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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze. 1983, Anno 42, n.2, giugno

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Academic year: 2021

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Spedizione in abbonamento postate - Gruppo IV • 10 %

RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO

E SCIENZA DELLE F I N A N Z E

Fondata da BENVENUTO GRIZIOTTI

( e RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO FINANZIARIO)

(2)

della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Roma

La DIREZIONE è in Pavia, Istituto di Finanza presso l'Università, Strada Nuova 65.

A d essa debbono essere inviati bozze corrette, cambi, libri per recensione in duplice copia.

Redattore: ANGELA FRASCHINI, dell'Istituto di Finanza dell'Università di Pavia.

L'AMMINISTRAZIONE è presso la casa editrice Dott. A . G I U F F R È E D I T O R E S.p.A., 20121 Milano, Via Statuto, 2 - Telefoni 6 5 2 . 3 4 1 / 2 / 3 .

PUBBLICITÀ:

dott. A . Giuffrè Editore S.p.a. - Servizio Pubblicità - via Statuto, 2 20121 Milano - tel. 6 5 2 . 3 4 1 / 2 / 3 int. 20.

C O N D I Z I O N I D I A B B O N A M E N T O P E R I L 1 9 8 3 A b b o n a m e n t o a n n u o Italia L . 4 8 . 0 0 0 A b b o n a m e n t o a n n u o estero L. 7 5 . 0 0 0

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L'abbonamento decorre dal 1° gennaio di ogni anno e dà diritto a tutti i numeri dell'annata, compresi quelli già pubblicati.

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All'Editore vanno indirizzate inoltre le comunicazioni per mutamenti di indirizzo, quest'ultime accompagnate dall'importo di L. 500 in francobolli.

Per ogni effetto l'abbonato elegge domicilio presso l'Amministrazione della Rivista.

A i collaboratori saranno inviati gratuitamente 50 estratti dei loro saggi Copie supplementari eventualmente richieste all'atto del licenziamento delle bozze ver-ranno fornite a prezzo di costo. La maggiore spesa per le correzioni straordinarie « O PflfiPn IIP aiitnro

Registrazione presso il Tribunale di Milano al n. 104 del 15 marzo 1968 Direttore responsabile: EMILIO GERELLI

i r

R i v i s t a a s s o c i a t a a l l ' U n i o n e d e l l a S t a m p a P e r i o d i c a I t a l i a n a Pubblicità inferiore al 7 0 %

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P A R T E P R I M A

ALESSANDRO PETRETTO - Osservazioni sulla voce « Finanza Pubblica » del

Dizionario di Economia Politica (Boringhieri, 1982) . . . . 185 MARIA FLAVIA AMBROSANIO - L'incidenza delle imposte in un modello di

crescita neo-classico ad un settore: alcuni aspetti 213 ILDE RIZZO - Programmazione dell'onere tributario e inflazione: il caso

della dilazione del pagamento dell'imposta sul reddito . . . . 233 SALVATORE SAMMARTINO - La disciplina fiscale dei titoli rappresentativi

di quote di fondi comuni 260 ANTONIO CICOGNANI - Inoonfigurabilità di sopravvenienze attive nella

ri-nuncia dei creditori chirografari ad una parte dei loro crediti in

sede di concordato preventivo con cessione dei beni . . . . 283 GIANCARLO FANZINI - La natura giuridica del contributo della L. 28

gen-naio 1917, n. 10 ed i fondamenti dell'imposizione immobiliare locale 308 APPUNTI E RASSEGNE

GIULIO TREMONTI - Sull'esenzione fiscale dei titoli di Stato . . . 3 4 3

BRUNO LO GIUDICE - Tassazione delle plusvalenze patrimoniali percepite

in dipendenza della liquidazione o della cessione di aziende. In

par-ticolare disciplina per le società di persone 351 RECENSIONI

GERELLI E. (a cura di) - Per la riforma della finanza locale (F.

MASSA-ROTTI) 363

NUOVI LIBRI 366 RASSEONA DI PUBBLICAZIONI RECENTI 371

P A R T E S E C O N D A

CARLO BAFILE - Considerazioni sui criteri di valutazione e sulla

motiva-zione dell'accertamento nelle imposte indirette sui trasferimenti . 61 GIORGIO GENTILLI - Praesumptum de praesumpto non admittitur? . . 7 4 RAFFAELLO L U T I - Sulla legittimità costituzionale del secondo e del terzo

(4)

Imposta di registro - Accertamento - Criteri - Motivazione - Stima di-retta - Legittimità (Cass., 7 giugno 1982, n. 3436) (con nota di

C. BAFILE) 61 Imposte dirette Accertamento Esistenza di un capitale in un anno

-Presunzione di reddito nell'anno precedente - Ammissibilità in base all'id quod plerumque accidit ed al comportamento del contribuente -Conseguente onere della prova a carico dei contribuente dell'inesi-stenza del reddito accertato (Cass., Sez. I civ., 18 dicembre 1981,

n. 6653) (con nota di G. GENTHXI) 74

Imposta sul reddito delle persone fisiche - Redditi di impresa - Questione di legittimità costituzionale dell'art. 74 secondo e terzo comma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, in relazione agli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione - Non è fondata (Corte Cost., .17 novembre 1982,

n. 186) ( c o n n o t a di R . LUPI) 96

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GIUSEPPE GUARINO

DIZIONARIO

AMMINISTRATIVO

seconda edizione riveduta e accresciuta

Il diritto amministrativo si è profondamente trasformato negli ultimi anni: si è dilatata la sua dimensione e se ne sono modi-ficati i contenuti.

Questo Dizionario, un'opera di tipo nuovo, con finalità insieme didattiche e pratiche, si propone di rispondere alle esigenze deter-minate da tali trasformazioni.

La materia è esposta per capitoli collocati per ordine alfabetico e i singoli argomenti sono affidati ad autori diversi, i quali si ispi-rano ad uno schema uniforme, che tende ad una esposizione chiara, completa, aggiornata.

Nella scelta dei temi si è data la preferenza a quelli di più viva attualità, od ai quali minore sia lo spazio concesso dalla manua-listica corrente.

Voi. I: Alimentazione - Assicurazioni - Atti e poteri amministra-tivi - Banca d'Italia - Banche - Bilanci pubblici - Cambio e valuta - Commercio - Comunità Europee - Comunità montane - Contratti statali - Edilizia residenziale pub-blica - Elezioni - Espropriazione pubpub-blica utilità - Far-macie.

Voi. II: Impiego pubblico - Ministeri - Opere pubbliche - Para-stato - Partecipazioni statali - Ragioneria Generate dello Stato - Regioni - Responsabilità amministrativa - Servizi pubblici - Spesa pubblica - Sport - Tesoro - Cassa DD.PP. Trasporti - Tribunali amministrativi (T.A.R.) - Unità Sa-nitarie Locali - Urbanistica.

8°, due voli, di complessive pp. VIII-I790, L. 78.000

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Collana di giurisprudenza tributaria diretta da Gabriele Pescatore

TESTO UNICO

DELLA LEGGE

SUL BOLLO

D.P.R. 2 6 ottobre 1972, n. 642, e succ. mod.

integrato e corretto dal D.P.R. 30 dicembre 1982, n. 955 a cura di DARIO CAFIERO

L'opera è strutturata nella forma del commento organico per articoli del testo normativo. Il commento collega op-portunamente la giurisprudenza edita con le posizioni della dottrina rispetto alle controversie insorte ed alle determi-nazioni dell'amministrazione finanziaria, sempre con stret-ta aderenza al contenuto della norma.

Una particolare attenzione è rivolta, nell'opera, alle di-sposizioni che hanno profondamente innovato la precedente legislazione in materia, in attuazione dei princìpi dettati dalla legge delega sulla riforma tributaria e in aderenza alla normativa CEE.

8°, p. 400, L. 20.000

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Società italiana degli economisti

Atti delle riunioni scientifiche

Caratteristiche e prospettive dello sviluppo economico italiano 1971, 8°, pag. IV-206.

I problemi dell'analisi economica dinamica 1973, 8°, pag. IV-230.

La dimensione d'impresa nell'economia contemporanea 1974, 8°, pag. IV-244.

Essenza e limiti del marginalismo nelle teorie economiche 1974, 8°, pag. IV-280.

Economia ed ecologia 1975, 8°, pag. IV-354.

La teoria economica di fronte al sistema delle Regioni 1975, 8°, pag. IV-172.

Politiche e strumenti per l'espansione economica italiana 1975, 8°, pag. IV-160.

Politica monetaria e sviluppo economico 1975, 8°, pag. IV-152.

Sviluppo economico, scambi internazionali e crisi monetaria 1975, 8°, pag. IV-248.

L'orizzonte temporale delle decisioni economiche 1976, 8°, pag. IV-234.

La teoria keynesiana quarant'anni dopo 1977, 8°, pag. IV-312.

