CAMERA DI COMMERCIO
INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA
DI TORINO
289
SPEOIZIONE IN ABBONAMENTI POSTALE (III GRUPPO)
CRONACHE
ECONOMICHE
OLiVETTI EDITOR
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Ogni pagina scritta con la Olivetti EDITOR
cronache
economiche
mensile a cura della camera di commercio industria artigianato e agricoltura di torino
numero 289 . gennaio 1967
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Direttore responsabile: Prof. Dott. Giuseppe Carone
.
sommano
L. Mallè3 Aspetti del barocco nella prOVincia di Cuneo· I
G. Bosso
18 Imprenditori e sviluppo industriale nella Torino del '900
G. Vigliano e altri
22 La regione piemontese nella metropoli padana
R. Morone
37 Il progetto di riforma delle società
M. Moro Visconti
43 Le dimensioni aziendali: produzione e consumo
A. Bargoni
46 Marchiature dell'argento in Piemonte nei secoli XVII e XVIII
A. Caron
52 Momenti di giornalismo piemontese
U. Bardelli
57 Attualità idrauliche ed opinioni
C. Sorbelli
65 Problemi dell'economia montana e condizioni di vita degli alpigiani
R. Fasano
71 Tradizioni piemontesi della telefonia italiana
N. Bottinelli
74 Impressioni di un viaggio a Mosca
78 Tra i libri
84 Dalle riviste
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Aspetti
del barocco
nella provIncIa
di Cuneo
PARTE PRIMA
Luigi MaZZè
Nella PTovincia di Cuneo o più p1'ecisamente nella « P1'ovincia g1'ande», nel corso dell' a1'te ba-1'occa e bat'occhetta del '600 e '700 non ha luogo il formars'i d'un assieme di avvenimenti at,t i-stici sempTe oTganicamente così legati in conti -nuità come in altTe 1'egioni piemontesi; inoltTe non si 7Josso/w TilevaTe nelle zone della «
pTO-In copertina a cofor;: Ercole Negro di Sanfront - Palazzo Cravetta (facciata). Savigliano. (Foto Arch. Museo Civico, Torino).
vincia gmnde» manifestazioni, così difJ~tse e così legate fm loro, di illuminato mecenatismo come si veTifica1'ono alttove, 1'endendo esse stesse più agevole uno sviluppo di Tealizzazioni (/'1,ti-stiche ve'rsatilmente connesse.
N1 a nonostante questo, nella pTovincia, geo-g1'Ctficamente dilatata con estTema vast-ità, il '600
Ercole Negro di Sanfront - Palazzo Cravetta, facciata verso il cortile. Savigliano. (Foto Arch, Museo Civico, Torino),
Ascanio Vi tozzi - Chiesa del Corpus Domini, facciata, Torino.
e '700 hanno visto apporti di
gmnde 1'ilievo al gusto bar'occo
e a quello barocchetto, In verità manca, nella r'egione, la
pr'e-senza di alcune di quelle.
per'-sonalità che, in quei due secoli,
in Piemonte, fttr'ono le più alte;
così, per faTe tm esempio, ed esclude,!,-do alcuni casi di
ar'chi-tetture per i quali non si va
più in là di una pum e
sem-plice attribuzione senza pr'ecisi
fondamenti di stile, manca nella
« pr'ovincia gmnde » l'apporto
di-retto di Filippo JuvarTa, Ma
dagli inizi del '600 fino agli
41
CRONACHE ECONOMICHE(Foto Arch. Museo Civico, Torino).
ultimi anni del secolo seguente,
ad ape1'tum di g'Ltsto neo classico,
è possibile raffigurare un senato
percorso gr'azie alla p'resenza
nel-la zona di personalità di pri-mario r'ilievo con realizzazioni
degne d'un interesse che valica
di molto i limiti del significato
r'egionale.
A nche nella provinC'Ìa si
ri-scontm qttello che è CCL1'atter'e
tipico del barocco in tutto il
Piemonte nella sua prima fase
e cioè un avvio per molti ver'si
ancora legato tenacemente a
po-sizioni tradizionali,
profonda-mente conservatr'ici, che non
van-no considerate, del resto, come
1'itardo culturale ma come
attac-camento persistente a forme e
modi così Tadicati nella coscienza
e nella sensibilità locali da
man-tene1'e valori attuali ClnC01'Cl per
lungo tempo, così che fino Q,
metà del '600 (o anche
oltre-passandolo) si assiste a una
'Ltlte1'iore elabomzione di fonne
tardocinquece ntesche
manieristi-che, che g1'adualmente vengono
ad alterCL1'si in senso barocco,
Anni sono, la G1'iseTi intitolò
un suo saggio: « Autunno del
manieTismo alla Corte di Carlo
Emanuele I», mettendo in luce
gli avvii al ba1'occo nella capitale
piemontese; e il titolo era
sin-gola1'1nente felice poichè fu quello
pTopr'io un atttunno di modi
tCl1'docinq'LLCcenteschi che la
men-talità piemontese continuò a
spinger'e innanzi tranquilla,
se-nnamente Tagionat1'ice, qucLSi col
timo Te di passi tTOppO audaci e
tuttavia al medesimo tempo
pron-tissima semp1'e a 1'ivolger'e la
p'/'opria cU1'iosità alle novità delle
1'egioni vicine ed anche a quelle
straniere nell'intento di
aggior-narsi, Nella « provincia grande »,
di'rei q'Ltasi che questo timbTo di
autunno est1'emo si fa sentire
in qualche caso anche più f01'te.
Non è possibile ceTtO, in un
rapido r'iassunto, collegCL1'e
com-pùdamente i fatti artistici l'uno
con l'altro; avviene in certi casi
che artisti gitmti da fUMi, pw'
con spiccata personalità, segnino
interventi soltanto mCL1'ginali;
op-pure, artisti di fu01'i diedero
nella « p1'ovincia grande»
realiz-zazioni fr'a le migliori della l01'o
ca1'1'iem e che tuttavia nella
re-gione mantennero carattere
indi-pendente da altri appoTti del me-desimo tempo talchè, invece di
1'isultarne una ben ser'rata trama,
si costatano piuttosto
avveni-menti pamlleli,
Le zone più deboli si
verifi-cano in pittura, ma anche nel
campo della grande scultur'a
mo-numentale, mentre la scultura
d#ju-PPOS/'f.C;TVS -\/lTél'lOI<I.S 'PART/S SACRI TEMPlI DE I PAPAli. "IPC/m:IN MONTf.PF.CAL.I rvxSTA VICVM M!\X.IMIS lN/lVMERIS~~-trP:\CVLlS AC MIPJFICI.S r.P,4.TlIS
VNJVEPSO THRARVM o/lnl PEPSPICVIS CELEBEWIMI' ASCAtoI'VJ VITDTfVS r"'fT INV{NTOP: [T orl,'U eST f_ffECTOR.
