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a Gli standard dal dato materiale alla qualificazione giuridica Le ipotesi privatistica e

Capitolo I: Gli standard sotto un profilo sostanziale Profili ermeneutici, storici e giuridici della

I.4. a Gli standard dal dato materiale alla qualificazione giuridica Le ipotesi privatistica e

In merito al primo quesito, bisogna partire da una disamina degli standard sotto un profilo empirico e fenomenologico. Prima di rilevare a qualunque fine, sia esso giuridico tecnico e sociale, gli standard emergono principalmente come documenti recanti istruzioni, indicazioni e parametri tecnici236; come “significanti” anziché come “significato”, per utilizzare un’espressione che meglio ne qualifichi la peculiarità rispetto al concetto di norma. Da questa prima constatazione è opportuno delineare il rapporto esistente tra gli standard tecnici e l’ordinamento giuridico, e da ciò far

234 Sul punto, si vedano più nel dettaglio i capitoli II e III.

235 Si veda F. SALMONI, Le norme tecniche, cit., pp. 149-151. Si veda, sullo stesso tema, D. BEVILACQUA, Il free trade e l’agorà, Interessi in conflitto, regolazione globale e democrazia partecipativa, cit., pp. 19-23.

236 Nell’ambito ISO/IEC uno standard è definito come un «document, established by consensus and approved by a recognized body, that provides, for common and repeated use, rules, guidelines or characteristics for activities or their results, aimed at the achievement of the optimum degree of order in a given context». Si veda ISO/IEC Guide

2: 2004, p. 12 n. 3.2. Tale definizione sembra sostanzialmente condivisa in altri ambiti della normalizzazione a livello regionale e internazionale. Si veda, ad esempio, la definizione di standard fornita dall’ASME: «A standard

can be defined as a set of technical definitions and guidelines, “how to” instructions for designers, manufacturers, and users. Standards promote safety, reliability, productivity, and efficiency in almost every industry that relies on engineering components or equipment. Standards can run from a few paragraphs to hundreds of pages, and are written by experts with knowledge and expertise in a particular field who sit on many committees ». Sul punto, si

veda diffusamente la pagina divulgativa sul sito dell’American Society of Mechanical Engineers (ASME), all’indirizzo https://www.asme.org/ relativamente alla sezione About ASME (ultima visita: 25 ottobre 2018).

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discendere la qualificazione degli standard come meri fatti, fatti giuridici (naturali o umani) o atti giuridici.

Prendendo a modello la terminologia fatta propria dal codice civile – e quindi, con l’esclusione di ogni riferimento alla figura del “negozio giuridico237” –, sembrerebbe opportuno far rientrare gli standard nella prima categoria, quella dei meri fatti. A questa ragione è opportuno segnalare che, per l’ordinamento, gli standard tecnici sembrerebbero rilevare innanzitutto come fatti umani ai quali l’ordinamento riconduce effetti giuridici e financo obblighi in virtù di apposite disposizioni che ciò stabiliscono238.

A rigore di logica e per completezza espositiva, infatti, non sembrerebbe del resto plausibile la collocazione degli standard tra i fatti naturali, essendo gli standard un prodotto tipicamente umano. Inoltre, sembrerebbe da escludere la collocazione degli standard tra gli atti giuridici. Infatti, in relazione alle dichiarazioni di volontà, non si ravvede una volizione degli effetti giuridici dagli standard, né le tipiche caratteristiche proprie delle figure più comuni delle dichiarazioni di volontà e, in modo assorbente, del contratto239. Al contempo, non sembra nemmeno possibile configurare gli standard come dichiarazioni di scienza, in quanto, anche in questo caso, sono assenti gli elementi propri della figura240. Infatti, sebbene gli standard abbiano certamente la funzione di comunicare un certo assetto del “dover essere”, è palese che essi non hanno la funzione di dichiarare l’esistenza di un fatto giuridico, come proprio delle dichiarazioni di scienza, né di esplicare determinati effetti probatori241. In altre parole, ben si può

237 Si veda F. GALGANO, Diritto privato, CEDAM, Padova, 2009, pp. 23-28. Sul punto, per una disamina del

rapporto tra negozio giuridico e dichiarazioni di volontà, si veda anche A. TORRENTE - P. SCHLESINGER,

Manuale di diritto privato, Giuffré, Milano, 2015, pp. 199-205.

