 1Ia torinese hanno subito in generale una in\'ersione di tendenza di maggiorc inten-~ità, rispetto all'indu "tria italiana in complesso.

In parti('olare il fcnomeno delri\1\'cr!:l~one della tendenza !:li è manifestato in forma cospicua nel settore meccanico, faccndo tuttavia regi-strare tendenze di intcnsità differente. Per rile-varie si sono considerate, in prima approssi-mazione. le industrie meccaniche che svolgono una funzione « motrice l) rispetto allo s"ilupp industriale complessivo, eparatamente dalle industrie che non s\'olgono questo ruolo.

• Bntni dr! tr,to drlla ('onferc'llza tenuta dal1'lI'·'·. Gioyan?i .\gll\!Jlj ai Sot'i dell'A __ ociaziollC' Piemonte Italia il 22 febbraIO ] Ofi'; a Torino.

(6)

In Piemonte sono considerate attività « mo-tTici » le industrie automobilistiche, delle attTezza-tw'e per t~tficio, e dei cuscinetti Cl 1'otolamento, Per apprezzarne la loro funzione di punta ri-spetto al complesso delle altre industrie mec -caniche, basti considerare che in termini di valore aggiunto queste industrie motrici rap-presentavano nel 1959 il 57% del valore a g-giunto complessivo dell'industria meccanica pi e-montese, con il 43 % degli addetti.

Il valore aggiunto per addetto delle indu-strie meccaniche motrici è d'altra parte del 74% più elevato di quello delle restanti industrie meccaniche piemontesi c dell'Italia in com-plesso,

~ el settore degli a'utoveicoli nel lungo periodo compreso tra il 1951 e il 196.j" la produzione annua di autovetttM'e è continuamente salita con un tasso medio annuo composto del 19%, enza apprezzabili oscillazioni; nel campo degli. autoveicoli indust1'iali il tasso medio annuo c om-posto è stato del 12 % con maggiori oscilla-zioni a causa della maggiore sensibilità rispetto al ciclo degli investimenti.

In media, questi tassi di espansione hanno prodotto un raddoppio della produzione di au -tovetture ogni quattro anni e della produzione di autoveicoli industriali ogni sei anni. Si tratta di ritmi di espansione quasi vertiginosi.

Ma nel corso del 1964, la produzione ita -liana di autovetture ha subito un decremento rispetto al 1963 del 6,7% e - fatto ancora più significativo - quella dei veicoli industriali un decremento, del 19 %.

E va tenuto conto, a questo proposito, che questa contrazione sarebbe stata di certo piò sensibile se non si fosse verificato un incremento delle esportazioni e sul mercato interno non avesse giocato la sostituzione di una parte note-vole delle importazioni dall'estero.

Nel corso del 1964 le importazioni di vet-ture dall'estero hanno infatti subito un decre -mento del 36%. Nel settore delle macchine per scrivere e da calcolo si registra nel periodo 1952-1964:

- la produzione di macchine per scrivere standard è salita con un tasso annuo del 9 %; - quella delle macchine portatili con un tasso annuo del 17 %;

--.: quella delle macchine da calcolo con un tasso annuo del 22 %.

Però nel corso del 1964, la produzione delle macchine per scrivere standard si è contratta dell'Il %, rispetto al 1963 e quella delle mac-chine da calcolo si è contratta del 21 %; solo nelle macchine portatili si è registrato ancora un aumento del lO %.

41

CRONACHE ECONOMICHE

Le vendite all'estero sono tuttavia se nsibil-mente aumentate nel corso del 196.J., ad ecce-zione delle macchine per scrivere standard.

La produzione dei cuscinetti Cl Totolamel1to, che nel periodo 1950-1964 ha avuto un incre-mento annuo del 10,6 %, ha continuato a salire se pure più moderatamente anche nel corso del 1964, registrando per altro l'avvio di una fles-sione nell'ultimo trimestre,

Si direbbe allora che questo settore ha, meno di altri, risentito dell'inver ione di tendenza. In realtà questa minor vulnerabilità è appa-rente poichè, anche a parte un anormale incre-mento degli stoks, il ritmo di sviluppo registrato nel lungo periodo in questo settore è stato sen-sibilmente inferiore a quello degli altri, confer-ma ndo così la presenza di difficoltà strutturali, cui si sommano ora gli effetti congiunturali.

Per quanto in Piemonte non sia compresa fra le attività motrici, conviene prendere in esame anche la p1'odt~zione di macchine utens'ili, che fornisce una parte cospicua dei macchi -nari utilizzati nell'industria meccanica in com-plesso'

Nel periodo 1951-1963, l'incremento annuo della produzione di macchine utensili per la lavorazione dei metalli è stato del 15 %.

Il volume della produzione nel 1963 si è aggirato intorno alle 100 mila tonnellate, con un residuo di scorte di circa tre mila tonnellate. Nel corso del 1964, la produzione è scesa a 80,000 tonnellate, con un residuo di scorte di 25 mila tonnellate,

La diminuzione del volume delle vendite è perciò del 43 %' Le importazioni sono diminuitc del 49 % e le esportazioni sono diminuite sol-tanto del 3 %.

Pertanto l'assorbimento di macchine uten -sili da parte dell'industria italiana è sceso del 35 % nel corso del 1964.

N el corso dello stesso anno l'indice della pro-duzione meccanica in complesso (esclusa la co-struzione di mezzi di trasporto) mostra una flessione di poco superiore al.1'8 %. Evidente-mente l'ampiezza della crisi, che travaglia pr o-fondamente il settore delle macchine utensili, conferma che le fluttuazioni nella produzione dei beni strumentali precedono nettamente quellc delle industrie utilizzatrici.

Infine un altro indice significativo della situ a-zione è quello fornito dalle variazioni dell'occt~­ pazione.

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).Te] complesso dell'industria torinese le ore-uomo integrate sono passate da 790 mila a 20 milioni e 700 mila, di cui ben lO milioni e 300 mila nel corso dell'ultimo trimestre.

Come è noto la Cassa Integrazione interviene a integrare le retrihuzioni perdute dagli operai con orario settimanale inferiore alle 40 ore. Pertanto la rilevazione delle ore perdute, attra -verso le erogazioni della Cassa Integrazione, è largamentc approssimata per difetto, sia per cffctto delle ore pcrdute oltre le quaranta set-timanali, sia per la diminuzione dell'orario s traOl·di nario.

Nel 1964 i liccnziamenti individuali e col-letti yi, trattati con interventi delle organizza -zioni sindacali, nclla sola industria metalm ec-canica. sono stati 2524.

A questi si aggiungono oltre 6 mila li cen-ziamcnti consensuali, con transazioni indivi-duali.

Ma una ulteriore grave diminuzione dell'o c-cupazione nelle industrie meccaniche torinesi è stata dcterminata dalla mancata sostituzione dei posti di lavoro liberati per effetto del nor-male tasso di rotazione, che varia da azienda ad azienda, principalmente in relazione alla distribuzione per età delle maestranze.

Malgrado la grave e cronica mancanza di rilcvazioni statistiche sulle forze di lavaTo, si può, d'altra parte, assumere come indice, sufficient e-mente approssimato, quello dell'andamento degli avviati al lavoro, che comunque devono essere muniti del « nulla osta » dell'Ufficio di Collo-camento.

Nella sola città di TorinQ vi è stata una pro-gl'e si va riduzione delle 3500 unità lavorative mcnsilmente avviate al lavoro nel 1963, fino alle 900 unità del novembre 1964.

