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Parere sul disegno di legge recante:

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Academic year: 2022

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Parere sul disegno di legge recante:

“Delega al Governo per il decentramento dei servizi della giustizia e per il nuovo ordinamento del Ministero di grazia e giustizia".

Il Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta del 16 aprile 1997, ha deliberato di esprimere l'allegato parere.

1. Premesse. - La scelta politico-legislativa di attuare il decentramento nei termini voluti dall'art. 5 Cost. risponde alla logica di rendere più agile l'apparato amministrativo dello Stato.

Ad essa non si sottrae certamente l'amministrazione della giustizia nella parte relativa alla organizzazione degli uffici, devoluta alla competenza del Ministero di grazia e giustizia (art. 110 Cost.).

La peculiarità dell'amministrazione della giustizia sta nella necessità di rendere compatibile l'esercizio della giurisdizione, che è riservato alla magistratura in posizione di indipendenza ed autonomia, con il governo delle strutture spettante al Ministero. Sicché il tema del decentramento deve misurarsi con queste esigenze di contemperamento, in termini che lascino intatte le rispettive sfere di attribuzioni così come volute dalla Costituzione.

In particolare, la consapevolezza che il risultato finale di efficienza del "servizio- giustizia" è intimamente correlato (anche) ad una adeguata organizzazione dei servizi, per le inevitabili ricadute dell'organizzazione degli uffici sull'amministrazione della giustizia, nell'occasione dell'encomiabile approccio riformatore deve non soltanto prefiggersi l'obiettivo di rimuovere tutti quei meccanismi che, in qualsiasi modo, sarebbero idonei ad inceppare il buon funzionamento degli uffici stessi, ma deve altresì porsi il limite invalicabile della non alterazione degli equIlibri di cui si è detto.

Il disegno di legge delega approvato dal Governo si muove nella logica di attuazione del decentramento, tendente a rendere più agile una struttura deputata alla gestione di oltre 50.000 dipendenti nonché alla distribuzione di risorse destinate a ben 2.167 uffici dislocati in tutto il territorio nazionale.

A tale scopo si muove nella duplice direzione di un riordinamento degli uffici centrali e della articolazione di strutture periferiche, a livello regionale, chiamate ai compiti decentrati di gestione del personale e delle risorse materiali. Queste ultime sono l'U.R.A.G. (Ufficio regionale dell'amministrazione giudiziaria) e la C.R.A.G. (Conferenza regionale dell'amministrazione giudiziaria) con sede presso la corte d'appello del capoluogo di ogni regione (tranne che per la Sicilia, dove è previsto lo sdoppiamento delle sedi rispettivamente a Palermo e Catania).

All'amministrazione centrale il disegno di legge (art. 1) riserva i poteri diretti a salvaguardare il ruolo di guida e quindi le attribuzioni in grado di garantire uniformità di azione ed omogeneità di trattamento; come l'emanazione di circolari ed i compiti in genere di programmazione, di indirizzo, di coordinamento e di controllo, le procedure di assunzione per concorso, i trasferimenti interregionali, i provvedimenti in materia retributiva e pensionistica, quelli disciplinari per l'applicazione di sanzioni non lievi. Il servizio statistico e quello del casellario giudiziario centrale rientrano altresì nei compiti dell'amministrazione centrale.

Gli U.R.A.G. (art.2) sono chiamati a svolgere funzioni di proposta con riguardo alla determinazione delle piante organiche degli uffici giudiziari compresi nel territorio, in una prospettiva di maggiore aderenza alle esigenze locali, e quindi di distribuzione e di movimento interno del personale; nonché di programmazione di spesa e di approvvigionamento di mezzi nei limiti delle dotazioni stabilite.

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Le C.R.A.G. (art. 3) approvano le piante organiche secondo le proposte, determinano i criteri per i trasferimenti interni ed approvano i progetti di distribuzione dei fondi a loro volta formulati dagli U.R.A.G..

