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Cronache Economiche. N.352, Aprile 1972

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CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA

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cronache

economiche

m e n s i l e d e l l a c a m e r a di c o m m e r c i o industria a r t i g i a n a t o e a g r i c o l -tura d i f o r i n o n u m e r o 3 5 2 - a p r i l e 1 9 7 2

sommario

L. M a l l è

3 Ottocento piemontese da ricuperare: Carlo Bonatto Minella

G. Eterni

13 Sulla determinazione dei benefici netti in relazione al metodo del DCF: il problema degli ammortamenti

G . Biraghi

18 Aspetti economici e giuridici dell'attività commerciale in Italia

M . M o r i n i

25 Psicologia fra campagna e città

R. M a r e n c o

29 I programmi della Lancia fedeli alla tradizione di qualità

A . Trincherò

34 Interventi straordinari e programmi per l'occupazione

R. G a s b a r r i

37 Appunti per una missione economica piemontese in Nigeria

A . V i g n a

58 Moda e turismo binomio felice

S. D u c a t i

63 L'autostrada del Brennero 66 Tra i libri

71 Dalle riviste

Corrispondenza, manoscritti, pubblicazioni deb-bono essere indirizzati alla Direzione della Ri-vista. L'accettazione degli articoli dipende dal giudizio insindacabile della Direzione. Gli scritti firmati o siglati rispecchiano soltanto il pen-siero dell'Autore e non impegnano la Direzione della Rivista né l'Amministrazione Camerale. Per le recensioni le pubblicazioni debbono es-sere inviate in duplice copia. È vietata la ri-produzione degli articoli e delle note senza l'autorizzazione della Direzione. I manoscritti, anche se non pubblicati, non si restituiscono.

Figura in copertina:

C. Bonatto Minella - Donna ebrea, 1877 - Torino, Civica Galleria d'Arte Moderna

Direttore responsabile: Primiano Lasorsa

Vice d i r e t t o r e :

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C A M E R A D I C O M M E R C I O

I N D U S T R I A A R T I G I A N A T O E A G R I C O L T U R A

E U F F I C I O P R O V I N C I A L E I N D U S T R I A C O M M E R C I O E A R T I G I A N A T O Sede: Palazzo Lascaris - Via Vittorio Alfieri, 15.

Corrispondenza: 10121 Torino - Via Vittorio Alfieri, 15 10100 Torino - Casella Postale 413.

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B O R S A V A L O R I

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B O R S A M E R C I

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Telegrammi: Borsa Merci - Via Andrea Doria, 15. Telefoni: 55.31.21 (5 linee).

G A B I N E T T O C H I M I C O M E R C E O L O G I C O

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Ottocento piemontese da ricuperare:

Carlo Bonatto Minella

Luigi Malie

Dopo aver •presentato, su que-sta rivique-sta « Federico Boccardo », mi par giusto togliere alla dimen-ticanza un altro nome; un nome, anzi, che non ebbe neppure quei pochi riconoscimenti che al Boc-cardo toccarono: quello di Carlo Bonatto Minella, nativo di Fras-sinetto Canavese, la cui vita bre-vissima — ventitré anni, dal 1855 al 1878! •— gli consenti appena di dar prova d'una tem-pra d'artista genuina e forte, originale e indipendente, per es-ser poi tosto troncata senza altre risonanze che una piccolissima presentazione commemorativa al-la. Promotrice torinese del 1878, come atto d'omaggio all'allievo precocemente morto, assai sti-mato dai professori; per riappa-rire alla Promotrice, nel 1892, con un manipolo di dipinti •— i soliti — in occasione del cin-quantenario della Istituzione ; e infine, nel 1922, trovandosi og-getto eli un tentativo di « ripro-posta », alla Biennale di Vene-zia, dopo di che l'indifferenza ricadde su di lui.

A quasi un secolo dalla morte di Bonatto, vediamo come il chia-rirsi degli orientamenti critici e il porsi del gusto stesso del pub-blico su un piano di maggior li-bertà e obiettività verso l'arte del passato, abbiano già largamente consumato certi schemi di valu-tazioni rimaste tanto a lungo in-discusse. Bonatto è certo fra co-loro che meritano una rimessa a fuoco. Dall'esiguo numero d'ope-re superstiti (Torino, Galleria Civica d'arte moderna; Torino, Accademia Albertina; Frassinet-to Canavese, parrocchiale) risalta una personalità robusta e co-sciente. Riservandoci altrove uno

studio più penetrante che consi-deri l'artista nel contesto storico del suo tempo, nell'ambiente in cui crebbe, accogliendo e rifiu-tando, riteniamo giusto offrire qui almeno un primo contatto

attraverso la lettura delle opere principali.

La pala della, « Deposizione dalla Croce », eseguita per la par-rocchiale di Frassinetto Cana-vese ed ivi tuttora, sta ad

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care non soltanto una simpatia del paese natale per il giovane Bonatto, ma una stima accredi-tata su basi già solide.

La « Deposizione » è impor-tante non solo per la consapevo-lezza nell'uso dei mezzi e per l'esito volitivo ma innanzitutto per la data: 1874. Dunque il Bonatto, ulteriormente conosciuto ormai solo più per le opere dal 1876 al 1878, va messo a fuoco prima ancora del « T'esalio », la sua più antica opera che fosse stata esposta, del 1876, e che ho ritrovata or ora, mentre la Depo-sizione, nota solo a chi si fosse arrampicato sulla balza di Fras-sinetto piuttosto appartata e di-sagevole fino a tempi a noi pros-simi, è il lavoro d'un giovane appena diciannoven ne ; un gio-vane che ancora nel '70 eseguiva « compiti » per i professori d'Ac-cademia come quel disegno

ri-copiante la Madonna della Seg-giola di Raffaello (in posizione rovesciata da sinistra a destra) eseguita dal ragazzo di quindici anni, per un corso del professor Enrico Gamba.

La pala di Frassinetto con-duce a Bonatto esordiente quanto a cultura e ad impianto, il quale non ha l'accento di creazione ori-ginale, personale, delle opere del-l'ultimo biennio; ma se per ipo-tesi essa non fosse datata, si stenterebbe a non crederla di un tre anni più tarda per il con-trollo mentale ch'essa discopre e per la, sicurezza di mano che solo ad un esame più addentrato di-mostra di non aver ancor rag-giunto l'acume nervoso e sensi-tivo di « Giuditta » e di « Donna ebrea ».

È viva tuttora a Frassinetto, ricordata del resto anche dai su-perstiti parenti, la tradizione che

Bonatto avesse preso a modelli per la Vergine e il Cristo i pro-pri genitori. Se il tempo può aver avvolto il fatto in una pa-tina di gentile leggenda, ci pare che essa possa venir raccolta nel-la sua naturalezza e semplicità reale: il povero pittore operando nel suo paesetto e non certo po-tendo lavorar di memoria sulle lezioni scolastiche d'anatomia, cercò i modelli dove solo riusciva a trovarli, al paese stesso, anzi in casa. E forse proprio quei tipi intatti, chiusi, austeri del paese (ove li ritrovi tali ancor oggi), gli permisero nella pala tanta verità, nobile e parca di sentimenti.

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ave-vano attinto con la più pedestre passività e con totale incompren-sione i Morgari, ed anche altri più esibizionisti di loro. Ma Bo-natto Minella è l'unico in quel tempo a ricomprendere il valore morale e drammatico dell'antica invenzione che riappare, in lui, liberata dall'urtante carattere di espediente d'effetto — da « dio-rama » edificante, buono per l'oc-chio e non per la meditazione re-ligiosa — tornando alla quali-ficazione di valore determinante d'un momento tragico e patetico in cui il dramma d'una morte, d'uno strazio materno, d'uno scuotersi dei cieli e dell'intene-brarsi della terra, son tutt'uno.

La sigla intensa e però riser-vatissima della Vergine s'inte-gra s'inte-grandiosamente in quella vi-cenda cosmica, moralmente e for-malmente; la sua figura allun-gata, attratta simbolicamente e materialmente dal sottile tronco della croce, è composta in piena dignità di espressione trattenuta e di struttura serrata, dai vasti ritmi interni, ondosi, senza edo-nismi, studiati senza conven-zione, irradianti e richiamati tut-ti al ganglio della mano destra e del ginocchio sinistro.

Ma soprattutto quel che col-pisce come elemento poetico e al contempo unificante, motivante anzi l'intera, composizione, è la luce, che della Vergine estrae o lascia sfondare carni e panneggi e sfugge al rischio di sentimen-talismo e di devozione melliflua rilevando pochi dati vividi, come lame luminose, celando il resto in penombre, in un pudore di emozioni che non concede sfoghi. Viso e inani della Vergine sono di sincerità e rattenutezza espres-siva esemplari. Bonatto, attor-niato ai suoi giorni dai peggiori esempi di pittura sacra, coglie solo il suggerimento generico d'una composizione tradizionale, ma sconvolge in buona parte, sebbene non del tutto, lo schema che impregna di nuovi contenuti.