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Ascanio Vitozzi - Progetto del Santuario di Vicoforte Mondovì. Prospetto (stampa del Fornaresio). Torino. Biblioteca Reale.
•
(Foto Arch. Museo Civico, Torino).
sione negli stucchi costituendo un campo tuttm'a da mettere a fuoco con inteTessanti sOTpTese, L'aTchitettura invece, che in tutto lo sviluppo del ba1"Occo in Pie-monte ha segnato gli aspetti w,tistici d'avangua?'dia e di più alta qualità, lungo un peTcorso che occupa i due secoli senza lacune, anche nella cc provincia
grande » costitt6isce il campo più importante e più legato della produzio ne a?,tistica.
Si incontra dapp1'ima l'a' rchi-tetto Ercole Negro di Sanftont, anco?' oggi insufficientemente chiarito, che fu a?'chitetto mili-tare ma acquisto me?'itatissima fama c6nche nell'aTchitettuTa sa
-cm e nell' architettuTa civile. Puo interessaTci innanzi tutto, come
esempio maggionnente
Tapp?'e-sentativo della sua cultuTa ma-nieristica, un'opera del suo pe-Tiodo più taTdo ma che ci de-finisce lo spirito del N eg1"O di Sant'ront meglio, diTei, delle ope1'e più antiche: e cioè la facciata interna del palazzo Cmvetta di Savigliano, del 1620 circa, la quale per la decorazione pitto-rica ad afj?'esco si ?'icollega a tma tradizione localmente viva nella zona saviglianese da un cinquantennio quasi (come nella villa di 1\11 aresco; intorno al 1575), manifestando pero qui a palazzo Cravetta un collegamento organico più pTofondo, Anzi qui il N egro volle realizzare un col-legamento di tutte le arti: w'chi-tettU?'a, scultt6ra, pittuTa, poichè al nobile pammento di facciata, con un son01'O porticato, una
loggia, w'cate vaste ma ancora condotte molto semplicemente, di una castigatezza tuttora cinque -centesca, egli ha legato gli af-freschi, dipinti sia s~6lla St6per-ficie dei pilastri, sia tra le
ape1'tu?'e dello piano, sia lungo il cornicione ?'icurvo, afjrescando inolt?'e finte scultuTe accanto alle qua.li venneTO collocati inserti pla.stici reali, cioè busti in manno di principi Sabat6di,
ImpoTtantissimo è il p?'ogetto, di molti anni p?'ecedente (ma che non possiamo definire giov a-nile non avendo informazioni sufficienti sulla nascita dell' ar -chitetto e il peTiodo di forma -zione), per il gmnde Santucwio di Vicofm'te Mondovì.
La cultum dell' a?'chitetto vi si
dimostra legata non solo al
ta1'-Ascanio Vitozzi - Progetto del Santuario di Vicoforte Mondovì. Pianta (stampa del Fornaresio). Torino, Biblioteca Reale.
(Foto Arch. Museo Civico, Tonno).
do cinquecento ma al gusto nna-scimentale del primo cinquecento, con richiami ad Antonio da Sangallo e a ~Michelangelo,
que-.~t'ultimo visto attTaveTSO la le-zione del p1'imo. Il monumentale progetto è fortemente concentTato, inglobando la cupola centrale fra quattr'o cupole mino1'i, r'iportando ai p1'ogetti di Bramante e di lJ!1 ichelangelo per San PietTo di Roma; ma vi si insimta poi un classicismo pur'ista di gusto cin-quecentesco più ta1'do nei f1'on-toni, 1'ichiamando al Vignola o ad aTchitetti 10mba1'di e veneti tutti legati nella lOTO cultura agli esempi del Ser'lio e del Palladio. Ma occorTe notaTe, insieme a quella bloccatuTa complessiva del-le fonne attQ1'no alla cupola, una tendenza ancor'a f01'temente ana-lizzante e par·ticolar"istica: così si ver-ifica all'ester'no la tr'ipla Ti-petizione del motivo del fr'ontone quasi neo-gr'eco e la moltiplica-zione di nicchiette con'enti alla base della cupola; altr'ettanto par-ticolaTistico, volutamente in-frangendo il collegamento uni-tar-io, offr-e l'inter'no in cui la pianta ovale ta1'domanier-istica va smuovendo il CaTatteTe statico e chiuso della pianta centTale ,"inascimentale, alter'andola in tma fonna alltmgata in cui è .scopeTta una tensione dinamica potenziale, cio che apTe la stTada al baTocco, anche se per' or'a la luciclezza taTdomanieristica pr'e-vale. Se si pensa che la data-zione di questo progetto è al-l'inciTca il 1595, si r'esta ammi-Tati peT la novità dell'invenzione, del tutto ignota in Piemonte e che con un senso vivissimo di contrasto 0plJone le suddivisioni multiple fr-ammentanti alla sin-tesi della grande ellissi che tutto collega.
Un altr'o progetto, lJeT il San -tuario di Vicofor·te, è di un solo anno successivo; e ci pone di fr'onte al Vitozzi, il pr'imo grande nome dell' ar'chitettur-a tTa ManieTismo e BaTocco in To-r'ino, cui va il gran mer'ito di aver" dato l'inizio a una
siste-Ascanio Vitozzi - Chiesa di Santa Maria al Monte dei Cappuccini. Torino.
mazwne ur'banistica della Città avviandola ad esser'e quel che i
Savoia volevano che fosse, una delle pr'ime capitali d'Europa. Il Vitozzi, Q1"vietano ma pie-montese di elezione, diede nel 1595 un nuovo pr'ogetto per-Vicofor·te, for'se per-chè quello del N egr'o non soddisfaceva molto Car'lo Emanuele 1, intenzionato a far'e del tempio un ve1'0 e pr'opTio mausoleo per- le tombe dei Savoia. Pone pr'opr'io il par·ticolar·ismo del N egr-o gli dava distw'bo togliendo imponenza e negando t'espiro all' effetto delle gmndi tombe pr'eviste; egli
in-(Foto Arch. Museo Civico, Torino).