238 Si rammenti l’esempio già fatto in precedenza in merito alle emissioni di CO2: «Se voglio mantenere il livello di CO2 nell’aria pari o inferiore a una certa quantità X, dovrò ridurre il livello di emissioni del coefficiente Y, secondo lo standard Z». Nel momento in cui il legislatore imponesse ai consociati di non superare un livello di

emissioni pari a X, ne discenderebbe la logica obbligatorietà dello standard Z.

239 Si veda F. GALGANO, Diritto privato, cit., pp. 23-28. 240 Si veda ibidem.

241 Si vedano F. GALGANO, Diritto privato, cit., pp. 26-27; A. TORRENTE- P. SCHLESINGER, cit., pp. 200-

201; P. TRIMARCHI, Istituzioni di diritto privato, 19a edizione, Giuffré, Milano, 2011, pp. 52-55. Si veda anche, per un’analisi maggiormente incentrata sugli aspetti giusprocessualistici, G. GRASSELLI, L’istruzione probatoria

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utilizzare la formula adoperata da GALGANO quando affronta la distinzione tra fatti e atti giuridici: se gli atti giuridici sono “creati” dal diritto, i fatti giuridici sono “trovati” dal diritto, ipotesi quest’ultima che ben ricalca la natura sostanzialmente prestatale (o persino pre-giuridica) degli standard tecnici, quale prodotto assolutamente peculiare del mercato242.

Una lettura attenta del fenomeno della normalizzazione, tuttavia, spingerebbe a ritenere che non sia opportuno parlare neppure di fatti giuridici – per quanto umani – come detto, bensì di “meri fatti” ai quali l’ordinamento riconosce effetti giuridici243. La differenza è ben lungi dall’essere di carattere formale, per le ragioni che è qui opportuno discernere, ma presuppone il riconoscimento della natura autonoma dell’ordinamento nel quale scaturiscono le norme tecniche, nonché di una loro natura sostanzialmente ibrida244.

Del resto, la dottrina che ha sposato una lettura privatistica degli standard tecnici e la loro qualificazione come fatti giuridici, ha talora posto particolare attenzione agli aspetti afferenti al diritto d’autore, riconoscendo agli standard la natura di opere dell’ingegno, con tutte le conseguenze che tale definizione comporta245. Connotazione questa che merita, sotto certi profili, di essere condivisa, quanto meno laddove si abbia riguardo a un profilo sostanziale: gli standard sostanziati – ma ancor più gli standard tecnici stricto sensu quali gli standard ISO, CEN, ASME – sono il frutto di elaborazioni complesse sotto il profilo tecnico e scientifico e, come tali, sono meritori di tutela e di remunerazione246.

242 Si veda F. GALGANO, Diritto privato, cit., pp. 26-28.

243 In questo senso si vedano E. CHITI, La normalizzazione, cit., pp. 4040-4043; A. ZEI, Tecnica e Diritto tra Pubblico e Privato, cit., pp. 192-195; P. LAZZARA, op. cit., pp. 413-417.

244 Sul punto, si veda infra.

245 ZEI ad esempio fa discendere da questa qualificazione l’impossibilità di applicare al fenomeno della

normalizzazione le categorie ermeneutiche della teoria della pluralità degli ordinamenti. Per una riflessione approfondita sulle interazioni esistenti tra normalizzazione/standardizzazione e diritto della proprietà intellettuale, si veda V. TORTI, Intellectual property rights and competition in standard setting – Objectives and Tensions, Routeledge, Abingdon Oxon, 2016.