Nella città di Torino, in altre parole, gli avviati al lavoro nel novembre 1964 sono a p-pena il 25 % di quelli avviati nel novembre dell'anno prima.

Nell'intera provincia, sono stati il 37% e nel Picmonte in complesso il 50 %, sempre nel no-yem bre scorso.

Questi primi dati sull'anno trascorso con-fcrmano la presenza di una fase depressiva di notevole ampiezza, tanto ampia, direi, che sembra difficile per ora individuare punti di riferimento che possano essere considerati come « punti di svolta » della depressione: ciò che appare ancora più chiaro se consideriamo alcuni dati globali che interessano tutta l'economia nazionale.

Il saggio di incremento del prodotto nazionale lordo in termini reali è caduto dall'8,6 % del 1961 al 4,8 % del 1963, mentre le stime per il 1964 prevedono una ulteriore sensibile

ridu-zione di que to tas o di espansione. Ancor più marcata la flessione del tasso di incremento degli investimenti lordi in termini reali, che è stato del 19 % tra il 1959 e il 1960 c con costante fl es-sione si è ridotto al 4 % tra il 1962 e il 1963, mentre le prime stime relative al 1964 già ci parlano di una ulteriore allarmante flcssione. Diventa allora indispensabile chiedersi e le difficoltà congiunturali che stiamo oggi attra -versando non abbiano cause più profonde di quelle cui, forse troppo sovente, amiamo rife -rirei, che sono psicologiche e politiche e che certamente esistono, ma che altrettamento cer-tamente, direi, non esistono da sole.

Non voglio qui tentare un panorama co m-pleto di queste cause ma su alcune di esse, che sono assai strettamente legate alla nostra a tti-vità industriale, vorrei soffermarmi almeno un momento.

Considm'o,zioni sullo, congiu:ntw'u econO'lnico, in Ito,Ziu.

Tra i fenomeni che hanno dato origine alla situazione attuale, è opportuno collocare in una posizione di primo piano l'esaurirsi del margine di manodopem disoccupata e la co-nsegv,ente r·idu -zio ne dello squilibrio strtdt'umle tm forze di lavoro e attr·ezzature pr·oduttive che ha cara tte -rizzato a lungo l'economia italiana.

Questo mutamento di struttura ha avuto come conseguenza diretta l'incremento nei li-velli retributivi, sia per l'aumentato potere contrattuale dei sindacati, sia per fenomeni di slittamento salariale, favoriti dalla maggiore mobilità dei lavoratori.

Nei due anni 1962 e 1963 i redditi da lavoro dipendente subivano un aumento medio del

-13 %, un aumento spesso eccedente quello della produttività media del sistema.

Ne è risultata una accentuata redistribuzione del reddito a favore del fattore lavoro, mentre l'aumento dei costi di produzione si traduceva soltanto in parte in un aumento dei prezzi, a causa del deterioramento della Bilancia dei Pagamenti.

La redistribuzione del reddito a favore di classi con una più elevata propensione al con-sumo ha cleterminato una espansione eccezionale della domanda per beni di consumo, non soltanto per effetto dell'aumento di reddito dei con suma-tori, ma anche per l'ingresso di consumatori « nuovi» sul mercato: giova qui ricordare, ad illustrazione di questo mutamento nel modello tipico dei consumi, la rapida deruralizzazione della popolazione e l'acquisizione altrettanto ra -pida delle abitudini di consumo dei centri urhani.

Ad esempio la spesa per i generi alimentari è aumentata in Italia tra il1951 e il 1963 del 28 %.

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D'altra parte, l'acquisizione di beni di con-sumo durevoli procedeva ad un ritmo che impe-gnava quote elevate di reddito non ancora pro-dotto, e che pertanto poteva sostenersi soltanto nei limiti delle possibilità di indebitamento delle famiglie.

Il rovescio della medaglia del fenomeno ap -pena considerato è il 1J?·og1·essivo r-idursi del peso del risparmio nel reddito nazionale. In partico-lare, si riduceva il risparmio di impresa, perchè l'incremento dei costi di produzione veniva in buona parte assorbito dai margini di profitto, sia per le ridotte possibilità di traslazione a monte di questi maggiori costi, sia - e va pur detto - per l'incapacità sovente di realizzare tempestivi incrementi di produttività.

Anche se è improbabile che tassi di investi -mento eccezionali, come quello del 1960, si sarebbero mantenuti, è però certo che la dimi-nuita formazione di risparmio interno alle aziende, in una situazione di prezzi non cr e-scenti in proporzione degli aumentati costi di produzione e di limitati incrementi nella pro-duttività, accentuava la necessità di ricorrere a fon ti esterne di finanziamento (cioè al mer -ca to monetario e finanziario) proprio i n un momento in cui il reddito dei privati veniva progressivamente convogliato verso magglOl'l consuml.

Si creava così un contrasto tra domanda ed offerta di capitale che ha accentuato la « stretta creditizia», e che è all'origine del disagio di molte imprese.

Inoltre, fra i fattori a base dell'attuale situa-zione, acquista un rilievo di primo piano il dete-1·ioramento della Bilancia dei Pagamenti provo-cato dall'incremento della domanda per beni di consumo.

Le autorità monetarie hanno considerato la protezione di un livello adeguato di riserve va lu-tarie un obbiettivo con priorità assoluta.

Si può essere d'accordo con questa valuta-zione di priorità, ma forse qualche dubbio è motivato circa i tempi degli interventi dell'au-torità monetaria.

Il livello di liquidità infatti è continuato a crescere ancora nel 1962 e per parte del 1963, anche quando già erano evidenti sintomi infla -zionistici.

Il processo di rallentamento dell'espansione dei mezzi di pagamento ha dovuto perciò essere concentrato in un periodo molto breve ed ha mancato della necessaria gradualità. Sono inol-tre venute a mancare tutte le altre misure che avrebbero potuto attenuare le difficoltà gene -rate dall'uso di uno strumento di controllo, quale la politica monetaria, che è certo, da sola, insufficiente a controllare il ciclo economico.

61

CRONACHE ECONOMICHE

Ma su altri elementi determinanti dclla situazione attuale vorrei ancora fermarm i un momento. Anzitutto l'arresto del « boom» del sett01·e edilizio, che tipicamente svolge in taluni paesi stranieri una funzione anticongiunturale. E anche qui sarebbe da chieder i se soltanto fattori psicologici e politici sono stati alla hase di questa brusca fermata.

Non possiamo poi non rilevare il peso delle insufficienze dell' appamto distributivo ita.liano, all'ingrosso e al dettaglio, che si accentua in un periodo di rallentamento dell'attività produt-tiva. In un primo tempo queste insufficienze hanno fatto sentire la loro incidenza esaspc-rando la lievitazione dei prezzi e del costo della vita, e quindi dei costi in generale. Oggi esse concorrono ad impedire che, anche in presenza di una domanda decrescente, i prezzi al detta-glio flettano alla ricerca di un punto di equili-brio che potrebbe facilitare la ripresa generale del ciclo.

Su questa stessa linea il discorso potrebbe essere allargato anche all'insufficienza delle 1·eli comme1·ciali delle aziende produttrici, special-mente per quanto riguarda la loro penetrazione sui mercati esteri.

Va infatti detto, a questo proposito, che l'organizzazione commerciale delle imprese ita-liane è in generale ancora arretrata rispetto al livello internazionale di sviluppo tecnico rag-giunto in questo settore. Risentiamo forse qui gli effetti di quel mercato privilegiato di cui buona parte dei produttori italiani ha goduto per troppi anni.