Economia internazionale Teoria e prassi

1979, 8°, pag. IV-316.

Temi attuali dell'economia del lavoro 1980, 8°, pag. IV-228.

L'inflazione oggi: distribuzione e crescita 1981, 8", pag. IV-144.

I fondamenti attuali della politica sociale 1983, 8°, pag. IV-236.

4 9 1

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ALBERTO BARETTONIARLERI GIOVANNI D'ADDONA DOMENICO FAZIO FABIO MATARAZZO

L'ORDINAMENTO

U N I V E R S I T A R I O

ITALIANO

L'opera tende a soddisfare l'esigenza — assai diffusa tra il personale docente e non docente, gli amministratori e revisori, accademici o non, gli studiosi e tutti gli operatori interessati agli aspetti istituzionali e gestionali deile università e degli istituti di ricerca — della conoscenza puntuale, sistema-tica e nel contempo rapida, dell'immensa mole di disposizioni che discipli-plinano la variegata realtà universitaria italiana ed il connesso mondo della ricerca.

La oggettiva complessità normativa scaturisce sia dal processo di sovrap-posizione e sedimentazione che ha accompagnato l'evoluzione della vicenda universitaria italiana dall'Unità, delle sue strutture e delle sue funzioni, sia dal fenomeno di polverizzazione normativa che ha caratterizzato sovente l'in-tervento legislativo senza un puntuale innesto nella vigente legislazione, dando luogo ad un'amplissima area di interpretazione applicativa che, in-timamente connessa con la peculiarità del fenomeno universitario scarsa-mente riconducibile alle tradizionali configurazioni amministrative, da un lato comporta fisiologicamente deroghe a taluni canoni della legislazione re-lativa, ma dall'altro postula un corredo di decretazione amministrativa e di direttive interne, legato non solo al tratto derogatorio della legislazione, ma anche al mutevole assetto della specifica materia. Ciò vale in particolar modo nell'attuale realtà storica di trapasso verso una più compiuta realizzazione dell'autonomia universitaria, costituzionalmente garantita, legata ad un'arti-colato processo introduttivo in forme sperimentali di nuove strutture orga-nizzative di revisione di quelle preesistenti e di proiezione complessiva della ricerca e della didattica nella realtà economica e sociale della comunità nazionale ed internazionale.

L'opera è pertanto articolata in modo da offrire oltre ad un quadro com-pleto delle fonti normative ed amministrazione organicamente ripartite per settori funzionali ed organizzativi, anche il reperimento, con facile e diretta percezione, dei testi normativi ed amministrativi di quei settori delle gestioni universitarie che trovano la loro diretta od integrata disciplina in norme sta-tali generali e non di specifico riferimento alla realtà universitaria (norme tributarie e contabili, disciplina dei lavori pubblici, ecc.).

Il corredo di ciascun volume e dell'opera complessiva di indici cronologici, sistematici ed analistici, consente la ricerca e la individuazione della ma-teria e della fonte in un contesto di immediatezza.

Raccolta sistematica delle fonti normative

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PIANO DELL'OPERA

Voi. I IL GOVERNO E L'AMMINISTRAZIONE DELL'LNIVERSITA'

Principi e garanzie costituzionali - L'ordinamento dell'Università: decentramento, servizi, organi, strutture organizzative, accordi organizzativi e moduli convenzionali - La gestione amministra-tiva e contabile (programmazione, finanziamento, regime tribu-tario, contratti, edilizia generale, sportiva, del Mezzogiorno, ospedaliera, delle zone terremotate, dei nuovi insediamenti). 8°, p. 1240, ril.j L. 85.000.

Voi. II IL PERSONALE LNIVERSITARIO

Lo stato giuridico ed economico in attività di servizio ed in quiescenza - Le vicende costitutive, modificative ed estintive del rapporto di impiego del corpo docente: norme comuni e di-sciplina specifica (professori di ruolo, associati, qualifiche ad esaurimento) - I ricercatori - Il personale tecnico, amministra-tivo, ausiliario (dirigenza, aree funzionali, settori particolari, qualifiche ad esaurimento).

(in corso di stampa)

Voi. Ili RICERCA E DIDATTICA

L'organizzazione soggettiva ed oggettiva della ricerca - Program-mazione - Facoltà di medicina e ricerca biomedica - Gli enti di ricerca: strutture e funzioni - L'ordinamento didattico a li-vello nazionale ed internazionale.

(di imminente pubblicazione)

Voi. IV INDICI

Indici cronologici, sistematici e analitici.

(di imminente pubblicazione)

6 8 3

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LUCIANO MOLINARI GINO /ANELA

C O N C O R S I

A CATTEDRE

I NUOVI PROGRAMMI DI ESAME

per

Scuole e istituti di istruzione secondaria e artistica Insegnanti tecnico - pratici

Insegnanti arte applicata

Alla luce delle disposizioni contenute nella legge 9 agosto 1978, n. 463 e nei relativi decreti delegati, l'opera offre un quadro organico e completo dei nuovi programmi per i con-corsi a cattedre, distinti per singola classe di concorso e con riferimento specifico al titolo di studio posseduto e alle eventuali abilitazioni conseguite dagli aspiranti.

L'illustrazione delle prove e dei programmi, raggruppate per singole classi di concorso, è preceduta da un'ampia introdu-zione dedicata alla funintrodu-zione docente.

8°, p. 562, L. 22.000

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DEL DIZIONARIO DI ECONOMIA POLITICA (Boringhieri, 1982) (*)

SOMMARIO: 1 . Premessa. — 2. Il nuovo ruolo assunto dalla teoria della fi-nanza pubblica. — 3. L'evoluzione storica delle teorie finanziarie. — 4. Il significato della new public finance. — 5. Alcuni punti di (parziale) dis-senso con Artoni. — 6. Alcuni sviluppi futuri degli studi di teoria della finanza pubblica.

1. Vorrei iniziare rilevando come quest'ultima riflessione di ca-rattere generale sulla teoria della finanza pubblica da parte di uno studioso italiano sia anche la prima dopo una lunga parentesi di si-lenzio.

Infatti dopo i grandi manuali degli anni '50-60 che hanno fornito una sistemazione complessiva della materia per certi aspetti insupe-rata, la scuola italiana di finanza pubblica si è disunita in una serie di contributi settoriali, anche rilevanti, e soprattutto nell'analisi em-pirica. Per questo motivo il lavoro di Roberto Artoni, peraltro eccel-lente, va accolto con entusiasmo, anzi auspicando un'ulteriore medi-tazione per giungere ad un manuale completo.

Che tale lavoro sia, poi, tipico della moderna scuola economica italiana, cioè dello sviluppo di pensiero che è venuto concretizzandosi nel nostro paese negli ultimi venti anni, è indubbio. La « voce » ap-pare, infatti, tesa al recupero del pensiero dei classici, pervasa di uno scetticismo diffuso ma nello stesso tempo rispettoso nei confronti della dominante impostazione neo-classica e attenta ad inserire gli elementi più propriamente istituzionali nel quadro teorico di riferi-mento. Pertanto, la « voce » pur non avendo ovviamente il respiro di un mannaie è destinata a divenire un punto di riferimento per la ri-presa di un dibattito teorico in cui la scuola italiana di finanza

pub-(*) Testo rivisto della relazione di commento presentata al Gruppo Na-zionale di Coordinamento per gli studi sulla Economia Pubblica e sulla Poli-tica Fiscale, Roma, 3 novembre 1982.

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blica sia impegnata direttamente con le sue specificità e con la forza delle sue tradizioni.

I miei commenti si appuntano in primo luogo su tre aspetti di ca-rattere generale : (i) le implicazioni che derivano per una « voce » enciclopedica dal ruolo che la finanza pubblica è venuta assumendo nel recente sviluppo della teoria economica, ; (ii) il « taglio » che l'autore ha dato alla prima parte storica della « voce » ; (iii) il suo giudizio generale sulla moderna impostazione in termini di second lest della teoria della finanza pubblica.

In secondo luogo, mi soffermerò su alcuni punti specifici di par-ziale dissenso, cioè su alcuni punti in cui la trattazione di Artoni, ora sfumando, ora accentuando alcune conclusioni, non mi trova del

tutto concorde.

Infine, nell'intento di dare a questo mio commento un significato in prospettiva richiamerò l'attenzione su alcuni sviluppi che a mio parere diverranno settori di ricerca primari nell'evoluzione futura della nostra disciplina.

2. Il primo punto si riferisce innanzitutto al riconoscimento della meritorietà del lavoro di Artoni, il quale è riuscito a districarsi più che egregiamente in una materia ormai difficilmente controllabile in modo unitario ed entro vincoli di spazio non più adeguati allo sviluppo del dibattito teorico recente.