Lo sfondo aderisce in pieno, per la sua concentrazione cupa

altrettanto raccolta e sobria; e la stria sanguigna di cielo è come un riprendere le strie di luce sul volto della madre. Paesaggio nu-do, desolato, su cui la croce d'un ladrone, in profilo, acquista esi-lità pungente, mentre il gruppo dei due dolenti in piedi, s'av-volge d'ombra bruno-rossastra, in potente e compressa allusività di « con-passione ».

Il Cristo stesso, pur cosi det-tagliato nel fisico, si integra ap-pieno compositivamente, e al-trettanto per segno, per luce, ed anche per la accentuata ma rag-gelata umanità. Sono la eccezio-nale sapienza di regia delle luci e la modulazione dei grigi delle carni, a impedire ch'esso sia troppo esibito nel primo piano e che esorbiti dalla scena. Il lume infatti lo evidenzia caricandolo d'accento veristico ma spiritua-lizzandolo in una timbratura simbolica e mentre ne fa sentire la tragedia e il raccapriccio della morte, lo fascia di pietà, in un'aura poetica che trova il suo compimento nel mirabile suda-rio, di luminosità soffocata.

Non si può parlare con ugual convinzione dell' « Andrea Vesa-lio che studia anatomia » del 1876, all' Accademia Albertina di Torino (e qui ringrazio il diret-tore, prof. Enrico Paulucci, per avermi rintracciato il dipinto, non esposto e, da decenni, di-menticato). In parte il quadro soffre d'uno stato di notevole de-perimento (offuscamento; estesi prosciughi) che altera i rapporti di colori e di piani; ma soffre prima, ancora d'una ridotta ca-pacità di presa del tema: non un senso religioso, una reverenza sacra e insieme di silente fami-liarità della « Deposizione », né i purismi simbolizzanti delle opere più tarde, ma l'obbligo d'aderire ad un soggetto storico, e per di più, d'un naturalismo scoperto. Un quadro esplicitamente esem-plificativo delle principali qua-lità richieste ad un giovane allie-vo d'un corso di figura: saper dipingere un ritratto e un nudo.

Ma Bonatto, anche qui, non si lascia sommergere e impianta la scena con semplicità e fran-chezza che escludono teatralità e ostentazione. Il celebre medico, fuor d'ogni posa, compare in un interno realizzato senza indugi né sciattezze descrittive, colle-gando i pochi elementi in base ad una sicura percezione dei va-lori di tono, secondo una gamma di neri, bruni, fulvi, grigi ar-gentei o grigi terrei. Lo stesso ignudo da notomizzare, figurato nella sua cerea inanimazione, non ha crudezza, né repellenza. Il pittore si preoccupò di farne uno studio di rapporti mono-cromati e di luce che allevia di molto il disegno e l'effetto veri-stico, anche se non giunge del tutto a trasfigurarli.

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Bonatto Minella C. - Giuditta, 1877 - Torino Civica Galleria d'Arte Moderna.

La « Giuditta » è firmata e da-tata 1877. Di erri 74 x 122, ha una larghezza di respiro che ri-chiama, di primo acchito, le di-mensioni vaste o addirittura enormi di certi quadroni storici, di dieci o veni'anni precedenti, dei maestri di Bonatto. Ma que-sti, serbando Vampiezza di

ta-glio e neppur rinnegando un cer-to cer-tono recitante, esclude, di quel-li, la teatralità in senso estro-verso e retorico per mantenere una sentitissima nota di sceno-grafia a servizio d'un tema inte-riormente rivissuto, non come episodio né come camuffamento in costume (ecco la immotivante

ragione che banalizzava tanta pittura storica!) ma come con-vinzione del valore morale d'un fatto biblico e trasposizione d'esso in un clima venato di simbolo, nonché fortemente impregnato di una « Stimmung » intima che, se proprio non del tutto discioglie, certo già consente di trascendere il tema stesso.

Qualche canone d'Accademia, c'è, ma quanto rilavato da pre-sunzioni tronfie e da lusinghe equivoche ! Giuditta è « prima-donna » d'un dramma. Ma come si svela subito d'altra pasta da certe « attrici » o meglio mime e istrione, per qualche tempo cele-bri, della pittura di quegli anni: si pensi cdla « l'emme de Clau-de » di Francesco Mosso, eseguita proprio nello stesso 1877, da par-te d'un giovane forse di rado in-contrato da Bonatto all'Accade-mia (nel '76 Mosso era ormai a Roma, ma da qualche tempo pri-ma aveva già rallentato il legame con l'Albertina) e però cresciuto con gli stessi maestri Enrico Gamba e Gastaldi.

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non disturbano più, tanto assu-mono nuovo suono.

Scalinata, colonna, parete, va-sca, vetrata: elementi di scena che son divenuti, in mano a Bo-natto, elementi non più di piatta e pretenziosa ostentazione, ma si caricano di quella emozione, ed anche tensione, che è — ponia-mo — dei simbolisti inglesi, in cui una venatura neoromantica s'insinua e affonda, legando le esaltazioni e i sogni del primo romanticismo a nuovi idealismi ormai facenti tutt'uno con le tendenze umanitarie, sociali, del tardo '800 ed in cui le eredità d'una retorica del mezzo secolo (e forse è meglio, per carità di patria, non darsi troppo da fare a cercar le ragioni e i climi da cui quella sbocciò e s'impose fino alla nausea per decenni) si disperdono, o ne rimangono quei pochi elementi non spuri ini-ziali che vengono mantenuti e riscattati in una aderenza sin-cera e diretta alla vita.

C'è, in Bonatto, una fede, che dà una ragion d'essere ai mo-saici di colonna e parete, ed fre-gio merlato con la teoria mono-cromatica dei personaggi babi-lonesi ritmati, alle vetrate di or-natismo achemenide, ai drap-peggi operati delle due donne.

Una fede che, ove anche fosse meno colta di quella di certi no-tissimi preraffaelliti inglesi o di altrettanto famosi « primitivi » tedeschi o d'altre nazioni, ed ove avesse meno pathos e fosse sor-retta da una meno scaltra tec-nica (in Bonatto, d'altronde, ap-pena in fase di iniziale rivelarsi a sé stessa), conduceva a risul-tati in non piccola parte pa-ralleli.

Il purismo del disegno, rigo-roso ma per nulla ostentato, por-tato ad un grado di lucidità casta e fredda ma riserbatamente af-fettuosa; il colore parco e amante di note basse ma giocato in smaltature addensate o in mi-nime e però diffuse accensioni di soffocati fulgori; l'aprirsi di stesure cromatiche luminose e

terse; l'amore per un décor che non è ozioso ma svela scelte cri-tiche in base ad un accurato ap-prendimento studioso (Bonatto che passava le sere nelle Biblio-teche); l'isolarsi e astrarsi di quella Giuditta; il raccogliersi commovente dell'ancella; tutto ciò converge verso un abbinarsi di propensione lirica e d'amor del mestiere — veicolo di una fede esso stesso — quali apparivano nel movimento inglese delle « Arts and crafts ». E se qui non si vuol fare alcun confronto di grandezze, esprimiamo però l'o-pinione che, di fronte ad alcuni grossi nomi internazionali di « primitivi », quel di Bonatto, più limitato, non scade certo di molto e, per quanto può esser lecita l'affermazione per un poco più che ventenne, ha il pregio d'una modestia preservante e so-pratutto d'una semplicità d'ani-mo e d'una purità indifesa d'in-tenti, non di frequente riscontra-bile in quegli altri, anche troppo consapevoli, coltissimi ma so-fisticati e con non pochi sospetti, a volte, di recitar una parte, in un compiacimento di mesco-lare purezze e voluttà (fossero, le ultime, dei sensi o dell'intel-letto).

Allo stesso 1877 risale la « Donna ebrea », tavoletta di cm 40 x 29, che non sappiamo se di poco precedente o susse-guente la Giuditta, ma proba-bilmente successiva e comunque indicante la propensione a su-perare in modo deciso il « tema » in una impostazione generistica. Qui il soggetto che di per sé sarebbe rimasto nell'ambito della programmatica « pittura di fi-gura » si disperde, col favore an-che del piccolo formato; e rimane appena una suggestione « di co-stume », puro e semplice pretesto ad una dolce, mesta, silenziosa scena lirica che, più che episo-dio o « bozzetto » come s'amava tanto a quei giorni, potrebbe me-glio chiamarsi « canzone » o, più semplicemente — in corrispon-denza del « Lied » tedesco •— « canto » o « lirica ». E vien spon-taneo chiedersi quanti, da noi, in pittura, abbiano espresso si-mili intimi, trepidi, riserbati canti. La « liederistica » pittorica in Piemonte conterebbe allora ben pochi nomi.