È tempo, io credo, che l'Italia cominci ad affrontare il problema degli investimenti com-merciali, specialmente all'estero, senza quelle prevenzioni di inutilità o di spreco che sovente hanno paralizzato la nostra azione.

Infine vi è un'altra ragione che senza dubbio ha reso così vulnerabile l'industria italiana all 'in-versione del ciclo, e che, anzi, per molti aspetti ha preparato questa inversione. Nel decennio del « boom» sono senza duhbio prevalsi criteri estensivi nell' espansione degli investimenti, piut-tosto che criteri intensivi.

Ci siamo così trovati - nel momento in cui l'incremento di alcune voci dei costi di produ-zione, forse inarrestabile, avrebbe domandato un brusco salto in avanti dei nostri livelli di produttività - con un certo grado di stan-chezza « tecnologica» degli impianti in molti settori produttivi.

(9)

costruito prima del 1948 e ben il 32

%

prIma elcI 1039.

Qucsto stato eli fatto porrà non poche

diffi-coltà alla ricostruzione di margini di profitto

attraverso incrementi di produttività, mentre va detto, d'altra parte, che sempre più in

futuro gli incrementi di produttività sembrano

legati a rinnovamcnti radicali della tecnologia e quindi ad investimenti, senza dubbio selettivi, ma ccrtamen te molto elevati.

Considm'azioni su possibili interventi e note conclusive.

Le considerazioni fatte finora sono certa

-mente affrettate, esse ci permettono tuttavia di constatare:

l) che la depressione congiunturale de

l-l'industria meccanica piemontese non è che il

riflesso, o, se vogliamo, il sintomo piì.l evidente, della depressione che investe tutta l'economia italiana;

2) che le cause di questa depressione vanno coraggiosamente ricercate anche in difficoltà di

natura strutturale, legate ad arretratezze del

sistema economico italiano, nei suoi aspetti

produttivi, distributivi, nei suoi rapporti con l'estero, nell'efficienza degli interventi pubblici

sull'attività economica.

1\Ia constatare questo vuoI anche dire che sarcbbe errato assumere oggi un atteggiamento di semplice recriminazione o di attesa, nella speranza che la crisi trovi una via di sbocco

naturale, come se i tempi della ripresa dovessero avvicinarsi per moto spontaneo.

Occorre invece concepire, con urgenza e con

realismo, una ?"azionale politica di inteTventi chc abbia come obiettivi non solo quello di

modificare, nel breve periodo, la tendenza de

-pressiva in atto, ma anche, e direi soprattutto, quello di incidere sulle difficoltà strutturali che sono a monte della crisi odierna.

Dico questo perchè sono profondamente convinto che dalle difficoltà attuali non usc i-remo vcramente se non il giorno in cui riusc i-remo ad attestarci su livelli di efficienza globale del nostro sistema economico più alti di quelli

su cui ci trovavamo al momento della crisi. In ordine agli obiettivi accennati i tipi di intervento possibili sono di due ordini e, ben intc o, dovrebbero giocare congiuntamente.

Anzitutto occorre sosteneTe la domanda in -terna e perciò bisogna 1'erLde1'e più, efficiente, e

poi anche dilatare, sia pur con attenzione, la spesa pttbblica. In secondo luogo vanno incenti -vati investimenti indttstriali selettivi, mentre oc

-corre perseguire un deciso miglioramento della nostra competitività industriale sui mercati esteri

ed anche su quello italiano, che tra poco sarà completamente integrato nell'area del Mercato Comune.

È certo che questi interventi ono condizio -nati dal problema delle disponibilità monetarie, che è fattore decisivo per aiutare l'inversione

della tendenza in atto. Ma qui va detto che la

raggiunta stabilità monetaria ed il rapido

mi-glioramento della nostra bilancia dei pagamenti

sembrano consentire prospettive sufficien

te-mente stimolanti.

Di queste linee di intervento, e di come esse possano articolarsi in misure concrete, si è già

molto parlato, ancorchè ben poco di pratico sia fmora comparso.

Se vogliamo, lo stesso Programma quinque

n-nale di sviluppo economico, recentemente appro -vato dal Consiglio dei Ministri, sembra riass u-mere, in una visione globale ed organica, questi orientamenti.

Non c'è che da esserne lieti, tanto più che i dubbi sulla possibilità di realizzare il mecca -nismo di finanziamento del programma se m-brano oggi superati dal recente riconoscimento

della massima autorità monetaria italiana, la

Banca d'Italia, secondo la quale il previsto fi -nanziamento del programma appare compatibile con le future disponibilità del Paese e con la stabilità monetaria.

E a ciò vorrei aggiungere che, di là da ogni

critica - di ispirazione politica o tecnica, mo ti-vata o no - il programma quinquennale pone con fermezza l'accento almeno su una esigenza. che è certamente fondamentale anche per una effettiva ripresa del ciclo economico. Si tratta

della efficienza degli interventi dell'operatore

pubblico e del coordinamento da attuare tra

questi interventi.

Questi sono sempre stati due punti deboli del nostro Paese e cercare di porvi rimedio significa in ultima analisi rendere un servizio anche all'economia privata. È proprio nei mo -menti di difficoltà, come l'attuale, che ci si

accorge infatti quanto sia meglio avere come

interlocutore un operatore pubblico moderno ed

efficiente piuttosto che avere di fronte strutture arretrate, anche se a causa di questa arretra -tezza esse sono costrette sovente a subire e

lasciar fare.

Ma senza spingermi in considerazioni più

specifiche, per le quali non sono certo qualificato, c'è ancora un punto sul quale vorrei fermarmi un istante, perchè esso tocca da vicino, molto da vicino, la nostra responsabilità e il nostro

avvenire di imprenditori in Piemonte forse più che altrove.

lo credo che la via più illusoria e sterile per uscire dalle nostre difficoltà sarebbe quella di

(10)

pensare ai possibili interventi e alle possibili soluzioni solamente in chiave di mercato na-zionale.

E dico questo avendo di mira tanto le esa -sperazioni rivendicative che un certo sindaca li-smo di provincia si ostina ad incoraggiare in Italia senza rendersi conto dei problemi reali delle nostre strutture produttive, quanto rife-rendomi a una interpretazione della realtà eco-nomica di tipo troppo « tradizionale n, che sem -bra anch'essa stentare a rendersi conto che l 'av-venire dell'economia italiana si giocherà soprat-tutto attraverso l'integrazione e la competizione con le economie estere.

In altri termini - ed è una scelta politica che il nostro Paese deve fare - se ci ancoras-simo, per uscire dalla recessione, a concezioni che vorrei definire di « autarchismo illuminato n, siano esse ispirate da destra o da sinistra, ci troveremmo - e non molto tardi - in situa -zioni peggiori dell'attuale.

Si apre così il grosso problema della com1Jeti-tività della nostra industria nei confronti delle industrie straniere, che sono entrate oramai in gara con noi anche sul nostro mercato e con le quali stiamo già affrontandoci anche sui mer-cati nuovi: l'Europa dell'Est e i Paesi in via di sviluppo, che sono una delle grandi risorse di espansione futura.

E qui bisogna sottolineare che la società italiana e la stessa nostra cultura hanno preso conoscenza con troppo ritardo dei problemi dello sviluppo economico, nostro ed altrui.

Ma qui è anche il punto in cui l'industria privata può sviluppare lo sforzo più deciso, non solo per uscire dalla recessione, ma anche per ottenere che l'intervento pubblico si renda conto dei problemi del futuro ed operi per accrescere la competitività del nostro apparato produttivo. Fuori da queste prospettive c'è seriamente da temere infatti che anche i necessari inter -venti pubblici a sostegno della congiuntura pos-sano rimanere sterili, stimolando magari una certa ripresa della domanda interna, ma con costi globali (penso ad operazioni di sal vatag-gio di industrie pericolanti, ad opere pubbliche con redditività eccessivamente differite, etc.) che si tradurrebbero in una ulteriore debolezza del nostro sistema economico nei confronti dell'estero.