Se si sfogliano, infatti, le ultime dieci annate delle riviste eco-nomiche internazionali è facile riscontrare un grande fervore nella trattazione dei temi teorici di economia pubblica ; anzi è forse pos-sibile asserire che nessun comparto della teoria economica risulta così sviluppato e fiorente, almeno da un punto di vista strettamente quan-titativo. All'estero questa evidenza è stata percepita da tempo come testimoniato dai corsi impartiti nelle più importanti università in-glesi ed americane, nonché dalla massiccia trasmigrazione di cele-brati economisti su temi di economia pubblica (1).

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In conseguenza di ciò il ruolo della finanza pubblica nella teoria economica ha subito profonde alterazioni, tanto che è adesso in di-scussione la sua stessa autonomia. Infatti, dobbiamo riconoscere che le più recenti evoluzioni ormai muovono verso una sempre più stretta integrazione della nostra disciplina con l'economia politica dato che tendono a scomparire molte distinzioni metodologiche, anche se con-cordo con chi so,stiene che questo fenomeno non ha solo risvolti po-sitivi.

Ad ogni modo, in queste condizioni, il tentativo di sistemare unitariamente tutta la materia diventa improbo nonché riduttivo, in quanto, per esigenze di spazio, richiede selezioni e quindi rinunce che impongono di trascurare gli sviluppi settoriali, gli infiniti rivoli di una disciplina che ormai, si dirama in tutte le direzioni fino a sconfi-nare in altri campi delle scienze sociali, come la scienza giuridica e la scienza politica (2).

Ma soprattutto lo sforzo di sistemare unitariamente la finanza pubblica in una « voce », o anche in un manuale, trova un ostacolo ben più rilevante nel fatto che una serie di problemi centrali che la nostra disciplina ha incontrato fin dal suo nascere non hanno tro-vato, malgrado i fiorenti sviluppi recenti, una soddisfacente soluzione; così come risposte esaurienti non sono state date ai quesiti sollevati dalla presenza e dall'operare del settore pubblico nelle moderne eco-nomie industrializzate.

Da questo punto di vista il merito maggiori di Artoni è stato quello di mostrarsi consapevole dei limiti della teoria finanziaria e di aver quindi scelto, direi con modestia e senso della misura, un ap-proccio problematico alla sua trattazione.

I problemi che Artoni pone al termine della sua introduzione in-dividuano senza dubbio il non facile cammino che la teoria della fi-nanza pubblica è chiamata a percorrere nel futuro. Da questo punto di vista, a mio avviso, la scuola italiana di finanza pubblica, nella quale Artoni assume indubbiamente una posizione di spicco, ha un suo preciso compito: operare una sintesi tra il grande patrimonio di idee costituito dalla « tradizione italiana di Scienza delle Finanze » ed alcune vie centrali tracciate dalle moderne formulazioni della

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nanza pubblica, eludendo quindi la moltitudine di sterili sentieri per-corsi da questa copiosa produzione scientifica.

A mio parere infatti la letteratura finanziaria degli ultimi dieci-quindici anni è caratterizzata da alcuni rilevanti contributi che si innestano, pur con nuove metodologie, nei tradizionali filoni neo-clas-sici all'interno dei quali è appunto nata e si è sviluppata la « tradi-zione italiana... ». Il fatto, poi, che nella letteratura finanziaria re-cente compaia una moltitudine di apporti di contorno sostanzial-mente insignificanti è un fenomeno da non sopravvalutare e che non dovrebbe indurre ad un giudizio complessivamente negativo su que-sti sviluppi teorici. Infatti a mio parere ciò va anche considerato come un segno dei tempi, in particolare come frutto del profondo muta-mento che ha subito negli anni la professione di economista.

Per i motivi spiegati, dunque, i miei commenti sia di tipo gene-rale che specifico scaturiscono da un'analisi della voce « filtrata » at-traverso la prospettiva che emerge dalla letteratura più recente, an-che se sono consapevole an-che questa non è la sola né la più impor-tante prospettiva con cui analizzare un lavoro di così ampio respiro storico e concettuale.

3. La prima parte, di carattere generale e storico, della « voce » individua sostanzialmente tre momenti in qualche modo distinti della teoria della finanza pubblica : la teoria classica, la teoria clas-sica e la teoria macroeconomica. Inoltre, all'interno della teoria neo-classica sono individuati tre filoni di pensiero : la scuola utilitarista, la nuova economia del benessere e l'indirizzo volontaristico; mentre, all'interno della teoria macroeconomica sono analizzati due sviluppi : la politica fiscale, più o meno direttamente riconducibile a Keynes, e alcune importanti interpretazioni alternative del ruolo macroecono-mico dello stato.

Mi trovo sostanzialmente d'accordo con Artoni per quanto ri-guarda la tripartizione generale e, in particolare, con il criterio da lui seguito nell'esporre la politica fiscale macroeconomica che ap-pare, di fatto, come una « voce » nella « voce ». Il legame di questa problematica con le teorie che sono alla base della analisi microecono-mica della finanza pubblica è per certi aspetti ancora troppo tenue, come nel caso dei modelli di squilibrio (3), o addirittura quasi

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compiu-timo, come nel caso delle aspettative razionali, secondo quanto di recente sostenuto da un interprete non sospetto di partigianeria come F. Hahn (4). Il fatto è che la politica fiscale ha conosciuto una evo-luzione per troppi aspetti indipendente, con basi teoriche troppo re-centi e ancora poco definite, per poter essere inserita in una tema-tica che segue un disegno che, per quanto critema-ticabile e perfino

rifiu-tabile, appare ormai definito e consolidato.

Una diversa linea interpretativa avrei, invece, seguito per quanto riguarda la trattazione della teoria neo-classica. Sarei, cioè, stato più esplicito di Artoni nell'individuare due filoni, temporalmente inter-secati, ma sostanzialmente distinti per quanto riguarda l'approccio seguito : quello normativo e quello positivo.

Il primo filone, facendo esplicitamente uso di giudizi di valore, tenta di delineare un comportamento del settore pubblico che sod-disfi certe regole di ottimalità, definite sulla base di funzioni del be-nessere bergsoniane (5) ; mentre il secondo, guarda al settore pubblico come ad un agente economico endogeno al sistema alla stessa stregua delle famiglie e delle imprese, e ne studia le regole di comportamento in modo deterministico, cioè indipendentemente da considerazioni a priori di efficienza e di ottimalità, nonché i suoi riflessi sull'intero si-stema economico che si estrinsecano nelle risposte del settore privato alle sue sollecitazioni.

Il filone normativo si origina con Pigou (ancor prima possiamo dire con Marshall) e si collega, tramite lo « snodo » centrale Pareto-Barone, in un unico disegno concettuale (a parte la generalità degli approcci e i successivi arricchimenti analitici) alla teoria dei beni pubblici di Samuelson, prima, e alla teoria dell'ottima tassazione di Diamond-Mirrlees (1971) e Mirrlees (1971), poi, fino alle più moderne elaborazioni in termini di Secrmd Best. Secondo questa interpreta-zione generale, dunque, l'adesione o meno ai principi utilitaristi, la soluzione, simultanea o meno, del problema del volume e del riparto

tamente alcuni elementi essenziali della problematica macroeconomica cor-rente, soprattutto per quanto concerne il ruolo della moneta.

(4) Come ha sostenuto a più riprese Hahn (1982a; 1982b) gli equilibri con aspettative razionali non sono Pareto-efficienti, a causa dell'incompletezza dei mercati, per cui la teoria delle aspettative razionali, malgrado quanto da molti sostenuto, does not re-establish the beneficience of the invisible hand; per questo motivo e per altri su cui non posso soffermarmi (che attengono principalmente al meccanismo di formazione delle aspettative) la New Classi-cai Macroeconomics non costituisce una fedele versione aggregata della teoria dell'equilibrio economico generale.

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delle spese e delle entrate, e il riferimento a schemi di equilibrio gene-rale o parziale, non sono piti delle vere discriminanti metodologiche ; sono elementi che individuano soltanto dei momenti dello sviluppo cro-nologico della dottrina. Infatti, ad esempio, la funzione del benessere di Bentham può essere considerata un caso speciale della funzione Bergson-Samuelson e l'integrazione del modello di Samuelson con pro-blematiche di second best, può consentire di studiare, in un conte-sto più generale, i problemi posti a suo tempo dallo stesso Pigou. Certo le conclusioni dell'impostazione originaria di Pigou vengono talvolta stravolte da Atkinson-Stiglitz (1980, II parte), ma la logica e il qua-dro di riferimento metodologico sono gli stessi, per cui Pigon può essere considerato l'interlocutore primario di questo approccio teorico.

L'approccio positivo invece si origina con le scuole volontaristiche, italiana (Pantaleoni, Mazzola, De Viti De Marco), austriaca e svedese (Sax e Wicksell), per pervenire alle moderne formulazioni della Public Ghoice, secondo le linee indicate da Buchanan, Downs, Breton, Niska-nen ecc... Inoltre comprende, sulla base della precedente definizione ge-nerale, anche la teoria degli effetti economici e dell'incidenza delle imposte, intesa come analisi deterministica della reazione del settore privato alle sollecitazioni indotte dall'attività pubblica.

