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a Classificazione “ratione materiae” e “ratione functionis”

Capitolo III: Tassonomia degli standard sostanziati a livello globale

III.1. a Classificazione “ratione materiae” e “ratione functionis”

Un primo e più classico modo di discernere le norme tecniche su scala globale è facendo riferimento all’oggetto della normazione e, più nella specie, alla materia nella quale le stesse norme incidono. Si tratta per l’appunto di una forma di classificazione per materia, che dunque prescinde dal livello di cogenza degli standard, dalla loro capacità normativa e – ancor più – dall’idoneità degli stessi a divenire il substrato per la creazione di regole tecniche da impiegare a livello nazionale. Tanto premesso, si configurano una pluralità di standard globali – divisi per settore 692– che presentano caratteri molto diversi tra loro. Si pensi ad esempio agli standard in ambito contabile e, più specificamente, ai principi contabili IAS (International Accounting Standards) e IFRS (International Financial Reporting Standards), creati dallo IASB (International Accounting Standard Board), che sono stati recepiti in numerosi ordinamenti, tra cui quello europeo693, e agevolano la comparazione contabile tra i bilanci societari delle imprese694.

Si pensi, poi, agli standard esistenti in ambito alimentare, che vedono una preminenza a livello globale della Codex Alimentarius Commission, con il suo regime di tutela assunto a modello da parte dell’OMC, e, pertanto, difficilmente superabile in una prospettiva di maggiore protezione per i consumatori, in ragione della difficoltà di provare, dinnanzi all’Organo d’Appello dell’OMC, che un requisito in materia di salubrità alimentare superiore rispetto agli standard della Codex non sia

692 La settorialità costituisce una delle caratteristiche più comuni e descritte del diritto e dell’arena globali. Sotto

questo profilo, si rinvia al già citato “Global Administrative Law: The Casebook”, 3a edizione Kindle, IRPA, 2012.

693 Per un’analisi di tale armonizzazione, si veda A. BENEDETTI, Certezza pubblica e“certezze” private, poteri pubblici e certificazioni di mercato, cit., pp. 49-51. Si tratta peraltro di un processo non sempre agevole, soprattutto

con riferimento ad alcuni specifici standard adottati dallo IASB in tempi più recenti, che non sempre si prestano ad una organica compenetrazione con il diritto europeo e, particolarmente, le direttive che regolano la disciplina del bilancio. Si veda, per questo tema, A. INCOLLINGO, IFRS for SMEs: profili generali, in “Il bilancio secondo i principi generali IAS/IFRS, Regole e applicazione”, collana Economia Aziendale diretta da L. POTITO – Sezione Studi e Strumenti, Giappichelli, Torino, 2016, pp. 600-605.

694 Più precisamente, in Unione Europea il regolamento CE 1606/2002 impone a «tutte le società quotate dell’Unione europea (UE) di preparare i loro conti in conformità con i principi contabili internazionali (IAS)/principi internazionali d’informativa finanziaria (IFRS)». Tale obbligo ha l’obiettivo di potenziare la

trasparenza e la comparabilità dei conti aziendali e migliorare l’efficienza del mercato, riducendo il costo della raccolta dei capitali per le imprese, con benefici per la concorrenza.

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eccessivamente restrittivo del libero commercio a livello internazionale695. Del resto, sempre in ambito alimentare, non può non ricordarsi l’esistenza di un numero enorme di standard tecnici che regolano minuziosamente ogni fase legata alla catena produttiva alimentare, partendo ad esempio dalla produzione e raccolta, fino all’inscatolamento e all’etichettatura696.

Tutti questi standard, di natura chiaramente tecnica nella misura in cui, per l’appunto, stabiliscono una “tecnica” ritenuta corrispondente allo stato dell’arte per ogni specifico settore, presentano particolari difficoltà classificatorie, perché da un lato sono distinti dagli standard che pongono limiti o stabiliscono soglie697, ma dall’altro sono comunque standard (e non norme giuridiche) nel senso che abbiamo già visto nei capitoli precedenti. Tale fenomeno si verifica peraltro anche con riferimento agli standard esistenti in ambito medico, laddove, oltre al regolamento sanitario internazionale dell’OMS revisionato nel 2005 ed entrato in vigore nel 2007, che a tutti gli effetti costituisce un testo cogente nel senso classico del diritto internazionale per gli Stati parte dell’OMS e ha stabilito alcuni degli standard e dei principi di maggior efficacia nella lotta alle epidemie698, si affiancano numerosi standard tecnici quali, ad esempio, quelli sulla costruzione, conservazione, installazione e distribuzione dei dispositivi ad uso medico699.

Un’altra macro-categoria che merita altrettanta attenzione è quella degli standard in materia costruttiva. Sebbene tra essi la maggior parte sia di origine nazionale e sia

695 Sul punto torneremo nei successivi paragrafi. Per un inquadramento preliminare del problema, si veda A. B.

MARKS, A New Governance Recipe for Food Safety Regulation, 47 Loyola University Chicago Law Journal, pp. 908-913.

