L'ECONOMISTA
GAZZETTA SETTIMANALE
SCIENZA ECONOMICA, F IN A N Z A , COMMERCIO, BAN CH I, F E R R O V IE , IN TERESSI P R IV A T I
A m o
m ìn i
- V o i .
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F iren ze,
21
A jr ile
1901
». UOì
LA QUESTIONE DI NAPOLI
I.
Questione morale e questione economica
(Nostra corrispondenza)
Considero molto onorevole l’ invito che mi
avete fatto di scrivere intorno a quella che oggi
viene sinteticamente chiamata Questione Napo
letana. Per ragionarne con serenità, nessuna sede
è più degna e meglio adatta del vostro perio
dico.
Un quarto di secolo, e più, ài vita onorata
ha da un pezzo resa notoria e indiscussa quella
assoluta indipendenza ch’esso volle avere fino
dal primo giorno e seppe sempre conservarsi.
Inoltre il suo titolo e il suo contenuto si
prestano evidentemente agli studi su una que
stione, che ha oramai eco rumorosa in tutto il
paese, nella quale l’elemento morale e l’elemento
economico si intrecciano bensì in modo molto
stretto, ma quello economico — secondo me —
in certo modo prevale, perchè più fondamentale,
più antico, più permanente.
*
* *
Su questo punto non sono tutti d’accordo
fra loro i valentuomini che negli ultimi tempi
si sono occupati della questione napoletana nei
suoi diversi aspetti.
L ’onor. Salandra è tra quelli che dànno la
dovuta importanza allo stato economico di Na
poli, e osservando che il lavoro è scarso in con
fronto alla numerosissima popolazione, che que
sta vive ammucchiata in piccolo spazio e si nu
tre poco e male, come lo provano gli introiti
sconfortanti del dazio di consumo, giustamente
conclude: « Ebbene, a questo popolo date il re
gime assoluto o il governo libero, dategli la mo
rale cattolica o la razionalista, dategli il liberi
smo, o il clericalismo, o il socialismo, gli effetti
varieranno di poco. Occorre prima di tutto e so
pra tutto dargli lavoro : lavoro sicuro, costante,
equamente rinumerato, lavoro sia pure aspro e
duro, ma tale che gli garantisca l’esistenza e non
gli sopprima la dignità del vivere e la possibilità
del progresso civile. — Nè mi si opponga che
ho spostata la questione, portandola dal campo
amministrativo, cioè dalla cerchia delle classi che
sogliono chiamarsi dirigenti, nel campo econo
mico, cioè in quello delle condizioni di vita delle
massime popolari. Il vertice della piramide so
ciale ha tanto di forza morale e mentale, quanto
ne può desumere dalla base. Questo che, in
certa misura, è vero sempre, è vero più che
mai quando la via per l’ascensione è la demo
crazia elettorale. » (La Lettura, gennaio 1901).
Invece il prof. Nitti, pur non trascurando
il lato economico della questione, afferma che
« il problema di Napoli è sopra tutto morale, ed
è l’ambiente morale che impedisce qualunque
trasformazione economica. » (La Riforma So
ciale, 15 dicembre 1900). E dopo avere, nel suo
accurato ed efficace articolo, accennato alle va
rie forme di corruzione che inquinano la vita pub
blica napoletana ed alla responsabilità del G o
verno, che sempre le favorì invece di reprimerle,
osserva : « Cosi si è mantenuta un’atmosfera d:
concessioni reciproche, di corruzioni, di prepo
tenze, che impedisce a qualunque energia feconda
di svilupparsi e fa dilagare il parassitismo. Molti
che, in condizioni ordinarie e normali, sarebbero
indotti a impiantare industrie, a tentare imprese
commerciali, non tentano o si scoraggiano per le
difficoltà che incontrano sulla loro via. »
E non per voi, che lo conoscete di certo,
ma per qualche vostro lettore che non conoscesse
il pregevole scritto di cui parlo, trascrivo una
osservazione profondamente giusta. « Il vecchio
motto, secondo cui la giustizia è la base dei re
gni, non è vero solamente nel suo significato
filosofico, ma sopràtutto nel suo significato pra
tico. L ’ ingiustizia non può che esser fatta a be
nefizio di pochi : quindi scontenta e irrita i mol
tissimi. Fare la giustizia, in un paese povero, è
il calcolo migliore per un Governo che voglia
durare; poiché le moltitudini sofferenti non pos
sono che aver x-agione di fiducia in chi g o
verna.
Laddove, in paese povero, gli atti d’ ingiu
stizia irritano più profondamente, giacché molti
soffrono e molti sono che ogni cosa guardano
con sospetto e con odio. In Inghilterra vi sono
molti atti di conduzione ; ma, poiché la ricchezza
è grande, la folla è più tollerante e si crede meno
danneggiata che non a Napoli, dove la miseria
acuisce e inacidisce i rapporti e spesso fa esage
rare anche il male. »
Un po’ indeciso, benché più propenso verso
il parere del Nitti che verso quello del Salan
dra, appariva Pasquale Villari in un articolo pub
blicato il 17 gennaio scorso nel Corriere della
Sera di Milano.
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quelle che produssero le sue condizioni morali,
o viceversa, essendo sempre difficile dire se nac
que prima l’uovo o prima la gallina. Ma dopo ciò
dichiarava « che oggi le condizioni morali sono
la causa principale di tutti i mali. La sola mise
ria non spiega tutto ; bisogna anche esaminare
perchè si è miseri. I più grandi corrotti e cor
ruttori a Napoli non sono poveri, vanno in car
rozza.
« La corruzione maggiore, la più funesta,
quella che più rapidamente si allarga e diffonde,
io non credo che sia nelle classi più povere. »
Giusto e ben detto. Se non che quando
l’ illustre uomo si fa ad esaminat e le proposte
altrui, per esempio quella del Salandra, che al
meno era concreta, (una legge eccezionale, che
sopprima il consiglio comunale e il provinciale,
dandone le attribuzioni a Giunte di notabili no
minate dal Governo) che cosa viene a concludere?
Ben poco, mi sembra, sia detto con tutto il rispetto
dovutogli. Ed infatti, osservando che il male prin
cipale è causato dall’ ingerenza politica nell’am-
minlstrazione municipale e provinciale ; che bi
sognerebbe il Governo, non a parole solamente,
ma coi fatti, si dimostrasse amico degli onesti e
persecutore acerrimo dei disonesti ; che sarebbe
vano voler limitare il regime eccezionale alla
sola Napoli, mentre avrebbe eguale ragion d’es
sere per molti e molti altri Municipi dell’ Italia
meridionale, ma che a ciò il Governo non vorrà
certo decidersi, mentre a fatica si regge sopra
una maggioranza di deputati del Mezzogiorno ;
quando, dicevo, l’egregio uomo svolge bellamente
tutto ciò, non arriva fuorché a presentare dubbi
ragionevolmente motivati, a esporre una volta di
più, forse meglio di nessun altro, una dolorosa
e complicata situazione, ma in quanto a rimedi....
non so scorgere che ne additi alcuno.