O si raggiunge nel tempo più breve possibile un ragionevole livello di competitività con i Paesi più evoluti, oppure saremo inevitabi l-mente costretti a isolarci dai grandi processi di integrazione economica e di sviluppo tecnolo-gico a livello europeo e mondiale.

Senza un grado sufficiente di competitività le nostre industrie potrebbero infatti sopravv

i-81

CRONACHE ECONOMICHE

vere soltanto nell'isolamento, c lo sviluppo pro-duttivo e tecnologico sarebbe così ollecitato quasi esclusivamente dalla domanda interna, senza stimoli esterni e senza forza di penctra-zione nei grandi mercati: anche i benefici dclla stabilità monetaria sarebbero in questo caso assai poco significativi.

Ancora piti gravi sarebbero d'altra parte le conseguenze di ordine politico, poichè mi pare chiaro che solo una progressiva integrazione con società più stabili ed evolute potrà favorire anche in Italia la formazione di strutture poli-tiche, sociali, produttive e sindacali modcrne e libere dalla suggestione di ideologie totali-tarie o corporative.

Proprio in questa fase di difficoltà congiuntu-rali bisogna dunque guardare lontano, c pro-prio perchè oggi viene messo in discussione il futuro dell'industria italiana.

E qui non possiamo nasconderei il problcma del dislivello sempre piti evidente tm la forza espansiva dell'indt~stria americana e l'indLLstria e'u1·opea.

È inutile tacere che è in atto un processo naturale di espansione dell'industria d'oltre Atlantico verso la vecchia Europa. Questa espansione potrà forse essere contenuta facendo leva su ragioni, che per altro potrebbero essere contingenti, di equilibrio generale, politico-eco-nomico, fra i due continenti, e ciò tanto pitl che esse coincidono oggi con la necessità ame-ricana di limitare gli investimenti all'estero, per non compromettere ulteriormente la bilancia dei pagamenti.

In realtà però si tratta di un processo, oserei dire, fisiologico e quindi più che in termini di vincoli temporanei o artificiali, è in termini di una corrispondente vitalità, da creare e orga-nizzare, che occorre incanalarlo e assimilarlo. Altrimenti l'effetto più drammatico, e neppur molto remoto, potrebbe essere proprio quello di un progressivo decadimento delle capacità imprenditive della vecchia Europa.

I termini di questo problema ci toccano dunque direttamente e possiamo riassumerli nel loro aspetto più grave che è il divario tra il potenziale di sviluppo tecnologico della industria americana e quello òell'industria europea.

Già oggi stentiamo a reggere il passo nei confronti di un progresso tecnologico chc è dieci volte più dinamico del nostro, dieci volte più dotato di nsorse umane e finanziarie per al imen tarsi.

(11)

svi-lu ppo tecnologico, che siano almeno in grado di impedire che quel divario cresca tanto da svuotare le forze produttive dell'Europa di ogni capacità di espansione ulteriore o da ridurle a semplici strumenti di esecuzione.

Si tratta dunque di una politica a livello eu-ropeo da imprendere, che dal settore della ri-cerca si sviluppi in molteplici direzioni e che ci faccia intcrlocutori attivi della industria ame -ricana per trovare con essa il necessario punto di incontro a livelli che garantiscano il nostro sviluppo futuro.

l\Ia si delinea qui un grosso discorso politico che non può certo esSere realizzato . e non attra-verso una nuova e moderna dialettica tra le varie forze in gioco, sul piano nazionale e sul piano europeo: poteri politici, sindacati, forze imprenditoriali, pubbliche e private.

E questo ci riconduce al tema scottante delle nostre attuali difficoltà di congiuntura. Anche qui, infatti, non usciremo realmente da queste difficoltà se tutte le forze interessate non sa-ranno impegnate a fare ciascuna la sua parte, accettandone i pesi e le responsabilità.

L'esperienza dei Paesi a più avanzato sv i-luppo industriale ci dimostra che le scelte che condizionano questo sviluppo, come i benefici che ne conseguono, non possono più essere a p-pannaggio esclusivo di uno solo dei fattori inte-ressati, siano essi i poteri pubblici, i sindacati o il mondo imprenditoriale. Al contrario, è solo il dialogo tra le forze e gli interessi contrapposti che può fornire quella dinamica stabilità poli-tica capace di garantire che lo sviluppo non si rallenti e che non ci si lasci tentare da involuzioni politiche ed economiche.

Non si tratta qui che di indicazioni gene -riche, di motivi di riflessione. Mi pare però che ad essi non ci si può sottrarre, pena il

progres-sivo decadimento di una situazione che già oggi tende a sfuggire di mano a chi non sappia abban-donare visioni anacronistiche o provinciali dello sviluppo industriale e del superamento dell' at-tuale rece sione italiana.

Mi accorgo che, muovendo dall'esame della situazione dell'industria meccanica piemonte e, sono via via uscito dal tema, toccando argo-menti non propostimi.

Vi chiedo scusa, ma credo che ciò non sia successo a caso. Per meglio capire e aiutare le cose di casa nostra infatti non c'è probabilmente strada più sicura di quella di proiettarsi su orizzonti più vasti.

Questa è del resto la vocazione di Torino e del Piemonte. Da tempo non siamo più isolati: ogni giorno ci integriamo maggiormente nel Mercato Comune ed in aree più vaste. Crescono le nostre vie di comunicazione, cresce l'incidenza del valore aggiunto da noi prodotto sull 'econo-mia nazionale, e i problemi di quest'ultima - dallo sviluppo del mezzogiorno, ai rapporti con le aree esterne - condizionano sempre pill le nostre scelte e il nostro futuro.

Le difficoltà dell'attuale situazione sono chia -ramente, e per tutti, di notevole gravità: oc-corre superarle presto, con intelligenza, nel quadro di un disegno di lungo periodo.

Le industrie si salvano e si sviluppano sol-tanto migliorandosi, e ciò proprio nelle situa-zioni difficili come quella odierna. Anche in questa occasione Torino e il Piemonte hanno la possibilità di esercitare un ruolo decisivo, se sapranno essere all'avanguardia nello sviluppo della capacità competitiva delle loro industrie e nel sollecitm'e e guida1'e il dialogo di tutte le forze che devono concorrere al progresso del Paese.

È un augurio e una convinzione.

(12)

I

ragzonzerz neo-diplomati

e le

eszgenze del

l - Oggi tutti concordano nel riconoscere l'estrema importanza della scuola, e di una scuola efficiente e moderna, ai fini del progresso economico e sociale. Questa coscienza non fu però sempre cosÌ viva e cosÌ chiara: se a questo traguardo si è arrivati - e non è cosa da poco -lo si deve in parte anche alle indicazioni, alle richieste, ai suggerimenti, ai preoccupati avver-timenti che da non poco tempo le categorie economiche hanno espresso e su cui hanno cercato di attirare l'attenzione del Paese.