In « Donna ebrea » le figu-rette di madre e bambine sono un piccolo elemento nella va-stità della campagna, povera, spenta, triste. È una natura non

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ostile ma che non dà risposta e però avvolge. In quella natura illimitata e sospesa, madre e bimbe passano sospendendo esse stesse una mestizia, uno smar-rimento, non desolati né dispe-rati, ma struggenti. Un dolore dolce e affondante, un abbandono rassegnatamente fatalistico di de-boli creature, in un silenzio che si riempie del loro sommesso pathos.

Figure e natura son giocate anche qui su gamma bassa di tonalità verdine, grigio-azzurrine, realizzando una sin-golare atmosfera che è, ad un

tempo, tersa e velata, come d'un momento neutro della giornata, prima dell'alba o subito dopo il tramonto, nel sospendersi d'un primo barlume o d'un ultimo riflesso di luce. Il dipinto ne ri-cava una leggera ma insistente tensione, una nota lievemente panica, un accento di fissazione dello stato d'animo ma anche di durata costante e ineluttabile di esso. Lirica detta a voce sommes-sa, con coloritura propensa al monocromo, con regia inappa-riscente ima efficacissima di mezze luci: espressione di un artista adolescente, idealista, d'animo

« innocente » ma colmo, ricco di sollecitazioni, venato di delicate sfumature, ferito da pungenti nostalgie, acceso da ritrosi af-fetti, urgente ad esprimersi, vi-vido e completo nell'immagine mentale, sicuro di sé, controllato e sottilmente accorto nell'estrin-secazione.

La « Donila ebrea », indica, a mio avviso, una liberazione da quel po' di « scena » ancor clas-sica della Giuditta ch'era sostrato non tutto eliminato sebbene non disturbante ; e svela una p iù di-retta presa di contatto umano, indispensabile per i risultati del 1878. Non si avrebbe infatti, senza quell'intermezzo, la « Re-ligione dei trapassati ».

Già la Giuditta segnava una sicurezza d'impianto esemplare con la sua scansione di verticali e la calcolata, se mai un po' additiva, sequenza dei piani. La « Religione dei trapassati » s'im-posta ancor più serrata e strin-gata, su una struttura quanto mai semplificata. È scomparsa la successione di quinte; donna e colonna in primo piano, mu-retto di recinzione sovrastato da spiraglio di natura appena in-travista. Si nota una tendenza del Bonatto ci legar sempre molto strettamente figure e ambiente. In « La Religione » non si può neppur dire che donna e sepol-creto siano propriamente conte-nuti in uno spazio, fissati e rap-portati in una prospettiva, otti-camente stereometrizzati. Tutto è preciso ma l'impressione è d'una qualche indefinitezza del-l'ambiente, solo materialmente tagliato a sinistra ma non con-chiuso e, a destra, ribattuto da una più che altro suggerita an-golatura del recinto.

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Stella, qualcosa che -potremmo tentar di definire come il fascino

d'un mondo in cui la vita con-creta, pur attenta e amorosa alla verità delle cose, si fascia d'un delicato, casto idealismo, senza compiacenze romanticheggianti, senza estenuazioni o estetismi, con semplicità di sentimenti in-tatti, d'una pensosa e mesta ma non turbata adolescenza dell'a-nimo.

Il colorismo di Bonatto s'è fatto più denso, più largo, più efficace, più sapientemente or-chestrato, di sensibilità pittorica più immediata, di rapporti so-stanziosi. È pur sempre presente la smaltatura delle tinte, la quale le fa lucenti ma un poco le at-tenua; e però il contrasto fra le due note di vesti della donna: bianco e vinoso, cosi come lo stacco dei nastri sospesi o legati alla colonna, o, contro il grigiore gelido di questa, il colpo netto dell'anforetta, tutto ciò indica un deciso superamento del fare più minuzioso e più scritto della Giuditta. Ora il dipinto si apre come una respirante partitura cromatica, tanto più sensibile quanto più controllata e si vor-rebbe dire mortificata nelle note basse e spente del terreno erboso e del muricciolo, da cui sommes-samente affiora — « tra il vedi e il non vedi » — il fregio dipinto, come un riemergere di vecchie memorie, baluginare di ricordi d'altre vite. E proprio quel fre-gio è come il mediatore del pas-saggio allo spiraglio di campagna con i pochi alberelli e un lembo di cielo indifferente.

Tutto il dipinto può ricon-dursi, appunto, ad una concen-trazione di memoria, che in Bonatto si estrinseca lasciando piena concretezza alle cose, con-cretezza almeno di condensazione cromatica se non di definizione disegnativa che, dopo la Giu-ditta, è andata rapidamente at-tenuandosi fino a celarsi, poi — nella « Pensierosa » e negli « Autoritratti » sotto la sempre più complessa ed elaborata

trat-Bonatto Minella C. - Pensierosa - Torino, Civica Galleria d'Arte Moderna.

tazione delle luci su una pasta cromatica che si farà travagliata. Con la « Pensierosa » Bonatto distrugge una tradizione ritratti-stica. In primo luogo scompare l'im pianto ambientale ; né è ripre-so lo schema del busto su fondo scuro unito impersonale da valere come « repoussoir ». Non un am-biente (né un piano di staglio) ma un clima è creato dall'emer-gere e immergersi della donna entro il medium espansivo rea-lizzato dal fondo di stoffa a

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dal-l'interno che accentua la cor-responsione tra il volto e gli ele-menti attorno.

I capelli e il cappello riaf-fondano nell'ombra; la prima è una chiazza di colore. Anche il fiocco cdlo scollo è largamente realizzato nel colore, pur se il segno organizza il nodo e defi-nisce seccamente un orlo. Il col-lettino ferve inquieto e schiuma ai bordi, per poi disperdersi in un lieve fumo.

Giuditta è la stessa persona fisica della « Donna ebrea »: due volti da sovrapporre. Ma può affacciarsi la domanda se la donna di la « Pensierosa » non faccia ancor tutt'uno con quelle. Certo quest'ultima è un perso-naggio preciso, avuto davanti a

sé e scandagliato con singolare freddezza ansiosa. Il ragazzo montanaro, rustico, isolato, in-genuo, aveva però un intuito istintivo unito ad una tenacia e ad un acume d'indagine che sondava un'altra anima con se-vero rispetto ma con amara pe-netrazione, qui non ancor im-pietosa ma denudante. Calore umano e freddezza oggettiva si bilanciano; segno e colore corrono ugualmente senza. con-tradizioni; l'emergenza istanta-nea è anche un affondamento in uno spesso strato di tempo vis-suto.

Nulla è vistoso; tutto è efficace ed anche celatamente aggressivo.

Veste e sfondo bruni, ma il se-condo maculandosi di larvali

Bonatto Minella C. - Autoritratto - Torino, Civica Galleria d'Arte Moderna.

tocchi lividi; livide le carni d'un grigio-azzurro-verdastro acido, e ed primo momento, quasi repul-sivo, come un chiazzarsi di viso e collo per un male corrodente del corpo e dell'animo. XJna « Pensierosa » che potrebbe al-trettanto essere una « malata » o, nel linguaggio del tempo, una « perduta »; ma non una vinta, cosi risentita com'è, con un'al-terezza ritrosa, con una durezza ribelle anche nel silenzio.

La tecnica si è modulata sul vivo del personaggio e sulla ra-gionante passionalità del pit-tore. La pennellata fu definita qui, dallo Stella, « pomellata », parola che possiam riprendere o darle il sinonimo di « tassel-lata » se questa seconda non rischiasse di implicare una re-golarità o continuità distribu-tiva che è al di f uor i della prima, con l'impressione anche d'un che di vivo e mobile. Le carni infatti si pomellano di chiazze irrego-lari, disuguali, d'un lieve rosato spento e tristissimo, che col livi-dore di base compongono una nota acida e, insieme alle luci modellanti con vigore ma anche subdolamente scivolanti, ottengo-no un esito ambiguo di corruzione fisica, sfidata dal sofferente ma non piegabile sguardo.

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Bonatto Minella C. - Autoritratto - Torino, Civica Galleria d'Arte Moderna. Si comprende bene come,

nel-Veseguire gli autoritratti, il col-loquio con se stesso sia ancor più stringente, anzi incalzante in modo quasi persecutorio; e però con una taglienza che s'ab-bina, specie nel secondo, ad una grande, trepidante pietà per il proprio io distrutto.

