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Parere sul disegno di legge recante:

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Parere sul disegno di legge recante:

"Modifica dell'articolo 67 della legge 31 maggio 1995, n. 218, recante riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato".

Comunico che il Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta del 12 marzo 1997, ha deliberato di approvare il seguente parere:

“L'art. 67, nel testo originario, disciplina l'attuazione delle sentenze e dei provvedimenti di giurisdizione volontaria resi dall'autorità giudiziaria straniera, in caso di inottemperanza o qualora sia necessario procedere ad esecuzione forzata.

L'innovazione proposta si sostanzia nell'introduzione nella norma di una disposizione prescrittiva della necessità del previo accertamento giudiziale dei requisiti del riconoscimento dei succitati provvedimenti anche qualora debbano essere trascritti, iscritti ovvero annotati nei pubblici registri.

La modifica ha particolare rilievo sul piano dei principi generali che ispirano la legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato e, quindi, sugli adempimenti richiesti alle parti per potersi giovare in Italia dei provvedimenti resi da autorità giudiziarie di Stati stranieri.

La ritenuta indispensabilità di siffatta modifica è stata alla base della reiterata decretazione d'urgenza, concretizzatasi da ultimo nel d.l. 23 ottobre 1996 n. 542, che ha, per oltre un anno, disposto un "rinvio tecnico"

della data di entrata in vigore delle disposizioni del titolo IV della l. n. 218 del 1995, fissata, dal d.l. n. 542, al 31 dicembre 1996.

La modifica ha già costituito oggetto di un disegno di legge presentato nel gennaio 1996, caducato dalla anticipata fine della legislatura e di un contenuto in parte diverso da quello ora in esame.

La legge n.218 del 1995, nel solco tracciato dalle Convenzioni di Bruxelles e di Lugano, è ispirata al principio della necessità di un provvedimento dell'autorità giudiziaria italiana "solo quando le parti dissentono intorno all'efficacia in Italia della sentenza straniera, mentre nel caso di efficacia riconosciuta anche spontaneamente dalle parti, non v'è ragione di instaurare un apposito processo".

In coerenza con tale principio, la legge del 95 stabilisce la immediata efficacia delle sentenze straniere, nonché dei provvedimenti

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stranieri sulla capacità delle persone e di volontaria giurisdizione, purché sussistano i presupposti di regolarità, ma senza necessità dell'accertamento giudiziale e, quindi, "del ricorso ad alcun provvedimento" (art. 64).

Nell'impianto originario della legge di riforma, la necessità dell'azione giudiziale diretta ad ottenere l'accertamento dei requisiti del riconoscimento è quindi limitata ai casi di contestazione, ovvero alle ipotesi nelle quali il creditore abbia necessità di munirsi di un titolo per procedere ad esecuzione forzata. (art.67).

La legge di riforma nulla dice in materia di trascrizioni, iscrizioni e annotazioni nei registri pubblici sicché è sorta questione - come avverte la stessa Relazione di accompagnamento - se per tali provvedimenti debba o meno procedersi all'accertamento dei requisiti giudiziali del riconoscimento.

Ed infatti, ad un orientamento che ha ritenuto necessaria la

"delibazione" anche per le sentenze soggette a pubblicità legale, si è contrapposto un indirizzo che è pervenuto a soluzione contraria.

Il contrasto interpretativo, sorto ancor prima dell'entrata in vigore della legge, dimostra comunque l'opportunità se non la necessità dell'intervento di riforma, al fine di eliminare ogni dubbio in ordine a tale aspetto della disciplina.

Il disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri, recante

"Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato", amplia decisamente il novero delle ipotesi nelle quali è necessaria la previa verifica giudiziale dei requisiti del riconoscimento dell'autorità giudiziaria e finisce con il ridimensionare drasticamente il canone dell'automatismo stabilito dall'art. 64 quale principio generale.