Nelle linee generali del progetto di riforma così riassunto, il Consiglio formula le osservazioni che seguono.

2. Rapporti tra magistratura e dirigenza amministrativa. - Il tema, come è noto, è oggetto di una risalente riflessione, che si muove nella logica di contemperare, da una parte, le pure apprezzabili esigenze di coinvolgimento del personale amministrativo e di valorizzazione delle professionalità di questo, con sbocchi di carriera verso elevati, ed adeguati, livelli dirigenziali, e, dall'altra, la irrinunciabile salvaguardia del principio di autonomia e di indipendenza dell'ordine giudiziario anche attraverso le scelte, in campo amministrativo, di indirizzo e di somministrazione dei servizi necessari al funzionamento degli uffici.

La individuazione delle competenze ministeriali dove è opportuno il mantenimento di posizioni verticistiche e decisionali in capo al personale proveniente dai ruoli della magistratura, in linea di principio, si prospetta agevole, visto che l'obiettivo da perseguire dovrebbe essere di riservarvi le aree di intervento suscettibili di diretta ricaduta nel servizio giustizia in generale e nella efficienza dei singoli uffici giudiziari, oltre che di diretta o riflessa incidenza nello stesso esercizio dell'attività giurisdizionale. Viceversa, il graduale disimpegno dei magistrati dal ministero dovrebbe interessare i residui settori che tali refluenze non abbiano.

Cosicchè, mentre è del tutto necessario che rimangano affidati alla responsabilità del personale di magistratura distaccato, per esempio, la scelta dei mezzi più opportuni di potenziamento degli uffici, ovvero la distribuzione delle risorse e del personale sul territorio, ovvero ancora competenze come quelle in materia di rogatorie o estradizioni; altre competenze ministeriali, come - esemplificando - quelle attinenti alla carriera ed allo stato giuridico del personale amministrativo, alla regolamentazione dei servizi di cancelleria ovvero alla tenuta dei registri, alla contabilizzazione delle spese, opportunamente vanno restituite alla dirigenza amministrativa per la indifferente (o al massimo indiretta e marginale) ricaduta sull'esercizio della giurisdizione.

A questo tema si collega, poi, quello della disciplina - cui il disegno di legge mostra di volersi ispirare - della limitazione, nel numero e nella durata, dell'impiego dei magistrati nelle articolazioni amministrative del Ministero, in armonia con le stesse indicazioni provenienti dalla magistratura e dal suo organo di autogoverno. Ed invero il contenimento del fenomeno del fuori ruolo, in un contesto di insufficienza del sistema giudiziario, non può che essere guardato con favore.

Tuttavia, le considerazioni già svolte in ordine alla irrinunciabilità dell'apporto a livello direttivo del personale proveniente dai ruoli della magistratura devono indurre verso una soluzione di compromesso fra le opposte esigenze, fino a definire un modello qualitativo di impegno dei magistrati fuori ruolo, che abbia al tempo stesso una incidenza non rilevante nel livello complessivo di adeguatezza degli organici. Una linea, in definitiva, di equilibrio fra l'esigenza di non sottrarre energie al giudiziario, impegnato in una difficile emergenza, e quella di non rinunziare al contributo di esperienza e di specifica competenza dei magistrati nei settori più delicati dell'organizzazione amministrativa. Apporto, dunque, che deve poter provenire da quanti abbiano per congruo periodo esercitato funzioni giudiziarie, pur destinato a restare limitato nel tempo grazie ad un moderato ricambio, che eviti altresì il rischio di una visione meramente "burocratizzata"

dell'organizzazione degli uffici giudiziari.