L'autoritratto più piccolo (già degli eredi) è incompiuto ; e na-turalmente non prenderemo l'am-pia parte solo abbozzata per un volontario « non finito » dagli ef-fetti calcolati. Il Bonatto si raf-figura, qui e nel secondo autori-tratto, col pennello in mano, non per posa, sia pure ingenua; il pennello o la matita furono dav-vero i soli compagni della sua vita. Taglio ultraconciso, scabro, inelegante, incombente; autopre-sentazione di una verità che co-glie i dati fisici senza coprire i difetti (il capo grosso; l'incas-sarsi delle spalle; i tratti goffi e quasi deformi) ma al di là di essi spici una concentrazione feb-brile, un bruciare di volontà, una tortura di presentimenti. Tutto il piccolo dipinto è angoloso, a continui urti interni; la resa, sommaria nei capelli e nel busto, si fa piena e completa nel viso, ma con quale larghezza di pen-nellata dura e tesa, con quale vigore riassuntivo, con che ener-gia di rapida, perfino prepo-tente modellazione, non per que-sto meno riflessiva.

Lo sguardo punge e arde, non aperto sul mondo ma fissato in un consumante tormento interno. Come, dalla « Pensierosa », è stato rapido ed enorme il passo avanti, giungendo ad una rara forza di sintesi e ad una sem-plificazione aggressiva — ma an-che ascetica — della conduzione pittorica! Non più una pasta, morbida del colore, unita., né una sua « pomellatura », né più il disegno delineante particolareg-giando con acuta, sensitiva, te-nace scrittura, ma il modellare per forza di colore nella spes-sezza — peraltro facilmente di-radantesi — della massa, con

poche e decise o addirittura vio-lente giustaposizioni e contrap-posizioni di toni.

Si può dire che Bonatto, par-tito da una Accademia molto « corretta », proprio in duplice senso (di « correttezza. » di scuola e di « correzione » subito operata sugli insegnamenti), nel 1874-1876, si va spogliando delle re-more nel corso del 1877, per poi nei primi mesi del 1878 com-piere passi quasi fulminei e de-cisivi se da una già cosi eversiva e moderna e indipendente « Pen-sierosa » trascorre all' esaminato « autoritratto » e al successivo (o pressoché contemporaneo) che se-gna un maximum di matura-zione ìlei limiti della vita sul

punto di spegnersi e un maxi-mum di purificazione nonché eli virile e però allucinante e lan-cinante angoscia..

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aspre pennellate, anzi spatolate, o fa fervere la materia pitto-rica come un fermento (purtroppo qualche disturbo è dato da graffi e da, qualche abrasione). Se qual-che piccolo dettaglio nella Ver-gine della Deposizione lascia al colore una certa libertà di cre-scere e urgere, si tratta di ele-menti marginali e che non assu-mono l'urgenza espressiva del ri-trattino. Il volto potrebbe dare al primo momento l'impressione di una maggior giovinezza che nel ritratto precedente ; ma in un giovane poco oltre ai vent'anni, è rischioso trarre deduzioni dal-l'aspetto esteriore, quando la ra-gione poetica e drammatica dei

due ritrattini è cosi diversa, im-postandosi l'uno su una evidenza fisica bcdzante, l'altro sull'affon-damento in una profondità che assorbe e anzi divora.

L'impianto è, nelle due ope-re, pressoché uguale; esattamente uguale la posa di busto e braccio col pennello; lievissime le di-versità del capo e dello sguardo.

Entrambi i dipinti mi paiono del momento estremo; il primo per il vigore della modellazione risentita, perentoria e per la ra-pidità tagliente dello scandaglio psicologico ; il secondo per l' in-tensità affocata e angosciata di una sofferenza buia, dilatata in una dimensione interna. Non

(15)

Sulla determinazione dei benefici netti

in relazione al metodo del DCF:

il problema degli ammortamenti

Giorgio Elemi

1. Il metodo del D C F (discounted cash-flow) che nella teoria economica t r o v a u n a col-locazione di grande rilievo in relazione all'ana-lisi dei progetti di investimento (1), e a p p a r e come lo s t r u m e n t o pili rigoroso e flessibile per i calcoli di convenienza e redditività, t r o v a an-cora, nella jjratica operativa, applicazioni limi-t a limi-t e a vanlimi-taggio di allimi-tri crilimi-teri empirici e meno rigorosi.

Le ragioni di u n a certa resistenza, a livello operativo, all'adozione del D C F v a n n o forse cercate nei problemi che sorgono, in sede di valutazione dei benefici netti, per q u a n t o ri-g u a r d a alcune voci la cui inclusione od esclu-sione dal c o m p u t o dei benefìci p u ò far sorgere qualche perplessità.

Lo seojoo di questo lavoro è di analizzare i criteri di formazione del cash-flow di u n pro-g e t t o ai fini di una coerente applicazione del DCF, sia come s t r u m e n t o di valutazione sia come criterio di selezione t r a progetti alterna-tivi, con particolare riferimento al problema degli a m m o r t a m e n t i .

2. Il m e t o d o del D C F o Beneficio attualiz-zato, come è noto, considera l ' i n v e s t i m e n t o come u n a successione di valori finanziari di segno opposto a v e n t i u n a differente distribu-zione temporale.

I n altre parole, a d esborsi finanziari a t t u a l i o vicini nel t e m p o si c o n t r a p p o n g o n o , in ogni p r o g e t t o di investimento, flussi in e n t r a t a dif-feriti che, per ovvie ragioni di omogeneità, debbono essere attualizzati, al fine di consen-tire u n a sintesi del p r o g e t t o ed in definitiva u n a sua valutazione.

A p p a r e d u n q u e chiaro che, in tale ottica, il valore di u n p r o g e t t o è il valore a t t u a l i z z a t o dei benefici (finanziari) n e t t i sorgenti dallo svi-luppo del p r o g e t t o v a l u t a t i a d u n d a t o i s t a n t e (generalmente coincidente con il m o m e n t o del primo esborso) d e p u r a t i delle spese iniziali di investimento.

D e t t i allora rs e cs r i s p e t t i v a m e n t e i ricavi

ed i costi del periodo s.mo — ricavi e costi che

r a p p r e s e n t a n o effettive variazioni di cassa — ed I0 l ' a m m o n t a r e dell'investimento iniziale, si h a : n

A = 2 (rs - cs) (i + »)- - I0

s=l

ove n e la vita s t i m a t a del progetto, i il tasso di attualizzazione giudicato idoneo ed A il D C F del progetto.

U n progetto, sulla base di tale criterio, sarà giudicato da un generico operatore conveniente se il DCF, calcolato ad u n tasso r i t e n u t o idoneo allo scopo, ad esso associato è non-negativo, e un progetto sarà r i t e n u t o preferibile ad altri concorrenti se il D C F a d esso associato è il maggiore f r a i D C F dei progetti concorrenti.

Il problema più i m p o r t a n t e da risolvere ap-pare d u n q u e , a p a r t e il problema della scelta del tasso di attualizzazione — in definitiva meno d r a m m a t i c o di q u a n t o non sia in a p p a -renza — (2), quello della determinazione dei benefici periodici n e t t i rs — cs, cioè quello della

costruzione del cash-flow del progetto. Oggetto di questo lavoro non sarà però il problema statistico-econometrico di previsione delle condizioni di m e r c a t o e dei costi e ricavi, p r o b l e m a che o v v i a m e n t e sta a m o n t e ed è c o m u n e ad ogni studio di r e d d i t i v i t à economica degli investimenti, bensì il p r o b l e m a della uti-lizzazione degli i n p u t s p r o d o t t i dalla precedente fase di ricerca. Cioè, u n a volta che siano dispo-nibili le singole voci ed elementi che v e r r a n n o a comporre i piani di previsione, sorge il proble-m a della loro selezione e coproble-mposizione ai fini della costruzione del cash-flow.

Dalla n a t u r a stessa del m e t o d o del D C F , che assimila l ' i n v e s t i m e n t o a d u n a serie di flussi finanziari, si inferisce che, in generale, a f o r m a r e il cash-flow del p r o g e t t o d e b b a n o con-correre solo ed esclusivamente quegli elementi,

(1) Cfr. Grant & Ireson, Principles of Engineering Eco-nomi/, The Ronald Press Company, New York 1964; e P. Massi, Le choix des investissement, Duiiod, Parigi 1959.

(16)

positivi o negativi, che sono tali da provocare un effettivo m o v i m e n t o di cassa, e che tali elementi debbano essere « contabilizzati » nel m o m e n t o in cui effettivamente si realizzano.

Tale principio appare chiaro se si pensa che, ai fini della convenienza e redditività di un progetto è rilevante esclusivamente il be-neficio finanziario che sorge come effetto degli sforzi finanziari iniziali, indipendentemente da ogni decisione sulla destinazione che tali be-nefìci a v r a n n o per effetto di decisioni di ge-stione.