Infatti, dalla modifica che si propone deriva che il procedimento giudiziale di riconoscimento è escluso nelle sole ipotesi nelle quali l'adeguamento alla sentenza straniera non è condizionato da adempimenti pubblicitari e trova le parti consenzienti, analogamente a quanto accade in caso di esecuzione volontaria della prestazione da parte dell'obbligato, che impedisce la configurazione dell'interesse ad ottenere un provvedimento dell'autorità giudiziaria.

L'applicazione della dichiarazione di principio (canone di automatismo) esplicitata dall'art. 64 della legge di riforma del '95 renderebbe invece superflua la previa verifica anche nei casi in cui occorre

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l'intervento di pubblici uffici, per la necessità della trascrizione, annotazione od iscrizione del provvedimento.

Il carattere di novità del criterio introdotto dall'art. 64 non deve far dimenticare che il sistema introdotto dalla norma non appare affatto estraneo alla nostra tradizione.

Occorre ricordare come il codice del 1865 era ispirato ad un principio di segno opposto a quello ora in vigore.

Le sentenze straniere non erano soggette all'autorizzazione giudiziale preventiva per l'assolvimento delle formalità pubblicitarie e necessitavano soltanto della legalizzazione come strumento indispensabile per documentare l'identità ufficiale dell'autore.

Suscita, dunque, non poche perplessità la prospettiva di una indiscriminata restrizione, se non addirittura di una nuova espunzione dall'ordinamento, del criterio introdotto dall'art. 64 citato.

Se, infatti, può convenirsi con la necessità di escludere ogni automatismo nel caso di provvedimenti che non incidono solo su interessi privati (si pensi, ad esempio, ai casi dell'annotazione della sentenza di scioglimento del matrimonio o della sentenza di interdizione o inabilitazione), a diversa conclusione dovrebbe invece pervenirsi per tutti quei provvedimenti che incidono solo sulla sfera patrimoniale delle parti e le trovano, in ipotesi, del tutto concordi. Stabilire anche in tali casi la regola del previo esperimento dell'azione giudiziale di riconoscimento appare francamente eccessivo in quanto la disposizione finisce per pena- lizzare ingiustificatamente le parti stesse, costrette all'esperimento dell'azione di verifica pur in assenza di ogni controversia tra esse.

In contrario, non sembra possa obiettarsi - come fa invece la Relazione - che l'esclusione in detti casi della previa verifica potrebbe condurre ad un risultato inaccettabile quale sarebbe quello della inversione dell'onere della prova a carico della parte che intenda contestare successivamente la trascrizione.

Invero, occorre considerare, da un lato, come sia parimenti inaccettabile che le parti debbano essere gravate di un tale onere anche se non v'è contestazione, e, dall'altro, che il canone di automatismo deriva anche dalla presunzione (pur iuris tantum) che il provvedimento è stato reso all'esito di un processo nel quale è stato garantito il principio del contraddittorio e che non è consentito il riesame nel merito della vicenda.

La responsabilità di colui il quale chiede l'attuazione della pubblicità legale qualora successivamente si accerti la carenza dei

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presupposti del riconoscimento, costituisce idoneo e sufficiente presidio a tutela dell'interesse della controparte.

Per concludere sul punto, il Consiglio ritiene di dover evidenziare l'opportunità di differenziare le fattispecie, e di conservare il principio dell'automatismo per i casi nei quali non sussiste alcun immediato interesse pubblico alla previa verifica giudiziale dei requisiti del riconoscimento.

Connessa a quella appena esaminata è la questione relativa alla individuazione della sfera di operatività della clausola di esclusione della previa verifica giudiziale.

La proposizione finale dell'art. 67, comma 1 stabilisce infatti la necessità della delibazione nei casi nei quali occorre procedere a trascrizione, iscrizione o annotazione, "salvo che sia diversamente previsto".

La formula non è di agevole comprensione, alla stregua, innanzitutto, delle puntualizzazioni contenute nella Relazione di accompagnamento.