Orbene, sul piano della riorganizzazione generale del Ministero (art. 6) tali principi vengono affidati alla individuazione delle funzioni dirigenziali da attribuire, in un quadro complessivo di pari dignità, a magistrati e a dirigenti amministrativi (lett. g), in definitiva rimettendo alla valutazione in concreto in sede di normazione delegata le opportune scelte in proposito; ma con l'avvertenza, resa esplicita nella relazione di accompagnamento del disegno di legge, di una graduale attribuzione di responsabilità al personale amministrativo, destinato a

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raggiungere non soltanto un ruolo di pari livello rispetto ai magistrati chiamati a svolgere funzioni dirigenziali, ma in realtà ad acquisire una veste di stabilità e di continuità rispetto al contingente dei magistrati, il cui impiego temporaneo non potrà garantire una continuità nell'attività di programmazione.

Tale linea di tendenza, in assenza di una chiara identificazione delle funzioni che dovranno essere mantenute in capo ai magistrati, imposta dalle condizioni poste dall'art.76 Cost.

alla delega legislativa al Governo, rischierebbe di porre in posizione di prevalenza i dirigenti amministrativi, in contrasto con la proclamata e necessaria pari dignità e responsabilità; il che sarebbe pericoloso per la diretta dipendenza dall'Esecutivo e la diversa formazione professionale del personale amministrativo, ove questo fosse destinato ad acquisire esclusivo potere di intervento nelle scelte di organizzazione giudiziaria.

La scelta di affidare la direzione degli U.R.A.G. a personale amministrativo e solo per il periodo transitorio (verosimilmente fino alla formazione dei necessari quadri dirigenziali) a magistrati distaccati fuori ruolo desta ampie preoccupazioni. A fronte di organismi pletorici e di dubbia funzionalità - i C.R.A.G. (vedi più oltre il paragrafo 5) - che difficilmente potranno essere efficaci organi di indirizzo e coordinamento, il reale potere decisorio su aspetti delicatissimi che hanno un'immediata caduta sulla resa del servizio e sulla stessa possibilità di esercitare la giurisdizione viene ad essere degli U.R.A.G. Saranno questi organi deputati a decidere la destinazione dei mezzi in un contesto in cui ciò può tradursi nel far funzionare o meno la giustizia (si pensi ad esempio alla distribuzione di ore di straordinario, vitale per la stessa celebrazione delle udienze). L'esigenza che a tale compito sia preposto un magistrato è quindi basata sia sulla specifica e più approfondita conoscenza delle esigenze dell'attività giurisdizionale, sia sulle inevitabili maggiori garanzie di indipendenza. Le modifiche apportate nella Commissione Giustizia della Camera aumentano vieppiù queste preoccupazioni in quanto limitano ad un triennio il periodo transitorio e prevedono la presenza di un magistrato anche in questo breve periodo in linea del tutto eventuale, essendo prevista la possibilità che il Ministro vi designi invece soggetti estranei all'amministrazione con contratto a termine. Sicuramente opportuno può essere affiancare come consulenti al magistrato titolare dell'U.R.A.G. eventuali esperti in gestione del personale ed organizzazione, ma non certo sostituirlo con esterni che sicuramente potrebbero possedere capacità manageriali, ma sconterebbero l'assenza di un approfondita conoscenza del funzionamento dell'apparato giudiziario e delle specifiche esigenze dettate dalla giurisdizione.

Le precedenti riserve non contrastano, come si è visto, con la giusta esigenza di contenere il fenomeno dei magistrati fuori ruolo, che il Consiglio ha più volte affermato; nella consapevolezza che proprio questo distacco, purché appunto limitato nel tempo, costituisce il costo necessario per assicurare il miglior risultato di individuazione degli interventi appropriati quanto alla distribuzione delle risorse ed alla dislocazione del personale nei vari uffici giudiziari.

In particolare, quanto alle strutture decentrate (U.R.A.G.), l'impiego dei magistrati a livello dirigenziale, in numero assai ridotto (uno per ogni regione, solo due in Sicilia) sarebbe compensato dalla corrispondente diminuzione del contingente addetto agli uffici centrali del ministero.

3. Mantenimento delle competenze dei comuni. - La riforma proposta mantiene intatta l'attuale competenza dei comuni in ordine all'approntamento dei locali e dell'anticipazione degli oneri connessi, dietro corresponsione di contributi integrativi, secondo il sistema introdotto da una legislazione del 1941 (legge 24 aprile 1941 n. 392, con successive modificazioni e integrazioni), anteriore alla Carta costituzionale.