La distinzione tra filone normativo e filone positivo conduce ad analizzare su due versanti distinti due autori, viceversa tradizional-mente accomunati : Lindahl (principaltradizional-mente interessato a risolvere un problema di esistenza di equilibrio) e Samuelson (principalmente interessato a risolvere un problema di efficienza e di benessere) : na-turalmente le due problematiche si incrociano, lungo la via trac-ciata dai teoremi fondamentali dell'economia del benessere, ma l'im-postazione metodologica originaria deve essere distinta.

Artoni appare sostanzialmente consapevole di queste distinzioni di metodo, tuttavia un'analisi della evoluzione storica più attenta alla distinzione tra the design of policy (approccio normativo) e the analysis of policy (approccio positivo) (6) gli avrebbe a mio avviso consentito di evitare una successione talvolta un po' casuale dei vari argomenti, come quando fa seguire la trattazione della teoria dell'incidenza a quella sui principi utilitaristici della imposizione, o come quando introduce il concetto di bene pubblico come un ele-mento in qualche modo precipuo della scuola volontaristica,

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tre invece attraverso Samuelson tale concetto diviene patrimonio co-mune anche della nuova economia del benessere.

Naturalmente ciò non significa che io ritenga possibile distin-guere in modo rigido l'approccio positivo dall'approccio normativo in sede applicativa; le ambiguità che possono scaturire sono, come tutti sanno, notevoli. Ciò nondimeno ritengo questo criterio, ancor oggi, il più adatto punto di riferimento per operare un raggruppa-mento delle tematiche che si sono susseguite nello sviluppo storico della finanza pubblica. E ciò soprattutto in considerazione del recu-pero di alcune posizioni originarie decisamente perseguito dalle evo-luzioni più recenti della teoria, per cui alcune distinzioni tra filoni teorici, in passato ritenute marcate, oggi appaiono più sfumate, men-tre tematiche in passato considerate omogenee sono divenute, per l'accentuazione delle diverse ottiche di riferimento, eterogenee.

4. In sede di valutazione generale della new public ftnance, fon-data sul second best, Artoni esprime il seguente giudizio: « ...i sin-goli risultati dipendono (infatti) dai vincoli introdotti esplicita-mente nel modello, senza alcuna garanzia che tutti i vincoli in-fluenti siano stati correttamente riconosciuti. Si potrebbe quindi avan-zare il sospetto che le razionalizzazioni di alcuni aspetti del sistema fiscale o le prescrizioni che nei più svariati ambiti sono state avan-zate, risentano di una tecnica di formulazione dei modelli sostanzial-mente casuale e tale, come abbiamo già osservato, da non poter garantire sufficiente generalità ai risultati ottenuti ».

Il giudizio mi pare tanto esatto e giustificato quanto banale nel senso matematico del termine e cercherò di spiegarmi affrontando l'argomento da una prospettiva generale.

Viviamo in un momento di profonda crisi della teoria economica, di tutte le teorie economiche, incapaci come appaiono di cogliere la complessa realtà che ci circonda. In tali condizioni credo sia op-portuno saper prendere dalle teorie ciò che sono in grado di dare senza attribuirgli scarsa significatività o scarsa generalità tutte le volte che riescono a rispondere solo parzialmente ai tremendi quesiti che gli sottoponiamo.

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per-ché possono confutare tesi che vengono sostenute da un preteso buon senso o da pregiudizi ideologici.

Rimanendo nel nostro campo esiste un evidente filo diretto che collega i teoremi fondamentali dell'economia del benessere, il teo-rema dell'impossibilità di Arrow, il teoteo-rema del second best e le sue applicazioni e, in un certo senso, anche la teoria delle aspettative razionali.

Tutte queste elaborazioni teoriche nascono con l'intento, pili o meno dichiarato, di fissare proposizioni positive in ordine alla inter-pretazione diretta dei fenomeni economici, ma poi assumono valenza soprattutto per il ruolo negativo che svolgono evidenziando i li-miti di teorie prevalenti o contrapposte.

I teoremi fondamentali nascono storicamente con l'intento di stabilire il primato del mercato ma, invece, costituiscono la base teo-rica più convincente dell'intervento pubblico, sia diretto a fini redi-stributivi che ad ovviare a situazioni di fallimento del mercato. Il teorema di Arrow, più esplicito nel suo significato negativo, ripro-pone la imprescindibilità dei giudizi di valore nell'intervento pub-blico, smentendo una pretesa neutralità dell'economia politica che si era andata affermando in alcuni pensatori neo-classici di grande ri-lievo come Robbins. La teoria del second best afferma la necessità di tenere conto di alcuni vincoli, anche di natura istituzionale, tra-scurare i quali può condurre a scelte non giustificate. La teoria delle aspettative razionali, pur in difficoltà sotto i colpi delle critiche si-stematiche che ha ricevuto soprattutto dal versante neo-classico de-gli oppositori, mantiene una sua validità nel momento in cui mette in guardia gli operatori pubblici dal trascurare la capacità di pre-visione e di reazione degli agenti economici privati.

II pericolo più grave, come ha di recente sottolineato F. Hahn (1982a), è quello che i politici, l'opinione pubblica si approprino acri-ticamente delle posizioni teoriche che più riescono a mascherare le loro convinzioni ideologiche. A evitare ciò un ruolo determinante ri-veste il significato negativo delle teorie che può incalzare con rifles-sioni critiche, con « parabole » stilizzate, questa pretesa oggettività.

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In definitiva, poi, quale sarebbe l'alternativa odierna alla new public finance? Un'altra eventuale teoria, che lo stesso Artoni im-plicitamente ammette essere lontana a venire, oppure il « buon sen-so » ; ma proprio alcune prescrizioni generalmente ritenute sensate

sono state rigorosamente confutate da controesempi particolarmente efficaci suggeriti dalla new public finance. Quanto, poi, all'auspicato recupero di alcune impostazioni originarie come la « tradizione ita-liana di Scienza delle Finanze » ciò può avvenire lungo le linee trac-ciate dalla new public finance che, a parte le caratteristiche for-mali, presenta elementi di continuità con tale tradizione più nume-rosi di quanto non possa sembrare.

D'altra parte è forse un vizio odierno quello di chiedere troppo alle teorie. Nessuno dei contemporanei di Edgeworth o di Pigou era convinto della ineluttabile verità delle conclusioni originate dai prin-cipi utilitaristi, ma tal filone dottrinale ha svolto un importante ruolo, come ha sostenuto lo stesso Artoni, « nella creazione di un clima culturale favorevole all'introduzione di imposte progressive nei sistemi tributari moderni e quindi nella legittimazione dell'uso delle imposte a fini redistributivi ». Ma non ricopre, forse un ruolo minimale analogo anche la new public finance? Inoltre questa è ap-pena. agli inizi e in continuo movimento, quindi largamente perfetti-bile. La sua duttilità e fecondità è certamente dimostrata dai conti-nui tentativi operati in questi ultimi anni per coprire le varie zone d'ombra della teoria (7).

In conclusione credo che anche in questo campo valgano alcune considerazioni di F. Hahn (1981) che afferma : « se per alcuni proble mi fondamentali siamo ancora in un tunnel, si cominciano ad intra-vedere dei barlumi di luce; per di più se raggiungeremo la fine del tunnel ci accorgeremo che la strada è stata più dritta e più chiara di quella che avremmo percorso non partendo dalla teoria dell'equilibrio economico generale » (la teoria del second best nel nostro caso).

5. Veniamo quindi ai punti di (parziale) dissenso. Come ho già detto si tratta prevalentemente di posizioni che non mi trovano del

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tutto in linea con l'autore, poiché, a mio parere, ora accentuano ora sfumano troppo certe conclusioni.

5.1. Il primo punto si riferisce proprio ad una questione di sfu-matura. Cioè Artoni mi appare un po' troppo radicale quando indi-vidua nell'ipotesi di piena occupazione, a suo dire implicitamente accolta dalle teorie microeconomiche neo-classiche, la chiave teo-rica per introdurre il tema della politica fiscale.

È vero che queste teorie, a differenza della politica fiscale, non pongono esplicitamente al centro dell'intervento pubblico l'obiettivo della piena occupazione, ma non mi pare del tutto corretto sostenere che tali teorie « . . . ignorano il fatto che i sistemi capitalistici siano caratterizzati nella loro evoluzione da fluttuazioni cicliche..., pre-scindono (o lo escludono sul piano analitico) che il sistema trovi una posizione di equilibrio al di sotto della piena occupazione... ».