« Il paese, egli scrive, ha sete di moralità
e di giustizia. Se non riusciremo ad un irci tutti,
Nord e Sud, conservatori e radicali, per soddi
sfare questa sete, è inutile sperare salute da
congegni, sia pure escogitati da uomini d’alto in
telletto e di senno pratico. Anche per farli ac
cettare e per farli funzionare con efficacia, è
necessario creare un’atmosfera morale diversa da
quella che abbiamo, e dare al Governo, qua
lunque esso sia, la forza e l’autorità che ancora
gli mancano per potere operare con efficacia ».
Come vedete, abbondo nelle citazioni testuali,
ma quando si tratta di scrittori di gran merito,
mi pare doveroso e opportuno far così, anziché
dire meno bene le stesse cose. Eccone anche
un’altra, che sarà l’ultima. Notate, vi prego, che
l’accusa di indeterminatezza il Yillari stesso l’ha
prevista.
« Si dirà che tutte queste sono idee vaghe
e generiche, che è una predica inutile, che nes
suno ha mai messo in dubbio che la moralità
sia necessaria. E pur troppo vero. Ma che ci si
può fare, se una pericolosa nevrastenia minaccia
di toglierci le prime e più necessarie condizioni
d’ogni vivere civile ? Basterebbe una volta de
cidersi, e, senza discutere (?) operare concordi
almeno in ciò, perchè un’era novella cominciasse
davvero nel nostro paese. Ed io non so ancora
disperare ».
Compiacetevi fermarvi sulle parole che ho
sottolineate. Per me, sarà miopia, non so vederci
fuorché una aspirazione, generica quanto viva e
sincera, verso un bene desiderato e desiderabile.
Tutto l’articolo è uno scritto magistrale come
lucidezza di vedute e accuratezza di analisi, ma
mi somiglia troppo al consulto di quella cele
brità medica che fece un capolavoro di diagnosi
non escluse varie giustissime auto-obbiezioni, e
prese commiato dalla famiglia incoraggiando
affettuosamente l’ infermo, ma dimenticando di
stendere una qualsiasi ricetta.
Non voglio dire con ciò che, nel caso nostro
il consulente ne avesse un preciso obbligo.
*
* *
Dico invece che la questione morale e quella
economica disgraziatamente costituiscono, oggi
come oggi, un circolo che mai il più intricato e
vizioso ; che è indispensabile romperlo da qual
che parte; che il meglio è nemico del bene, e
guai, al punto in cui siamo, a cercare la perfe
zione ! perchè è lo stesso che non voler far nulla
di niente; che per conseguenza bisogna fare
plauso a quei pochi provvedimenti che finora
sono stati presi, ancorché presentino lacune o
prestino il fianco a critiche, trarne tutto quel mag
gior bene che si può, e sollecitare quelli ulte
riori che i risultati dei primi additeranno. A g
giungo che nella questione morale è il caso di
essere risoluti, radicali, energici, in quella eco
nomica laboriosi, ma pazienti. Ripeto che questa
ultima è più antica dell’ altra e durerà più a
lungo, ma riconosco che la prima, più in vista,
più clamorosa, più imperiosa, e d’altronde meno
ardua, deve avere la precedenza nella soluzione.
Poiché ho parlato di medici e medicine, mi spie
gherò con un paragone. L ’ammalato ha due guai:
una anemia inveterata per lunga e progressiva
denutrizione, e un pullulare di tumori, non tutti
a fior di pelle, che gli guastano sempre più il
sangue già povero di globuli rossi. I tumori rap
presentano lo stato morale, politico, ammini
strativo di questo paese. Occorre accertarne bene
con scandagli, con lenti e magari coi raggi Roent
gen, la situazione, il numero e l’aggruppamento,
ma poi estirpati con operazioni oculatamente ma
spietatamente chirurgiche. L ’anemia rappresenta
lo stato economico ed è la malattia fondamen
tale, perchè se il corpo fosse stato muscoloso
e sanguigno, invece che nervoso e linfatico, forse
i tumori non venivano, senza forse ne venivano
meno e si mandavano via con facilità. Intanto
qui non cura chirurgica, ma lento e progressivo
regime ricostituente, dall’ aria ossigenata agli
ipofosfìti, dalla buona carne e dal vino generoso
alla ginnastica razionale.
Per uscir di metafora, io opino che per con
seguire i due scopi occorrono tre ordini di prov
vedimenti :
1.
° Condurre a termine 1’ inchiesta già
avviata, dandole quanto altro tempo sia neces
sario, dare pubblicità intera e larga ai suoi ri-
sultamenti, lasciare che gli accusati e gli indi
ziati si difendano, come è loro pieno diritto.... e
poi chi abbia rotto, chiunque sia, paghi.
2.
° Mantenere ancora, per un tempo non
troppo lungo, ma neanche troppo breve, un re
v’ è oggi, o altro da escogitarsi e da discipli
narsi.
3.° Favorire l’aumento del lavoro, nelle
sue forme di arti, industrie, commerci, un poco
con impulsi e sussidi diretti che non costituiscano
privilegi, ma più assai con un sagace regime
tributario che rimuova gli ostacoli oggi frapposti
all’ iniziativa privata. E questa venga magari di
fuori, e sia la benvenuta se qui da principio è
scarsa e inesperta.
Consentitemi che queste proposizioni, nello
stesso ordine con cui le ho enunciate, in succes
sive lettere io le svolga meno male che mi riesca.
E. Z.
FRANCIA E ITALIA
Ben volentieri pubblichiamo la seguente
lettera dell’ on. Luzzatti e a suo tempo e colla
scorta delle statistiche italiana e francese ap
profondiremo l’argomento.
Roma, 15 aprile 1901. Ca r o d e Jo h a n n is,
Le sono davvero grato del modo equo e alto, eoi quale tratta tutte le questioni economiche che si riferiscono al nuovo accordo commerciale con la Francia. E ho letto anche con vivo interesse 1’ arti colo del 14 aprile della sua Rivista. Dovrebbe però usarmi la cortesia di notare due osservazioni, che mi paiono importanti.
Una è che se nel 1900 diminuirono i traffici tra l ’ Italia e la Fiancia, tanto all’ importazione che al- 1’ esportazione, diminuirono anche quelli dell’ Italia cogli altri principali paesi. E la cagione principale è nella diminuzione dei prezzi di alcuni prodotti nostri principali (le sete, per esempio) nel 1900 rim- petto al 1899, e alla nota deficenza di alcune prin cipali produzioni agrarie.