Resterebbero, dunque, deluse le risalenti aspettative della magistratura in merito alla esigenza di totale affrancamento da una dipendenza inopportuna e di dubbia portata costituzionale;

laddove non soltanto nulla è espressamente innovato sul punto, ma anzi si introduce la specifica previsione (art. 3, comma 1) di partecipazione alle C.R.A.G. dei "rappresentanti degli enti

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territoriali" (cioè proprio dei comuni chiamati appunto ad anticipare le spese di gestione degli edifici).

Quanto ai profili costituzionali, non può tacersi come la Costituzione (art.110) riserva esclusivamente al Ministero (e, con la riforma, anche alle articolazioni periferiche) la competenza in materia di organizzazione dei servizi della giustizia; in un regime che, come si è osservato, si connota di una sua propria ed eccezionale peculiarità, a fronte della necessaria indipendenza dell'ordine giudiziario.

La controindicazione in ordine alla competenza dei comuni è resa evidente dagli stessi motivi di opportunità ricavati dall'esperienza; in particolare, dalla difficoltà di dialogo fra gli uffici giudiziari e gli enti locali, la cui composizione è influenzata dai settori politici di volta in volta chiamati, secondo i meccanismi di democrazia, ad esprimere i corrispondenti quadri direttivi.

Le implicazioni, quando non determinano perfino imbarazzo nei rapporti tra dirigenti degli uffici giudiziari e pubblici amministratori, possono essere comunque di immediata ricaduta sull'efficienza di un servizio, come quello della giustizia, che deve ispirarsi a scelte che solo nella sede istituzionalmente competente vanno selezionate quanto ai modi e tempi di intervento. Laddove le necessità, anche quelle urgenti, degli uffici giudiziari vengono a misurarsi con le difficoltà (non necessariamente pretestuose ma spesso soltanto fisiologiche) dei bilanci e dei tempi burocratici e decisionali degli enti locali.

L'illogicità della perdurante competenza dei comuni per la somministrazione di servizi si coglie nell'anticipazione di spese non soltanto per acquisto di locali, per riparazioni, illuminazione, riscaldamento, servizio telefonico (ed acquisto delle relative apparecchiature), tutte da chiedere ed ottenere dall'amministrazione locale nel quadro del disagio e delle difficoltà di cui si è detto, ma anche per servizi involgenti aspetti di particolare delicatezza come la custodia e la pulizia dei locali, implicanti l'inserimento nelle strutture giudiziarie di personale estraneo, sul quale l'apparato giudiziario non ha alcun potere di selezione, di sorveglianza e di controllo gerarchico.

La riforma organica dell'apparato amministrativo della giustizia merita dunque una definitiva eliminazione di guasti di siffatta portata, non giustificati da reali esigenze di ordine finanziario, ed anzi incompatibili con l'assetto costituzionale.

4. Problemi generali del decentramento. - La pianificazione a livello decentrato per la distribuzione delle risorse di organico e strumentali si prospetta, in linea di principio, una ottima soluzione, in quanto consente la specifica destinazione di esse alle singole realtà locali;

certamente utile, posto che garantisce l'effettiva ripartizione secondo criteri generali e non a seconda delle spinte e sollecitazioni individuali.

Se non che l'assegnazione per contingenti fissi (di personale e di risorse finanziarie e/o strumentali) rischia di trasformarsi a sua volta in un limite invalicabile, non in grado di offrire adeguate e soprattutto tempestive risposte ad esigenze locali che, al di fuori della pianificazione, dovessero manifestarsi. Effetto tanto più evidente - e dunque ancor più negativo - nei casi di fabbisogno determinato da situazioni impreviste di notevole incidenza (si pensi all'afflusso di procedimenti complessi che per la loro stessa trattazione, per numero di imputati, di detenuti, per prevedibile lunga durata, richiedono apporti straordinari di mezzi, di provviste finanziarie, di organico).