canco di un nuovo pTogetto il Vitozzi peTO imponendogli di mantener'e la pianta ellittica, CeTtamente il pTOgetto del Ne-gTO non manco di agù'e con for·te suggestione su quello del Vitozzi; occorTe per'o sottolinear'e che il Vitozzi pr'oveniva da una fQ1'mazione r'omana assai p1'OS-sima a quella che er'Cl stata la fOTmazione dello stesso Negr'o di Sanfr-ont su elementi cultuTali r·omani. M a il pr'ogetto del Vi-tozzi si imponeva immediata-mente per' ben altr'a for-za di sintesi e con tanto più fOTte concisione. La cupola,
t'rata ma assai più snella, non t?'ova più r'isonanza in q'uattro cupo lette lateTali ma è affiancata da quattro campanili che fanno emer'geTe una pr'opria funzione di incaTdinamento della cupola e che t~dtavia alleviano il chiuso e compatto volume di questa con
la LOTO f01'1na svettante, Anche
la facciata ottiene maggioT Ti-salto concentrandosi in un
f1'On-tone classicistico, In pianta l'an
-damento elissoidale del disegno del N egr'o è mantenuto ma 'l'in-novato dall' efficacissimo inseTto di una croce gr'eca, Di fr'onte
al fTammentar'e gli spazi, con
-dotto con senso un po' additivo dal Negr'o di Sanfront, c'è qui
un immediato svolgeTsi di lega
-menti elementaTi gr'andiosi peT
cui tutto il grande, enor'me
in-ter'no, è incaTdinato su appena otto pilast'l'oni tTa i quali si aprono le gr'andi conche delle cappelle, quindi con ben altTa maestà e altra r'isonanza,
PTocedendo nel pr'imo ven -tenni o del Seicento o poco oltr'e ci t1'Oviamo, negli anni
venti-tr'enta, di fTonte ad un pittore
che è una delle per'sonalità in
questo momento più attTattive;
del Testo a questi anni sarà più
la pittura che l'ar'chitettura ad impor'si, È Giovanni Antonio Nloliner'i, un altro saviglianese,
for'matosi in ambiente
inizial-mente pi'uttosto p1'Ovinciale, le
-gato a espeTienze
tardocinque-Giovenale Boetto - Chiesa di S. Francesco Saverio, facciaca, Mondovì.
(Foto Arch. Museo Civico, Torino).
8
1
CRONACHE ECONOMICHEcentesche nella tradizione dei vecchi pittor'i Dolce, affia.ncata
dalla conoscenza delle novità
del-l'Ar'basia, anche arricchite di
appor'ti spagnoli, 1Il0lineri dopo aveT lavorato a Savigliano aveva
fatto un viaggio a Roma; ivi
er'a almeno nel 1615 ma non sar'ebbe da esclude?'e ~m secondo viaggio successivo assai più taTdi,
D'altr'a par'te v'eTano anche
pos-sibilità di contatti al di là di un soggioTno di Tetto in Roma;
da tempo, dal 1605 esattamente,
il Piemonte stesso aveva
speri-mentato modi camvaggeschi già
elaborati da pittori di primo
piano dir'ettamente legati a Ca-mvaggio; tra l'altTo oggi siamo
bene infor'mati sulla pr'esenza e
sugli appor,ti del Gentileschi il
quale, pTima ancora di venire
in Piemonte, vi aveva mandato
opeTe ch'ebber'o tosto un'influenza notevole in loco,
Il Molineri nel bozzetto peT
l'affTesco con il M ar-tir'io di
San Paolo (in San Pietro di
Savigliano) intor'no al 1620, è
ancor'a segnato da effetti di
sta-ticità un poco impacciata; la
sua pittur'a è ancor'a accademica, Nell'ultima Cena (CaTignano,
S anta M ar-ia delle Gmzie) del
1627, in cui l'influenza
cam-vaggesca è veTamente essenziale
peT il pittoTe, vediamo un supe-mmento della tradizione
manie-r'istica, una adesione al forte
r'ealismo tipico del C amvaggio e seguaci, A tmtti egli qui
mg-giunge ceTti ristdtati pe?'fino pa-ralleli a quelli di alcuni cam-vaggeschi nor'dici, olandesi ad esempio,
Altr'a notevole ope1'a, pure in S anta M a?'ia della Pieve di Savigliano, di una datazione assai pTossima alla pr-ecedente ('27-'28 ciTca), è il CTisto
nel-l'or,to degli ulivi, imponente e in
cui un' eco manier'istica c'è an-cor'a nell' andamento ser'pentinato, un po' scapTicciante dell'angelo,
tuttavia assor'bito in un'
alona-tUTa, in una sciabolatura di
luce caTavaggesca; attr'ae l'
Giovenale Soetto - La Chiesa della Missione, interno. Mondovì. (Foto Arch. Museo Civico, Torino).
patetismo accentuato, un po' paesano, fortemente esp?'essioni-stico specie nel Cristo dolente e nel bellissimo asp1'o g1'UppO dei tre apostoli, Più tardi ancom, l'Estasi di S, Nicola da Tolen -tino, sebbene oggi si presenti molto rinsecchita nel colO1'e, è ve1'amente assai notevole, Con-servata in Santa Maria delle Grazie di Savigliano, databile intorno al '30, ci interessa per-chè, se anche ha qualche inge -nuità nella p1'esentazione devota del Santo, otJre un bellissimo accostamento tra un concerto d'a ngeli in alto (che d,i nuovo riprende simpatie manieristiche 1'ichiamando a Cemno e Pr(l-caccini in analogia col Tanzio, dimostmndo che in qttesti nost1'i piemo ntesi l'aderire alle novità più 1'ivoluzionarie, fra cui la caravaggesca, non impedisce di
mantene1'e legami 1'adicati nel passato, sapendo far viveTe as-sieme i due aspetti, fondendoli) e, sotto, la bella pTospettiva di due balaustmte, e pavimento su cui posano tre COTone in lttci -dissimo O1'dine, misumndo la p1'O-fondità dello spazio, col Santo di 1'ealismo intenso e devozione estremamente patetica, ?'ichia-mando al patetismo e alla de-vozionalità di certa pittuTa spa -gnola; ed è bene 1'ic01'da1'e che nel p?'imo Seicento piemontese, pe?' un qUCl1'antennio, contatti e affinità con la Spagna sono f1'e-quenti, da vedeTe in qualche caso come 1'isultato di situazioni spi-?'ituali p amllele ,
Il MolineTi inoltre, a Savi-gliano, nel Palazzo Taffini d'Ac-ceglio (costTUito da Amedeo di Castellamonte peT Madama Reale C1'istina), di f1'onte all'impegno
di atJ1'escaTe il gmnde salone d' on01'e, vastissimo e, figurando le gesta belliche di Tlittor-io Ame-deo II su pw'eti e soffitto, getto genialmente su quest'ultimo una gmnde allegoria ove spun-tano tmcce delle composizioni allegoriche e glO1'ificat'rici di Ago -stino Tassi al Qui?'inale e del GueTcino a Palazzo Rospigliosi di Roma, Sulle panti gli episodi venne?'o distr-ibuiti con un senso scenografico e illttsionistico, a guisa di finti arazzi ove entro festose incorniciatu1'e (illusioni-sticamente sollevate in qualche punto per sottolineare l'accento di ve'rità dell' addobbo), il campo è occupato da g1'andiose bat -taglie in ampi paesaggi; il tema epico che pttTe, da un lato, è trattato con elementari semplifi-cazioni for-mali, è sostenuto con piglio g1'ondioso, nello stesso
Giovenale Saetta - Scena per il Gelone, Atto V. Torino, 1654. Torino, Soprintendenza bibliografie:-.
tempo mantenendo una capacità di adesione piana al ?"acconto e t1'ovando anche qualche fredda
intonazione paesaggistica assai suggestiva.