Rispetto poi alla bilancia del traffico italo-fran- cese, se Ella esamina i documenti italiani troverà che è largamente favorevole all’ Italia, quando de duca dalle esportazioni francesi in Italia le sete gregge che ci vengono dall’ Asia, e perché poggiano a Marsiglia, i francesi registrano per merce del loro paese, mentre nella statistica italiana, con mag giore esattezza, figurano per merce asiatica. Infatti, pel 1899, la statistica italiana dà i seguenti numeri : L52 milioni di importazioni francesi in Italia, 201 milioni di esportazioni italiane in Francia , nè mute ranno, quantunque le somme del movimento deb bano essere state minori, le proporzioni delle ecce denze delle nostre esportazioni in Francia sulle im portazioni francesi in Italia. Il che si collega colla più giusta registrazione del traffico delle sete.
Si figuri che la importazione delle sete greggio francesi in Italia, fatte secondo le statistiche fran cesi, parrebbe all’ incirca tripla di tutta la produ zione francese, mentre, com’ è noto, pel gioco dei premi, i francesi impiegano tutta la loro seta nelle fabbriche nazionali e molta ancora ne devono im portare dall’ Italia e dall’ A sia !
Gradisca, egregio amico, i piu affettuosi saluti del suo amico
Luig i Ld z z a t t i.
INTORNO ALLE PROPOSTE DI SGRAVIO
del dazio consumo
Mai forse come nel presente momento po
litico appare evidente il danno che deriva al paese
per i risparmi introdotti nelle pubblicazioni sta
tistiche. Siamo al 1901 ; si discute intorno ad
una modificazione dei dazi comunali di consumo,
e non si hanno che i bilanci dei Comuni del 1897
e le notizie più estese intorno al dazio consumo
datano dal 1895. Ciò corrisponde ad una condi
zione di scarsa civiltà, poiché costringe il Go
verno a presentare progetti di portata approssi
mativa, le Commissioni parlamentari a discuterne
con scarsa cognizione di causa, il Parlamento a
non saper bene di che discute.
Eoi speriamo tuttavia che in questi giorni il
Ministro delle Finanze avrà raccolti tutti gli ele
menti necessari per mettere nella più chiara luce
lo stato delle cose e le conseguenze del suo pro
getto; ma sarebbe molto opportuno che le più
recenti notizie fossero rese sollecitamente di
pubblico dominio, affinchè si potesse fare una
utile discussione con piena conoscenza della si
tuazione; siamo convinti che molte delle obbie
zioni più arrischiate e molti dei timori manife
stati, cadrebbero di per sé stessi, e l’opinione
pubblica potrebbe vedere le cose nella loro verità
e non attraverso le lenti adulteratrici della
passione politica.
Dovendo perciò accontentarci soltanto delle
ultime pubblicazioni ufficiali, e volendo dare qual
che notizia su alcuni elementi di fatto, non possia
mo riferirci ad epoca molto vicina; tuttavia quello
che andremo esponendo può dare una certa
regola sul presente.
Degli 8260 Comuni del Regno, 334 erano
chiusi nel 1897 per quanto riguarda il dazio, e
si distribuivano come segue, nei 16 comparti-
menti :
Numero
dei Comuni chiusi Dazio comunale
Piemonte 19 L. 11,436,610 Liguria 32 » 13,966,676 Lombardia 12 » 12,625,177 Veneto 7 » 6,975,895 Emilia 10 6,823,015 Toscana 16 » 11,634,847 Marche 9 » 2,319,225 Umbria 6 » 1,340,118 Lazio 7 » 14,882,683 Abruzzi e Molise 7 » 1,290,222 Campania 73 » 22,595,880 8,308,821 Paglie 41 » Basilicata 0 » 525,780 Calabria 14 » 2,237,750 Sicilia 58 18,160,299 Sardegna 11 » 2,028,481 334 L. 136,557,477
Il complesso di questi 334 Comuni chiusi
dava nel 1897 il seguente bilancio.
Le entrate effettive sommavano a milioni
240.9, di cui 9.1 milioni erano straordinarie; le
ordinarie si dividevano :
Rendite patrimoniali... L. 10.5 milioni Proventi d iv ersi... » 9.6 » Dazio Consumo comunale .. » 136.5 » Sovraimposta sui terreni e
fabbricati... » 45.9 » Altre tasse e diritti... » 23.1 »
I tre cespiti principali, adunque, dazio con
sumo, sovraimposta ed altre tasse e diritti rap
presentavano 205.5 milioni, sui 231.7 del totale
delle entrate effettive ordinarie, cioè l’ 84 per
cento.
Ed i 205.5 milioni avevano per i tre cespiti
la seguente proporzione:
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21 aprile 1901
Sfortunatamente lo statistiche non ci danno
le cifre dei bilanci dei Comuni chiusi, ma quelle
dei « Comuni eapoluoghi di Provincia e di circon
dario e di distretto, e dei Comuni chiusi » che sono
in totale 465, cioè 131 più dei soli Comuni chiusi.
Tuttavia ve ne è abbastanza per fare delle
importanti considerazioni.
Il totale della entrata per dazio consumo nei
468 Comuni sopraindicati è di L. 139,310,659,
cioè poco meno di 3 milioni più della entrata
dei soli 334 Comuni chiusi. I calcoli quindi sui
334 Comuni chiusi non possono essere adulterati
che per tre — centotrentanovesimi se prendiamo
per base i 465 Comuni di cui si sono date le cifre.
E troviamo che le entrate effettive ordinarie
dei 465 Comuni si dividevano come segue:
Rendite patrimoniali... 16.6 m i ioni Proventi diversi... 10.0 » Dazio consumo comunale... 139.3 » Sovraimposta... 12.5 » Esercizio, rivendita... 3.2 » Famiglia o fuocatico... 5*3 » Valore locativo... 1-1 * Bestiame agricolo o da tiro, da
sella o da soma... 3.2 » Macellazione... 3.8 » Altre tasse o diritti... 8-6 »
Brescia 2 » 1,050,000 Messina 3 Cagliari 1 » 768,000 Napoli 80 Caltauisetta 2 » 132,000 Palermo 6 Caserta 11 » 2,100,300 Piacenza 1 Catania 9 » 937,200 Potenza 3 Catanzaro 1 » 113,500 Ravenna 1 Chieti 1 » 63,700 Salerno 13 Cosenza 1 » 43,800 Siracusa 4 Como 1 » 195,000 Torino 4 Foggia 1
>:>
41,300 Trapani 2 27 ► 2,459,400 . 3,447,900 ► 548,200 . 717,700 » 218,700 » 216,000 » 980,000 » 538,000 » 7,286,000 » 651,400 29,080,000Dunque, già dei 136 milioni di dazio ch6
vengono riscossi dai 465 Comuni, la maggior
parte chiusi, trenta milioni possono trovare,
senza evidente difficoltà il loro compenso nei
9 decimi di abbuono del dazio governativo e
nelle tasse dirette che non furono fin qui ap
plicate.