Fare affidamento, in questi casi, sulle risorse destinate all'intera area regionale per una opportuna redistribuzione, significherebbe, intanto, attendere i tempi necessari alla nuova programmazione (secondo il d.d.l., l'U.R.AG. ha il compito di formulare le proposte e la C.R.A.G.

quello di approvarle); soprattutto, però, implicherebbe la decisione di comprimere in misura corrispondente il fabbisogno destinato agli altri uffici che ricadono nello stesso territorio. Il che - ipotizzata o meno la disponibilità da parte di questi ultimi, che dovrebbero collaborare accettando le proporzionali riduzioni ed a parte quanto si dirà subito dopo - non è sempre possibile, anzi diviene impraticabile, dal momento che deve presumersi che sia stata programmata prima una oculata

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distribuzione delle risorse, in misura di certo non eccedente le reali disponibilità e tale da non consentire più alcuna compressione.

Il decentramento del dicastero della giustizia va quindi realizzato attraverso un meccanismo di maggiore flessibilità e di intervento decisionale a livello centrale che, a parte la determinazione globale del contingente, sia in grado di intervenire anche in via sostitutiva a fronteggiare impreviste situazioni locali sopravvenute; assicurando in definitiva una appropriata distribuzione delle risorse, grazie ad una visione complessiva delle esigenze di tutti gli uffici giudiziari ricadenti nel territorio nazionale.

5. Modalità di attuazione del decentramento. - Correlativamente, si prospettano perplessità sulla reale efficienza dell'organo collegiale di coordinamento (C.R.A.G.) che, siccome preposto all' approvazione delle piante organiche e dei piani di distribuzione delle risorse proposti dall'U.R.A.G., finisce con il costituire il momento terminale delle scelte individuate da quest' ultimo e in posizione di sostanziale sovraordinazione rispetto allo stesso.

Emerge, in particolare, la composizione pletorica di questo organo collegiale che, essendo formato (art. 3) dal presidente della corte d'appello del capoluogo, o dal procuratore generale, nelle rispettive sezioni per gli uffici giudicanti o requirenti, dal dirigente dell U.R.A.G., dai capi di tutti gli uffici giudiziari della regione, dai dirigenti di tutte le cancellerie o segreterie giudiziarie, dai presidenti dei consigli degli ordini degli avvocati di tutti i circondari delle regione, da due rappresentanti di ciascun consiglio giudiziario dei distretti ricadenti nel medesimo territorio, è facile calcolare che avrebbe una consistenza numerica di diverse decine di persone (per ciascuna sezione), talvolta superiore a cento. Se poi si considera che è prevista, in aggiunta ai componenti così individuati, la partecipazione dei rappresentanti degli "enti territoriali", si ha la netta dimensione della sostanziale inefficienza cui è destinato l'organo in questione, che è tuttavia quello chiamato (art. 3, comma 2) ad approvare le piante organiche, a determinare i criteri per i movimenti del personale, ad approvare il piano di distribuzione dei fondi assegnati agli uffici giudiziari della regione.

Il dubbio è, ovviamente, che (a parte gli stessi problemi logistici di riunione di un organo così articolato) la esasperata collegialità vanifichi le aspettative di snellezza, di immediatezza e dunque di incisività dell'intervento amministrativo, addirittura peggiorando le risposte di efficienza che vengono assicurate alla stregua dell'attuale sistema.

Senza contare che le realtà giudiziarie (e le relative esigenze) di uffici di grande consistenza sarebbero del tutto parificate (per la composizione paritetica dell'organo) a quelle degli uffici di minore dimensione, con un confronto sullo stesso livello di istanze concorrenti a loro volta però giustificate da assetti organizzativi affatto diversi; certamente poi con l'effetto di dispersione, nel coacervo generale, degli obiettivi prioritari e cioè, alla fine, di fisiologico inceppamento di un meccanismo che, nel decentramento, dovrebbe essere invece snello ed efficace.