Innanzitutto, come sostengono Atkinson-Stiglitz (1980, p. 7) il problema delle fluttuazioni cicliche che originano disoccupazione in-volontaria può essere considerato come il più evidente sintomo del fallimento del mercato ; perciò, dato che gran parte delle teorie finan-ziarie neo-classiche si fondano proprio sul riconoscimento di questo fenomeno generale, non possono ignorare, almeno sul piano metodo-logico, il suo più evidente sintomo. Dopo tutto, indirizzare l'inter-vento pubblico al recupero di un'allocazione efficiente delle risorse, resa impossibile dal solo operare del mercato, significa anche volgere l'azione pubblica al ripristino della piena occupazione.

In altre parole la teoria normativa può costituire la base per la ricerca di politiche che non presuppongono ma perseguono la piena occupazione, potendo rientrare quest'ultima tra i vincoli del pro-blema generale di massimizzazione vincolata. Ad esempio molti dei problemi di ricerca della struttura tributaria ottimale individuano nel contempo un sistema di tassazione che persegue, tra gli altri, anche l'obiettivo della piena occupazione ricomprendendolo nel più generale obiettivo dell'efficienza produttiva.

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Ciò che desidero sostenere in conclusione è che l'analisi di situa-zioni di squilibrio di sottoccupazione non è incompatibile con gli schemi ricavabili dalle teorie microeconomiche neo-classiche della finanza pubblica, come del resto dimostrano recenti studi sulla teo-ria dell'incidenza (Keller (1980)) e sull'analisi costi-benefici (Jo-hansson (1982)).

5.2. Anche per il secondo punto il dissenso, se così possiamo dire, si fonda su di una diversità di accenti.

Nella parte storica e trattando della teoria delle scelte sociali Artoni non si sofferma esplicitamente su di un elemento che vice-versa ritengo di particolare rilievo per la teoria della finanza pub-blica. Cioè non chiarisce in che misura il teorema di Arrow si ap-plichi anche alla funzione del benessere tipo Bergson-Samuelson, la quale, è bene ricordare, è il concetto di funzione obiettivo cui si ri-ferisce la teoria finanziaria di tipo normativo.

Tale concteto non è invece mai richiamato da Artoni ; il che può fare implicitamente intendere che, a suo avviso, il teorema della impossibilità risulti, in qualche modo, esiziale anche per l'approccio Bergson-Samuelson. Viceversa, su questo punto la posizione preva-lente, almeno fino alla metà degli anni '70, tendeva esplicitamente a distinguere tra i due concetti di funzione del benessere in quanto si sosteneva, e ancora si sostiene, la Bergson SWF si applica ad una data struttura di preferenze individuali, mentre la Arrow SWF aspira a estendersi a tutti i possibili insiemi di preferenze individuali. Accet-tare una distinzione tra i due concetti di SWF significa anche ammet-tere che l'inesistenza di una regola di scelte sociali che soddisfa i po-stulati di Arrow non necessariamente coinvolge la funzione del benes-sere bergsoniana, cioè fino a farla coincidere esclusivamente con l'espressione di un dittatore. Da qui la tesi ottimistica secondo cui il teorema di Arrow non minerebbe le fondamenta della nuova eco-nomia del benessere (cfr. Little (1952), Samuelson (1967)).

Di recente però la questione è stata arricchita da nuovi elementi in seguito ad un dibattito che ha visto come protagonisti da una parte Kemp-Ng (1976, 1977) e Parks (1976) e dall'altra addirittura lo stesso Samuelson (1977) (8). I primi hanno infatti stabilito che ogni funzione del benessere bergsoniana definita su indici ordinali di

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lità deve essere lessicografica e pertanto le decisioni divengono di fatto espressione di un dittatore (9).

Senza entrare nel merito del dibattito, piuttosto sottile nelle ar-gomentazioni, la conclusione di tale disputa può essere sintetizzata affermando che una funzione del benessere bergsoniana

individuali-stica per essere operativa deve avere come argomenti funzioni di uti-lità cardinali e interpersonalmente comparabili, anche se essa stessa può mantenere il carattere di ordinalità (cfr. Mueller (1979)).

Ciò contribuisce a chiudere il circolo che in un certo senso si è registrato nell'ambito della teoria finanziaria circa l'accoglimento, poi il rifiuto e infine il recupero della filosofia utilitarista (cfr. Ng (1975, 1979)), ma non pregiudica la conclusione fondamentale in base alla quale il teorema di Arrow non inficia la coerenza della teoria finanziaria fondata sulla funzione del benessere di derivazione berg-soniana. Non credo sia infatti possibile pensare a scelte di tipo fi-nanziario (ad esempio l'imposizione progressiva) che prescindono da raffronti interpersonali o dalla misurazione della intensità delle pre-ferenze. Non è certamente casuale, al riguardo, il fatto che lo stesso Arrow, pur convinto della portata negativa del suo teorema, non si sia trattenuto dal fornire il più elegante contributo sugli effetti re-distributivi della spesa (Arrow (1971)), applicando proprio l'approc-cio utilitarista-.

La posizione più corretta, anche se un pò semplicistica, su que-sto argomento credo sìa quella di recente espressa da Atkinson-Sti-glitz (1980, p. 352) secondo i quali l'uso della funzione del benes-sere nell'ambito della teoria finanziaria può esbenes-sere interpretato as an attempt to examine systematically the effects on differents groups,

relating the « weight » attached to individuala to their income (or other indicator). At the same time, this highlights the importance of ascertaining the sensitivity of the « optimum » policy to the choice

of weights, and of the comparison of the conclusion reached with different social welfare functions... Tanto più che le diverse forme di funzione del benessere possono essere semplicemente considerate anche as forms of summary statistics, embedding both judgements about the distribution of income and trade-offs between « rnean in-come » and inequality... .

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Resta, comunque, da risolvere, come sottolineato da Artoni, il problema di chi sia chiamato ad esprimere il giudizio di valore non neutrale da cui è originata la funzione del benessere, in altre pa-role i « pesi » attribuiti agli individui o ai gruppi. Ma ciò pili che minare all'interno le teorie finanziarie basate sulla funzione del be-nessere è in grado di mettere, come sostiene anche Artoni, in gravi difficoltà la logica strettamente individualistica delle teorie volon-taristiche della finanza pubblica.

5.3. Ho alcune riserve sul modo con cui Artoni ha presentato la teoria pura dei beni pubblici, in particolare l'equilibrio di Lind-hal. Le mie perplessità ad ogni modo non riguardano tanto le propo-sizioni di Artoni che sono corrette, piuttosto riguardano la prospet-tiva attraverso cui ha presentato tali proposizioni e soprattutto gli aspetti che non ha trattato, che invece a mio avviso andavano, pur nei limiti di spazio, trattati.

Credo che il modo più corretto, ed efficace dal punto di vista espositivo, di presentare l'equilibrio di Lindhal (L.B.) sia quello di sviluppare il parallelo con l'equilibrio competitivo (C.E.) senza beni pubblici. Come per questo occorre, in primo luogo, distinguere le proprietà statiche dalle proprietà dinamiche dell'equilibrio (e su tale distinzione Artoni mi pare un po' troppo reticente).

A certe condizioni si possono dimostrare le seguenti proprietà statiche (cfr. Foley (1970), Milleron (1972), Roberts (1974)): (i) il L.E. esiste; (il) il L.E. è efficiente in termini paretiani; (iii) qua-lunque allocazione di beni privati e pubblici efficiente in senso di Pareto può essere raggiunta da una L.E. previa un'appropriata de-finizione di lump sum transfers ; (iv) il L.E. è nel core (10).

Artoni non sottolinea le due ultime proprietà, lasciando per quanto riguarda la prima, in un certo senso sospesa e quindi non con-clusiva la sua analisi, in particolare quando raffronta in un diagramma le caratteristiche del punto L (rappresentativo di un L.E.) e del punto E (rappresentativo di un'allocazione Pareto-efficiente). Le sue conside-razioni sono infatti relative al caso in cui siano mantenute costanti le dotazioni iniziali, dal momento che la figura è costruita sulla base di questa ipotesi. Artoni afferma (p. 145): « La sostanziale differenza fra

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le due soluzioni deriva dal fatto che l'equilibrio di Lindhal, oltre ad essere un punto di ottimo paretiano è caratterizzato anche dall'una-nime consenso di tutti i membri della comunità; iì punto E, al con-trario, e come tutti gli altri punti della frontiera paretiana G G', è un punto di equilibrio in tanto quanto è impossibile allontanarsene senza danneggiare almeno un individuo ». Ciò è naturalmente vero, ma biso-gnerebbe aggiungere che mutando le dotazioni iniziali con appropriate lump sum transfers, dato che le curve di indifferenza si spostano (11), è possibile far coincidere anche l'allocazione efficiente (x'a , x*b, z')

corrispondente al punto E con un L.E.