Ma non basta: nei 465 Comuni ve ne sono
80 che hanno bensì applicata una o 1’ altra, od
anche due delle tasse dirette, ma in una misura
irrisoria, che non arriva al decimo di quello che
essi riscuotono dal dazio di consumo.
Citiamo esempi.
Dazio Tasse
dirette
243.6 »
Sui 243 milioni, adunque, si avevano 139.3
milioni dal dazio di consumo, cioè il 53 per cento;
le sovraimposte 52.5 milioni, cioè il 21 per cento;
26.6 milioni dalle rendite patrimoniali e proventi
diversi, cioè 1’ 11 per cento; ed appena il 15 per
cento derivava da tutte le altre entrate.
Bastano queste cifre complessive per com
prendere che vi è margine, e larghissimo, per
una ampia trasformazione, la quale stabilisca le
proporzioni tra quei tre cespiti più vicine tra loro
senza palese ingiustizia, anzi stabilendo almeno
un poco di giustizia.
Diminuire il dazio di consumo al solo 30 per
cento portando ad esempio la sovraimposta dal
21 al 31 per cento, e le altre tasse e diritti dal
15 al 30 per cento, sarebbe una repartizione se
non equa, meno iniqua certo della attuale. Ed
a noi sembra che il progetto dell’ on. Wollem-
borg miri appunto ad ottenere gradualmente
questo scopo.
Tenendo conto adunque dei 465 Comuni so-
vraiudicati risultano però alcuni fatti importanti.
Prima di tutto giova notare che ben 137
dei detti Comuni non avevano nel 1897 nessuna
entrata per tassa di esercizio o rivendita, per
tassa di famiglia o fuocatico e per tassa sul
valore locativo e rappresentavano, questi 137 Co
muni, una entrata di dazio consumo di 30 milioni.
È bene vedere come si dividessero, e nella
impossibilità di dare il lungo elenco,
li daremo
raggruppati per le 27 provincie nelle quali erano
sparsi; ecco il prospetto che indica il numero
dei Comuni che non avevano entrate per le tasse
suindicate e l’ammontare del dazio comunale che
riscuotevano:
Num. Ammontare Numero Ammontare
dei del dazio dei del dazio
Comuni consumo Comuni consumo
Alessandria 1 L. 784,OCX) Genova 14 L. 2,024,800
Dazio Tasse dirette Termini Imerese... 227,000 » 3,500 U stic a ... 10,700 » 300 M ortara... .. » 71.000 » (5,500 Pavia... 557,000 » 49,000 Vigevano... . . . . » 193,000 » 9,400 Voghera... ___ » 243,000 » 5,000 Bordighera... 82,000 » 4,200 San R e m o ... . . . » 493,000 » 30,000 Ventimiglia... 104,000 » 6,000 Ravenna... . . . » 312,000 » 15,000 Bagnara ... ____ » 31,000 » 440 Cittanova Calabria . . . .,... » 31,000 » 1,600 Reggio Calabria... 731,000 » 45,000 Civitavecchia... » 300,000 » 11,500 R om a... 14,000,000 » 800,000 Rovigo... 107,000 » 8,500 Campagna... 25,000 » 150 A n g u sta ... 89,8(0 » 3,000 R a gu sa ... 107,000 » 5,000 Vittoria... 133,000 » 1,200 A lca m o ... 169,000 » 6,000 Casteilamare G ... 100,000 y> 7,000 Castelvetrano... 126,000 » 4,000
Mazzara del V a llo ... 142,000 » 917
Venezia... 3,400,000 » 91,000 Vicenza... ... » 512,000 » 22,700
Sono dunque altri 80 dei 465 Comuni, che
applicano le tasse in misura che non oltrepassa
il decimo del dazio consumo; ed anche per
questi 80 Comuni, moltissimi dei quali sono
Comuni chiusi di 3a e 4a categoria, non deve
essere difficile lo sforzo di aumentare le tasse e
le sovrim poste in modo da compensare la per
dita, quando non bastasse l’esonero dei nove de
cimi di canone governativo.
L ’elenco che abbiamo pazientemente ricavato
dalle statistiche ufficiali, darebbe luogo a molte
riflessioni sconfortanti sul modo col quale si è
lasciato in questi trenta anni svolgere il sistema
tributario dei Comuni. Ma di questo ci occupe
remo in seguito.
Per ora basti poter notare che per un rag
guardevole numero di Comuni chiusi, la riforma
dell’on. W ollemborg non può essere la rovina
finanziaria; perchè hanno ancora tutta una ma
teria imponibile da esperire e pochi non la
hanno ancora esperita sufficientemente.
LA BAÌs(CA D’ ITALIA
( E S E R C I Z I O 1 9 0 0 )
III.
Abbiamo detto fino da principio in questi
rapidi cenni sull’ esercizio 1900 della Banca di
Italia, che ci saremmo occupati di alcune con
siderazioni esposte dal Direttore Generale nella
sua relazione, dopo aver esaminato i conti del-
l’ esercizio. Qui però dobbiamo premettere una
ben precisa dichiarazione.
Da molti anni VEconomista, contrariamente
a quello che era sua precedente consuetudine,
non si occupava della Banca d’ Italia; appena ne
riassumeva con qualche commento le relazioni
annuali. Il motivo di tale indifferenza derivava
dal contrasto di due opposti sentimenti : — non
potevamo approvare il modo col quale la Banca
era amministrata, sopratutto perchè con una se
rie di atti grandi e piccoli ci pareva si allonta
nasse sempre più dalla meta di diventare al
più presto un Istituto puramente di emissione ;
— d’ altra parte non potevamo ancora credere
che non avesse a modificare la sua linea di con
dotta, chi, a nostro avviso, mancava agli affida
menti dati ed alle speranze lasciate concepire.
E poiché la Banca d’ Italia deve essere uno
dei principali, se non il principale, strumento
della economia del paese, non occorre dire quanto
dovesse essere increscioso per noi non intratte
nere regolarmente i lettori dell’Economista sulle
questioni che la riguardavano.