Il Moline1'i di Savigliano
la-(Foto Arch. Museo Civico, Torino).
VOTO moltissimo nella ngione.
N ella stessa emerse un altro a1'tista nativo di Fossano,
Giove-Giovenale Boetto - Quattro vignette con figure di frati e popolani. (Allegoria delle Quattro Stagioni: frati alla cerca). Torino, Soprintendenza bibliografica. (Foto Arch. Museo Civico, Torino).
nale Boelto, citato fino ai tempi Tecenti soprattutto come m'chi-letto e pur anche in questa attività insu(ficientemente studia-to. Figum non di primo piano ma meritevole di essere messa a j itOCO come è stato fatto in occasione della mostra del Ba-TOCCO. La stta attività ha invel'o lasciato fntUi in Piemonte; e la sua cultura era notevolmente estesa. ]111 a v' è poi un alt1'0 lato della stta attività, messo in luce or è poco dalla GTiseri: quello del Boetto incisore. 17 Boetto ha trattato temi svaria-tissi mi: scene storiche, episodi di genere, ritratti, temi sacl·i. Appaiono a volte l'ichiami a stampe francesi, tr'a l'altTo del
Callot; l"ichiami alla pToduzione neerlandese-r'omana dei « bam-boccianti )l, caTavaggeschi « in
mi-nore » che inserivano tagli e l'ea-l ismi e illuminazioni camvag-geschi nella tipica composizione
« di genere» olandese e fiam-minga che a Roma faceva fOT-tuna e che, tmmite m'tisti fo-l'estieri attivi in Roma o pie-montesi in contatto con Roma, diede ampio frutto anche in Piemonte, Si puo accennaTe, fatto interessantissimo, fTa le incisioni del Boetto, a fogli che l'ipr'oducono, con viva sensibilità, dipinti di maestl'i camvaggeschi della scuola di U trecht fm Il on-thorst e Tel'bmggen; altri fogli offrono motivi paesani, conta-dini, che poche figul'e gmndi che campeggiano in sfondi lontani di paesaggetti pùtttosto minuziosi e in cui pttllulano piccoli episodi, casette, personaggi: una tematica solo relativamente marginale che sarà suggestione viva per i gene-l'isti piemontesi di fine '600 e del primo '700, AltTi fogli documen-tano feste, parate, cerimonie u(fi-ciali contratto severo,
E ossel'viamo OTa le qualità del Boetto al'chitetto: una Stta
stampa lo presenta inventore di una di quelle tipiche aTchitetture provvisorie, in voga peT festeg-gicunenti: un arco onorario eretto a Savigliano nel 1643 pel' l'in
-Giovanni Antonio Molineri - Gesù nell'orco. Savigliano, S. Maria della Pieve.
gl'esso di Madama CTistina, Ope-m di timbl'o ancora fortemente manieTistico, di schematicità an-cora contl'orifonnistico e appena timidamente accennante a sono-Tità bm'ocche. Da questo m'co deriverà il pTogetto per l'al'CO del
(Foto Arch. Museo Civico, Torino).
Belvede'J"e a Chemsco, csegttito soltanto dopo la mOTte del Boetto, Stt suoi disegni, nel 1688 e non l'ispondente esattamente al SttO pensiao.
Una delle sue costruzioni più significative, forse anche la più
impoTtante, è la chiesa di S, FTCLnCeSCO S averio (delle "fIlI is-sioni) in ~fllIondovì Piazza, pur-troppo non rispondente in tutto alla sua invenzione, poichè la terrazza all'ingresso di f1'onte alla facciata è un'aggiunta del g1'ande a1'chitetto e pittore PadTe And1'ea Pozzo, Nella paTte auto-gmfa del maestTo (siamo int01'no alla metà del '600), sussiste una lJartituTa chia1'a, nitida, sem-plice, tenacemente legata alla tradizione rinascimentale; le
le-sene che appena maTcano la
superficie, dividono se1'enamente, non fanno sentire stacco, non portano movimento, All'inte1'no invece q1talche cosa si muove e induce una CC1'ta inquietudine di frattwre e d'accelerazioni che aprono veTSO il barocco, Le S1t -pe1'fici della gTande, unica
na-vata, non sono più fasciate sem-plicemente con lesene; il pa1'ti-mento alte1'na lesene, semi-colon-ne, colonne, in un gioco di va -Tiazioni contrastate e a tratti
Pietro 80no - Imposta di porta già nel Castello del Valentino. Lavoro piemontese della metà del sec. XVII. Torino, Museo Civico.
(Foto Arch. Museo Civico, Torino).
121
CRONACHE ECONOMICHEGiovanni Antonio Molineri - Estasi di S. Nicola da Tolentino. Carignano, S. Maria delle Grazie. (Foto Arch. Museo Civico, Torino).
incalzate di risalti plastici; si moltiplica il numero di colonne, di profili, con andamento un po' agitato, scope'/'to sopnlttutto nella pl'ofilatum del cornicione anCOTa piuttosto secco, asciutto, giocato su angoli senza concedere a curve ma già con una 1'icerca di efjetti scenogmfici,
Passiamo OTa a tutt'altre forme in t1ttt' alt1'o ambiente, su cui
Andrea Pozzo -Chiesa di S. Fr2ncesco Saverio. Macchina d'alcare. Mondovi. (Foto Arch. Museo Civico, Torino).
Guarino Guarini - Castello di Racconigi, facciata verso il giardino. (Foto Arch. Museo Civico, Torino).
nozze di Carlo Emam~ele II
con Francesca d'Or'léans)
ven-gono chiamati per l'esecuzione
dei soffitti r'icchissimi in legno
intagliato e dm'ato (e qualche
volta r'ialzato a colore), valenti
maestri piemontesi e fo?"estier'i:
tutta tm'équipe t?"[~ cui una fa
-miglia, una dinastia di
inta-gliato?"i saviglianesi, i Botto, i
quali opemrono lm'gamente anche
in Savigliano per chiese, e
spe-sero buona pm·te della loro vita
in To?"ino, per' la Reggia. Piet1"O
e Giorgio Botto, fratelli, aper'se?"o
il capitolo (affiancando e lJoi
succedendo ai D'ugm'); seg-uono
Bar·toloineo figlio di Pietr'o,
Gio-vanni Battista e Secondo
An-tonio figli di Gio?"gio. Con l'opem
dei nipoti si prosegue per' qt~alche
decennio. È da sottolineare il
fatto che i Botto po?"tano nella
reggia torinese - r'ivolta a ga
-reggiare con le più splendide
1
4
1
CRONACHE ECONOMICHEdimor'e sovrane d'Eur'opa - un
gusto anco?"a strettamente
provin-ciale, anzi un senso di m·tigiania
squadmta e r'obusta che fa sen
-tir'e la sua origine di campagna.