In altre parole, riprendendo l'esempio e i simboli di Artoni, sia (x'a , x'b , z*) l'allocazione efficiente e che soddisfa le valutazioni etiche

richieste, esiste un t' e un (w*, w*b) tali che:

dU(xa, g'ì/de'

dU(x'a, z*)ldx'a

dU(x'b, Q/dg* .

dU (x*„, z*) I dx'b

+ « v = « : ; x; + (i-nz'=wi

Si stabilisce dunque anche in presenza di beni pubblici la « dua-lità » equilibrio (di Lindhal in tal caso) ed efficienza paretiana. Per questo motivo confesso che mi risulta poco chiara la distinzione che Artoni fa tra economie senza e con beni pubblici in ordine alla « soste-nibilità » di una certa allocazione. Afferma Artoni (p. 143): «... in pre-senza di beni pubblici a una data distribuzione iniziale delle risorse corrisponde un'infinità di punti di ottimo paretiano, quando invece in un'economia con beni privati la prefissazione della distribuzione permette di individuare un'unica configurazione di prezzi e quantità. Questa caratteristica delle economie con beni pubblici rende molto dubbia la validità della ipotesi wickselliana di separazione dei problemi distributivi da quelli allocativi, nel senso che una corretta distribuzione iniziale implica che si effettui comunque una successiva scelta fra i punti della frontiera con evidenti conseguenze sul piano distributivo ».

(11) Le curve di indifferenza sn piano t, z sono date da: Oa = Ua

(/ (f, z), z) e Ub = Ub (g (t, z), z) dove / (t, z) e g (t, z) dipendono dalle

dota-zioni iniziali dato che è: / (t, e) = wa — tz e g (t, z) = wb — (1 — t) z.

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Alla, luce di quanto in precedenza specificato riformulerei la propo-sizione in questi termini. In un'economia con soli beni privati ad una data distribuzione iniziale (Wa , wb) corrisponde un'unica

configura-zione di prezzi (unitari date le ipotesi) e di quantità (xa, xb). In una

economia con beni pubblici e privati ad una data distribuzione ini-ziale (ffla, ffib) corrisponde un'unica configurazione di prezzi per i

beni privati (unitari), un'unica configurazione di quantità (xa , xb, z)

e un'unica configurazione di imposte lump sum necessarie a finanziare la produzione pubblica (Ta = Wa — xa ; Tb = Wb — xb ; Ta + Th = z)

(«Equilibrio Competitivo Pubblico» à la Poley (Foley (1967)). Quindi è esatto dire che la distribuzione iniziale viene successiva-mente alterata da questo sistema di lump sum taxes-, ma se la distri-buzione iniziale è stata effettuata allo scopo di raggiungere una solu-zione ottimale dal punto di vista etico (w*, w*b), si può raggiungere

l'ottimo sociale inviando agli agenti un sistema di prezzi di Linghal tali che w* - x*a = T* = t z* ; w\ - x\ = T*b = (1 - t) z*. In questo

senso la separazione dei problemi distributivi da quelli allocativi è ancora logicamente possibile.

Per quanto concerne l'altra proprietà statica non menzionata da Artoni, ritengo che il concetto di core andasse richiamato per la sua rilevanza dal punto di vista politico-istituzionale ; infatti if a society stays inside the core there is a minimal rationale for eve-ryone to continue to partecipate. The conflicts that naturally arise over the redistrihution of initial endowements will stili he there, hut no group will have the power to alter the situation in its own favor unilaterally (Foley (1970, p. 72)).

Una problematica diversa sollevano le proprietà dinamiche del L.E. e di ogni altro equilibrio con beni pubblici. Per definire queste infatti bisogna prefigurare meccanismi convergenti di votazioni o procedure decentralizzate di programmazione convergenti e monotone. Per tali processi dinamici si verificano gli inconvenienti sottolineati da Artoni di possibile non convergenza al L.E. e della scorretta ri-velazione delle preferenze. Ma questi non inficiano la coerenza delle proprietà statiche del L.E., come la eventuale instabilità di O.E. non ne mette in discussione l'esistenza, e non viola i teoremi fondamen-tali o le relazioni core - O.E.

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decentrati o attraverso accordi volontari, pervenire per successive approssimazioni a livelli efficienti di consumo collettivo.

È forse per questo motivo che la teoria più recente sui beni pub-blici, privilegiando gli aspetti normativi, si è concentrata su altri temi cui accennerò nella prossima sezione. Infine per quanto riguarda il problema della corretta rivelazione delle preferenze forze nuove soluzioni potranno venire dagli sviluppi del topic che tratterò nell'ul-tima sezione del prossimo paragrafo, cioè la teoria economica del-l'informazione.

5.4. Sempre nell'ambito dei beni pubblici nella « voce » vi sono un paio di omissioni che, per quanto giustificabili dati i vincoli di spazio, non lo sono in relazione all'importanza che tali temi hanno assunto nel dibattito più recente. In particolare credo che almeno un cenno dovesse essere fatto alla letteratura che di recente si è soffer-mata sui problemi derivanti dal finanziamento della produzione dei beni pubblici tramite imposte distorsive, quindi in situazioni di second hest.

Confrontando queste moderne formulazioni con la teoria samuel-soniana si rileva come la « regola convenzionale » di ottimalità debba essere riformulata allo scopo di tenere conto dell'excess hurden cau-sato dalla forma di finanziamento. Più in particolare il saggio mar-ginale di sostituzione deve essere uguale al saggio marmar-ginale di tra-sformazione economica (12) (cfr. Stiglitz-Dasgupta (1971) e Atkin-son-Stern (1974)), dove quest'ultimo oltre al saggio marginale di tra-sformazione fisica comprende anche l'entrata addizionale risultante da una variazione dell'offerta dei beni pubblici. Infatti se varia ferta di beni pubblici varia anche la domanda di beni privati (e l'of-ferta di fattori) e di conseguenza il volume della tassazione su merci.

Si ripresenta così, una volta impraticabile la via della tassa-zione lump sum, l'interdipendenza fra le decisioni in merito alle quantità assolute e relative di offerta di beni pubblici e la strut-tura della tassazione impiegata per finanziare questi, un problema verso cui erano particolarmente sensibili alcuni tra i primi studiosi di questa tematica, come Pantaleoni e Pigou.

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Come conseguenza di questo fatto però risulta inapplicabile il criterio automatico di riparto della spesa pubblica suggerito dalla teoria samuelsoniana e quindi ogni meccanismo di decentralizzazione tramite hranches (cfr. Musgrave (1959)) delle decisioni in ordine al-l'offerta dei beni pubblici.

Una via di uscita a questa spinosa questione si può dire sia stata recentemente ricercata da Lau-Sheshinsky-Stiglitz (1978) i quali hanno ricavato rigorosamente le condizioni sulle preferenze indivi-duali in virtù delle quali la « regola convenzionale » di uguaglianza, tra i saggi marginali di sostituzione e trasformazione continua a va-lere anche in presenza di tassazione distorsi va. Stabilire rigorosa-mente la condizione entro cui può continuare a valere tale regola è importante perché in tal caso è possibile operare una decentralizza-zione nella allocadecentralizza-zione ottimale delle spese pubbliche. Si può cioè stabilire, dato il livello del bilancio pubblico, il riparto delle spese pubbliche uguagliando per ciascuna coppia di beni pubblici il saggio marginale di trasformazione con il saggio marginale di sostituzione indipendentemente dalle dimensioni delle imposte sui beni privati ne-cessarie a finanziare i beni pubblici (13). Un antico problema, dun-que, risolto, pur nei limiti di generalità del modello, dalla moderna teoria.

Infine, sempre trattando della teoria pura dei beni pubblici un seppure breve accenno avrebbe meritato il tema dei beni pubblici lo-cali, che dalla originaria impostazione di Tiebout ha compiuto im-portanti evoluzioni, anche se il limite della eccessiva astrattezza non è stato certamente superato (cfr. Stiglitz (1977) e Atkinson-Stiglitz (1980)). In questo contesto un certo rilievo assume la condizione cruciale che caratterizza la optimal city size, cioè la versione più o meno generalizzata del così detto teorema di Henry George che sta-bilisce un legame tra il livello di offerta di beni pubblici e/o tra il grado di rendimenti crescenti nella produzione privata e la rendita differenziale della terra e/o i costi di trasporto. Come dire che, quando la città raggiunge la dimensione demografica ottimale, il fi-nanziamento dei beni pubblici e/o dei sussidi alle imprese che produ-cono a costi decrescenti è ottenuto tramite l'imposizione (talvolta la confisca) della sola rendita dei terreni. Ciò, semplificando, si può

dire fornisca una legittimazione teorica al principio che stabilisce la

(13) Ovviamente rimane da risolvere il problema sottolineato da Ar-toni di conoscere le preferenze individuali.

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definizione a livello locale della imposizione sui rendimenti dei capi-tali fondiari e immobiliari.