Abbiamo sentito il bisogno di dire questo,
anche per spiegare il nostro giudizio sulle sobrie
considerazioni di ordine generale che il com
mendatore Bonaldo Stringher ha fatte nella sua
relazione. Se non ci pareva che negli ultimi anni
la Banca fosse stata retta con la necessaria in
telligenza dei molteplici interessi nazionali che
le sono legati, non potevamo salutare nel nuovo
Direttore Generale, oltre alle doti della mente
e dell’animo, di che è fornito, se non la speranza
più profonda che egli si convincesse della ne
cessità e della urgenza di imprimere alla grande
azienda un nuovo indirizzo. E le brevi parole
colle quali gli mandammo il nostro saluto, ap
pena fu nominato, esprimevano appunto questa
speranza e le ragioni per le quali la ritenevamo
fondata.
Tuttavia, non potevamo pretendere che il
comm. Bonaldo Stringher nella sua prima rela
zione, a pochi mesi di distanza dalla sua nomina,
facesse una esposizione critica dello stato della
Banca e punto per punto manifestasse i suoi
intendimenti, fossero essi di continuazione o di
modificazione all’ indirizzo precedente. Non solo,
per formarsi un coscienzioso ed esatto criterio
delle condizioni della Banca, occorre lungo ed
assiduo studio, anche ad un uomo competente, ma
troppo facilmente si comprende quali apprezzabi
lissimi sentimenti di convenienza e di riguardo do
vessero consigliarlo alla moderazione nella mani
festazione dei suoi giudizi, quando pure egli
credesse che i suoi intendimenti fossero in con
trasto con quelli sin qui seguiti, e quando pure sti
masse che fossero diversi gli apprezzamenti che
si devono fare delle cose.
commen-232
L ’ E C O N O M IS T A
21 aprile 1901
datore Stringher esponesse i sani e prudenti
suoi convincimenti, che avrebbero potuto suonare
come una disapprovazione di alcuni fatti avve
nuti nel passato.
A noi basta leggere nella relazione questa
solenne dichiarazione: « . . . . è mio fermo inten-
« dimento che la Banca d’ Italia rimanga fedele
« alle sue corrette tradizioni, e la sua ammini-
« strazione sia ognora informata al concetto di
« una osservanza scrupolosa alle leggi e agli
« statuti che la governano, e della doverosa de-
« ferenza verso chi rappresenta lo Stato. Ciò
« darà forza all’ Amministrazione per ottenere che
« le sorti dell’ Istituto sieno efficacemente tute-
« late dai poteri pubblici. Cosi potrà essere age-
« volata la soluzione di quei problemi, i quali
«intendono all’ inseparabile interesse dell’ eco-
« nomia nazionale e della Banca ; mentre questa
« potrà opporre una più salutare resistenza verso
« qualunque indiscreta pretesa ».
E senza dubbio è della rigorosa attuazione
di questi concetti che la Banca d’ Italia ha bi
sogno. Pur vivendo nella nazione e della nazione
e pur essendo soggetta allo Stato, essa ha dalle
leggi e dagli statuti segnati i limiti della sua fun
zione e senza rimanere indifferente od estranea
agli eventi del paese, deve rimanere indifferente
ed estranea alla politica ed alle sue vicende mu-
tevoli. Non deve permettere la Direzione della
Banca che si possa credere che la sua Amministra
zione si compiaccia ad agevolare, coi suoi atti o re
missivi o di vana resistenza, 1’ azione di uno piut
tosto che di un altro partito politico; nemmeno se
ciò possa essere spiegato da notorie e vecchie ami
cizie personali. Certo, è molto difficile sceverare
bene ed in ogni caso gli interessi puramente po
litici dagli altri, ma è appunto dalla capacità di
fare e dalla abilità di mantenere tale separazione,
senza che danno ne venga alla Banca, che si pa
lesa la superiorità della persona che dirige l ’Isti
tuto.
, ,
E giacché basta volgere un momento di ri
flessione alla situazione della banca per vedere
che essa ha bisogno che, in qualche punto almeno,
le leggi vigenti vengano modificate per dare mag
giore elasticità ai suoi movimenti, prendiamo pure
atto con compiacimento di questi brevi ma signifi
cativi periodi della relazione. « Gli ordinamenti
« legislativi che governano l’ Istituto, benché
, « varie volte modificati, sono tuttavia perfetti-
« bili. Essi daranno alla Amministrazione argo-
« mento di esame e di studio, per arrivare a quelle
« opportunerevisionidelle quali l’esperienza dimo-
« strasse l’utilità, inspirandosi al concetto di porre
« l’ Istituto in condizione di compiere nel miglior
« modo la sua funzione nel movimento economico
« del paese. Ogni passo che la Banca farà in que-
« sta via contribuirà ai suoi duraturi interessi. »
Diciamo che basta un momento di rifles
sione sulla situazione della Banca per compren
dere che occorre modificare con larga intelligenza
del bene pubblico la legge che governa la Banca.
Se infatti il convincimento che la meta da
raggiungersi il più sollecitamente possibile è
quello che la Banca diventi, quanto prima tanto
meglio, un semplice Istituto di emissione, è ’ per
lo meno contraddittoria 1’ azione dello Stato che
aggrava la Banca di oneri, mentre può vedere
dalla sua situazione le difficoltà tra cui si dibatte.
Negli utili della Banca vi sono circa 9 mi
lioni che danno luogo a serie considerazioni :
_
I o Sono 4.9 milioni di interessi conseguiti
dalle operazioni non consentite dalla legge ; la
quale cifra dovrà sparire dagli utili se, in qual
che modo sparissero le immobilizzazioni ; - dimi
nuiranno in egual cifra e mano a mano in egual
proporzione le spese di amministrazione e le tasse
che derivano dai 245 milioni di partite immobi
lizzate ?
2" Sono L. 1,200,000 che la Banca riceve
di interessi 4 0[0 sul fondo di 30 milioni asse
gnati al Credito Fondiario della già Banca Na
zionale. Dovrà a lungo figurare tra gli utili della
Banca questa somma, quando la Banca stessa è
responsabile del Credito Fondiario ed^ abbiano
visto in quali non prospere condizioni navighi
quell'azienda e per difficoltà di riscossione delle
semestralità, e per crescente deficienza di cassa.
3° Sono 4.5 milioni di proventi e interessi
su fondi pubblici di proprietà della Banca, che
rappresentano la somma di 175 milioni. Ma e da
chiedersi se per la sicurezza della Banca stessa,
che ha così esili risorse, e se per il retto funzio
namento di un Istituto di emissione, debba con
tinuare indefinitamente questa facoltà di posse
dere titoli di Stato, che per 115.9 milioni sono
veri impieghi diretti.