N on è da ieri che andiamo sostenendo che le spese consacrate all'educazione e alla ricerca costituiscono uno dei più solidi investimenti a lungo termine. Siamo perciò del tutto consen-zienti con quanto ebbe a scrivere l'economista svedese Ingvar Svennilson, che tali spese « me

t-tono in azione processi comulativi che si sv i-luppano nel corso dei decenni ». Purtroppo ac-cade anche, per ciò stesso, che « gli effetti a lungo termine dell'istruzione e della ricerca siano talvolta dimenticati o quanto meno sotto-valutati e si rinunci a orientare la politica de l-l'insegnamento e della ricerca in funzione di una politica di crescita economica». Eppure è ben noto che sono proprio gli investimenti a redditività differita quelli che più profonda -mente incidono nel tessuto produttivo di una naZlOne.

A questo proposito vorrei ricordare che in una recentissima pubblicazione dell'OCSE (Or-ganizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), dal titolo « Le facteur résiduel et le progrès économique l), si è tentato persino di stimare, in termini quantitativi, il contributo che l'insegnamento è stato in grado di dare nel passato e potrà dare per l'avvenire all'es pan-sione del reddito nazionale. Ebbene si calcola che la quota del tasso d'incremento medio del reddito reale per persona occupata attribuibile negli Stati Uniti agli effetti dell'insegnamento sia stato nel ventennio 1909-1929 del 29

%,

nel periodo 1929-1956 del 42 % e si ha ragione di

10

I

CRONACHE ECONOMICHE

mondo pro

duttivo

Giovanni

Maria Vitelli

pensare che tra il 1960 ed il 1980 non sarà inferiore al 40

%

.

Sarebbe arduo dire fino a che punto queste cifre possano essere accettatc nel loro valore puntuale: certo è che esse danno almeno un'idea, in termini di ordine di grandezza, dcI ruolo svolto dalla funzione scolastica nel determinare la marcia in avanti di una struttura economica e sociale.

Queste valutazioni diventano ancora più stimolanti se riferite al nostro Paese, in cui la percentuale del reddito nazionale dedicata alle spese per l'insegnamento è stata, almeno fino a qualche anno fa, eccessivamente modesta.

2 - Le considerazioni fin qui svolte valgono a sottolineare lc strette relazioni che sus ·istono fra scuola in generale ed economia.

Vorrei ora dedicare qualche riflessione alla situazione ed alle prospettive che si aprono, nell'ambito del sistema produttivo italiano, agli allievi che frequentano le scuole tecniche com-merciali. Farò riferimento per questo a un'inte-ressante ricerca condotta dalla Svimez (Asso-ciazione per lo sviluppo dell'industria nel Me z-zogiorno), i cui risultati sono stati raccolti in un volumetto dal titolo « Mutamenti della s trut-tura professionale e ruolo della scuola». Anche qui, in armonia con le mie preferenze, citerò alcuni dati di ordine quantitativo, il cui valore di indicazione non mi sembra possa essere sot -tovalutato.

La Svimez ha operato - sulla base di ipotesi plausibili - alcune previsioni sull'evo lu-zione del sistema economico italiano, valide per il quindicennio 1960-1975, cercando di estra-polare per quella data dei valori numerici circa la consistenza professionale delle forze di lavoro nel nostro Paese.

(13)

la-VOl'O associato in razionale ed organica coordi-nazione delle attività umane» e l'altro « ne

l-l'analisi e nello studio dettagliato e minuzioso delle attività lavorative, al fine di ridurle a un

com plcsso cii tecniche estremamente specia

liz-zate c ben definite)), la Svimez ha cercato di

stimare per un gruppo base di qualifiche pro-fessionali - opportunamente prescelte - l'opti-m u m quantitativo richiesto dal sistema econo

-mico italiano intorno al 1975.

Xel novero di tali qualifiche professionali ve n'è una denominata (( addetti al coordina

-mento)), categoria in cui rientrano coloro che

svolgono una serie di funzioni che appaiono sempre più indispensabili nella società moderna

c nel lavoro a. sociato: quelle cioè che si rife

-riscono all'esigenza di coordinare ed armo

niz-zare le attività umane in genere ed i mestieri o le professioni in specie. A tale coordinamento

- vicne osservato - si associa ancora gen e-ralmente nell'opinione corrente l'idea dell'am-ministrazione (non intesa nel senso anglosas

-sone) e di lavoro burocratico, nel significato deteriore di questa parola; ma amministrare

comporta che, ancora prima che si possa effet-tuare il controllo dei risultati, si sappiano

predi-sporre i mezzi affinchè le attività dei singoli

vengano ordinate e coordinate in modo raz

io-nale ed efficiente. Alla categoria degli addetti

al coordinamento appartengono dunque logi

-camente gli addetti alla predisposizione e

pro-grammazione del lavoro, allo studio dei me-todi e dei tempi di lavorazione, ai controlli qualitativi, all'amministrazione (intesa

que-sta volta nel senso proprio della parola), ai

rilie\·i statistici, all'organizzazione e distr

ibu-zione di beni e di servizi, allo scambio di

informazioni, alla pubblicità e divulgazione di notizie, ecc.

È chiaro ora che gli (( addetti al coor

dina-mento » rappresentano una qualifica

profes-sionale che, pur non presupponendo fonti esclu

-sive di alimentazione, non può che attingere in

forma elettiva ed in misura prevalente ai licen

-ziati degli istituti tecnici commerciali.

Ebbene, quali sono le prospettive di inser

i-mento nella struttura produttiva del Paese di

questi tecnici dell'amministrazione o addetti al

coordinamento?

La Svimez ritiene che di fronte al loro

ammontare complessivo di 986.000 unità, pari

al 5,8

%

di tutti gli attivi nei diversi settori eco

-nomici, nel 1951 e rispetto a una consistenza di 1.193.000 unità, pari al 6,4% del totale occupati nel '59, si avrà nel 1975 un fabbisogno globale di 2..J.97.000 addetti al coordinamento,

rappresentanti 1'11,8 % della popolazione in con-dizione professionale.

Queste cifre, che ancora una volta non penso di acc~gliere in senso assoluto ma sempli -cemente nel loro significato quanto a ordine di grandezza, offrono un'idea abbastanza chiara dello spazio che ai diplomati ragionieri e periti

commerciali si offre oggi e si offrirà domani nella struttura lavorativa italiana.

A conferma eli queste indicazioni si può ag -giungere che ulteriori rilevazioni, effettuate

molto recentemente dall'Iseo (Istituto nazi

o-nale per lo studio della congiuntura) e pubblicate

nell'estate del 1964, non solo convalidano le

proiezioni menzionate, ma spostano sosta nzial-mente al 1970 i traguardi ns. ati dalla Svimez

per il 1975.

3 - Finora ho ragionato in termini preva -lentemente quantitativi, ma non posso fare a meno di concludere la mia esposizione con qual-che nota di diverso carattere.

Quali sono i settori di beni e di servizi in

cui i giovani ragionieri neo-diplomati possono più proficuamente esplicare la loro attività?

Praticamente essi si trovano dinanzi una varietà e molteplicità di strade che consentono a ciascuno di scegliere secondo le proprie incli-nazioni e aspirazioni profonde. Mi limito ad elencarle: industria; servizi, specialmente del

credito e dell'assicurazione; libera professione; pubblica amministrazione. E poichè in ogni

campo dell'attività economica sempre più av

-vertita è l'esigenza del coordinamento e del

con trollo razionale delle operazioni, è evidente che sempre più numerose saranno le occasioni che la categoria dei ragionieri e dei periti com-merciali si troverà dinanzi.

Mi sia consentito tuttavia esprimere un

auspicio: che l'inserimento nei vari organismi

di produzione, dopo aver offerto l'opportunità

di una esperienza indispensabile e le condizioni di una valida maturazione, possa suscitare in

coloro che ne hanno i requisiti il gusto e il

coraggio di rendersi essi stessi iniziatori di

nuove intraprese.