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In altri casi, l’uso di categorie giusprivatistiche è stato giustificato sulla base della non obbligatorietà degli standard tecnici247, elemento ormai messo fortemente in discussione dalla dottrina più recente che, in ragione anche dell’evoluzione intercorsa negli ultimi decenni, riconosce agli standard, persino quando di natura integralmente privata, forme di cogenza de facto248.

Conclusivamente sul punto bisogna rilevare come un’analisi della struttura degli standard sotto il profilo genetico, nonché della natura fortemente disomogenea degli stessi – per un verso vicini nella forma ai contratti-tipo diffusi nell’ambito dei commerci internazionali249 e per altro assimilabili, specialmente quando richiamati da direttive vincolanti governative o convenzionali250, a provvedimenti di carattere regolatorio o a fonti del diritto – induca giocoforza ad abbandonare una lettura puramente formale e giusprivatistica del fenomeno251.

Oltretutto, una qualificazione degli standard tecnici come meri fatti giuridici lascerebbe in parte privo di spiegazione l’interessamento dell’ordinamento giuridico

247 Si tratta di una posizione diffusa. Su tutti, esemplificativamente, si veda A. DE VALLES, Norme giuridiche e norme tecniche, in “Raccolta di scritti in onore di Arturo Carlo Jemolo”, Milano, 1963, pp. 180-185. Sotto un profilo

squisitamente formale, non può dirsi del resto che gli standard tecnici in quanto tali ambiscano ad assumere i caratteri dell’obbligatorietà. Di fatti, nella maggior parte dei casi, essi vengono concepiti come strumento d’ausilio, da adottare “su base volontaria”. Si vedano ad esempio gli statuti dell’UNI e del CEI, nonché le line guida di ISO e IEC già menzionate, che specificano il carattere facoltativo della normazione di tipo tecnico. Sul punto, si veda A. ZEI, Tecnica e Diritto tra Pubblico e Privato, cit., pp. 183-187. Per un esempio non europeo, si veda quanto statuito dall’ASME sulla propria pagina web dedicata alle FAQ: «Standards are considered voluntary because they serve

as guidelines, but do not of themselves have the force of law. ASME cannot force any manufacturer, inspector, or installer to follow ASME standards. Their use is voluntary. Standards become mandatory when they have been incorporated into a business contract or incorporated into regulations». Si veda https://www.asme.org/about-

asme/standards/about-codes-standards (ultima visita: 7 ottobre 2018).

248 Si veda P. LAZZARA, op. cit., pp. 431-433.

249 Si veda A. PREDIERI, Le norme tecniche come fattore di erosione e di trasferimento di sovranità, cit., pp. 1441.

Per un’introduzione ai contratti tipo, si consiglia di visitare il sito di UnionCamere all’indirizzo http://www.unioncamere.gov.it/P42A0C420S143/contratti-tipo.htm (ultima visita: 1 agosto 2018). Delle clausole contrattuali-tipo si è occupata anche l’ANAC nella recente Determinazione n. 618 dell’8 Giugno 2016.

250 Ne è un esempio l’intesa esistente tra il DIN e il Governo Federale Tedesco fin dal 1975. L’accordo impegna le

parti a un reciproco rapporto di collaborazione nella regolamentazione delle tecnologie. Si veda sul punto A. ZEI,

Tecnica e Diritto tra Pubblico e Privato, cit., pp. 36-39. Si veda anche A. PREDIERI, Norme tecniche come fattore di erosione e di trasferimento di sovranità, cit., pp. 1438-1439.

251 Altra cosa è invece la possibilità di qualificare la vincolatività degli standard come derivante dal concetto di

diligenza, nonché dalla teoria generale “delle condizioni generali di contratto”, come parrebbe suggerire MONTORO CHINER. L’A. analizza la possibilità che le norme tecniche rientrino nei parametri che deve rispettare il professionista / produttore al fine di agire con diligenza nella produzione / prestazione di servizio. Si veda a tal proposito M. J. MONTORO CHINER, Le norme tecniche ambientali e l’esperienza dell’ordinamento spagnolo, cit., pp. 212-216.