Di fronte a questo stato di cose, che sa del-
1’ artificioso, come giustificare nella parte delle
spese che sommano in totale a 13.1 milioni i se
guenti titoli :
Tassa di ricchezza mobile... L » di circolazione... » » di negoziazione sulle azioni . . . » *. di verificazione di pesi e misure » » di bollo a registri e stampati.. » Contributi di vigilanza governativa.. » Tassa sui fabbricati e terreni... » Tasse imposte da Camere di Commer
cio e da Comuni... * 1,018,172.13 2.81)3,172. 43 '426,573.00 270.00 15,806. 78 70,000.00 165,496. 74 35,537.37 Totale L. 4,615,028.45
Lo Stato toglie alla Banca per tributi com
plessivi il 30 OjO (trenta per cento) degli utili
che essa ricava dalle sue vere operazioni ban
carie, sconti ed anticipazioni ; e di questi tributi
complessivi ben il 20 0[0 {venti per cento) riguar
dano i tributi speciali sulla circolazione.
La B mca di Francia paga per tributi com
plessivi meno della Banca d’ Italia (4,564,186 fr.)
ed ha invece una circolazione di quattro miliardi ed
il complesso delle sue operazioni produttive rag
giunge i 18 miliardi; e per la sua circolazione
paga 610,678 fr.
È ben vero che la Banca d’ Italia ha accan
tonato secondo la convenzione del 30 ottobre 1894
L. 8,000,000 portando così a 44.4 milioni il fondo
di accantonamento e per di più ha 14.4 milioni di
massa di rispetto disponibile. E se questi fondi si
ritenessero bastanti ad assicurare da ogni sorpresa
che possa derivare dalle tre incognite: Banca
Romana, Credito Fondiario, e immobilizzazione,
perchè non si potrebbero impiegare sin d’ora a
liberarsi sollecitamente e definitivamente almeno
in gran parte di quelle tre zavorre ?
Tutte gravissime questioni che provano da
quanti aspetti può essere studiato il risanamento
della Banca. Ora le condizioni generali sono al
quanto migliori del tempo passato, perchè in ge
nere la proprietà immobiliare è meno deprezzata
e la situazione del paese è pure migliore ; più
agevole quindi può apparire ora lo studio di un
piano che possa in tempo non lontano ridare
alla Banca la sua vera funzione : essere soltanto
un Istituto di emissione.
Certo che le immobilizzazioni si liquideran
no e finirà la liquidazione del Credito Fondiario
e della Banca Romana; ma pur troppo il termine
della naturale liquidazione non può vedersi che
molto lontano, mentre, per molti motivi, sarebbe
bene che la Banca d’ Italia acquistasse solleci
tamente la sua libertà di azione e diventasse re
golatrice del mercato e sopratutto dei rapporti
economici internazionali. Non vi ha chi non veda
che nessun avviamento al regime normale della
circolazione ed alla conseguente sparizione del-
1’ aggio è possibile, se prima non avviene il com
pleto risanamento del maggiore Istituto.
Non sappiamo quali sieno gli intendimenti
del comm. Stringher, nè pretendiamo certo che
egli li confidi a noi, ma abbiamo profondo convin
cimento che egli sappia, voglia e possa imprimere
all’Istituto, del quale è divenuto capo col plauso
e l’ augurio di tutti, una nuova vita.
LA DISCUSSIONE PEL DAZIO SUL GRANO
Il discorso deH’on. M. Pantaleonif)
Spiegata la differenza tra il dazio agricolo
e quello industriale, l’on. Pantaleoni esaminando
l’argomento, che abolendo il dazio sul grano si
ledono diritti acquisiti o privati interessi costi
tuiti (dei quali appunto parlava l’on. Salandra)
fece osservare che tutte le riforme spostano in
teressi costituiti. Se avessimo proceduto con que
sto criterio — egli disse — neanche la schiavitù
si sarebbe abolita. Anche l’abolizione della schia
vitù e stata la rovina dei proprietarii di schiavi.
Tutto il feudalismo non sarebbe crollato se aves
simo voluto rispettare i diritti acquisiti.
Venendo poscia ad altri sofismi, accennato
a quello dell’ on. Chimienti, che una piccola
riduzione del dazio come quella di 2 lire e
mezza non è sentita dal consumatore, l’on. Pan
taleoni si è espresso così: C’è poi tutta una se
rie di sofismi dovuti all’on. Maggiorino Ferraris.
Egli ci ha fatto sapere che fino dal 1887 ha stu
diato un progetto per il credito agrario. Dunque
ci è voluto una lunga serie di anni per arrivare
a questo proposito semplicissimo: Vogliamo fare
un credito agricolo ? Pigliamo trenta milioni alla
Cassa depositi e prestiti e facciamoli distribuire
in forma di credito agli agricoltori ; se non ba
stano trenta, ne piglieremo sessanta, e se non
bastano neanche sessanta ne piglieremo cento.
Questo è il progetto Ferraris.
E la Cassa depositi e prestiti dove va a pi
gliare i milioni ? Ci si dice che li piglierà emet
tendo rendita, oppure utilizzerà una parte dei
’ ) Vedi il numero precedente dell ’Economista.
fondi, che ora sono destinati ad altro uso. Ora
notate che se la Cassa depositi e prestiti adesso
destina una parte dei suoi fondi ad uso deter
minato, che dopo verrebbe soppresso, per fare
posto al credito agricolo, ciò significa che la
Cassa depositi e prestiti adesso, poiché noi tutti
la riteniamo utile e necessaria, veste Paolo, e d’ora
in poi, secondo la proposta dell’on. M. Ferraris,
svestirà Paolo e vestirà Pietro.
In quanto al sistema dell’emissione di ren
dita pubblica, francamente, non occorrevano
quattordici anni di studi per venire a dire qui
alla Camera che facendo dei prestiti forzosi, si
poteva distribuire del danaro agli agricoltori a
titolo di credito.
Ma tornando all’argomento che si discute,
quello del dazio del grano, l’on. Ferraris ci dice:
voi metterete il Mezzogiorno in crisi e quando il
Mezzogiorno sarà in crisi, non consumerà più i
prodotti del Settentrione.
In sostanza il Settentrione, secondo il con
cetto dell’on. Ferraris dovrebbe dare ì denari al
Mezzogiorno, affinchè questo compri i suoi pro
dotti. È lo stesso come l’on. Ferraris mi desse
quaranta lire per potermi io, con queste quaranta
lire, abbonare alla Nuova Antologia.