I n altre parole non sono rilevanti — in modo diretto — ai fini della valutazione a t t u a l e della redditività di u n progetto i t e m p i ed i modi nei quali i benefici saranno goduti o utilizzati, m a esclusivamente l ' a m m o n t a r e e le scadenze alle quali tali benefici si r e n d e r a n n o disponibili.

Si deve concludere allora che, t u t t e le voci contabili che riflettono decisioni sulla destina-zione dei margini finanziari che periodo per periodo si vengono a realizzare non devono concorrere alla formazione del cash-flow, al-meno nella misura in cui non r a p p r e s e n t a n o effettivi m o v i m e n t i di denaro.

In generale d u n q u e , per la maggior p a r t e delle consuete voci dei bilanci di previsione non dovrebbero sussistere d u b b i ed incertezze, in q u a n t o in generale non dovrebbero esistere soverchie difficoltà per stabilire se u n elemento r a p p r e s e n t a , almeno per la maggior p a r t e del suo a m m o n t a r e , u n a effettiva variazione finan-ziaria o, al contrario, u n a astrazione contabile senza u n a effettiva incidenza finanziaria diretta.

Cosi non dovrebbero sorgere incertezze né per q u a n t o r i g u a r d a le spese di investimento, cioè t u t t i i p a g a m e n t i ai fornitori degli i m p i a n t i , delle opere civili, ecc., che intervengono nel calcolo m a n m a n o che si realizzano, né per le spese e gli introiti di esercizio che periodo per periodo si vengono a d e t e r m i n a r e .

Se in generale il p r o b l e m a della d e t e r m i n a -zione dei benefici non p r e s e n t a particolari dif-ficoltà, per la maggior p a r t e delle voci « con-tabili » di previsione, r e s t a n o alcuni elementi — le q u o t e di a m m o r t a m e n t o tecnico e finan-ziario — che necessitano di un'analisi più det-tagliata sia per q u a n t o r i g u a r d a la loro consi-derazione o meno nei calcoli sia per q u a n t o r i g u a r d a — d a t a la loro i m p o r t a n z a q u a n t i t a -tiva — la misura degli effetti che la loro esclu-sione o le m o d a l i t à di incluesclu-sione p r o d u c o n o sui risultati finali.

3. Le q u o t e di a m m o r t a m e n t o tecnico sono quelle poste calcolate al fine di r i p a r t i r e i costi pluriennali su diversi periodi e che

ven-gono d e t r a t t e come elementi negativi ai fini della determinazione del reddito di esercizio. Appare immediato che, ai fini della deter-minazione del D C F tali poste sono irrilevanti nel computo dei benefici n e t t i in q u a n t o non corrispondono a effettive variazioni di cassa.

In altre parole, il costo degli impianti e delle altre spese iniziali a d u r a t a pluriennale, deve, ai fini della valutazione del progetto, essere preso in considerazione e contabilizzato nei mo-menti in cui effettivamente si verifica e non a r b i t r a r i a m e n t e suddiviso nel t e m p o mediante il procedimento d ' a m m o r t a m e n t o . L ' a m m o r t a -mento, in definitiva, riflette una volontà gestio-nale di destinazione dei benefìci sorti dallo sviluppo del progetto e quindi non deve, in ogni caso, essere d e t r a t t o dai margini finanziari che m a n m a n o si realizzano.

Si deve inoltre notare che, a p a r t e la dupli-cazione che si avrebbe se oltre alle spese di investimento si contabilizzassero anche le q u o t e di a m m o r t a m e n t o , u n modo di procedere che n o n contabilizzasse le spese di investimento per inserire le q u o t e di a m m o r t a m e n t o porterebbe ad u n a sovrastima del D C F .

I n f a t t i , i m m a g i n i a m o per semplicità che t u t t o l'investimento a v v e n g a in un'unica solu-zione, e che la d a t a di tale esborso sia a s s u n t a come origine o i s t a n t e di riferimento della va-lutazione del D C F si avrebbe, nel caso cor-r e t t o :

A = V bs (1 + - I0 ; bs = rs — cs 5 = 1

e, nel caso di conteggio delle quote di a m m o r -t a m e n -t o : n A* = 2 (b* - qs) (1 + i)-s ; S = 1 qs = 0 p e r s > k ; l i < n ove: k

21

= 7 0 s=l e quindi: le A* - A = I0 - V qs (1 + »)-• > 0 . • >i

È ancora i m p o r t a n t e n o t a r e che l'errore non è q u a n t i t a t i v a m e n t e irrilevante e che ri-sulta t a n t o maggiore q u a n t o più alto è il tasso di attualizzazione i e q u a n t o più lunga è la d u r a t a k d e l l ' a m m o r t a m e n t o .

I n f a t t i se a s s u m i a m o il caso, peraltro più f r e q u e n t e , di a m m o r t a m e n t o costante, cioè,

(17)

l'errore che si commette è pari a: a (k, i)] i / (i, k) = I0 1 — k

ove

(k, i) = V (i + i)-s

ed è facile verificare (3) che è: Sf

di r > 0 ;

IL

8k > 0 .

Si deve quindi concludere che il conteggio delle quote di a m m o r t a m e n t o (nel senso sopra precisato) è scorretto e comporta ad u n a so-v r a s t i m a del D C F ed inoltre l'errore che si c o m m e t t e è funzione crescente del tasso di attualizzazione e della d u r a t a dell'ammortam e n t o (a titolo indicativo ad u n tasso eli a t t u a lizzazione del 1 2 % e per u n a d u r a t a di a m m o r -t a m e n -t o pari a 10 anni si c o m m e -t -t e r e b b e un errore pari al 43,5% d e l l ' a m m o n t a r e dell'in-vestimento iniziale).

4. Il problema delle q u o t e di a m m o r t a m e n t o finanziario sorge q u a n d o il p r o g e t t o è, almeno in parte, finanziato m e d i a n t e il ricorso a pre-stiti esterni.

Il problema pare avere due soluzioni: a) u n a p r i m a consistente nel non conteg-giare a detrazione le q u o t e di a m m o r t a m e n t o ed inserire la t o t a l i t à delle spese di investi-mento, i n d i p e n d e n t e m e n t e dalla f o n t e di finan-ziamento;

b) u n a seconda che consiste nel

conteg-giare le q u o t e di a m m o r t a m e n t o finanziario ed inserire le spese di i n v e s t i m e n t o per la sola p a r t e n o n finanziata m e d i a n t e prestiti.

Dei due possibili approcci il p r o c e d i m e n t o corretto a p p a r e senza d u b b i o il secondo, anche se il primo non s e m b r a privo di u n certo signi-ficato teorico (4), in q u a n t o , per il soggetto investitore il vero sforzo finanziario è rappre-s e n t a t o erappre-sclurappre-sivamente dai f o n d i propri im-p e g n a t i e, le q u o t e di a m m o r t a m e n t o che m a n m a n o vengono p a g a t e , costituiscono effettive uscite finanziarie.

L'analisi dei due possibili approcci non è irrilevante in q u a n t o , c o m p o r t a n d o le due diverse soluzioni u n diverso dislocamento t e m -porale delle poste relative alle spese di i m p i a n t o , in generale, i risultati a cui conducono non sono uguali m a differiscono in m i s u r a apprez-zabile.

A tal fine i n d i c a n d o con Ia la p a r t e dell'in-v e s t i m e n t o finanziata m e d i a n t e prestiti e con

Ip = Io ~ la la p a r t e rimanente, le due possi-bili selezioni conducono rispettivamente a:

n

A, = 2 bs (1 + »)-« - I0

^ 2 = 2 (b« - ?«) (1 + i)~s - Ip

qs = 0 per s > k ; k<n

ove le qs r a p p r e s e n t a n o le quote di a m m o r t a

-m e n t o finanziario co-mprensive di capitale ed interessi calcolate ad un tasso ì* in base alla n o t a relazione:

k

la = ^ (1 + S = 1

Appare allora i m m e d i a t o che: A S £ A2 secondoché

(i + ì)~s - / . s o

cioè secondoché

10 1

I n altre parole i due metodi conducono allo stesso r i s u l t a t o se, e solo se, il tasso a d o t t a t o per i calcoli di attualizzazione coincide con il tasso di interesse p a g a t o sui fondi a prestito, mentre, se il tasso di attualizzazione è minore del tasso di interesse sui prestiti il primo me-todo conduce ad u n valore più alto, e quindi,

(3) Infatti posto: > (i, k) = 1 a(k, i) si ha: 8 1 k "TTT <P = V 2 S (1 + Ì) > 0 Si k ,= i e ~w(p=ì[a{k> i )-k4 ka ( k' f)]

per cui, tenuto conto che ln(\-\-i)<i e che (1 + i)~ è l'unzione decrescente si ha:

8 1 f ' . , In (1 4- i) - S E - » " » Z < ! + • > " - » < ' + • > • - - V -! In linea teorica si può ancora notare che, in entrambi i casi, esiste però un limite superiore all'errore e che tale limite è pari all'ammontare dell'investimento stesso:

lim f(i, k) = lim f(i, k) = I0.

i —> co k —> co

(18)

ad u n a sovrastima del DCF, e, nel caso opposto a d u n a s o t t o s t i m a del D C F del p r o g e t t o .