E tt~ttavia questi ar·tigiani, col
loro intaglio un po' secco, assai
fitto, un po' massiccio,
perfetta-mente 'riescono ad ade?"ù'e agli
schemi aulici che ar'chitetti di
fama por'gono l01"O e r'aggiungono
'/"isultati di un' efficacia e soste
-nutezza di intaglio vemmente
notevoli,
Lasciamo il campo dell'in -taglio; se il discorso pr'ocede tal-volta a salti, è per'chè il quadr'o
non pt~Ò esseTe legato sempre
m'ganicamente, Quando all' ar·te
nella « provincia gTande », e non
solo in fase barocca, sa?"anno
consacmti intensi e volonterosi
nuovi stt~di particolareggiati e
di sintesi, allor'a fon e il quadr'o,
al di là di materiali cesure e
lacune costitutive, potrà meglio
essere detenninato in trama ben
connessa,
In aTchitettum, nella 'seconda
metà avanzata del secolo, anzi
all' attacco con l'ultimo qum·to del
secolo, intomo al 1678,
incon-tr'iamo t~n progetto del Guarini
per' il castello di Racconigi,
Certo se una per'sonalità della
genialità stmordina?"ia così lam
-peggiante, di Guar'ini avesse
la-sciato nella « provincia g?"ande »
un' ope?"a condotta a termine
fedel-mente secondo le sue diTettive,
tutt' altro aspetto assumerebbe
nel-le r'isultanze sto?"iche e sul piano
critico lo sviluppo dell'
m'chitet-tum peT la pTovincia. Il Guar'ini tanto vituperato poi a fine Set -tecento, è uno dei creatori più
sfolgomnti di tutta EUTopa. Il
pr'ogetto è r'iscontrabile
attr'a-verso una serie di disegni almeno
+
,
Sebastiano Taricco - Chiesa di S. Maria del Popolo. Facciata. Cherasco. (Foto Arch. Museo Civico, Torino).
la st~a concezione del grandioso castello, il cui impianto, da foglio a foglio, presenta diver'sa elaborazione di alcuni elementi fondamentali; sempre innervan-do tra fonne appw'entemente statiche (come i massicci tOT-r'ioni), impr'ovvisi, violenti movi-menti, La facciata verso i giar-dini ha mantenuto r'elativamente l'impr'onta dell'ideatore, Ci inte-r'essa un fatto: tipico è il gusto del Guarini peT palazzi bloccati, ct~pi, come il Collegio dei Nobili a T01'ino, o lo str'ao'rdinar'io Palazzo Carignano; ma q'ui a Racconigi nel modo in cui è trattata la facciata tergale, sem-bra di uwvisaTe un particolw'e
«( omaggio» ad un gusto locale
piemontese, al sistema dei due ton'ioni r'inse1'1'anti una cortina di facciata quale piacque ad A medeo di Castellamonte (tipici sia del Castello del Valentino, sia del Palazzo Reale), Il Gua-r'ini aveva immaginato un Ì1npo-nente complesso, animato in f1'on-te e all'interno da bellissimi giochi di scalee con andamenti a curve d'una intensa dinamica sconvolgente, com' è negli scaloni della Cappella della Sindone o di Palazzo Carignano ove, slJecie alla discesa, si ha l'impressione di essere risucchiati da uno spazio turbinante, Nella r'ealiz
-zazione, purtroppo, la scalinata frontale è stata r'idotta in forme Tettilinee prive di vita,
Anche l'esecuzione delle fac-ciate, nei particolari di finestre fr'ontonate di fregi e motivi de-corativi, denota l'allontanamento dai vetlO1'i dinamici, drammatici, singola1"mente compenetr'anti una r'obusta plasticità ed ttn pitto-ricismo illusionistico, del Gua-r'ini stesso, qtti interpretato da maestranze piuttosto meccaniche, Alla fine del secolo s'incon-tra l'episodio esaltante di Padre Andr'ea Pozzo, Siamo di nuovo nella chiesa di S, Francesco Saver'io di 1110ndovì, del Boetto, chiesa in sè di significato secon-dar'io, ma che ha assunto aspetto veTamente singolare, accogliendo
16
1
CRONACHE ECONOMICHEuna nota barocca travolgente gra-zie all'intervento del Pozzo, Pit-tore e architetto trentino, novizio gesuita in Ligttria, fece le pr'ime esperienze aTtistiche in Piemonte, Le storie dell' arte continuano ad affer'mare che certo gusto pitto-Tico scenogmfico-quadraturistico, illusionisticamente r'ealizzante complessi sistemi di finte w'chi-tettttre dipinte, diffusosi sopr'at -tutto in r'egioni nordiche (Ger-mania meTidionale, Bavier'a, Fr'anconia, Boemia, AustTia) eb-be or'igine col Pozzo dagli affr'e-schi di S, Ignazio in Roma, del 1685, In verità, la 'realiz-zazione Tomana, è scesa dal Pozzo del 1676-77, in Mondovì, prod1'Orno anticipante di un de-cennio la prima sua grande af-fer'mazione in un complesso di aTChitetture illusive inser'enti epi-sodi figumti; e la r'ealizzazione monregalese precedeva d'un anno anche l'affine gmnde affr'esco di soffitto ai Santi M w,tiri in To-rino, pur'troppo andato distr'utto,
Il Pozzo tmtta il quadmtu-r'ismo non tanto in sè per un pU1'O piacer'e di gioco e di viT-tuosistici inganni ottici, ma per potenziaTe all' estremo le qtwlità spaziali dell' ambiente r'eale, an-che qttando queste siano in sè modeste, La chiesa del Boetto eTa un vano elementar'e, Tegolare, chiuso, piuttosto statico al di là del movimento indotto perifer'ica-mente dalle colonne e dal COTSO del cornicione un po' agitato e fmnto, Il Pozzo con le sue qua-dmt~tre nell' abside ha potenziato, esaltato al di là delle delimitu-zioni materiali, lo spazio della chiesa, creando l'impressione di un sussegttiTsi d'aperture e scorci di spazi fantastici, illudenclo d'una illimitata moltiplicazione lJe1' sor'pr'endenti r'ipeTcussioni di spazi uno nell' altTo, con esito fantasmago'/'ico e stupefacente, È la « maTaviglia » baTocca, usata ai fini di una imponente esalta-zione r'eligiosa,
A fine '600 (1697) a Cherasco, ci si presenta, notevole, la chiesa di Santa Maria del Popolo, di
Sebastiano TaTicco, pittore e architetto cheraschese, Egli è con-temporaneo all' architeUo 111 iche-langelo Garoe che, anzi, di q'ual-che poco lo lJrecede nel tempo ma che è più opportLtnO considerare in seguito per le Stle lJosizioni più avanzate, Il Taricco, infatti, è più legato a schemi t1'Cldi
zio-nali che dominano anche la Stta volontà di superamento di cer'te convenzioni formali e della staticità del manier'ismo, Così che qualche sapOTe neocinqu
e-centesco pennane anche quando l'artista r'icone a contrasti mw'-cetti di colonne accoppiate, a forte distanza del piano di fac-ciata, per conferire movimento,
per' aumentaTe il gioco chiaro-scuTale; non soltanto, ma lo stacco di due COlJpie con una tmbeazione intertagZiata, sotto-linea l'intenzione, con un ur'to, uno scatto, r'ipetuto su due ordini, Le linee spezzate, la par'tilura di r'ette perpendicolari animata in rottura da piccole cw've, gli orecchioni ai lati, la spezzatuul tTiplice (sebbene di schema ancom cinqttecentesco) del grande fron-tone, tutto cio vuoI r'aggi'unger'e
ttna dinamica barocca, in verità r'imanendo al di qua per ttnet non mggiunta flttidità e conti-nuità di movimento e per motivi ar'caistici, ad esempio la finestm ser'liana di gusto veneto,
Michelangelo Garoe, di origine luganese, diventato piemontese
da lino spazio all'altro. C'un vivo .s·lancio ed energia le grandi ellissi del duplice ambiente sono riassnnle dalle volte e dalla (inta cnpola attraverso il grande gioco snello ma fitto di costoloni.