Un organo collegiale, ove lo si volesse mantenere, potrebbe avere al massimo soltanto compiti di indirizzo generale ma dovrebbe certamente avere una composizione molto più agile e contenuta, ancorché estesa a tutte le realtà operative che vi convergono (ma con apporti anche numericamente proporzionati alle corrispondenti responsabilità). Laddove non dovrebbe avere in ogni caso un rilievo prevalente l'esigenza di assicurare la presenza nell'organo di tutti gli esponenti delle varie categorie (dirigenti uffici giudiziari, dirigenti uffici di cancelleria, ordini forensi, etc.), potendosi piuttosto garantire una significativa rappresentanza di ciascuna di esse, in quanto rispettivamente chiamate non già a patrocinare interessi ed esigenze particolari o locali (il che aprirebbe una insidiosa conflittualità interna, destinata a bloccare l'organo) ma ad offrire un contributo critico nelle valutazioni generali.

Scarsamente funzionale potrebbe infine risultare la duplicazione dell'organo stesso nelle due sezioni, giudicante e requirente, ciascuna delle quali avrebbe una composizione parzialmente coincidente, data l'ottica complessiva in cui le varie problematiche devono essere affrontate; duplicazione, inoltre, tanto più ingiustificata se una tale scelta si collocasse nel solco di

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tendenze riformatrici verso la separazione delle carriere e di esse costituisse nei fatti una inaccettabile anticipazione.

Il passaggio, delineato dalla Commissione Giustizia, dal livello regionale a quello distrettuale (con eccezione per la Sicilia, che accorperebbe gli organi decentrati rispettivamente a Palermo e a Catania, e per la Valle d' Aosta, dove verrebbero creati organi periferici a livello di circondario) lascia sostanzialmente intatte le problematiche sopra esaminate.

6. Criterio di decentramento regionale. - In una prospettiva di ridimensionamento degli organi decentrati, nei termini di cui alle precedenti osservazioni, ed altresì in quella di rivisitazione (auspicata) della geografia giudiziaria, potrebbe non trovare più spazio la deroga prevista per la regione Sicilia, in termini di suddivisione del territorio.

7. I referenti per l'informatica. - La riforma sembrerebbe non lasciare più spazio alla figure, recentemente introdotte, dei (magistrati) referenti e dei (funzionari) responsabili per l'informatica, destinati a svolgere un ruolo importante nella individuazione delle scelte più opportune in materia; essendo viceversa evidente come l'informatizzazione degli uffici giudiziari sia destinata a svolgere un ruolo decisivo sul piano dell’efficienza.

Sarebbe dunque auspicabile che la riforma si desse carico anche dell'inserimento, nelle strutture (centrali e) decentrate, di responsabili del settore, chiarendone le competenze e coordinando queste con quelle degli organi preposti alla direzione decentrata degli uffici amministrativi.

8. Riorganizzazione del Ministero di grazia e giustizia. - I tratti rilevanti che connotano la proposta governativa di riforma della struttura centrale dell'amministrazione della giustizia appaiono ispirati (art. 6) al rispetto del principio di buon andamento di cui all'art. 97 Cost..

Dall'esame del disegno di legge si evincono, fra l'altro, i seguenti elementi scriminanti di riforma: riorganizzazione delle Direzioni e degli uffici centrali secondo parametri di omogeneità di attribuzioni e di autonomia organizzativa; redistribuzione delle relative competenze;

diversificazione delle funzioni di staff (nel senso, presumibile, di squadra di esperti) e di line (ossia di gerarchia).

Anche su tale punto non può tacersi come la enunciazione, in un testo di legge delega, di linee di indirizzo affidate peraltro a neologismi in lingua straniera, di contenuto non specificamente definito, potrebbe non corrispondere ai requisiti di cui all'art. 76 Cost.. Onde si auspicherebbe una più dettagliata determinazione di principi e criteri direttivi.