Se si considera che il caso i - = i*, cioè il caso in cui il tasso di attualizzazione a d o t t a t o risulta minore del tasso di interesse sui fondi m u t u a t i a p p a r e più teorico che concreto, in q u a n t o c o n t r a s t a con le più elementari n o r m e di logica economica, si deve concludere che, nei casi concreti, il t r a s c u r a r e le q u o t e di am-m o r t a am-m e n t o conduce a d u n a s o t t o s t i am-m a del beneficio complessivo del p r o g e t t o .

E a b b a s t a n z a agevole verificare inoltre che l'errore di s t i m a che si c o m m e t t e a d o t t a n d o il p r i m o m e t o d o è t a n t o più g r a v e q u a n t o mag-giore è la differenza t r a i due tassi i e i* e q u a n t o più lunga è la d u r a t a d e l l ' a m m o r t a m e n t o .

Se si assume, come a v v i e n e nella maggior p a r t e dei casi, l'ipotesi di a m m o r t a m e n t o eo-s t a n t e i n f a t t i eo-si h a :

/ (t, k) = la [« (t* k) a (i, li) - 1]

dove:

/ (i, k) = A x - A„

r a p p r e s e n t a l'errore e:

a [i*, k) = a (i*, le)"1

e k a(i, k) = V(1 •! i) « ed è facile p r o v a r e che (5):

ÌL

di 0 dk < 0 ; i* <i . e che q u i n d i l'errore a s s u m e l ' a n d a m e n t o di Fig. r. R e s t a a n c o r a d a n o t a r e che la situazione si a g g r a v a se, a b b a n d o n a n d o l'ipotesi di investi-m e n t o i s t a n t a n e o si a investi-m investi-m e t t e che l ' i n v e s t i investi-m e n t o

si realizzi a t t r a v e r s o più soluzioni di spesa, In tale caso i n f a t t i la comparazione t r a i me-todi di calcolo a) e b) avviene t r a flussi — da u n lato le spese di i n v e s t i m e n t o m a n m a n o che si realizzano e dall'altro le q u o t e di a m m o r t a -m e n t o finanziario — a v e n t i u n a differente di-stribuzione tenrporale.

Ne deriva che in generale non è più possi-bile stabilire il segno dell'errore d i p e n d e n d o in definitiva dalla distribuzione delle spese di in-v e s t i m e n t o . Se si pensa però che necessaria-m e n t e le spese di i n v e s t i necessaria-m e n t o d e b b o n o pre-sentare u n a maggior concentrazione iniziale, a p p a r e lecito supporre che, in definitiva, l'esclu-sione delle q u o t e di a m m o r t a m e n t o finanziario (per l'inserimento t o t a l e delle spese di investi-m e n t o ) conduca seinvesti-mpre a d u n a s o t t o s t i investi-m a del DCB1 di u n p r o g e t t o .

(5) In effetti posto

<p (i) = a (i* k) a (i, k) — 1 si ha

<p' (i) = — a (i*, k) 2 s (1 + i)—1 < 0

S = 1

cp" (i) = a (i*, k) 2 s (s + 1) (1 + i)-'"2 > 0 S = 1

inoltre, in linea teorica si hanno, per l'errore di stima i due seguenti limiti: k lim <p = — - 1 > 0 i—>o «(»*> k) e lim <p = — 1 . i —> aj

Agevole, anche se meno immediata, si presenta l'analisi dell'errore in funzione della durata k dell'ammortamento, infatti posto

rp (k) = a (i*, k) a (i, k) — 1 si ha:

cp' (.k) = a2 (i*, k) [a' (i, k) a (i*, k) - a (i, k) a' (i*, /,')]== 0

secondoché

q(t*. fc) a(i, k) >

~a7(i*, k) ~ a' (i, A-) '

ma, considerando la funzione a (su, k) 0 a' (x, k) si avrà che V>' (x) 1 a'2 (x, k)

(intendendosi la derivazione rispetto ad x)

(19)

5. Risulta quindi p a r t i c o l a r m e n t e evidente l ' i m p o r t a n z a che il problema degli a m m o r t a -menti assume nell'applicazione del m e t o d o del DCF, p o t e n d o c o m p o r t a r e errori di stima del beneficio totale ricavabile dallo sviluppo di un progetto.

L a questione assume a s p e t t i ancora più gravi q u a n d o , e questo è il caso più generale, i calcoli di attualizzazione a b b i a n o lo scopo non solo di v a l u t a r e singoli progetti bensì a t t e n d a n o ad u n a selezione tra diversi p r o g e t t i o v a r i a n t i di 2)rogetti t r a loro in concorrenza.

U n a non c o r r e t t a inclusione nei calcoli degli a m m o r t a m e n t i c o m p o r t a , nel caso della sele-zione, non solo s f a s a m e n t i nei D C F dei pro-getti, ma, d i p e n d e n d o gli errori e il segno stesso degli errori, come è s t a t o p r i m a illustrato, da caratteristiche proprie di ciascun p r o g e t t o — s t r u t t u r a finanziaria, condizioni di finanzia-m e n t o , d u r a t a , ecc. — p u ò accadere che si a b b i a n o a d d i r i t t u r a variazioni nel r a n k i n g t r a i idrogetti concorrenti.

I n altre parole p u ò accadere che d a t o u n certo n u m e r o di idrogetti d a selezionare, la scelta risulti r i v o l u z i o n a t a e la scheda di pre-feribilità quindi influenzata dalla n o n c o r r e t t a inclusione delle q u o t e di a m m o r t a m e n t o nei calcoli del D C F .

Si deve d u n q u e concludere che, in specie q u a n d o il m e t o d o del D C F è u s a t o come cri-terio di selezione t r a p r o g e t t i di i n v e s t i m e n t o , gli a m m o r t a m e n t i giocano u n ruolo m o l t o deli-cato nella meccanica del criterio stesso, e, spe-cialmente q u a n d o si t r a t t i di p r o g e t t i a v e n t i s t r u t t u r a finanziaria differente, la c o r r e t t a

im-plicazione delle q u o t e di a m m o r t a m e n t o nei calcoli, d i v e n t a f o n d a m e n t a l e per l'attendibilità dei risultati.

segue nota o.

relazione che p u ò scriversi

k k E s * ( l + x)- E s ( l + x)~> '=1 + k • -••<. k E s (1 + x)— E (1 + x)— 5 = 1 S = 1

ma, ricordando che la media q u a d r a t i c a di numeri positivi è sempre maggiore della corrispondente media aritmetica, cioè:

k . k E s2 (1 + x)-' / E s (1 + x)~' s= 1 = 1 > k " I k E^ ( 1 + x)-' \ E ( i + X si deve concludere che, a maggior ragione, è

y/ ( x ) > 0 e quindi se i> i* e in definitiva a (i*, k) a (i, k) a' (i*, k) a' (i, k) <p' (k) < 0 .

Si p u ò ancora n o t a r e che, in linea teorica, l'errore di s t i m a sarà c o n t e n u t o t r a i limiti:

)'* ln( l + i )

h m q> k = — , ; ; ' - 1 < 0 ; i > i* k->0 « In (1+**)

(in q u a n t o la funzione In (1 -f x)jx è decrescente) e i* , i* ln(\+i) hm <p (k — ~ - 1 < — v J ' - 1 < 0

(20)

Aspetti economici e giuridici

dell'attività commerciale in Italia

Giancarlo Biraghi o

L ' I t a l i a non si può certo dire u n Paese ad economia terziaria, anche se l'incidenza del pro-d o t t o lorpro-do pro-del settore servizi (privati e pubblici) sul totale del p r o d o t t o lordo interno ha ormai raggiunto valori considerevoli e più o meno aderenti a quelli degli altri Paesi della CEE, che oscillano intorno al 50%. I ser-vizi privati in particolare con-tribuiscono al p r o d o t t o lordo (al costo dei fattori) per il 3 8 % circa, di f r o n t e al 31 % di 20 anni addietro e al 3 6 % di dieci anni fa.