Purtroppo uno degli aspetti meno felici della

struttura sociale moderna è la tendenza dei singoli a scomparire, o quanto meno a eclissare

la propria personalità, nella massa organizzata.

Eppure le economie, come ha insegnato lo Schumpeter, progrediscono soprattutto per virtù di chi sa affrontare il rischio dell'iniziativa e

non arretra di fronte alle incognite dell'operare

autonomo.

lo mi auguro che non siano pochi a sentire

un giorno questo richiamo dello (( spirito impre n-ditoriale)) ed abbiano l'energia sufficiente per VIncere le difficoltà che su questa strada do-vranno incontrare.

(14)

Il programma italiano di sviluppo economico

e gli enti locali, territoriali e istituzionali

l - Della pianificazione o programmazione

è avvenuto qualcosa di analogo a quanto si è verificato per certi principi, idee o istituti storici: esaltati e avversati contemporaneamente fino

all'esasperazione in talune epoche, hanno finito poi per diventare con certi adattamenti elemento pacifico della vita sociale. Non molto tempo fa un economista riconosceva che l'idea della

pro-grammazione ha finito ormai di dividere gli studiosi e non costituisce nemmeno più un int

e-ressante soggetto di polemica. C'è anche chi ha affermato che in una forma o nell'altra si è

sempre programmato e che tutti, dall'individuo più modesto all'organismo più complesso, più o meno programmano (o dovrebbero program-mare) e quindi su un fatto tanto banale non è

neanche il caso di indugiare.

Evidentemente il nostro riferimento non è alla programmazione concepita in un senso

tanto estensivo, e forse anche troppo semp lici-stico: quella che ci interessa è la programma-zione economica in senso proprio, intesa nella espressione di piano globale e nazionale che, in forma sia diretta che indiretta, prevede e in certi limiti regola la crescita di un intero sistema economICO.

2 - Posizione degli enti e degli organismi locali, sia territoriali che istituzionali, di fronte

al programma. Si potrebbe essere tentati qui di cadere nella « vaexata' quaestio» se il

pro-gramma debba « scendere dall'alto» oppure

«o procedere dal basso ».

Non si possono certo ignorare le ragioni che hanno 'militato, e militano, a favore della prima

alternativa, per molti aspetti più pratica e anche più facile. D'altra parte non si può met-tere da parte con disinvoltura la serie di c ri-tiche che il Frisch ha rivolto a questo metodo

e al modello Harrod-Domar al quale esso

ordi-nariamente fa ricorso (come nel fatto succede anche per il progetto italiano di sviluppo

quin-quennale).

121

CRONACHE ECONOMICHE

Giancarlo Biraghi

Tuttavia ci sembra che questo problema ri-guardi piuttosto l'origine o, per così dire, la procedura di formazione del piano, piuttosto

che la posizione degli enti locali di fronte allo stesso. D'altra parte probabilmente anche qui la realtà, come la verità, sta un po' nel mezzo:

ogni piano deve « cadere» in certa misura dal-l'alto, se vuoI essere effettivamente strumento di

politica economica nazionale e globale; d'altro canto non può non sostanziarsi di elementi a

posteriori, dal basso, forniti o addirittura

im-posti dalle concrete situazioni e dalle esigenze territoriali e settoriali, a meno di ridursi ad

una esercitazione scolastica o dottrinale. Noi ci poniamo dal punto di vista di un

piano già formato nelle sue linee generali, in massima già determinato nei suoi oùicttivi e

articolato nei suoi strumenti.

3 - Se lasciamo quindi le considerazioni

ge-nerali e ci soffermiamo sul documento concreto

del « Progetto di programma di sviluppo

eco-nomico per il quinquennio 1965-69», recente-mente elaborato dal governo italiano c

attual-mente sottoposto agli organi costituzionali di controllo, ci si accorge come sia il piano stesso

a chiamare in causa e, in un certo senso, a farsi

condizionare dall'azione dei « corpi» locali.

Nella parte terza del progetto, dedicata all'« assetto territoriale», l'esigenza della

inter-connessione e della cooperazione degli enti locali per la messa in marcia e la rcalizzazione del piano stesso è chiaramente e ripetutamente

af-fermata, soprattutto nel capitolo XV (ohiettivi dell'assetto territoriale) e nel capitolo XVII

(15)

processo, attualmente appena ai suoi iniz1:, è

condizionato dalla costituzione degli organi della

programmazione regionale e dall' attuazione di una 1WOl'(( disciplina urbanistica. La recente

istitu-zione dei Comitati regionali per la

programma-zione e l'approvazione della nuova legge 7Lrbani-stica costitniscono importanti premesse di tale proasso ».

In sede di definizione dei criteri d'intervento

elei. pubblici poteri per un più ordinato assetto territoriale, si ribadisce ancora che « la p1'ogm, m-mozione dovrà definire a livello j'egionale - in cOllllessione con i piani w'banistici regionali, comprensoriali e comunali - la distribuzione lerriloriale delle attività prodtdtive, degli insedia

-menti residenziali e delle infr{lstTutture, 1Jih con -sOl/a al raggiungimento dei suddetti obiettivi l).

In ordine alle importanti c, diciamo pure,

gravi funzioni che il piano implicitamente affida agli enti c organismi locali, attraverso il ri-chiamo ai Comitati regionali per la prog ramma-zione, è possibile dedurre quali sono i compiti c le possibilità che oggI si presentano a tali

enti e organismi.

·b - In sostanz agli enti locali, se conside -rati non tanto nella sfera delle singole compe -tenze ma nella loro unità organica realizzata dai Comitati regionali per la programmazione, sono chiamati a due compiti di base:

a) verifica dei postulati programmatici in

relazione alla loro corrispondenza alle diverse situazioni regionali;

b) specificazione o determinazione dei ge

-nerali simi criteri previsti dal piano per il raggiungimento delle finalità e degli obiettivi dallo tesso fissati.

Que 'to evidentemente suppone da parte degli enti, organismi e associazioni locali capacità di confronto e di misura fra le situazioni e le grandezze ipotizzate nel programma e quelle che caratterizzano la fisionomia delle singole

regioni. Ciò implica che a livello locale - e con

ciò si intende dire eminentemente regionale c

provinciale - si sia in grado di realizzare queste

due prcmesse:

I) fornire una conoscenza dettagliata della

struttura geofisica, demografica e produttiva della regionc, di guisa che il confronto tra gli obiettivi e i mezzi ipotizzati dal piano possano essere rapportati ad una realtà effettivamente documcntata, e non semplicemente immaginata o presunta sulla base di tramandati luoghi

comuni;

II) esprimere, sulla base degli accert a-menti sopra indicati, un complesso organico di esigenze - anche in forma alternativa

-che nell'ambito regionale attendono di essere appagate, nel quadro delle finalità del piano stesso,

5 - L'azione conoscitiva a livello regionale,

che indubbiamente costituisce il presupposto di

ogni seria azione di intervento, non va a priori circoscritta nei limiti di una specifIcazione di

situazioni, ma in qualche caso potrehbe ad di-rittura porre le condizioni di una riconsidera-zione di certi aspetti o sezioni o criteri del

piano stesso, quanto meno sotto l'ano'olazione territoriale, È questa una osservazione che sca-turisce immediatamente ad esempio là dove il progetto di programma accenna alle cosiddette

cc aree di sviluppo primario n, comprendenti le

regioni del triangolo industriale (Piemonte,

Lombardia, Liguria), che si dicono cc camtteriz

-zate da una elevata concentrazione delle attività produttive e da un forte afflusso di popolazione n, per cui cc i conseguenti fenomeni di congestione 1'endono sempre più costoso per la collettività

l'addensamento di p01Jolazione e di attività pro-duttive in alcwni dei pitì importanti agglomemti

all'interno dell' area l).