9. Riorganizzazione degli uffici giudiziari. - Nel testo originario è stato aggiunto da parte della Commissione Giustizia della Camera un nuovo articolo 4 "Riorganizzazione degli uffici giudiziari", introducendo una riforma che esula dal decentramento e dell'organizzazione degli uffici ministeriali, ma che in realtà è diretta a modificare l'assetto organizzativo degli uffici giudiziari, incidendo notevolmente sui poteri del capo dell'ufficio e in definitiva introducendo espressamente il regime della c.d. "doppia dirigenza", peraltro con un sensibile squilibrio a favore del dirigente amministrativo.

Sono noti le difficoltà ed i contrasti che hanno segnato i tentativi sinora volti a coniugare le esigenze di responsabilità gestionale e di valorizzazione della dirigenza amministrativa, con le imprescindibili necessità di amministrazione della giurisdizione che non possono che spettare al dirigente dell'ufficio, rientrando nella previsione degli artt. 104 e 105 della Costituzione. E pur vero che la cultura dell'organizzazione, che comporta scelte di discrezionalità e di utilità, e la cultura dell'amministrazione della giurisdizione, che è cultura di regole e di garanzie, spesso si situano su piani diversi, tuttavia è facile vedere come spesso si intersechino e come, in caso di contrasto, sia la seconda a dover prevalere. Si pensi solo che larga parte delle stesse proposte tabellari, cui i funzionari amministrativi sono del tutto estranei, sono progetti

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organizzativi, ove si determinano il numero e le competenze delle sezioni, delle specializzazioni o dei criteri di assegnazione degli affari giudiziari.

Una soluzione era stata individuata in un accordo stipulato recentemente nell'ambito della Commissione La Greca.

Testo che costituisce un faticoso punto di equilibrio su cui si sono avute le positive convergenze delle rappresentanze del personale amministrativo, ivi compresi i sindacati dei dirigenti, e della magistratura. E davvero preoccupante che il nuovo art. 4 del disegno di legge si discosti in punti significativi da tale scelta facendo saltare equilibri inevitabilmente delicati.

Difatti al magistrato si limita a riconoscere soltanto "un potere di indirizzo e controllo in materia di organizzazione dell’ufficio",mentre al dirigente la cancelleria/segreteria verrebbero assegnate "le funzioni relative alla gestione amministrativa, tecnica e finanziaria, compresa l'adozione degli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, destinate ad assicurare il funzionamento dell'ufficio giudiziario, con l'attribuzione, in capo allo stesso funzionario, delle responsabilità della gestione e dei relativi risultati" .

Non si può non rilevare come, rispetto all'accordo sopra menzionato, è saltata la previsione secondo cui "Al magistrato dirigente l'ufficio spetta la dirigenza dell'ufficio giudiziario nel suo complesso". E che in caso di dissenso tra i due dirigenti si limita a registrare un rinvio al legislatore delegato di "determinare le misure e stabilire i provvedimenti necessari per superare eventuali contrasti che determinino disfunzioni nell'attività giurisdizionale" , quando l'accordo sopra citato prevedeva una possibilità in capo al magistrato dirigente di "emanare i necessari provvedimenti urgenti, con atto scritto e motivato" in caso di contrasto "nella redazione del programma e delle sue modifiche" ovvero quando "non si dia attuazione al programma" .

Tanto equivale a prevedere non tanto un rapporto di collaborazione, ma un potere decisionale su ogni profilo organizzativo a carico del funzionario amministrativo, di fatto spogliando il capo dell'ufficio del potere-dovere di organizzare l'ufficio in modo da assicurare il miglior funzionamento dei servizi, assumendosene le relative responsabilità.