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verso le dinamiche della normalizzazione privata, che anzi ad essa tende ad affidare funzioni particolarmente delicate per la tenuta e il buon governo delle economie di intere nazioni252. Sotto questo profilo, si pensi alla già menzionata attività di armonizzazione delle legislazioni tecniche nel mercato unico europeo, affidata ai principi del mutuo riconoscimento delle normative tecniche degli Stati Membri da un lato e – ciò che qui maggiormente interessa – alla produzione di standard tecnici “europei” da parte di organismi di normalizzazione europea, che sono soggetti di diritto privato formalmente indipendenti dal potere politico e collettori a loro volta delle istanze provenienti dagli organismi di standardizzazione esistenti su base nazionale e regionale253. Come ulteriore riprova, si pensi agli innumerevoli richiami nelle normative degli Stati, sebbene con differenze nei modi e nel grado di affidamento254, agli standard tecnici come parametro di riferimento per garantire adeguati livelli di sicurezza, salubrità ed efficienza255. Tale dispiegamento di energie nei confronti della normalizzazione, che gli Stati in numerosi casi mirano a governare o a indirizzare al fine di garantirsi vantaggi comparativi in termini di primazia nella regolazione256,

252 Sul punto si è già potuto dire nei paragrafi precedenti e in relazione allo studio della storia della normalizzazione.

Per ulteriori dettagli, si veda infra.

253 Si veda E. CHITI, cit. La normalizzazione, pp. 4006-4035. Si veda anche, per una panoramica introduttiva sugli

aspetti economici, M. BIANCO – S. CHIRI, Le barriere tecniche al commercio internazionale, in “Competere in Europa: Mercato unico e capacità competitiva dell'industria italiana”, Il Mulino, Bologna, 1993, pp. 81-90. Si vedano anche, per un’analisi di dettaglio, H. SCHEPEL, The Constitution of Private Governance: Product

Standards in the Regulation of Integrating Markets, cit., pp. 37-75; A. ZEI, Tecnica e Diritto tra Pubblico e Privato,

cit., pp. 276-387.

254 Nel caso tedesco, ad esempio, l’affidamento è molto pronunciato se è vero che il DIN ha per contratto (Vertrag)

con il Governo Federale Tedesco il compito di produrre le regole della tecnica generalmente riconosciute. Ad esse il Governo ha la facoltà di rinviare attraverso disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, senza essere in alcun modo tenuto ad elaborare autonomamente regole tecniche destinate ai singoli casi. Sul punto si veda A. ZEI, Tecnica e Diritto tra Pubblico e Privato, cit., pp. 35-38. Parimenti profondo è l’affidamento fatto dagli Stati Uniti nei confronti degli organismi di standardizzazione americani, sebbene con formule decisamente meno vincolanti sotto un profilo formale. Infatti, esiste apposito Memorandum of Understanding tra l’American National Standard Institute (ANSI) e il National Institute of Standards and Technology (NIST) siglato nel 2000, sulla base del quale l’ANSI assume il ruolo di coordinatore dei processi di normalizzazione aventi luogo negli Stati Uniti, garantendo il rispetto di appositi principi, quali “due process, balance of interest, openess”. Si veda H. SCHEPEL,

The Constitution of Private Governance: Product Standards in the Regulation of Integrating Markets, cit., pp. 145-

155. Sul punto, sia consentito rinviare al nostro precedente scritto, M. DE ROSA, op. cit., pp. 22-23.

255 La normativa in materia è molto vasta. Per fare soltanto alcuni esempi per ciò che concerne l’esperienza italiana,

si vedano la legge n.186 del 1968 sulla sicurezza degli impianti elettrici e degli impianti a gas per uso civile e la legge n.46 del 1990 sulla sicurezza degli impianti tecnici civili.

256 Il punto sarà oggetto di ulteriore riflessione e interessa tanto il decisore pubblico nazionale quanto l’arena globale.