Attraverso la teoria dei beni pubblici locali, Artoni avrebbe quindi potuto introdurre la tematica della finanza locale che è vi-ceversa assolutamente assente nella « voce ».

5.5. Trattando della New Glassical Macroeconomics, Artoni si mostra, a mio avviso, preciso nell'enumerare gli aspetti del modello con aspettative razionali che suscitano perplessità, ma non altret-tanto nel sottolineare i meriti che è possibile attribuire a tale teoria.

Questi ultimi sono riconducibili al ruolo svolto dalla NOM come « teoria negativa », secondo l'accezione metodologica che ho deli-neato nel par. 4.

Innanzitutto la NCM reintroduce nel dibattito la problematica delle aspettative e dell'incertezza che era stata completamente ri-mossa, anche nei confronti delle formulazioni keynesiane originarie, dalla sintesi neoclassica. I neomonetaristi fanno una precisa scelta teorica elundendo la questione dell'incertezza tramite l'ipotesi che il futuro economico sia descrivibile con una distribuzione di proba-bilità perfettamente identificabile (cfr. Lucas (1977)) e affermando la piena razionalità delle aspettative. Ciò costringe i teorici di ispira-zione keynesiana a riconsiderare, da un punto di vista più consono alla loro impostazione, questi nodi focali per non subire un approc-cio teorico inaccettabile per ogni economista che si rifaccia alla Teo-ria Generale. Da questo punto di vista si può cogliere anche un con-tributo in positivo che la scuola neomonetarista ha permesso di evi-denziare. Si tratta della considerazione che gli agenti economici formano delle proprie aspettative — razionali o meno — tenendo conto delle politiche economiche attese e che gli effetti di queste ul-time saranno diversi in relazione al loro diverso « grado di preve-dibilità » (cfr. Hahn (1982a)).

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Ciò possiamo dire attesti la « dignità teorica » delle analisi sul-l'efficacia delle politiche di stabilizzazione in contrasto con la visione friedmaniana tendente al declassamento delle stesse a mera inda-gine empirica, ponendo quest'ultima fase della controversia keyne-siani-monetaristi su un piano più esplicito e scientificamente avan-zato rispetto alla prima. La risposta keynesiana non potrà quindi che misurarsi sul terreno delle tematiche innovative introdotte dalla NMC ma prevalentemente sulla base degli aspetti teorici dell'analisi keynesiana sviluppati al di fuori della sintesi neo-classica.

!.. • »

6. Vorrei concludere questo mio commento prendendo spunto dalla impostazione problematica della « voce » di Artoni per indivi-duare alcuni temi teorici che, a mio avviso, saranno in futuro oggetto di notevoli sviluppi.

Si tratta di tre temi di ricerca che stanno emergendo in modo evidente nella letteratura anglosassone più recente, ma che potreb-bero trarre grande impulso anche da un metodo di analisi più at-tento all'evoluzione storica delle tematiche considerate.

In altre parole è mia intenzione accennare a questi tre temi nello spirito di quella auspicata sintesi tra le più recenti teorie finan-ziarie e la «tradizione italiana... » cui ho fatto riferimento nel se-condo paragrafo.

Gli elementi di continuità con le posizioni assunte dagli stu-diosi italiani nella prima metà di questo secolo appaiono evidenti per i primi due temi (14), meno per il terzo che è, ad ogni modo, il più nuovo e, al momento, indefinito dei tre.

6.1. Tra i problemi centrali cui deve misurarsi la teoria della finanza pubblica Artoni, nell'Introduzione, individua quello della « ...definizione delle regole da, seguire nelle politiche redistributive ». Ciò richiama in sintesi il problema, mai risolto, della definizione appropriata del concetto (o dei concetti) di equità.

Sotto questo profilo la letteratura più recente sembra muoversi lungo linee dissociate. Essa è infatti caratterizzata da questi tre elementi : (i) la ricerca di un'appropriata definizione di «

alloca-zione equa», compatibile con il principio dell'efficienza paretiana; (ii) la sistemazione del principio di equità verticale all'interno del

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filone che mira al recupero dell'utilitarismo e quindi della cardina-li tà o quantomeno dei raffronti interpersonacardina-li di uticardina-lità tramite il criterio del maxmin di Rawls ; (iii) il progressivo riconoscimento del-l'indipendenza del principio di equità orizzontale da un qualunque criterio di massimizzazione del benessere.

Per quanto riguarda il primo elemento si è di recente sviluppata una nutrita letteratura tesa ad individuare nell'insieme delle allo-cazioni Pareto —- efficienti un sottoinsieme di alloallo-cazioni definibili eque, sulla base di concetti di natura ordinale e « liberi » da raffronti interpersonali di utilità (15). Il punto di partenza è costituito dal concetto di allocazione envy-free (Foley (1967)) — nella quale cioè nessuno preferisce per sé il paniere di beni di qualcun altro — a cui, in seguito, sono state apportate rilevanti specificazioni e va-rianti tese a superare talune incongruenze. La limitazione scrupolo-samente ordinale di tali concetti di equità rende però difficile l'inte-grazione di tale problematica con quella relativa ai principi di equità orizzontale e soprattutto verticale (16).

Per quanto riguarda il secondo elemento è noto che la teoria dell'ottima tassazione sul reddito ha di fatto ristretto il concetto di equità verticale a quelli riconducibili ai principi utilitaristi e al prin-cipio del maxmin, pur integrati con considerazioni di efficienza. Tale scelta tuttavia non ha certamente assunto il significato di un'op-zione di principio, quanto piuttosto, come abbiamo già precisato nel precedente paragrafo, il significato di un adeguamento acritico e « neutrale » allo stato dell'arte (cfr. Atkinson-Stiglitz (1980)).

Paradossalmente la recente teoria appare meno uniforme nel-l'analizzare il principio dell'equità orizzontale e ciò solleva un pro-blema particolarmente acuto ai fini dell'evoluzione della teoria fi-nanziaria. Tale principio, infatti, ancor più di quello impalpabile del-l'equità verticale è costantemente richiamato per la definizione dei sistemi tributari e dei sistemi di spesa pubblica redistributiva. Ma qual'è l'origine di questo principio che pare così ovvio nella sua enunciazione? Cosa deve intendersi per individui uguali? Quali sono le relazioni logiche col principio dell'equità verticale? La teoria più

(15) Cfr. ad esemplo Foley (1967). Pazner (1977), Variali (1978), Pazner-Schmeidler (1978), Sungden (1981), Thompson (1982).

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recente ha dimostrato come queste domande siano più complicate di quanto non fosse generalmente ritenuto. In particolare sono state fornite diverse nozioni di questo principio (ex-ante, ex-post, in con-dizioni di incertezza, in un contesto intertemporale...) e almeno quat-tro interpretazioni per giustificarne l'applicazione. La prima si rife-risce all'impostazione secondo la quale l'equità orizzontale è sem-plicemente una conseguenza di un più generale principio di massi-mizzazione del benessere, come quello utilitarista (17).

Tuttavia di recente questo legame è stato confutato anche nella favorevole ipotesi di uguaglianza delle preferenze (18) ; addirittura è stato rilevato che la equità orizzontale potrebbe essere incompati-bile con l'efficienza paretiana (cfr. Stiglitz (1982, b)).

La seconda interpretazione dell'equità orizzontale vede questa come un principio del tutto indipendente dal problema di massimiz-zazione del benessere. Tale interpretazione può avere una razionaliz-zazione con il ricorso alle tematiche sviluppate da Rawls, cioè ipo-tizzando gli individui in qualche originai position e al di là del veil of ignorance, nonché presupponendo incertezza degli individui in or-dine all'impatto delle misure fiscali (cfr. Stiglitz (1982, b)).

La terza interpretazione sottolinea il fatto che l'equità orizzon-tale è relativa non tanto al risultato dell'intervento pubblico quanto ai mezzi impiegati per conseguirlo e cioè, in altre parole, l'equità orizzontale mirerebbe alla salvaguardia contro le « discriminazioni capricciose », venendo a stabilire con l'equità verticale una rela-zione di tipo lessicografico, nel senso che la prima, impone certe

re-strizioni sugli strumenti impiegabili per conseguire la seconda. Infine c'è l'interpretazione contrattualistica, quindi nell'ambito della teoria positiva, fornita da Brennan-Buchanan (1977, 1980), che collega il principio dell'equità orizzontale ad un vincolo di « unifor-mità » tra gli individui posto a livello costituzionale.

E evidente quindi come il non facile compito di « definire le re-gole da seguire nelle politiche redistributive » non possa prescindere da una risistemazione logica di tutta questa eterogenea evoluzione teorica : la quale, seppur ha il merito di aver messo in luce le incon-gruenze di alcune impostazioni accolte in passato con troppa cer-tezza, non ha certamente contribuito a chiarire i contorni della fon-damentale questione sollevata dal concetto di « equità ».

(17) Questa posizione si fa risalire a Lerner e Pigou (cfr. Musgrave (1976), Feldstein (1976)).