L ’ on. Ferraris ci ha regalato ancora altre
cose simili. Egli è venuto a dire, che in quanto
al carico del debito fondiario adesso soltanto
i proprietari cominciano a poter pagare le rate
annue. Ma on. Ferraris, che cosa venite a confes
sare con questo? Venite a dire che la proprietà
è oberata, e se la proprietà è oberata vuol dire
che i proprietari hanno preso i quattrini che i
creditori hanno loro fornito e se li sono mangiati
e adesso, dopo che se li sono mangiati, dobbiamo
noi rifar loro il capitale, perchè lo restituiscano
ai creditori servendosi delle tasche nostre, anzi
ché delle proprie.... Delle due l’una. I capitali
avuti in prestito li hanno investiti bene, o li
hanno investiti male. Se li hanno investiti bene
debbono poterli restituire ; se li hanno investiti
male è segno che se li sono mang ati.... In so
stanza, secondo me, si viene con questo concetto
a dare loro due volte le loro proprietà e si viene
a dire; una prima volta l’avete avuta dai vostri
padri e tei la siete mangiata ed una seconda
volta ve la diamo ora noi.
Ma veniamo al progetto che più sta a cuore
all’on. M. Ferraris, alla sua scala mobile. L ’ono
revole Pantaleoni osservò che l’ idea aveva cam
biato nome e che secondo il Ferraris il dazio va
riabile non ha da avere i difetti che aveva la scala
mobile, perchè si sono fatte grandi invenzioni e
scoperte.
E il dazio variabile è un giocherello pel
quale, se il grano costa poco, c’è un dazio che lo
fa pagar caro, se costa molto si paga molto, per
chè costa molto.
E notate, continuò l’oratore, che la teoria
dell’on. Ferraris di un dazio variabile ha un
lato che forse interesserà pure i miei amici ; è
una teoria per fortuna, forse domani per disgra
zia nostra, diventerà pratica.
234
L ’ E C O N O M IS T A
21 aprile 1901
sono stati presentati alla Camera, avevano fatto
conoscere un certo prezzo, che egli però non ha
voluto indicare con precisione, come un prezzo
equo e necessario per i proprietari. Dunque vi
sarebbe un costo del grano giusto. Io nego che
vi sia... È una cosa che 1’ intende chiunque. Voi
spendete una certa somma sopra un ettaro di
terra. Se il raccolto è buono, il vostro costo sarà
piccolo, se è cattivo sarà alto. E che cosa è il
costo del grano, se non la somma da voi spesa
su questo ettaro di terra, ragguagliata al pro
dotto ? Se il prodotto è grande, il costo è pic
colo, se il prodotto è piccolo, il costo è grande.
Quindi, se il raccolto del paese è uotevole, voi
potete far conto che il grano ha avuto un costo
di poche lire 1’ ettolitro; se poi il raccolto è
scarso, potete trovare che il vostro costo è stato
di venticinque lire l’ettolitro, o di trenta. Ma è
assurdo parlare del costo del grano, anche per
quest’altra ragione : il grano si produce unita
mente ad altri prodotti ; ed è legato a questi in
più modi. In primo luogo le spese che dovete
fare per avere un prodotto in grano, ve le tro
vate in parte già fatte, pei' avere il prodotto
che ha preceduto la semina del grano nella ro
tazione delle colture; e, a sua volta, le spese
che ora aggiungete, vi saranno in parte rimbor
sate dal genere che coltiverete dopo che avrete
raccolto il grano, perchè sono spese preparatorie
e per una raccolta di grano e per una raccolta
del prodotto che la rotazione agricoa vi indica
come più conveniente dopo una raccolta di grano.
In secondo luogo, il prezzo, al quale po
trete vendere il vostro grano dipenderà non solo
dal vostro raccolto di grano, ma dal raccolto di
grano di tutti gli altri che concorrono sul vostro
mercato e non .solo questo, ma eziandio dal
prezzo di tutti gli altri prodotti agricoli e in
dustriali che dai vostri clienti si consumano. E
la quantità ¡stessa di terra che voi destinerete
alla produzione di grano, dipenderà dal rendi
mento che vi danno gli altri prodotti agricoli,
che su quella stessa terra potreste conseguire.
Il costo del grano non è dunque una cifra as
soluta, se non in dipendenza di molti altri prezzi.
Vi è un errore fondamentale nelle argomen
tazioni e del Salandra e del Ferraris, che con
siste in ciò : — non vi è costo assegnabile,
perchè il costo di produzione del grano o di
qualsiasi altro prodotto, derrata o prodotto ma
nufatto, dipende a sua volta, nel caso del grano,
dal costo del bestiame, dal costo del concime,
dal costo delle macchine, dal costo della mano
d’opera, e questi fattori, alla loro volta, dipen
dono dal prezzo a cui venderete il grano. Ne
segue quindi, on. Ferraris, che il costo del grano
non può formularsi che mediante una serie di
equazioni simultanee. Se Ella queste non ha, non
risolve il suo problema e si aggirerà sempre in
un circolo vizioso. Ripeto, il prezzo del grano
dipende dal costo di vari fattori e il costo di
questi vari fattori alla loro volta dipendono dal
costo del grano, dal prezzo del grano.
Accennato come sia molto facile per un sin
dacato di far risultare, almeno temporaneamente
in Italia, quel prezzo che gli aggrada ed ottenere
quel dazio variabile che vuole, l’on. Pavitaleoni
osservò che se il sistema dell’ on. Ferraris fosse
praticabile, se riuscisse del tutto, com’ egli lo
vuole, diverrebbe un sistema assicuratore di una
rendita ai proprietari. Ora la verità è questa : che
è materialmente impossibile stabilire dei prezzi
giusti ptr tutti i prodotti e tutti i fattori di pro
duzione, eccetto a non pigliare come tale quelli
fornite dalla libera concorrenza, ciò che voi ap
punto non volete fare per i proprietari fondiari
produttori di grano e altri non vogliono fare per
gli industriali e altri ancora non vogliono fare
per gli operai.
Quanto all’obbiezione che i fitti, se si abolisse
il dazio sul grano, diminuirebbero enormemente
e che non si possa toccare il dazio sul grano in
questo momento, specialmente nel Mezzogiorno,
dove si tratta di rinnovare i fitti, il Pantaleoni
crede di poter rispondere che i fitti erano note
volmente alti prima che calassero, e sono adesso
di nuovo quello che erano prima.
Nè meno valore ha l’osservazione che sop
primendo il dazio sul grano avremo una grande
disoccupazione, perchè i milioni, siano duecento
o duecentocinquanta, che i proprietari o produt
tori di grano pigliano al paese, mediante la pro
tezione daziaria, lasciati ai consumatori verreb
bero spesi da questi in altri m odi.— «V o i non
vedete - disse il Pantaleoni - che 1’ occupazione
che producete là dove i proprietari spendono
questo reddito, e non vedete la disoccupazione
che voi create, là dove togliete il capitale ai con
sumatori. Quindi non si tratta che di un puro
spostamento di ricchezza di cui alcuni si avvan
taggiano e altri ne soffrono ».