P i ù sensibile è il distacco del-l'Italia dagli altri Paesi di più a v a n z a t a s t r u t t u r a economica in f a t t o di ripartizione dell'oc-cupazione. Le ultime rilevazioni campionarie sulle forze di lavoro d a n n o u n a percentuale del 3 7 % di occupati nelle a t t i v i t à ter-ziarie Qorivate e pubbliche), va-lore n o t e v o l m e n t e discosto da quelli r i p o r t a t i sull'n A n n u a i r e des statistiques du travail » del B I T j^er altri i m p o r t a n t i Paesi europei, come la Germania con il 4 2 % , la F r a n c i a con il 4 8 % , il Regno LTnito, il Belgio e la Da-n i m a r c a coDa-n circa il 50%, per non parlare del 4 5 % del Giap-pone, del 5 0 % dell'Australia, del 5 7 % del Canada e di oltre il 6 1 % degli S t a t i Uniti. T u t t o s o m m a t o t r a i grandi Paesi eu-ropei solo la Spagna si t r o v a a u n livello inferiore, con circa il 3 4 % .

Se consideriamo però l'inci-denza specifica degli occupati nel r a m o commercio e assimi-lati la situazione italiana si

pre-senta a b b a s t a n z a vicina a quella della Germania, della D a n i m a r -ca e del Regno Unito con quote oscillanti t r a il 15 e il 16%, m e n t r e valori superiori si riscon-t r a n o per il Belgio (17%), la F r a n c i a (20%) e, fuori d ' E u -ropa, per l'Australia e il Canada (20%), per il Giappone (22%) e per gli Stati Uniti (23%).

A sua volta il reddito del com-mercio e pubblici esercizi costi-tuisce in Italia all'incirca il 1 2 % del p r o d o t t o lordo interno (ai prezzi di mercato), secondo le ultime statistiche c o m p a r a t e dell'OcDE. Questa percentuale risulta superiore a quelle della F r a n c i a e del Regno Unito (circa

11%), p r a t i c a m e n t e uguale a quelle del Belgio, Spagna e Nor-vegia (12%), inferiore a quelle riscontrate in Germania e Ca-n a d a (13%), D a Ca-n i m a r c a (15%), Stati Uniti (16%), Giappone (18%), Svezia (20%).

Dal p u n t o di vista dell'occu-pazione e del reddito si vede d u n q u e come l'Italia, in m a t e r i a di s t r u t t u r a commerciale, non si trovi in condizioni granché diverse rispetto a d altri impor-t a n impor-t i Paesi d e l l ' E u r o p a e di alimpor-tri continenti. E p p u r e è r i s a p u t o che il settore è a f f e t t o in questo Paese da notevoli elementi pa-tologici, che vengono in luce soltanto se dall'osservazione di grandezze di c a r a t t e r e spicca-t a m e n spicca-t e macro-economico si scende u n po' a d d e n t r o nei par-ticolari organizzativi di questo tipo di a t t i v i t à . Si d o v r à allora c o n s t a t a r e che se l'Italia è oggi u n Paese m o d e r n o sotto il

pro-filo industriale, t a n t o da occu-pare il settimo posto nella gra-duatoria mondiale dei Paesi in-dustrializzati, presenta ancora notevoli caratteristiche di arre-tratezza in f a t t o di assetto delle a t t i v i t à distributive.

* * *

I p u n t i deboli più appari-scenti si possono sinteticamente indicare come segue:

— polverizzazione del commer-cio al dettaglio;

— scarsa vitalità del commercio all'ingrosso;

— modesta diffusione delle uni-t à della grande disuni-tribuzione. Al censimento del 1951 si c o n t a v a n o in Italia 470 mila imprese esercenti il commercio al minuto, corrispondenti a circa 500 mila esercizi di vendita; dopo dieci anni queste cifre salgono r i s p e t t i v a m e n t e a 626 mila imprese e 663 mila u n i t à

Questo scritto appare contemporanea-mente anche sulla rivista francese " Pers-pectives Alpines ", trimestrale della Ca-mera di commercio e industria di Gre-noble.

Il fatto si iscrive nel più ampio pro-cesso di collaborazione, in atto da un ven-tennio a questa parte e attualmente in fase di ulteriore sviluppo, tra le Camere di commercio italiane e francesi delle zone di frontiera, che trova la sua consacra-zione istituzionale nella " Conferenza Per-manente ".

(21)

Nel grande magazzino l'esposizione delle merci ed il sistema di circolazione della clientela sono problemi fondamentali.

locali; nel 1969 i p u n t i di ven-d i t a compiono un ulteriore balzo fino a raggiungere le 808 mila u n i t à ; secondo stime a g g i o r n a t e del Ministero d e l l ' i n d u s t r i a e commercio a fine 1970 i negozi al d e t t a g l i o in I t a l i a tocchereb-bero quasi le 850 mila u n i t à .

Il f e n o m e n o è p a r t i c o l a r m e n -te n e g a t i v o da d u e p u n t i di vista: s o t t o il profilo statico, a p p a r e l ' a b n o r m e consistenza della r e t e d i s t r i b u t i v a i t a l i a n a , n e t t a m e n t e s o v r a d i m e n s i o n a t a se si considera che la F r a n c i a n o n s u p e r a i 500 mila esercizi al d e t t a g l i o e la G e r m a n i a si aggira sui 470 mila (secondo d a t i a g g i o r n a t i al 1969); forse a n c o r a p i ù p r e o c c u p a n t e è la d i n a m i c a p e r la quale, c o n t r a -r i a m e n t e a q u a n t o si è ve-rifi-

verifi-cato nei Paesi e c o n o m i c a m e n t e più evoluti, I m p a r a t o c o m m e r -ciale è a n d a t o in I t a l i a sistema-t i c a m e n sistema-t e infisistema-tsistema-tendosi, peggio-r a n d o g peggio-r a d u a l m e n t e la situa-zione. I n effetti c o n t r o 100 p u n t i di v e n d i t a al d e t t a g l i o italiani se ne h a n n o 62 francesi e 58 tedeschi.

(22)

PAESI SUPER- SUPERETTES MAGAZZINI IPERMERCATI

PAESI MERCATI POPOLARI

Italia 538 588 498 1 Francia 1.833 4.117 752 115 Germania R. F 2.045 3.458 1.400 456 Belgio 400 1.500 220 16 Olanda 318 2.700 160 20

d a t a dal ruolo secondario ri-v e s t i t o d a l c o m m e r c i o all'in-grosso.

Secondo d a t i là r i p o r t a t i , e riferentisi ai p r i m i a n n i del de-cennio I960, r i s u l t a v a che l'in-cidenza degli esercizi all'ingros-so in Italia t o c c a v a s o l t a n t o il 9 % dell'insieme d e l l ' a p p a r a t o commerciale, m e n t r e raggiun-g e v a in F r a n c i a il 1 5 % , in Ger-m a n i a e in Belgio il 1 6 % , e in

D a t a la scarsa diffusione delle u n i t à della g r a n d e distribuzione, si p u ò rilevare che in I t a l i a il

n u m e r o dei p u n t i di v e n d i t a che o p e r a n o a libero servizio inte-grale sono r e l a t i v a m e n t e pochi:

L'ipermercato si avvale di strutture fìsse molto semplici, ma gioca la carta degli immensi parcheggi per autovetture.

i m m u t a t a ) , c o n t r o 3,6 in F r a n -cia, 4,8 in Germania, 5,1 in Gran B r e t a g n a e 5,4 in Svezia.

D ' a l t r a p a r t e il commercio a.1 m i n u t o in I t a l i a soffre a n c h e d a u n p u n t o di v i s t a q u a l i t a t i v o , per l'eccessiva incidenza del set-tore a l i m e n t a r e sul t o t a l e degli esercizi. I negozi di a l i m e n t a r i r a p p r e s e n t a n o il 5 5 % dell'in-t e r a redell'in-te d i s dell'in-t r i b u dell'in-t i v a , c o n dell'in-t r o il 50 % della F r a n c i a , il 48 % della G e r m a n i a , il 4 5 % della Gran B r e t a g n a e il 3 6 % della Svezia. U n o s t u d i o n o n m o l t o aggior-n a t o , m a q u a l i t a t i v a m e aggior-n t e aaggior-n- ancora valido, p u b b l i c a t o d a l l ' I -s t i t u t o -stati-stico della C E E nel 1968, r e l a t i v o alla s t r u t t u r a del commercio nella C o m u n i t à eu-ropea, n o t a v a che u n a delle maggiori carenze, p e r a l t r o assai di r a d o messa in luce, del si-s t e m a d i si-s t r i b u t i v o i t a l i a n o è

Olanda il '20%. Ancora p i ù forti r i s u l t a v a n o gli scarti corrispon-d e n t i in t e r m i n i corrispon-di occupazione: l'ingrosso italiano i m p i e g a v a il 2 0 % degli a d d e t t i al commer-cio, c o n t r o il 25 % della F r a n c i a , il 3 1 % della G e r m a n i a , il 3 3 % del Belgio e il 3 8 % dell'Olanda. Queste cifre sono, a l m e n o co-me ordine di grandezza, confer-m a t e dalle inforconfer-mazioni p i ù re-centi (1969), che indicano come la p a r t e delle aziende c o m m e r -ciali all'ingrosso si aggiri sul-l ' 8 , 5 % in I t a sul-l i a , susul-l 1 3 % in F r a n c i a e sul 20 % in Ger-m a n i a .