Si veda A. BENEDETTI, Certezza pubblica e “certezze” private, poteri pubblici e certificazioni di mercato, cit., pp. 20-24. Tuttavia, per un dato prettamente empirico, è possibile introdurre brevemente il tema della “regulatory

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porterebbero a smentire la lettura meramente giusprivatistica degli standard tecnici, inducendo l’interprete a indagare la possibilità di qualificare in senso pubblicistico il fenomeno preso in considerazione257. È così che si è tentato di ricomprendere gli standard tecnici nell’ordinamento giuridico secondo un’accezione di matrice pubblicistica, parimenti sfuggevole e non completamente calzante. Di fatti, pur volendo ricomprendere le norme tecniche tra le fonti del diritto, non si ravvede alcuna figura che possa in qualche modo paragonarsi ad esse258.

Nella specie, è ben chiaro che a meno di procedere alla formale incorporazione delle norme tecniche in atti legislativi o regolamentari259 – qualsiasi sia la gerarchia delle fonti presa a modello260– le norme tecniche non possono dirsi affini alla legge né tanto meno ai regolamenti261, per carenza dei requisiti oggettivi e soggettivi ad essi propri262.

standard ISO e IEC che vige in sede di applicazione del già menzionato trattato in materia di barriere tecniche al commercio (Accordo TBT), ritenendo tale opzione irrazionale e sostanzialmente discriminatoria del diverso modello di standardizzazione vigente negli Stati Uniti. Si veda, sul punto, H. SCHEPEL, The Constitution of Private

Governance: Product Standards in the Regulation of Integrating Markets, cit., pp. 186-187.

257 In alcune realtà giuridico-politiche, chiaramente, non vigono dubbi sulla natura pubblicistica degli standard. Si

veda come esempio la vicenda cinese, sulla quale si dovrà tornare in seguito, del tentativo effettuato dal Governo della Repubblica Popolare di promuovere come unico standard per la produzione di reti di comunicazione dati senza fili lo standard cinese WAPI, da sostituire al noto WIFI. Sul punto, si vedano a scopo introduttivo, Z. K. CROMER,

China's Wapi Policy: Security Measure or Trade Protectionism?, Duke Law & Technology Review, 2005, p. 18;

C. S. GIBSON, Globalization and the Technology Standards Game: Balancing Concerns of Protectionism and

Intellectual Property in International Standards, 22 Berkeley Tech. Law and Justice, 2007, pp. 1404-1406. 258 Si veda, per un chiaro rigetto della tesi pubblicistica, P. LAZZARA, op. cit., pp. 430-431. PREDIERI sostiene

invece la tesi in questione partendo dalle affinità di carattere procedurale che intercorrono tra la produzione di leggi e la produzione di norme tecniche. Si veda A. PREDIERI, Norme tecniche come fattore di erosione e di

trasferimento di sovranità, cit., pp. 1439-1440.

259 Si tratta di un’ipotesi oramai recessiva, soprattutto per le esigenze di flessibilità che lo sviluppo tecnologico e le

logiche del mercato richiedono. Si veda sul punto A. ZEI, Tecnica e Diritto tra Pubblico e Privato, cit., p. 430. Si veda più nel dettaglio infra, paragrafo II.3.a.

260 E con le precisazioni già fatte in merito all’applicabilità del concetto di gerarchia delle fonti medesimo, dalla

normalizzazione messo in crisi. Si veda G. TEUBNER, The King’s Many Bodies: The Self-destruction of Law’s

Hierarchy, cit., pp. 667-673.

261 Si veda P. LAZZARA, op. cit., pp. 430-431.

262 In termini generici, e dunque prescindendo dalla specificità degli ordinamenti, leggi e regolamenti sono nella

provincia esclusiva di soggetti giuridici incardinati nel circuito democratico. Ad esempio, nel nostro ordinamento le leggi sono prodotte esclusivamente dal Parlamento. Non diversamente, i regolamenti sono emanati da categorie specifiche, e la loro efficacia è, di regola, subordinata alla legge. Si veda T. MARTINES, Diritto costituzionale, a cura di G. SILVESTRI, Giuffré, Milano, 2007, pp. 35-38. Peraltro, appare evidente come neppure in ambito europeo gli standard tecnici sono prodotti al termine del rituale procedimento legislativo ivi regolamentato. Sul punto, si veda U. VILLANI, op. cit., pp. 209-222. Si veda anche S. SASSI, Processo legislativo europeo e centri di influenza, in “Percorsi costituzionali”, n. 3/2012, Fondazione Magna Carta, CEDAM, Roma, 2012, pp. 111-131.