R
dello stesso Garoe la chiesa di La lIiforra; ht facciata, comequella del 'Paricco, mantiene an-cora fedeltà a schemi tradizionali ma con q1tale altra capacità di accordo c connessione degli ele-menti, qttale altra forza di sin-tesi, quale altro equilibrio, so-prattutto facendoci sentire un'w'-genza eli pressioni, di contrasti
fra gli elementi: basti notare il diverso etJetto qui raggi'unto dagli accoppiamenti di colonne col frontone serrato dall'ombra mar-cata e la compressione, mar-cata e contrastata, delle nw
-chiette e del finestrone entro le altre stnttture.
Michelangelo Garoe - Parrocchiale di S. Marcino, La Morra. (Foto Arch. Museo Civico, Torino).
Illl
prendi tori
nella Torino
e sviluppo industri
ale
del '900::
:
Il tempo che qui ricordo appare ormai re
-moto; ma non lo è tanto per il numero di
anni trascorsi, quanto perchè ci appare ormai
quasi mitico per le grandi cose allora compiute
e poste a base di futuri progressi per lo spirito
veramente libero che costituì l'ideale di quegli
uomini: è il tempo del pionierismo industriale
di Torino.
Non ho, ne potrei avere, ricordi personali,
ma un eerto clima della casa, la frequente e
costante citazione ad esempio di idee e di
uomini vissuti in quell'epoca, me ne hanno
dato un'immagine viva e tale da consen'tirmi
forse, di delinearne un rapido panorama.
Di quel tempo, Benedetto Croce scriveva
cosÌ: « Superati i frapposti ostacoli, rispettando
gli argini necessari, la vita italiana dopo il
1900 scorse per oltre un decennio feconda di
opere e di speranze. Non che si entrasse in
una sorta di età beata o di età dell'oro, che
son cose che nè la filosofia nè la storia e forse
neppure la poesia conoscono. Ma, come nella
vita del singolo vi sono anni nei quali si coglie
il frutto degli sforzi durati, delle esperienze
compiute e patite, e il lavoro si fa agevole e
largo, e non per questo si è toccata o si crede
di aver toccata quella che si chiama la felicità,
così nella vita dei popoli», (Storia d'Italia,
cap. IX). Parole di un poeta della storia, di
uno che, senza indugiare sulle infinite e varie
componenti di un'età, sapeva coglierne in breve
lo spirito essenziale.
Gli studiosi dello sviluppo economico,
fon-dandosi sulle esperienze storiche meglio cono
-sciute, hanno ora delineato una teoria generale
della crescita. Naturalmente, la difformità dei
singoli processi è tale che, praticamente, ogni
sviluppo costituisce un caso a sè, con le sue
proprie specifiche condizioni, i suoi problemi
particolari.
Due punti, per così dire obbligati, sembrano
tuttavia rappresentare dei passaggi necessari
e non eliminabili: il primo è che lo sviluppo
economico non può non essere sorretto da una
rapida espansione industriale, e cioè non c'è
sviluppo senza industrializzazione. Il secondo
1
8
1
CRONACHE ECONOMICHEGiacomo Bosso
è che questa industrializzazione non può
avve-nire se non esiste un adeguato gruppo impr
en-ditoriale, il quale assuma la guida ed i rischi
della trasformazione dell'economia.
In vero, vi è anche chi ha arfermato che,
in caso di mancanza assoluta o relativa di
imprenditori, lo Stato e gli istituti di credito
possono esercitare una funzione surrogatrice,
ma una più attenta analisi di casi di sviluppo
apparentemente avvenuti sotto la spinta di
questi agenti sostitutivi mostra che si tratta
di una semplice trasposizione nominalistica.
Infatti, può darsi che determinate condizioni
ambientali impediscano o rendano difficile la
formazione di un gruppo imprenditoriale auto
-nomo, e sia così necessario il ricorso a forze
esterne, ma in ogni caso, sc lo sviluppo avviene
e nella misura in cui avviene, esso è opera di
genuini temperamenti imprenditoriali che hanno
trovato possibilità di agire attraverso strutture
interposte, sia pure in modo difforme rispetto
ai modelli classici. In sostanza, si potrebbe
concludere che non vi è un solo caso di
svi-luppo che sia avvenuto o che possa avvenire
in una condizione di carenza assoluta di
im-prenditori.
Esaminiamo ora brevemente il caso d
el-l'industria torinese. Com'è noto, il passaggio
da un'attività prevalentemente agricola ad
altra, prevalentemente industriale, è, per la
nostra città, abbastanza remoto, in quanto,
soprattutto per merito delle fabbriche
ferro-viarie e di materiali bellici, si può dire sia
avvenuto ancora prima del 1861. Il problema
più grave era costituito, praticamente sino agli
inizi del '900, dalla limitazione dell'energia,
essenzialmente idraulica fino all'clettrificazione.
Il che imponeva anche all'industria una det
er-minata localizzazione lungo i canali derivati
dalla Dora e dalla Stura.
(*) Siamo lieti di pubblicare, per gentile concessione del-l'autore, il testo della conferenza che il senatore G. Bosso, pre-sidente dell' Unione industriale di 'l'orino, ha tenuto il 17 no
-vembre ;966 al Rotary Club di 'l'orino-Centro.
La conferenza prelttdeva alla celebrazione del sessantennio
Tuttavia, tanto la sfer~~ata morale rappre
-sentata dalla perdita della funzione di capitale, quanto l'csistenza di imprenditori e di mae
-stranzc già formati nel senso di una tradizionale vocazione industriale ebbero un peso notevole nel precisare il destino industriale di Torino.
Ed anchc questo non [u un prodotto delle cose,
ma il merito di uomini, ed in modo particolare
di grandi sindaci liberali, dal marchese di Rorà a Tco.fiJo Rossi, l'aver intuito e sorretto la gi
-gantesca trasformazione della città da capitale del Rcgno a capitale del lavoro italiano. Sulla
({ rinuncia » allora accettata da Torino e l'
in-tuizione di c sa come grande città industriale, Carlo Boncompagni, l'amico e collaboratore di
Cavour, ebbc altissimi accenti nei suoi discorsi
parlamcntari.