Orbene, da ricerche in corso presso l'Unione delle Camere di commercio del Piemonte e della Valle d'Aosta, risulta che le località rico-nosciute per legge o dichiarate amministrativ a-mente depresse coprono nel solo Piemonte il

78

%

del territorio complessivo (mentre l'Italia meridionale e insulare, zona sottosviluppata per

definizione, rappresenta soltanto il 42,5

%

della superficie nazionale),

Non basta: sempre con riferimento al Pi e-monte si è accertato che il livello di industri a-lizzazione della regione è lungi dall'aver rag -giunto un grado eccessivo o addirittura critico,

specie se paragonato con i valori dell'Europa

occidentale; la densità demografica appare re la-tivamente bassa rispetto a quella di altre regioni italiane e zone industriali europee; infine il

grado di urbanizzazione si colloca ad un livello medio, se rapportato allo standard sia europeo che italiano.

Risultanze del genere, che hanno

natural-mente bisogno di ulteriori approfondimenti e verifiche, sono tali da offrire elementi forse so-stanzialmente nuovi alla impostazione di una politica di riordinamento territoriale, Sembra dunque che si dovrebbe essere particolarmente cauti nell'adottare « pa1-ticola1'i misure a carico

delle imprese che si localizze?'anno in ambiti

me-tropolitani, a copertura dei maggiori costi sociali che tali iniziative addossano alla collettività n,

(16)

misure che il § 7 del Cap. XVII del progetto de fi-nisce « eli pw·ticolare 1/'l'genza l).

Appunto in campo conoscitivo, pare che dovrebbero essere proprio gli enti che istitu-zionalmente interpretano e rappresentano la vita economica organizzata ad essere tenuti e chiamati in primo luogo a dare un contributo sereno e chiarificatore. È evidente che pensiamo alle Camere di commercio industria e agricol -tura, le cui funzioni di osservazione e di ricerca sul terreno economico sono fra le note dis tin-tive della loro attività.

Secondo quest'ottica l'Unione delle Camere di commercio del Piemonte e della Valle d' Ao-sta ha in parte già condotto a termine ed in parte ha in via di realizzazione una serie di studi globali e analitici dedicati ai vari aspetti e settori della struttura economico-sociale della regione piemontese; altre ricerche si propone man mano di impostare al fine di approdare ad una rappresentazione il più possibile fedele delle

condi~ioni di vita e di sviluppo della regione. 6 - Si è detto sopra che un altro impegno appare appropriato alla natura degli enti locali in ordine alla programmazione: indicare le e si-genze che, in conformità agli obiettivi generali del piano, ciascuna regione presenta. Rite -niamo che la formula più idonea sotto questo aspetto sia rappresentata da quei « Comitati regionali per la programmazione economica )) che, istituiti con decreto del Ministro per il bilancio il 22 settembre 1964" sono in corso di graduale formazione. A tali Comitati si richiama del resto, come si è visto, il progetto di pro-gramma, ed è da presumersi che - in assenza degli organi regionali costituzionali - possano assolvere funzioni di primo piano.

I! loro apporto sarà indubbiamente tanto più efficace e pratico quanto più tali Comitati si sapranno tenere lontani dalle secche della diatriba sui principi e si atterranno al metodo di rendere collegialmente esplicite strozzature, esigenze, attese che contraddistinguono la pro-pria area regionale, assumendo obiettivamente per base i risultati della -precedente ricerca. E ciò possibilmente anche attraverso l'individua -zione - cosa importante - di varie alterna -tive, al fine di non irrigidire i propri schemi e di favorirne una migliore componibilità con quelli delle altre regioni e dell'intero Paese. Oltre, i Comitati non dovrebbero spingersi per non rischiare di cadere in situazioni paralizzanti. 7 - L'azione programmati ca, anche a livello regionale, non si esaurisce evidentemente nella

14

I

c RO N A C H E E C o N o M I C H E

conoscenza di una realtà in atto e nella enucle a-zione di un contesto di istanze: la fase con clu-siva è quella delle scelte, delle decisioni.

Nel progetto italiano di programma quin -quennale la programmazione regionale "iene condizionata - come s'è accennato - alla costituzione degli organi della programmazione regionale. Non è ben chiaro quali siano o deb -bano essere tali organi e quali precise funzioni siano di loro spettanza.

Qualora per « organi della programmazione regionale)) si intendano i corpi regionali (l egi-slativi e amministrativi) previsti dalla Costi tu-zione e ad essi si vogliano attribuire facoltà decisionali è chiaro che, posta la loro attualc mancanza - almeno per le regioni a statuto ordinario - l'attuazione della programmazionc rischia di trovarsi sotto l'aspetto territoriale in serie difficoltà. Da qui un'alternativa: o si rinuncia alla programmazione regionale, com-promcttendo forse per ciò stesso il raggiun gi-mento degli obiettivi di fondo (riduzione degli scarti esistenti tra le diverse zone del territorio e i diversi settori dell'economia nonchè su pe-l'amento delle gravi lacune oggi esistenti nelle

dota~ioni e nei servizi di primario interesse sociale), oppure è giocoforza attribuire al po-tere centrale, vale a dire agli organi tecnici. e politici di pianificazione nazionale, il com-pito di definire le scelte e di assumere le decisioni anche sul piano della program ma-zione regionale. I! qual criterio a ben co n-siderare, anche se piuttosto ostico allo sp i-rito di autonomia che largamente permea gli strati sociali delle regioni, non è da respingersi « tout court l).

Una politica di pianificazione regionale, sc decisa a livello locale, può rischiare di compro -mettere o almeno di rendere più difficile l'in se-rimento degli interessi parziali nel quadro di quelli nazionali e una loro composizione, che in qualche caso può significare anche compr es-sione, con quelli delle altre aree del Paese. In

ultima analisi la riserva all'autorità centrale di facoltà decisionali anche in campo di pro -grammazione regionale, se questa venga intesa in senso pregnante, e quindi anche della resp on-sabilità di un giudizio definitivo su situazioll i e scelte, può costituire una superiore garanzia di equo soddisfacimento di aspirazioni diverse e non sempre compatibili.

(17)

L'economia

agricola

Sovletlca

e

l

SUOl

problemi attuali

Le vicende dell'economia agricola sovietica, per la complessità dei fenomeni, per il profondo

mutamento dell'organizzazione produttiva, per

il dissolvimento delle tradizionali forme di con -vivel1Za delle genti di campagna, per la coarta-zione a forme di vita estranee alla storia umana,

male si prestano a un'esposizione rapida se non nel modo più sommario e incompleto.

Tre fa. i della vicenda agricola sovietica

in-teressano in particolare, quella della divisione

della terra tra i contadini, quella della N.E.P.

e infll1e la terza, quella della collettivizzazione dell 'agri col tura.

Le sconfitte militari, il decadimento dell'a u-torità, la disorganizzazione nei servizi, le ag ita-zioni operaie avevano aperto la via alle più

audaci speranze per il Partito Comunista che, per guadagnare le simpatie e l'appoggio di una multitudine di contadini, li incitava a impadro-nirsi della terra; nel volgere di pochi mesi, tra

il marzo c l'ottobre del 1917, si ebbero 5782 agitazioni contadine che culminarono con la

distruzione di gran parte della grande proprietà

terriera.