Il f a t t o saliente nelle carenze della s t r u t t u r a d i s t r i b u t i v a in I t a l i a è d a t o però dalla scarsa

diffusione del grande dettaglio rispetto ai Paesi socialmente più a v a n z a t i . Mettendo insieme, nel c a m p o alimentare, supermercati e s u p e r e t i f i o minimercati (dai 200 ai 400 m q di superfìcie di v e n d i t a ) si superano in Italia a p p e n a le 1.100 u n i t à , contro le ben 6 mila della Francia, le 5.500 della Germania, le 1.900 del Belgio e le oltre 3.000 del-l'Olanda (Paesi gli ultimi due che r a p p r e s e n t a n o in termini demografici poco più di u n a grande regione italiana). Anche nel settore dei magazzini popo-lari e grandi magazzini si riscon-t r a n o sensibili differenze, pure a m m e t t e n d o s i che i divari qui sono m e n o a c c e n t u a t i . Ma quel-lo che serve a precisare il di-stacco dell'Italia rispetto alle f o r m e p i ù evolute della g r a n d e distribuzione è desumibile dalla situazione degli ipermercati. Soltanto alla fine del 1971 si è realizzata un'iniziativa S t a n d a a Castellanza (a pochi chilome-tri da Milano), che r a p p r e s e n t a finora l'unico caso, contro i 115 i p e r m e r c a t i della F r a n c i a ed i 456 già esistenti in G e r m a n i a . U n p r o g e t t o i n t e r e s s a n t e l'area m e t r o p o l i t a n a torinese n o n ha a v u t o seguito per ragioni di or-dine u r b a n i s t i c o . U n q u a d r o si-n o t t i c o della situaziosi-ne, r e l a t i v a ai Paesi del nucleo originario C E E , è ricavabile dalla tabella che segue, ripresa da u n o studio dell'lNDis ( I s t i t u t o nazionale della distribuzione).

(23)

Il negozio tradizionale, se qualificato, mantiene la sua funzione ed afferma la propria capacità di competizione.

a p p e n a 2.500 (come nel piccolo Belgio), c o n t r o i 18 mila della F r a n c i a , i 20 mila della G r a n B r e t a g n a , gli 85 mila della Ger-m a n i a occidentale, i 9 Ger-mila dei Paesi Bassi e della Svezia. S o t t o q u e s t o profilo l ' I t a l i a è supe-r a t a a n c h e dalla Spagna, che possiede 4.500 p u n t i di v e n d i t a a t o t a l e self-service.

Concludiamo q u e s t a p a r t e con qualche cenno alla r i p a r t i -zione della cifra d ' a f f a r i nel com-mercio al d e t t a g l i o . I n I t a l i a l ' 8 7 , 4 % è d o v u t o a piccoli det-t a g l i a n det-t i i n d i p e n d e n det-t i e solo il 1 2 , 6 % al commercio i n t e g r a t o ed associato, il quale invece si a t t r i b u i s c e u n a q u o t a di circa u n terzo in F r a n c i a e di d u e terzi in G e r m a n i a . Se si consi-dera il solo s e t t o r e a l i m e n t a r e si c o n s t a t a che s u p e r m e r c a t i , s u p e r e t t e s e i p e r m e r c a t i a p p a r -t e n e n -t i a d i m p r e s e con succur-sali multiple, r i e n t r a n t i cioè in u n a f o r m a di c o m m e r c i o inte-g r a t o di t i p o capitalistico, rainte-g- rag-g i u n rag-g o n o a p p e n a il 4 , 1 % della

cifra globale d ' a f f a r i c o n t r o il 20 % e oltre in F r a n c i a e in Ger-m a n i a . Consta che negli S t a t i U n i t i le imprese con succursali multiple coprono a d d i r i t t u r a il 5 5 % del t o t a l e f a t t u r a t o dai p u n t i di v e n d i t a di p r o d o t t i ali-m e n t a r i .

I n base a d a c c u r a t e ricerche del già c i t a t o I N D I S sulle più

i m p o r t a n t i società di d i s t r i b u -zione al d e t t a g l i o in E u r o p a , secondo il f a t t u r a t o del 1970, le sole società italiane p r e s e n t i nell'elenco delle p r i m e c i n q u a n -t a sono la S T A N D A , al 2 0 °

posto, e il g r u p p o R i n a s c e n t e

-U P I M - S M A che figura al 2 7 °

posto, m e n t r e sono p r e s e n t i b e n v e n t i società inglesi, u n d i c i te-desche, s e t t e francesi, t r e bel-ghe, t r e olandesi, t r e svedesi e u n a svizzera.

L ' a s s e t t o del P i e m o n t e e della Valle d ' A o s t a , in o r d i n e alla s t r u t t u r a commerciale, n o n è

g r a n c h é diverso d a quello os-s e r v a t o nella media nazionale, specie per ciò che r i g u a r d a la q u o t a di popolazione a t t i v a im-p i e g a t a nel settore e la q u o t a di p r o d o t t o erogato dallo stesso.

(24)

varia di pochissimo, perché pas-sa t r a il 1951 e il 1969 da 2 a 2,1 j:>er il Piemonte e da 1,9 a 2,1 per la Valle d'Aosta.

La grande distribuzione è rap-presentata, a fine 1970, da 35 grandi magazzini in Piemonte e da uno in Valle d'Aosta, per una superficie totale di 88 mila m q nel primo caso e di 3,6 mila m q nel secondo; in pratica si hanno in P i e m o n t e 0,79 grandi magazzini per 100 mila a b i t a n t i e 0,91 per la Valle d'Aosta, cor-rispondenti r i s p e t t i v a m e n t e a 10,4 m q e a 19,7 m q di super-ficie di vendita per 1.000 abi-t a n abi-t i . Nelle singole province del P i e m o n t e la densità dei grandi magazzini, espressa in super-ficie di vendita per 1.000 abi-tanti, raggiunge un massimo a Torino con 13,6 m q e scende al valore minimo a Cuneo con 3,5 mq. Le 35 u n i t à del Piemonte

si ripartiscono provincialmente cosi: 22 a Torino, 5 ad Ales-sandria, 3 a Novara, 2 a Cuneo e Vercelli, 1 ad Asti.

Per q u a n t o riguarda il settore alimentare, a fine 1970 funzio-n a v a funzio-n o ifunzio-n Piemofunzio-nte 60 super-mercati, con una superficie to-tale di circa 78 mila mq, corri-spondenti a 1,35 unità per 100 mila a b i t a n t i e a 8,9 m q di su-perficie di vendita per 1.000 abi-tanti; in Valle d'Aosta si ave-vano 2 supermercati, con u n a superficie totale di circa 2,7 mila mq, corrispondenti a 1,82 u n i t à per 100 mila a b i t a n t i e a 11,5 m q di superfìcie di v e n d i t a per 1.000 abitanti. La densità nelle province del P i e m o n t e raggiun-ge il suo massimo con 11,3 m q di superficie di v e n d i t a per 1.000 a b i t a n t i a Torino e scende ad u n minimo di 2,7 m q ad Asti. L a ripartizione sul territorio

delle 60 unità attive in Piemon-te è la seguenPiemon-te: 36 a Torino, 9 ad Alessandria, 6 a Novara, 5 a Vercelli, 3 a Cuneo, 1 ad Asti.

La consistenza dei minimer-cati in Piemonte è di 41 unità, di cui 13 in provincia di Torino, 10 a Novara, 5 ad Alessandria e a Cuneo, 4 a Vercelli e ad Asti. Nessuna u n i t à si registra in Valle d'Aosta.

Le condizioni strutturali del settore distributivo in Italia so-no l'effetto di fattori diversi, tra i quali va menzionata in primo luogo la relativamente recente trasformazione dell'economia da agricola ad industriale.

Notevole influenza va t u t t a -via a t t r i b u i t a anche al tipo di disciplina giuridica dell'attività

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,'s NtVEAUX ENTREE EIFFEL ? NWEAUX pmsuntc SUfi 2 NIVEAU* 100 MAGASIN5 tmmrsMPS 3 NIVEAOX SUMA ENi-ttee

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