Pcr Torino il periodo pill intenso della
ri-voluzione industriale inizia alla fine del secolo scorso quando, risolta definitivamente la que
-stione dell'energia, e superate le diifLcoltà fina
n-ziaric culminate nelle disavventure bancarie degli anni '90, si apre un periodo di espansione rapida imperniata sui settori della meccanica, dei tessili, della chimica ed altri. È questo il
periodo dei pionieri, i primi ed i più veri ra
p-pre cntanti della borghesia italiana che fonda
-rono la loro opera non tanto sulla preesistenza di precedenti fortune, quanto su di una rigorosa etica del lavoro, da essi inteso come missione sociale e come leva potente per il ·ollevamento
economico del Paese.
E come dappertutto ove l'industrializzazione stava progredendo, sorsero quasi subito anche a Torino dei gl'O si problemi sociali. Il mondo
del lavoro, liberato dai divieti di legge che ne
limitavano gravemente le manifestazioni, esplose immcdiatamente in una serie di agitazioni
in-composte c talvolta eccessive, inaugurando un
periodo di acute lotte sindacali che si pro
-trarrà poi sino alla grande guerra ed oltre.
Così, dunque, il gruppo imprenditoriale torinese si trovò di fronte ad una vasta . crie di· pro
-blemi nuovi cd urgenti, mentre ancora non
sussisteva aleun legame o collegamento tra i
singoli industriali, ed invece già operavano po
-tenti sindacati operai.
Questa fu la causa evidente del costituirsi
di una associazione industriale a base territo
-riale, aperta cioè agli imprenditori di tutti i
rami, tra le primissime in Italia: la Lcga
Indu-striale di Torino. Ozioso spiegare qucsto avve -nimento con motivi oecasionali. Pretestuose ed intenzionalmente false le accuse di molta stampa autodcfinitasi progressista, la quale voleva ve
-dere nel nuovo ente finalità di mera reazione. Luigi Einaudi in un suo articolo del 1906
denunciò l'infondatezza di questa accusa e
chiarì lueidamente la necessità ed i compiti della Lega e soprattutto la sua funzione di forza equilibratrice. Il vero « fondamento» della Lega scriveva Einaudi, « è la necessità di opporre ad una organizzazione operaia estesa per tutta
una regione od uno stato nello stesso mestiere, od a tutti i mestieri di una città, una lega che abbracci ugualmente tutti o quasi tutti gli im -prenditori della stessa industria o località l).
Ritengo lecito identificare senz'altro negli
esponenti della Lega industriale le personalità
più significative del mondo imprenditoriale
torinese, non soltanto perchè sin dai primissimi tempi (1906-07) aderivano all'associazione 250
aziende con circa 50.000 addetti (vale a dire
la quasi totalità del lavoro veramente
indu-striale della provincia), ma anche e soprattutto
perehè la Lega costituiva il punto d'incontro
ideale degli imprenditori eli tutti i settori me
r-ceologici e conferiva alla loro azione, e non solamente in termini sindacali, un indirizzo comune c unitarietà di intenti.
Il primo presidente della Lega fu
l'indu-striale serico Luigi Bonnefon Craponne, di n
a-zionalità francese, ma torinese di elezione.
Laureato all'École des Hautes Études Commer -eiales di Parigi, egli appariva come il modello
dell'industriale moderno: orgoglioso rappresen
-tante della borghesia del lavoro, profondamente compenetrato di una visione liberale dei rap -porti sociali, francamente collaborante di fronte al sindacalismo operaio, maturo per esercitare
una funzione dirigente nel campo economico. Egli resse la presidenza della Lega, e cong iun-tamente quella della Confederazione dell'in -dustria italiana, fondata a Torino nel 1910,
dal 1906 al 1913. Non si creda fossero tempi
facili: le battaglie sindacali anzi, superavano
in violenza e in durata quelle odierne. Nessuno,
tuttavia, potè mai rimproverare a Bonnefon Craponne parzialità di vedute o acrimonie pe
r-sonali: in ogni trattativa egli portò sempre senso di equilibrio ed equanimità di giudizio. Nelle sue memorie, il bel libro (( L'Italie au travail», edito a Parigi nel 1916, egli ricorda volentieri le fasi più acute delle lotte che si trovò a capeggiare e riconosce volentieri il va -lore e l'abilità dialettica degli avversari. Si dimise dalla presidenza della Lega e della Confederazione in seguito a un inqualificabile atteggiamento dell'autorità politica. Nella pri-mavera del 1913 si stava svolgendo un
lun-ghissimo sciopero dei metalmeccanici; la Lega,
naturalmente, appoggiava i suoi soci del set -tore, ma con tale obiettività di argomenti, che, a designazione unanime, fu affidato a
Bonnefon Craponne il compito di pronunciare
un lodo arbitrale. Di fronte però all'intrans
genza di alcuni sindacalisti, venuti a Torino
dalla Romagna, che intendevano intimorire gli industriali con la continua minaccia dello sc
io-pero generale, Bonnefon Craponne assunse una
condotta ferma ed inequivocabile: allo sciopero
generale avrebbe risposto con la serrata gene
-rale. A Giovanni Giolitti, presidente del Con-siglio dei ministri, per complessi motivi di
alchimia politica la cosa non garbò, e fece pubblicare dalla « Tribuna )l, notoriamente isp i-rata da lui, un velenoso commento in cui Bonnefon era trattato da « agitatore straniero »
e minacciato di espulsione. Nulla poteva ferirlo
di più, ed io vorrei poter leggere qui la nobilis
-sima lettera con cui egli rassegnò le dimissioni
protestando contro l'ingiusta ed immeritata offesa di essere considerato straniero nella sua seconda patria, la cui ricchezza aveva accre-sciuto col proprio lavoro.
Non ostante questo increscioso episodio, la
Lega e la Confederazione dell'industria conti-nuarono saldamente, e sulle mede 'ime linee programmatiche, la loro azionc. Ne assunsero
la guida l'ingegner Dante Ferraris, uomo di
primo piano dell'industria meccanica cittadina, e l'avvocato Ferdinando Bocca, esponente del
-l'industria conciaria torinese. Essi le condussero
ncgli anni difficili e burrascosi che precedettero,
coincisero ed immediatamente seguirono la grande guerra. Accanto a loro due tipiche figure di imprenditori torinesi che si ritrovano
fra i primi soci fondatori della Lega, e che ne
ressero congiuntamente la vice-presidenza dalle
origini sin quasi alla soglia del 1920: Cesare Fiorio e mio nonno, Giacomo Bosso. Tutti
questi uomini, equilibrando le varie componenti delle loro doti personali, seppero assicurare all' Associazione torinese una condotta coerente,
di coraggiosa difesa dell'industria cittadina e
nazionale, i cui interessi coincidevano, come
coincidono, con tanta parte delle maggiori es
i-genze economiche e sociali dell'intero Paese.