In quest'ultima si legge infatti: "si è inserito l'inciso << salvo che sia diversamente disposto >> ad evitare che per ottenere la trascrizione, l'iscrizione o l'annotazione di sentenze straniere in pubblici registri debba ricorrersi alla Corte d'appello, laddove l'attuale disciplina, in deroga al principio generale desumibile dall'art. 976 del codice di procedura civile, non prevede l'intervento giurisdizionale" (cfr. penultimo cpv di pag. 3).

Senonché è scarsamente plausibile che l'inciso in esame possa mirare ad evitare che debba essere sempre necessaria la previa delibazione, quando lo scopo che si intende conseguire e che in effetti viene conseguito è proprio quello di rendere necessaria la previa delibazione.

D'altra parte, stabilito il principio generale della indefettibilità del previo accertamento dei requisiti del riconoscimento, non è agevole individuare i casi che potrebbero consentirne la deroga e che comunque alla luce della ratio della nuova norma addirittura non dovrebbero poter esistere.

Esigenze di certezza e di stabilità, ancor più avvertite in riferimento alla condotta degli organi della p.a. preposti agli adempimenti pubblicitari e le difficoltà connesse alla individuazione dei casi di deroga al principio generale consigliano di eliminare l'inciso.

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Al riguardo osserva il Consiglio come apparisse meritevole di adesione il disegno di legge avente identico oggetto, approvato il 31 dicembre 1995, che, significativamente, non prevedeva alcuna eccezione alla delibazione.

Ove si intenda differenziare le fattispecie secondo quanto dianzi indicato e mantenere il principio generale della superfluità del previo riconoscimento, ritiene il Consiglio che, al fine di fugare ogni equivoco, sarebbe opportuno stabilire che l'azione giudiziale finalizzata alla attuazione della pubblicità legale è necessaria nei soli casi nei quali ciò è espressamente stabilito.

Una tale formulazione, oltre ad essere logicamente coerente con il rapporto esistente tra principio generale (superfluità della previa verifica per la pubblicità legale) ed eccezione (necessità dell'adempimento), consentirebbe di tenere fermo il criterio che si era inteso introdurre nel 1995, con le limitazioni che pur è necessario apportare.

Il disegno di legge stabilisce per il riconoscimento del provvedimento giudiziale straniero il procedimento camerale, così innovando la norma che, nel testo originario, prevedeva il processo ordinario di cognizione ed aveva già dato adito a non pochi dubbi in ordine ad aspetti non secondari della disciplina applicabile.

Si tratta di una scelta ad avviso del Consiglio tendenzialmente condivisibile per le ragioni esplicitate nella relazione di accompagnamento, in considerazione dell'oggetto dell'accertamento e a tutela di innegabili esigenze di celerità, snellezza e concentrazione.

Potrebbero tuttavia profilarsi fondati timori circa l'emersione di problemi interpretativi in ordine alle regole concretamente applicabili nelle diverse fattispecie, ove si consideri che il procedimento camerale qualora involga questioni in materia di diritti o di status, si ammanta, secondo la Corte di legittimità, di forme tipiche del giudizio ordinario che incidono, pur se in parte, sulla snellezza dello schema procedimentale.

D'altra parte non può non destare perplessità la circostanza che non si sia tenuto conto che le Convenzioni di Bruxelles e di Lugano già dettano una compiuta disciplina del riconoscimento dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria straniera.

La regolamentazione stabilita dalle Convenzioni predette, improntata alla brevità dei tempi della decisione e al carattere meramente

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eventuale e successivo del contraddittorio, ha costituito oggetto di interventi della Corte di Giustizia della CEE e della giurisprudenza di legittimità e di merito, sicché può ritenersi ormai consolidato un quadro di riferimento sufficientemente chiaro ed esaustivo.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il Consiglio Superiore ritiene, quindi, di segnalare l'opportunità di prevedere l'applicabilità delle regole dettate dalle Convenzioni di Bruxelles e di Lugano, anziché introdurre il generico ed indifferenziato richiamo alla necessità di osservare il procedimento camerale."

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