Su tale prospettazione non si può che esprimere il più fermo dissenso per più ordini di motivi:

- l'incoerenza con le restanti parti della legge che, non a caso, nella versione originaria nulla prevedevano in materia, esulando ciò sia dalla riforma del Ministero, che dalla logica di un suo decentramento;

- l'inaccettabilità del contenuto che porterebbe ad una pesante ricaduta sulla stessa indipendenza e autonomia della giurisdizione, condizionata da scelte organizzative pressoché totalmente nella disponibilità di una dirigenza amministrativa, ordinata su basi gerarchiche e non garantite al pieno esplicamento della funzione giurisdizionale, e con meccanismi e sviluppi di carriera sotto il diretto controllo del Ministero;

- il mancato rispetto e recepimento di un accordo, sottoscritto da tutte le parti interessate, che già costituisce un delicato equilibrio tra diverse e legittime esigenze.

Proprio quest'ultima considerazione chiarisce come il dissenso non nasca né da istinti corporativi, né da sfiducia nei livelli di professionalità del personale amministrativo (della cui formazione peraltro la riforma si dà espressamente carico, prevedendo una apposita scuola la cui frequenza sarebbe propedeutica al conferimento di funzioni dirigenziali), ma da una sentita preoccupazione per le ricadute negative che si avrebbero in termini di efficienza e di salvaguardia dell'autonomia e dell'indipendenza della funzione giurisdizionale, innescando oltretutto probabili contenziosi senza fine.

10. Considerazioni conclusive. - In sintesi e con le osservazioni che precedono, il Consiglio manifesta in conclusione positivo apprezzamento per quanto riguarda la prospettiva di:

a) decentrare alcune funzioni del Ministero della Giustizia,

b) ridurre il numero dei magistrati addetti al Ministero della Giustizia;

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c) prevedere un tetto massimo di permanenza per i magistrati a cui sono attribuiti incarichi ministeriali.

Identico apprezzamento ha l'ipotesi di riservare ai magistrati quegli uffici ministeriali ove sia richiesta la loro specifica preparazione professionale o che svolgano compiti amministrativi in diretta connessione con l'attività giudiziaria, purché questo non tocchi i settori che hanno ricaduta diretta sull'esercizio della giurisdizione.

Perplessità suscitano invece le seguenti articolazioni del disegno di legge:

- la pletoricità di composizione del CRAG, anche qualora si passi a livello distrettuale, che oscillerebbe da un minimo di 25 componenti (regione Molise) ad un massimo di oltre 80 (regione Piemonte), con conseguente impossibilità di funzionamento

- l'inopportunità di distinguere tra conferenze degli uffici giudicanti e requirenti, anche per consentire una più ampia flessibilità;

- l'assenza di qualsiasi previsione sulle modalità di decisione in caso di contrasti nell'ambito del CRAG, previsione che, va sottolineato, nell' attuale testo darebbe, se a maggioranza, un anomalo potere ai provenienti da piccoli uffici;

- l'attribuzione della direzione dell'URAG a un dirigente amministrativo, specie nel caso la composizione delle CRAG rimanga pletorica e con scarse prospettive di incisività, per l'enorme ricaduta che esso avrebbe sul concreto funzionamento degli uffici giudiziari ed in definitiva sullo stesso profilo dell'indipendenza.

Netto dissenso va invece espresso sul nuovo testo dell' art. 4 "Riorganizzazione degli uffici giudiziari" per le gravi conseguenze che tale previsione comporterebbe per la stessa possibilità del magistrato dirigente di continuare a svolgere con pienezza la sua funzione di amministrazione della giurisdizione e per lo stesso lavoro dei magistrati, le cui modalità, efficacia e qualità verrebbe se non determinato, influenzato da scelte estranee alla funzione giurisdizionale.

L'aver alterato il testo di un recentissimo accordo raggiunto in sede di Commissione ministeriale, dopo anni di incomprensioni e trattative tra le varie categorie interessate, facendo saltare il delicato equilibrio ivi contenuto è scelta davvero opinabile e che non si può in alcun modo condividere.

Proprio la ricaduta che il disegno di legge ha su significativi aspetti ordinamentali consiglierebbe d'altro canto che anche nella procedura di perfezionamento dei decreti delegati sia previsto un parere del C.S.M.

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