696 Si parla a tal proposito di food management, una branca particolarmente delicata della normalizzazione a livello

internazionale / globale anche considerate le dimensioni del mercato alimentare. In ambito ISO, tale settore è normato dalla famiglia di standard ISO 22000, https://www.iso.org/iso-22000-food-safety-management.html (ultima visita: 10 marzo 2018).

697 Si veda infra in questo capitolo con riferimento ad alcune tipologie di standard ambientali.

698 Il regolamento detta anche parte della disciplina afferente alle vaccinazioni obbligatorie. Per una panoramica

delle attività del WHO/OMS e del regolamento sanitario internazionale, si veda http://www.who.int/topics/international_health_regulations/en/ (ultima visita: 10 marzo 2018).

699 Ci si riferisce in questa sede, in particolar modo, agli standard ISO 13485:2016, che forniscono gli strumenti

metodologici per tutte le fasi anzidette. Si veda nella specie https://www.iso.org/standard/59752.html (ultima visita: 10 marzo 2018).

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strettamente connessa con gli strumenti urbanistici – che hanno un regime definito all’interno della gerarchia delle fonti – non può trascurarsi, ancora una volta, l’esistenza di standard globali che hanno una certa influenza nella pianificazione degli edifici, come ad esempio gli standard ottimali di fruizione (che intervengono, ad esempio, per determinare il consumo per illuminazione naturale ed artificiale, consumo per climatizzazione)700, o ancora gli standard internazionali per la valutazione della sostenibilità delle opere di edilizia civile nuove ed esistenti, approvate dal CEN (Commissione Tecnica 350)701.

Da quanto detto, appare chiaro che si potrebbe proseguire con l’individuazione di ulteriori standard in altrettante categorie. Risulta però altrettanto evidente come l’individuazione e classificazione di standard “per settore” non costituisca un buon parametro ermeneutico, data l’enorme diversità degli standard esistenti in ognuno di essi, con funzioni molto differenti tra loro: standard che impongono limiti, standard che suggeriscono moduli operativi, standard che vietano determinate prassi nonché standard che ne impongono altre.

Nelle pagine iniziali di questo lavoro si è parlato di “standard sostanziati”, ed è da quella formula che bisogna partire anche in questa sede702. Innanzitutto, con standard sostanziati si è voluta evidenziare la natura sostanzialistica e non meramente strumentale-ermeneutica che questi standard hanno rispetto alle altre due categorie ivi menzionate, quella degli standard come strumento di valutazione utile alla decisione del giudice e quella degli standard come sottocategoria dei principi del diritto amministrativo globale. Tra gli standard sostanziati, come qui constatato, esistono però

700 A titolo di esempio, si veda E. CANCINO, T. CERETTA et Al., Fare rete in edilizia per costruire e ristrutturare, un nuovo modello di business per le imprese artigiane, Franco Angeli, Milano, 2014, pp. 66-73. In questo lavoro

non ci si soffermerà sugli standard in materia urbanistica. Tuttavia, per un’analisi degli stessi e del rapporto che hanno con gli strumenti di amministrazione urbanistica, si veda G. M. MARENGHI, op. cit., pp. 115-201.

701 A tal proposito, bisogna menzionare, ad esempio, gli standard prodotti dal CEN EN 15643:2010, EN 15978:2011,

16309:2014. Ognuno di essi disciplina un ambito distinto della valutazione della sostenibilità nell’edilizia, come la prestazione economica, quella ambientale e quella sociale, nonché il ciclo della vita degli edifici. Per un’analisi di questi profili, si veda G. TACCONI, Sostenibilità in edilizia: Prontuario delle norme e delle linee guida europee,

nazionali e regionali, Wolters Kluver Italia, Milano, 2016, pp. 218-229. 702 Si veda supra paragrafo I.1.

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ulteriori e nuove categorie che, settore per settore, individuano funzioni distinte. Un esempio particolarmente calzante di questa pluralità di funzioni che possono avere gli standard in specifici settori è offerto dai cosiddetti “ecostandards”, ovverossia le norme tecniche in relazione all’ambito giuridico ambientale.

Come puntualmente messo in luce dalla dottrina, le norme tecniche in ambito ambientale riguardano tanto i profili difensivi e gestionali dell’ambiente, come lo smaltimento dei rifiuti, tanto i profili preventivi o cautelativi afferenti alle attività umane che incidono sull’ambiente703. Come ricorda GHELARDUCCI, essi possono distinguersi in: 1. standard minimi sulla qualità, che incorporano dunque soglie limite di tollerabilità delle contaminazioni per specifiche risorse ambientali; 2. standard minimi sulla quantità per le risorse non rinnovabili e per quelle rinnovabili soggette ad esaurimento una volta raggiunta un livello minimo critico; 3. standard massimi sulle emissioni nocive in termini quantitativi e qualitativi; 4. standard minimi sulla qualità per prodotti specifici chimico-industriali704 . A queste categorie, in molti casi configurabili come “standard di performance”, non può che accompagnarsi, significativamente, anche la categoria delle norme tecniche su base volontaristica deputate all’individuazione dei migliori e più sicuri modelli di eco-management, di cui si è già detto con riferimento al fenomeno della concorrenza regolatoria705.