Il più vicino collaboratore della presidenza
della Lega, l'uomo che fece dell'unione delle forze imprenditoriali italiane lo scopo della sua vi.ta fu l'avvocato Gino Olivetti, primo segre-tario generale dell' Associazione torinese e poi della Confederazione dell'industria. Uomo di intellio'enza acutissima, egli fu sul piano teorico e S\l quello pratico il coordinatore, l'animatore,
in una parola l'atout del gruppo impre
ndito-riale torinese.
Giovanissimo, assunse la pesante res
ponsa-hilità di guidare, in quanto rivestito di funzioni
amplissime c permanenti, la politica di un
ente che si trovò ad un certo punto ad essere
l'associazione più importante del padronato,
ed in seguito quella di tutti gli industriali
20
I
c R o N A C H E E C o N o M I C H Eitaliani, in momenti in cui a que ti cnti
pet-tavano decisioni e prese di posizione che p
o-tevano condizionare, come condizionarono, l'c,
"o-luzione storica della Nazione. Meta costante di
Olivetti fu il disegno di riunirc tutte lc forze
imprenditoriali italiane in un'unica, grandc as
'0-ciazione, per far sentire la vocc dcll'industria
ai massimi livelli. Egli perseguì tenacementc
questo ideale, realizzato per tappc attraverso
la Federazione industriale piemontese (1008),
e la Confederazione italiana dell'industria (HllO).
Nel primo dopoguerra, quando divcnne evi
-dente che lo Stato avrebbe assunto un peso scmpre maggiore nelle grandi decisioni
econo-miche, la Confederazione dell'industria fu ri
co-stituita a Roma. Non si trattò, tuttavia di
frattura, perchè il presidente della Lega, ing.
Dante Ferraris, poi ministro dell'industria nel
governo Nitti, ne assunse la prcsidenza, cd
Olivetti la segreteria generale.
Checchè se ne dica oggi da parte di studiosi
più o meno « impegnati)l, il nostro Paese si trovò effettivamente negli anni 1919-1920 su
l-l'orlo di una rivoluzione sociale ed economica,
i cui effetti erano imprevedibili. La suggestione esercitata dagli avvenimenti russi sulle masse lavoratrici e sui loro capi era enormc, al punto che da parte di alcuni, e non dei minori,
diri-genti del movimento operaio e dei loro «
consi-glieri ideologici » si riteneva giunto il momento
di ripetere in Italia le esperienze bolsccviche.
Occorre riconoscere che la Confindustria, prin -cipalmente per merito dell'intelligentc politica
di Olivetti, anche come deputato al Parlamento,
esercitò allora un'opera grandio a di difesa
civile, evitando al Paese disordini e distruzioni
maggiori di quelli che pure avvcnnero.
In seguito, superato il pericolo, l'attività di
Olivetti, rimasto profondamente liberale nelle
idee e nella prassi, fu rivolta a salvare la libertà
del sindacalismo imprenditoriale, c con quella
anche la libertà del sindacalismo operaio. Fu
una lotta lenta, esasperante, combattuta a
colpi di spillo, durante la quale nell'animo di
alcuni capi del regime i accumulò un odio
freddo e implacabile per Olivetti. Il quale non
riuscì se non in parte a salvaguardare
l'intc-grità dell'autonomia della Confindu tria; d'altra
parte nessuno può rimproverare Olivetti di
aver subìto un compromesso, quando tutta
una classe politica accettava ben più pcsanti
limitazioni. Venne però il tempo in cui Olivetti
dovette pagare le sue resi tenze; un (( cambio
della guardia )l lo escluse dapprima dalla
Orga-nizzazione che egli più di tutti aveva contribuito a creare; e poi si trovò il modo di colpirlo in quanto ebreo, e lo si costrinse ad emigrare 111
Xon mi è ccrto possibile dcdicare un ricordo
a tutti coloro che occuparono posizioni di primo piano nell'ambito del gruppo impre ndi-toriale piemontese. Di un uomo, però, non posso tacere, della grande figura di un indu-. striale torincse di cui è caduto quest'anno il
ccntenario clelIa nascita: Giovanni Agnelli.
:\[olto si è detto di lui, in questa ed in
altre occasioni. Vorrei aggiungere non un e n-ncsi mo ritratto, che sarcbbe forzatamente troppo
sintctico cd affrcttato, ma un tratto caratte
-ristico dclla sua personalità, che, a mio avviso,
mostra al vi vo il temperamento vorrei dire sociale dell'uomo.
Xe! ] 912, la produzione automobilistica to-rine 'c si cra già affermata al primo posto in
Italia ed occupava una ragguardevole posizione
ncl mondo. Il problema urgente del momento era rappresentato dal passaggio ad una pro
-duzionc scmi-artigianale, basata soprattutto sulla. qualità, ad una produzione veramente
industriale che consentisse di affrontare v
itto-riosamente la concorrenza estera, specialmente amcricana. Agnelli fece un viaggio in America, visitò Ford a Detroit, vide e comprese la fab
-bricazione in serie sulla catena di montaggio. Comprese però anche il significato più vasto di questa nuova tecnica, e cioè il senso più riposto del « fordismo». Capì che un'industria è "eramente forte quando è inserita in una economia fortc, dove non possono sussistere
posizioni fcudali, capì insomma che la grande
industria, quando ha basi sane, era ed è vcra -mente lo strumento incomparabile per una
profonda rivoluzione sociale.
Tornato a Torino, parlò di queste cosc con Bonnefon Craponne e Olivetti, e studiò con loro, che non erano degli specialisti, non tanto le
questioni tecniche della fabbricazione di grande serie, quanto degli effetti socio-economici che
ne sarebbero derivati. In una preziosa tes ti-monianza rimastaci di quei colloqui, si ha la
prova piLl chiara della mentalità con cui gli uomini di punta del gruppo imprenditoriale
torinese affrontarono vastissimi problemi, ben più in là dei loro interessi immediati, e co
in-volgenti il futuro delle prossime generazioni. Essi vedevano una società affiuente, in ordinato ed armonico sviluppo, dove la distribuzione
dei redditi avrebbe coinciso con lc capacità ed i meriti reali di ciascuno. Essi vedevano
nell'industria il mezzo potente di elevazione economica capace di plasmare una nuova so
-cietà, più libera, più responsabile, più serena. Erano perfettamente coscienti chc in questa società non si sarebbero conservate posizioni di privilegio, di mero sfrutt;unento, nè volevano
conservarle. Anche per questo erano dei grandi uomini.
Tocca ora a noi raccogliere il loro messaggio, e, far sì che la preziosa eredità che ci viene
dai più autentici artefici della rivoluzione indu -striale italiana non vada dispersa, ma si sv
i-luppi e fruttifichi.
~~-. - - . -- -- - -