Con l'avvento al potere dei comunisti la proprictà privata veniva abolita, ma se ne rico

-nosceva l'uso a chi era in grado di lavorarla; si accettava, almcno sul piano pratico, la divisione

delle terre realizzata dai contadini, anche se si poneva l'accento su forme collettive di

pro-duzione.

Le aziende collcttive godevano di parti

co-lari vantaggi ma la loro realizzazione era la -sciata all'iniziativa degli interessati i quali di-mostravano praticamente di preferire le antiche c individuali forme di proprietà e di produzione. La divisione delle grandi aziende, le cre -scenti requisizioni di prodotti agricoli per sod

-disfare i bisogni della città e la mancanza di

manufatti da scambiare con i prodotti requisiti,

Francesco Saia

provocavano una profonda crisi di produzione

in tutti i settori dell'agricoltura con la manife

-stazione di vaste carestie che costarono la vita a milioni di persone.

Costringere con la forza una multitudine di

contadini a riedificare l'agricoltura in nome e

per un'ideologia estranea alla loro mentalità, senza alcun guadagno, era impossibile, e Lenin riconobbe che occorreva ripristinare la fiducia dei contadini assicurando loro i frutti del

pro-prio lavoro.

Si rinunciava alle rovinose requisizioni

sosti-tuendovi un'imposta fissa e certa in natura,

soddisfatta la quale, i contadini potevano

ven-dere liberamente al mercato le eccedenze.

Gli effetti furono immediati e notevoli, la superficie seminata crebbe in due anni (1922

-1924) da 54, a 72 milioni di ettari e la produ-zione di generi 'alimentari aumentò del 70

%

nello stesso periodo di tempo.

In complesso la vita del villaggio pareva ri-prendere la sua antica attività con la inevita-bile stratificazione sociale con ceti agiati, medi

e poveri, che pacificamente sembravano volgersi ad una restaurazione dell'ordine borghese.

La collettivizzazione spontanea dell'ag

ricol-tura si dimostrava un pieno insuccesso; nel

1928 la produzione agricola proveniva per il 97

%

dalle aziende private e solo il 3

%

dal

settore socializzato, dimostrando come quest'u

l-timo fosse sparuto e insignificante agli effetti

pratici della produzione.

Il convincimento della spontanea formazione

delle aziende collettive si fondava sull'esistenza di contadini poveri e medi che avrebbero dovuto

unirsi per lottare vittoriosamente contro i ricchi, ma la violenza e l'ignoranza degli elementi che

dominavano nei Sovieti di villaggio

intimidi-vano i contadini medi che preferirono restare fuori dalla lotta.

(18)

Con il passare del tempo il Governo Sovie-tico usciva vittorioso dalla guerra civile e con la liquidazione dei dissidenti raggiungeva un

su fficiente assestamento politico che gli consen-tiva innegabili progressi nella produzione

indu-striale socialista.

Maturavano i tempi in cui avrebbe potuto delineare e realizzare anche le sue ideologie nel vasto e difficile settore dell'agricoltura nel quale

non mancavano motivi per intervenire.

Nell'industria socialista gli accrescimenti di produzione si affermavano in maniera evidente e cospicua, nell'agricoltura invece la produzione aumentava con lento ritmo perchè la divisione

delle terre iniziata dai contadini continuava per

suo conto senza alcun controllo.

Cresceva il numero dei possessi e diminuiva la superficie media di ciascuno di essi, nel 1928

si contavano 25 milioni di aziende contadine di

cui i due terzi non superavano i 4 ettari di

estensione, ma se l'insufficiente superficie

spin-geva i contadini ad una prevalente economia di

consumo, il male peggiore era che le aziende di nuova formazione mancavano di bestiame e di

strumenti di lavoro che frenavano la possibilità della produzione.

S'aggiunga la enorme difficoltà che l'autorità incontrava nel controllo della produzione e ne l-l'esazione di tributi in natura mal tollerati da

una minuta numerosa borghesia agricola

nasco-stamente avversa al regime bolscevico che

avrebbe potuto in avvenire porre in pericolo il regime e si comprenderà che vi erano ragioni

sufficienti per un mutamento politico che ass

i-curasse una maggiore espansione dell'economia

agricola ed eliminasse per sempre il pericolo rappresentato dalla borghesia agricola.

Nel 1927 l'assemblea del Partito Comunista

approvò la proposta di Stalin di formare grandi imprese collettive nell'agricoltura e di e limi-nare i Kulak.

Decisa la irregimentazione dei contadini nelle aziende collettive, la sorte della produ-zione individuale era s~gnata e con essa la libera iniziativa, nel 1928 vennero resi noti i particolari del nuovo piano quinquennale tra

i quali era inclusa la collettivizzazione del 15

%

elelle fLziende contadine.

Il raggiungi mento del risultato era affidato più che all'impossibile miglioramento dell'eco -nomia collettiva al peggioramento di quella individuale; si riaccese la lotta di classe contro i Kulak additati e bollati di essere i nemici del Paese. Le requisizioni avvenivano su informa-zioni dei sovieti locali e gravavano principal-mente sui contadini medi e ricchi, che si

rin.u-161

CRONACHE ECONOMICHE

ta vano di partecipare alla collettivizzazione:

ma l'eliminazione dei Kulak era fine preciso c definitivo del regime e dopo che gli oppositori di Stalin furono abbattuti, la battaglia contro la cosidetta borghesia agricola non conobbe pill limiti e soste.

Per sgominare la resistenza dei Kulak si ricorse al Codice Penale con l'Art. 107 che an

-civ a la confisca dei beni di cui il 35 % andava a

favore dei contadini poveri.

La lotta di classe raggiun 'e un'asprezza che

non ha precedenti nella toria; alle requisi-zioni s'aggiun 'ero spaventose deportazioni e

condanne capitali, nell'infocata atmosfera si

svolse la campagna della collettivizzazione elci 1929-1930 durante la quale il 60% dci possessi di contadini vennero trasformati in aziende

collettive.

Il segreto della imponente trasformazione

va ricercato nel programma del governo, che

voleva l'espropriazione del Kulak e negli stru

-menti usati per la realizzazione dello scopo,

aITi-dato all'autorità locale con la collaborazione

elelle squadre politiche inviate nei Villaggi del Partito Comunista per assicurare il successo

dell'operazione.

Sembra, si dice, che i politruc intesero c applicarono oltre la lettera le disposizioni del

governo giungendo ad un vero e completo

ster-minio dei contadini con mentalità piccolo bor-ghese, ed era tale e sospettato di esserlo chiun

-que non era favorevole alla collettivizzazione, Racconta Sciolocov (l) che i Kulak, invece

di conferire il bestiame al Kolhoz, lo macella-vano e che le squadre politiche per rappresaglia

ne decretavano la deportazione con la conn. ca

di tutti i beni ivi compresi il vestiario e ogni altra suppellettile di casa che venivano poi di-visi tra i contadini poveri, l'avidità dei quali provocava denuncie di inadempienze vere o inventate per accrescere le confische e i beni da

dividere.

Vero che Sciolocov afferma nel suo ro-manzo che le squadre politiche male avevano inteso gli ordini dell'autorità e che Stalin li

aveva richiamati all'osservanza della legge, ma

è anche vero che l'intervento di Stalin è

avve-nuto quando le crudeli violenze erano compiute e l'esistenza dei contadini liberi era stata can-cella ta dalla infelice terra russa.

Crescevano e si moltiplicavano i Kolhoz, ma non diminuiva la resistenza e l'avversione

dei contadini che si manifestava nella neg li-genza delle coltivazioni, nel tentativo di

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