Le buone ragioni dell’ on. Pantaleoni, come
quelle di altri difensori dell’abolizione del dazio,
non valsero a indurre la maggioranza a modifi
care il regime daziario del grano, riducendo al
meno a cinque lire il dazio. Così, poiché della
politica preordinatrice del Ministero su questo
proposito non si può fare gran calcolo, lalotta per
l’abolizione del dazio sul grano dovrà continuare
fuori dell’ aula parlamentare, onde si deter
mini sempre più nel paese una corrente abolizio
nista che s’ imponga legalmente al Governo e al
Parlamento.
Rivista (Bibliografica
G. Palante.
— Prède de Sodologie. — Paris, Alean, 1901, pag. 188, (2 fr. 50).Sebbene l’autore non adotti tutte le idee di quei
due pensatori, gli è parso che la loro opera con
tenga elementi indispensabili a tutti quelli che
cercano di difendere il punto di vista di una fi
losofia sociale individualista.
È parimente da questo punto di vista indi
vidualista che l’autore critica, non senza simpatia
però, il socialismo, ch’egli considera come una
fase, un momento nello sviluppo dell’ individua
lismo.
L ’autore, in un numero relativamente piccolo
di pagine, ha saputo condensare molte analisi
critiche delle varie teorie sociologiche, disponendo
la materia in modo da studiare come le società
si formano, si conservano, si evolvono, si dissol
vono e muoiono. Il Sunto del Palante è un ten
tativo lodevole di offrire al pubblico un piccolo
quadro dello sviluppo dottrinale della Sociologia
e per la chiarezza e la precisione, per l’abbon
danza delle indicazioni e copia delle osservazioni,
sarà di aiuto per tutti coloro che vogliono ini
ziarsi agli studi sociologici.
A n d ré — E . Sayous. — Les banques de dépôt, les
banques de crédit et les sociétés financières. — Pa ris, Larose, 1901, pag. 344 (5 franchi).
L ’ autore è già molto favorevolmente noto
per uno studio economico e giuridico sulle borse
tedesche di valori e di commercio ; in questo suo
nuovo volume ha studiato le banche di deposito,
di credito e le società finanziarie, ossia, lasciando
da parte le banche di emissione, si è occupato
degli altri istituti di credito che hanno relazioni
col commercio e coll’ industria.
Dopo avere spiegato, nella introduzione, la
natura, il posto e la funzione delle banche di
deposito, di credito e delle società finanziarie il
Sayous ha trattato delle operazioni che sono
compiute da codesti istituti e dell’ organizza
zione e funzionamento degli istituti medesimi.
Così le varie forme di deposito, di cambiali, i
principi dello sconto, i prestiti e le anticipazioni,
le aperture di credito, le operazioni in parteci
pazione e le emissioni di valori sono argomenti
trattati con modernità di informazioni e di idee.
Interessanti sono pure i capitoli sulle banche
francesi, tedesche e inglesi e tutto il libro rie-
scirà sommamente utile a chi si occupa delle
banche e delle loro operazioni.
Charles D uguid. — How to read thè money article. — London, Effingham W ilson, 1901, pag. 130.
Come si deve leggere l ’ articolo monetario :
questo si è proposto di spiegare il sig. Duguid
e pei lettori di giornali inglesi, che generalmente
hanno l’ articolo sul mercato monetario, l’ utilità
del libro è evidente. Ma questo piccolo volume
può essere utile anche per conoscere con esat
tezza certe particolarità del mercato finanziario
inglese. Infatti il Duguid non solo spiega la
struttura del mercato monetario, mr anche ciò
che riguarda i titoli o valori pubblio', le opera
zioni che su di essi si fanno, ecc. ecc. Per quanto
si tratti di libro elementare, ci pare meritevole
di attenzione da parte di chi vuol conoscere il
mercato inglese meno superficialmente di quello
che si può ricavare dagli altri libri sull’ argo
mento.
Carroll D . W r i g h t .— L'évolution industrielle aux Dtats
Unis. Traduit par E. Lepelletier ; preface de M. Levasseur. — Paris, Griard et Briere, 1901, pa gine xxiii-8?0 (7 franchi).
Nella «Biblioteca internazionale di economia
politica » è stata pubblicata questa traduzione
dell’opera del W right sulla evoluzione indu
striale degli Stati Uniti, ben nota a quanti si
occupano dell’economia americana. E ’ il progresso
della industria nel senso stretto, e quindi escluse
T agricoltura e il commercio, che il W right traccia
con molta chiarezza in questo suo libro.
Egli prende in esame le industrie più
caratteristiche degli Stati Uniti, come le costru
zioni navali, le industrie tessili, la stamperia,
la lavorazione del legno e del ferro, ed ha di
viso il suo tema in tre grandi periodi : sotto il
regime coloniale, prima della guerra di secessione,
dopo l’ abolizione della schiavitù ; epoche che
corrispondono alla infanzia, all’adolescenza e alla
virilità della industria americana. Una parte del
libro di grande interesse è certo quella dedicata
al movimento operaio, come pure quella, più
breve, nella quale viene studiata l’ influenza delle
macchine sul lavoro. L ’azione delle grandi as
sociazioni di lavoratori, le varie forme di con
flitti tra il capitale e il lavoro e specialmente gli
scioperi che si possono dire storici e che in certi
momenti ebbero un contraccolpo così disastroso
sulla ricchezza nazionale, forniscono la materia
di parecchi capitoli interessanti e suggestivi. La
influenza morale delle macchine è pure studiata
ed è messa in luce la necessità di una istruzione
tecnica più completa, della diminuzione delle ore
di lavoro che permetta agli opera: di avere g o
dimenti intellettuali, del miglioramento della con
dizione economica mediante l’aumento dei salari
e il minor prezzo dei principali generi di con
sumo. La conclusione del libro è che « i grandi
centri industriali sono focolari di pensiero, di
sviluppo intellettuale, di progresso ».
In una sostanziosa prefazione il Levasseur
ha riassunto lo svolgimento industriale e agri
colo degli Stati Uniti e fatto notare la sua in
fluenza crescente, anche nel dominio della politica
estera degli Stati di Europa.
E adunque opera sotto ogni aspetto istrut
tiva e meritevole di essere fatta conoscere in
Erancia e altrove.
A lfred D oren. — Studien aus der Florentiner Wirt-
schaftsgeschichte. Band I : Die florentiner Wollen-tuchindustrie vom X I V bis zum X V I Jahrhundert.
— Stuttgart, Cotta, 1901, pag. x x i i-5 8 3 .