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c La qualifica di “normalizzatore globale”, tra normalizzatori apparenti e normalizzator

Capitolo II: I soggetti e gli strumenti della normalizzazione Tassonomia dei produttori di standard

II.2. c La qualifica di “normalizzatore globale”, tra normalizzatori apparenti e normalizzator

Prima di intraprendere l’analisi degli strumenti della normalizzazione, è giunto il momento di abbandonare l’ipotesi di equivalenza tra standard internazionali e standard globali che si era convenzionalmente adottata al principio di questo capitolo564. Per essere anzi più precisi, è giunto il momento di vagliare se l’ipotesi in oggetto sia verificata e l’equivalenza predetta trovi riscontro nella realtà.

561 Si veda a questo fine il sito istituzionale del World Standards Cooperation,

https://www.worldstandardscooperation.org/about/ (ultima visita: 30 novembre 2017).

562 Si veda supra, paragrafo II.1.b. 563 Si veda supra, paragrafo II.1.c. 564 Si veda supra, paragrafo II.1.b.

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Come già argomentato in altra sede, la denominazione “standard internazionali” è spesse volte affiancata dalla denominazione “standard globali” nel lessico adoperato in dottrina565, e fa da contraltare ad altre formule meno comuni che adoperano le parole latine “ultra” o “supra”566. Sempre in quella sede, si è argomentato che un modo particolarmente efficace di denominare gli standard tecnici internazionali sia la perifrasi “standard privati internazionali”, affinché gli stessi vengano distinti dagli standard nazionali di natura privata o pubblicistica567.

Come abbiamo riportato nelle pagine scorse, l’OMC riconosce un primato agli standard tecnici internazionali e, tra essi, assegna agli standard ISO ed IEC, ma ancor più agli standard prodotti dalla Codex Alimentarius Commission, dall’International Office of Epizootics, e dalle organizzazioni internazionali e regionali che operano nel contesto dell’International Plant Protection Convention568, un ruolo preminente e financo una presunzione di “internazionalità”.

Orbene, gli standard de quibus possono dunque definirsi “standard (tecnici, alimentari, fitosanitari) internazionali” in ragione del carattere internazionale degli organismi che li producono, che dunque definiremo, opportunamente, normalizzatori internazionali. È lecito, tuttavia, ritenere che gli stessi standard appena menzionati si configurino anche come “standard globali”, essendo gli stessi in grado, come abbiamo già visto e vedremo in seguito, di incidere sul diritto amministrativo globale569. In altre parole, se l’internazionalità degli standard discende dal carattere internazionale del normalizzatore che li produce (ad esempio, la Codex Alimentarius Commission), come del resto affermato anche dalle decisioni assunte dagli organi giusdicenti dell’OMC, la

565 Sia consentito rimandare a M. DE ROSA, op. cit., pp. 6-7. 566 Si veda ibidem.

567 Si veda ibidem.

568 Si veda l’Accordo SPS sull’applicazione delle misure sanitarie e fitosanitarie e, in particolare, l’art. 3.4:

«Members shall play a full part, within the limits of their resources, in the relevant international organizations and

their subsidiary bodies, in particular the Codex Alimentarius Commission, the International Office of Epizootics, and the international and regional organizations operating within the framework of the International Plant Protection Convention, to promote within these organizations the development and periodic review of standards, guidelines and recommendations with respect to all aspects of sanitary and phytosanitary measures».

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loro qualificazione come standard globali discende dalla loro capacità ed effettività giuridica globale e transnazionale.

A questo punto, bisogna domandarsi se sia possibile immaginare standard globali che non siano al contempo standard internazionali e, parallelamente, se un normalizzatore internazionale possa definirsi anche “globale” allorquando i propri standard posseggano quella particolare efficacia giuridica. Quid iuris, poi, nel caso in cui uno standard assuma una portata globale, ma non rientri tra gli standard internazionali indicati negli accordi istitutivi dell’OMC o in altri accordi afferenti, ad esempio, all’ambito finanziario internazionale?

Il problema che poniamo sembrerebbe di scuola, se non avesse già generato alcune problematiche interpretative. Esso del resto appare strettamente connesso con la distinzione che intercorre tra la qualificazione di “internazionale” e quella di “globale” in ambito giuridico-economico. Come noto infatti, un fenomeno si dice “internazionale” quando coinvolge più stati e/o ha una natura che, seppur non necessariamente in termini di gerarchia delle fonti del diritto570, travalica la dimensione statuale-nazionale571. Differentemente, un fenomeno può dirsi globale se esso prescinde dalla portata gerarchica e dalla dimensione statuale, nazionale o internazionale, ma ha una proiezione totale, olistica e che coinvolge l’interezza di un sistema (es. del sistema giuridico)572.

570 Ciò è noto, ad esempio, per ciò che concerne gli Stati Uniti. Negli Stati Uniti, sebbene con differenze marcate

tra il diritto pattizio e quello consuetudinario, le norme internazionali sono derogate frequentemente in favore delle disposizioni di diritto nazionale. Tale assunto è dimostrato dalla frequenza con la quale occorrono casi di extraterritorialità della legislazione nazionale statunitense, talora in violazione di consolidati principi del diritto internazionale. Sul punto, si veda ex multis P. HAY, Law of the United States, IV edizione, C. H.Beck, Monaco, 2016, pp. 306-313.