Le norme tecniche in materia ambientale, dunque, possono disciplinare ed avere ad oggetto tanto l’intervento umano (aggressivo o difensivo) quanto i parametri qualitativi che devono essere rispettati per garantire i beni ambientali (ad esempio, la

703 In questo senso, si veda M. GHELARDUCCI, op. cit., pp. 47-51. Si veda anche G. M. MARENGHI, op. cit., pp.

110-111.

704 Si veda ibidem.

705 Si veda supra, paragrafo II.1.c. In particolare, molto noti sono gli standard ISO 14000. Va peraltro segnalato che

standard di processo e standard di prodotto e/o performance sono, per numerosi aspetti, complementari. Appare evidente ictu oculi che l’adozione di procedure eco-manageriali equilibrate è generalmente funzionale al perseguimento di obiettivi strategici ecosostenibili. Sul punto, si veda D. A. WIRTH, op. cit., pp. 83-86. In ambito ambientale è ancora da segnalare lo spostarsi dell’attenzione dei regolatori pubblici dagli standard quantitativi che registrano gli effetti dell’azione dei soggetti inquinanti (ad esempio, gli standard di concentrazione ed emissione), agli standard quantitativi che registrano le cause dell’azione suddetta (ad esempio, gli standard di immissione). Il combinato disposto di queste tipologie crea veri e propri standard di processo. Si veda G. M. MARENGHI, op. cit., pp. 226-236.

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quantità di polveri sottili nell’aria che si respira)706. Inoltre le medesime norme possono riguardare i profili sostanziali suddetti oppure profili procedurali, come la gestione e l’esecuzione dei controlli707.

La distinzione esistente tra gli standard in ambito ambientale (e quindi, tra gli standard che regolano profili sostanziali e quelli che disciplinano profili procedurali) è peraltro molto comune con riferimento agli standard del comparto della produzione industriale. In quella sede si parla più frequentemente di standard di processo e standard di prodotto. I primi regolano il processo che deve aver luogo per la produzione di un determinato bene, mentre i secondi disciplinano le caratteristiche che devono avere i beni emessi in commercio708. Anche in quell’ambito – sebbene in misura minore rispetto al settore ambientale, dove insistono beni e interessi protetti e l’esigenza di un impianto sanzionatorio ben sviluppato – la particolare diversità delle norme tecniche esistenti si accompagna a una sostanziale eterogeneità delle fonti di produzione nonché a una molteplicità di livelli di cogenza delle medesime709.

Da queste premesse logiche bisogna trarre almeno tre conseguenze. In primo luogo, bisogna riconoscere che non tutti gli standard sostanziati possono configurarsi come insiemi di istruzioni per gli operatori, come avevamo ipotizzato nel capitolo introduttivo provando a discernere la vera natura degli standard tecnici e ammettendo l’esistenza di eccezioni710

. Infatti, in alcuni casi, più che configurarsi come istruzioni, gli standard in oggetto sembrano piuttosto avvicinarsi maggiormente all’ulteriore definizione che in quella sede si è data, ovverossia quella di “fonti di obblighi e divieti non giuridici711”, posta la premessa metodologica che le norme tecniche non sono

706 Si veda N. AICARDI - G. CAIA, Formazione delle norme tecniche, in “Governo dell’ambiente e formazione

delle norme tecniche”, a cura di S. GRASSI e M. CECCHETTI, Giuffrè, Milano, 2006, pp. 19-21.

707 Si veda ibidem.

708 Si veda infra, paragrafo III.3.a. Per cenni sul tema, si veda D. A. WIRTH, op. cit., pp. 83-84.

709 Si veda infra, paragrafo III.1.c. Per un’introduzione al tema, si veda M. GHELARDUCCI, op. cit., pp. 48-49. Si

veda anche N. AICARDI - G. CAIA, op. cit., pp. 21-22.

710 Si veda supra, paragrafo I.4.

711 Un ulteriore esempio di questo tipo di standard è dato dai cosiddetti “standard di lavoro”, che una parte della

letteratura economica suggerirebbe di inserire nei trattati di libero commercio di modo da potenziare le tutele delle fasce deboli nei paesi meno sviluppati. Si veda in proposito P. R. KRUGMAN, M. OBSTFELD, M. J. MELITZ, op. cit., pp. 395-397.

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norme giuridiche. In secondo luogo, emerge chiaramente che nell’ambito degli standard sostanziati la macro-categoria degli standard tecnici, come si era detto, appare pervasiva, in quanto per ogni sottoinsieme che abbiamo enucleato è particolarmente frequente rinvenire standard che disciplinino la tecnica, il modulo operativo e la norma procedimentale ottimale per condurre a termine i processi produttivi712. Tra essi, come evidenziato, particolare rilievo hanno gli standard di qualità, gli standard di processo e gli standard di prodotto. In terzo luogo, bisogna riconoscere che tanto la classificazione per materia, tanto la classificazione per funzioni svolte si rivelano insufficienti per l’inquadramento degli standard sostanziati, motivo per il quale bisogna cercare strumenti organizzativi ed ermeneutici alternativi.

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