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6.2. Nell'ambito degli sviluppi del filone volontaristico Artoni tratta delle teorie positive della domanda e offerta pubblica richia-mandosi alle impostazioni politico-economiche di Buchanan, Downs, Breton nonché alla teoria della burocrazia di Niskanen.

Negli ultimi anni queste correnti di pensiero hanno conosciuto un enorme sviluppo in conseguenza anche della controversia di re-cente sorta tra i due « fallimenti », quello del mercato e quello del « non-mercato » (cfr. Wolf (1979)).

Ci sono molti validi motivi per ritenere questa una tematica og-getto di ampio approfondimento anche in un prossimo futuro (19) ; se non altro perché il fallimento del « non-mercato », a differenza del fallimento del mercato, non si fonda ancora su di un solido schema normativo di volta in volta messo in discussione (come i teoremi fon-damentali dell'economia del benessere), per cui non ha ancora ori-ginato e forse non originererà mai una teoria nel senso generale del termine. Ad ogni modo la controversia tra i due fallimenti, una volta liberata dalle ipoteche ideologiche che attualmente la caratteriz-zano, costituirà l'occasione per dare notevole impulso agli studi sul-1' « economia delle istituzioni pubbliche », sia per risolvere la con-troversia caso per caso, sia per legittimare l'opzione pubblica con una pronunciata attenzione per i problemi dell'efficienza. In altre parole, a mio parere, l'evoluzione di questi studi si tradurrà in una teoria, o meglio in una serie di spezzoni di teoria, dei mercati pubblici, dove il termine mercato deriva dall'esistenza di una do-manda e di un'offerta definibili pur in assenza di un prezzo nel senso tradizionale del termine. Queste analisi della domanda e offerta pub-brica dovranno, poi, essere sintetizzate attraverso l'evoluzione, mai interrotta,, degli studi sui processi politici di decisione, di modo che la teoria delle scelte pubbliche tenderà a fondersi con la teoria dei « quasi mercati » pubblici.

Per adesso si assiste all'approfondimento di tutta una serie di tematiche genericamente riconducibili a questo filone di pensiero, come la letteratura che, sulla scorta dei lavori di Kolm (1971) e Oak-land (1972), ha riformulato la teoria dei beni pubblici contempOak-lando gli effetti di congestione e ammettendo tutta la tipologia dei casi intermedi (20). Tale letteratura ha posto, per la prima volta in modo

(19) Questa tematica è stata oggetto del 38th Congresso (leìVInternatio-nal Institut of Public Pinanae, tenuto a Copenhaghen il 23-26 agosto 1982 su Pu-blic Finance and the quest for efficiency.

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esplicito, il problema della definizione e rappresentazione della tec-nologia produttiva dei servizi pubblici (cfr. Daniels (1981)) e della tecnologia del consumo, cioè del processo che, secondo un'applica-zione dell'approccio Lancaster-Muth, collega l'offerta alla domanda dei servizi (21).

Sempre nel filone di questa teoria dei quasi-mercati » va ricon-dotta anche la letteratura che ha approfondito l'analisi dei compor-tamenti delle grandi imprese pubbliche o private regolate (22) che forniscono public utilities, nonché la letteratura che ha cercato di definire concetti di efficienza più operativi e più adattabili alla realtà del settore pubblico delel moderne economie industrializzate (23).

Questa evoluzione degli studi di finanza pubblica presenta a mio avviso due elementi positivi. Innanzitutto, consente di formulare analisi teoriche, anche sofisticate, ma con riscontri immediati nel-l'analisi empirica. In secondo luogo, recuperando una logica di equi-librio parziale e accantonando le ambizioni di una teoria onnicom-prensiva in cui settore privato e settore pubblico si integrano secondo modelli di equilibrio generale, riesce ad affondare in profondità il « bisturi » dell'analisi nei più rilevanti settori dell'attività pubblica. L'esempio più eclatante di questa microeconomia pubblica di settore è certamente costituito dall'economia della sanità che negli anni recenti ha contribuito in modo decisivo alla comprensione di uno dei più complessi fenomeni delle moderne società industrializ-zate.

6.3. Concludo questa rassegna di estensioni esaminando un to-pic che, data la recentissima apparizione, non poteva essere com-preso nella « voce » ma che a mio avviso costituisce forse il più esem-plare caso di potenzialità evolutiva della teorìa della finanza pub-blica.

Sono già diversi anni che J. Stiglitz batte l'inesplorato campo della Information Economics (cfr. Stiglitz (1975)). Il suo modo di pro-cedere è, come è noto, frammentario, paradossale e provocatorio,

(21) Ibidem. Il più delle volte infatti per i servizi pubblici ciò cbe è consu-mato non corrisponde a ciò cbe viene offerto ma è una sua funzione, insieme ad altre variabili.

(22) Cfr. Bailey (1973) e Pryke (1981). Inoltre, per questa problematica di grande utilità, se pur indiretta, è la recente letteratura sui cosi detti « mercati contestabili » (Baumol-Willig-Panzer (1982) e Baumol (1982)).

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ma adesso è pervenuto ad una sistemazione generale della materia che sarà trattata in un manuale in corso di pubblicazione presso VOxford University Press.

L'analisi degli elementi di imperfetta informazione ha condotto Stiglitz e la sua scuola a riformulare su nuove basi la teoria dei mer-cati, in particolare del lavoro, e soprattutto del monopolio.

Secondo questa nuova impostazione viene stabilito un legame im-prescindibile tra imperfetta informazione, concorrenza imperfetta e non-convessità e come ben sappiamo quest'ultime due circostanze costituiscono una base teorica per l'intervento pubblico, per cui molti settori della nostra disciplina finiranno prima o poi per essere diret-tamente chiamati in causa.

In linea generale le principali implicazioni per la nostra disci-plina possono essere viste se interpretiamo i problemi finanziari co-me un'applicazione della teoria dello screening, cioè coco-me un pro-cesso di discriminazione, di distinzione tra persone. Le procedure in termini di spesa e di entrata necessitano dell'acquisizione di infor-mazioni attraverso meccanismi (generalmente costosi) di direct exa-mination o di self-selection. Nel primo caso lo stato cerca di indivi-duare le caratteristiche distintive dei soggetti, la loro capacità lavo-rativa, la loro ricchezza, le loro preferenze in termini di beni pub-blici, ma ciò è diventato sempre più complicato e costoso per cui lo stato deve ricorrere a meccanismi di self-selection, che consistono nel sottoporre un insieme di scelte agli individui i quali, date le diffe-renti caratteristiche, operano diffediffe-renti selezioni da tale insieme. Le loro scelte così rivelano informazioni sulle loro caratteristiche altri-menti non osservabili se non a costi proibitivi.

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cui cerca una struttura di tassazione che imponga ai più capaci di rivelare che sono effettivamente i più capaci producendo (e dichia-rando) un maggior reddito piuttosto che pretendere di essere tra i meno capaci producendo un minor reddito e godendo di più tempo libero (o più semplicemente evadendo).

Questa impostazione consente a Stiglitz di generalizzare alcuni risultati della teoria convenzionale ed individuare casi in cui la « randomizzazione » della tassazione è desiderabile. Se i più abili sono avversi al rischio più dei meno capaci, casualizzando le impo-ste sui secondi, il tentativo dei primi di dichiararsi tra i meno abili diviene meno attraente. I meno abili se sono avversi al rischio, ovvia-mente, saranno danneggiati dalla « randomizzazione » della loro tas-sazione, ma la possibilità di differenziare tra i più e i meno capaci che tale procedura facilita può consentire di ridurre l'aliquota me-dia di imposizione sui meno abili, migliorando la loro situazione fi-nale e aumentando nel contempo anche il gettito.

Seguendo tale strada Stiglitz riesce persino a dimostrare la in-consistenza del principio di equità orizzontale con qualunque prin-cipio equitativo fondato sulla funzione individualistica del benessere, quindi anche con l'utilitarismo.

E troppo presto per dire quali implicazioni generali per la teo-ria della finanza pubblica potrà avere l'Economia dell'Informazione e, d'altra parte, questi primi risultati, in un certo senso paradossali, vanno solo considerati indicativi di una evoluzione, ma è certo che l'analisi degli elementi di frizione e incertezza che caratterizza il rapporto tra gli agenti economici privati e lo stato va in una dire-zione che più è corrispondente con la realtà dei moderni sistemi eco-nomici.

ALESSANDRO PETTRETTTO

Università di Firenze

Riferimenti bibliografici.

K . J . ARROW, The utilitarian approach to the ooncept of equality in public expen-diture, In Quarterly Journal of Economics, 1971.

A . B . ATKINSON, Horizonlal equity and the distributton of the tax burden, in H . S . AARON-M. S . BOSKIN (eds), The Economics of Taxation, The Brooking Institution, Washington, 1980.

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