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Con particolare riferimento alla fonte regolamentare, generalmente ascritta dalla dottrina alla categoria degli “atti normativi263”, appare tuttavia opportuno un confronto più particolareggiato. La struttura delle fonti del diritto denominate “atti normativi” è, tradizionalmente, articolata in due elementi: un atto giuridico, che costituisce l’elemento formale e si distingue dunque dal fatto giuridico; e un contenuto normativo, elemento sostanziale, che può contenere una o più disposizioni giuridiche contraddistinte dall’efficacia giuridica propria delle norme di un’ipotetica fattispecie astratta264.

Qualora si ritenessero gli atti normativi come distinti dalla legge, come asserito da dottrina autorevole265, e ove si riconosca ai medesimi “efficacia giuridica” – ovverossia, la capacità di essere fonte di diritto obiettivo 266– sembrerebbero rilevanti le similitudini esistenti tra i regolamenti e gli standard tecnici. Entrambi infatti non sono emanazione del potere legislativo e sembrerebbero produrre, in termini complessivi, diritto obiettivo, il quale va inteso al contempo come un insieme di posizioni giuridiche definite nonché come un ordine affinché tali posizioni vengano tenute267.

Tuttavia, appare dirimente la considerazione che il potere regolamentare, quand’anche non fosse esclusivamente in capo all’Amministrazione – come accade oramai in numerosi ordinamenti268 –, presuppone una base legittimante, che la dottrina

263 Si veda, in questi termini, G. GRECO, I regolamenti amministrativi, Giappichelli, Torino, 2013, pp. 29-34. 264 Ibidem.

265 Si veda V. CRISAFULLI, (voce) Atto normativo (diritto costituzionale), in Enciclopedia del Diritto, vol. IV,

Milano, Giuffré, 1959, pp. 238-260.

266 Si veda G. GRECO, I regolamenti amministrativi, cit., pp. 29-34.

267 Per una definizione assai chiara di cosa sia il diritto obiettivo, si veda F. BENVENUTI, L’ordinamento repubblicano, in “Scritti giuridici”, Vita & Pensiero, Milano, 2006 pp. 643-646. In particolare l’A. mette in rilievo

come il diritto obiettivo si configuri come “ordine” nel duplice senso di “ordinamento” – un insieme ordinato di relazioni – e “comando” – la precisa indicazione coercitiva affinché quell’insieme di relazioni sia ordinato nel modo specificamente richiesto dalle disposizioni normative.

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fa discendere da fonti diverse, quali la discrezionalità politico-amministrativa269, la legge (in virtù di apposita delega)270, l’autonomia dell’Amministratore-Governatore271. Orbene, appare alquanto evidente che, eccettuate le occasioni di delega esplicita fatte agli Enti di Normalizzazione272, questi ultimi non vantano alcuna legittimazione diretta ad emanare regolamenti, né del resto possono gli standard e le norme tecniche ivi incorporate essere interpretati conformemente ai principi di generalità e astrattezza che sono propri dei regolamenti così come delle leggi, con il corredo di corollari da ciò derivanti (ad esempio, il principio iura novit curia nonché l’obbligo di pubblicazione)273.

In considerazione di quanto detto, è possibile escludere in radice l’assimilabilità degli standard tecnici alle fonti-atto. Di contro, riconoscendo in modo peculiare agli standard la natura di fatti, bisogna provare ad ipotizzare una loro assimilabilità alla categoria delle fonti-fatto274. Sotto questo profilo, emerge chiaramente che gli standard tecnici non possono nemmeno rientrare nella categoria delle consuetudini (che si configurano come fonti di terzo grado), essendo gli standard documenti scritti e

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