571 Il diritto internazionale è concepito come diritto ulteriore e diverso rispetto a quello nazionale, in tutti gli

ordinamenti cosiddetti “dualistici”. Il diritto internazionale consuetudinario è recepito nel nostro ordinamento per il tramite dell’art. 10, 1° comma, della Costituzione, noto anche come “trasformatore permanente” per utilizzare la formula di successo del PERASSI. La norma in oggetto opera dunque un rinvio formale all’ordinamento internazionale, consentendo l’ingresso di quelle norme consuetudinarie che non violino i principi fondamentali dell’ordinamento. Il punto è oggetto peraltro di riflessioni, in seguito alla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 238 del 22 ottobre 2014, successiva alla pronuncia della Corte Internazionale di Giustizia sul caso Germania c.

Italia del 3 febbraio 2012. Ex multis, si veda N. RONZITTI, op. cit., pp. 243-245.

572 Cfr. Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti (Treccani), s. v. “internazionale” e “globale”. Il punto è

trattato dalla dottrina in numerosi contesti. Per una spiegazione chiara di questa differenza, che tiene conto della natura non gerarchica del diritto globale se rapportato a quello internazionale, si veda l’introduzione al più volte

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Da quanto affermato, e con debita considerazione per le caratteristiche proprie della normalizzazione nel contesto delle interdipendenze economiche, bisogna concludere per il riconoscimento dell’esistenza di standard (siano essi tecnici, sanitari, finanziari o di altra natura), che, pur non essendo internazionali, hanno portata “globale”. Tra essi, oltre agli esempi già menzionati, non possiamo non fare riferimento agli standard tecnici imposti dagli operatori di mercato che, a vario titolo, forniscono servizi di cui usufruisce massicciamente il pubblico (si pensi ai colossi americani IBM Co., Microsoft Co., Google Inc., che hanno in numerosi casi imposto nell’industria informatica standard ampiamente trainati dalla loro stessa forza di mercato), ma anche a tutti quegli standard che emergono, motu proprio, dalle opportunità di interdipendenza ad oggi esistenti.

Un ulteriore elemento da sottolineare è che se un normalizzatore – sia esso nazionale, regionale, internazionale, pubblico o privato – produce standard capaci di modificare l’ordinamento giuridico in maniera trasversale, tale normalizzatore dovrà considerarsi al contempo un “normalizzatore globale”. Anzi, bisogna ipotizzare che persino soggetti che non fanno della normalizzazione la loro attività principale abbiano le potenzialità di produrre standard a carattere globale.

Il quadro appena delineato, posto nei termini appena esaminati, appare connotato da un eccesso di astrazione, ma diverrà più chiaro con un esempio concreto. L’American Society of Mechanical Engineers [Associazione americana degli ingegneri meccanici], anche nota con l’acronimo ASME, produce numerosi standard di particolare successo su scala planetaria. Gli standard in oggetto sono dunque prodotti

citato Global Administrative Law: The Casebook”, 3rd. edizione Kindle, IRPA, 2012. Nell’introduzione suddetta, a cura di S. CASSESE, B. CAROTTI, L. CASINI, E. CAVALIERI, E. MACDONALD, si sottolinea in particolar modo il carattere sostanzialmente privatistico (prevalentemente contrattuale) delle obbligazioni scaturenti in ambito globale, che per tale ragione vanno tenute ben distinte dalle obbligazioni che nascono nell’ambito del diritto inter

gentes che, oltre ad una chiara connotazione giuspubblicistica, si rifà ad una tradizione speculativa e dottrinaria

molto più risalente. Un ulteriore ausilio alla comprensione del problema de quo è fornito da B. KINGSBURY, in particolare laddove egli analizza le ragioni per le quali «The idea of a ‘global administrative space’ marks a

departure from those orthodox understandings of international law in which the international is largely inter - governmental, and there is a reasonably sharp separation of the domestic and the international. In the practice of global governance, transnational networks of rule-generators, interpreters and appliers cause such strict barriers to break down». Si veda B. KINGSBURY, The concept of "Law", cit., pp. 25 e ss.

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da un’organizzazione privata, sono riconosciuti come standard americani, ma la loro valenza va ben al di là dell’ordinamento (non solo giuridico, ma anche “economico”) statunitense. Ebbene, si potrebbe essere tentati di definirli standard internazionali, in quanto essi sono diffusi oltre il livello nazionale e quello regionale. Tuttavia, come ampiamente argomentato sulla scorta della giurisprudenza scaturita in sede OMC, il riconoscimento come standard internazionale – quanto meno alla luce del diritto del commercio internazionale – avviene in relazione a precisi requisiti (come la trasparenza e la già analizzata “apertura a tutti i potenziali e rilevanti normalizzatori”), che in moltissimi casi non sussistono in presenza di forme di normalizzazione come quella ASME. Quid iuris allora con riferimento all’efficacia giuridica di portata globale propria degli standard ASME? Tale elemento – che era stato ritenuto insufficiente a connotare uno standard come internazionale573– si impone adesso nella qualificazione degli standard globali. In altre parole, bisogna domandarsi se l’efficacia giuridica di fatto di standard come quelli prodotti dall’ASME permetta di qualificarli come globali.

Quanto detto fin qui certo non esclude di continuare a qualificare gli standard prodotti dai normalizzatori internazionali quali standard internazionali, come avviene ad esempio in ambito finanziario. Tuttavia, proprio con riferimento all’esperienza maturata in ambito OMC appena ricordata, appare forse ancor più evidente come la caratterizzazione internazionale e quella globale rispondano a logiche in parte differenti, sebbene, in alcuni contesti, sovrapponibili.

Per un maggiore chiarimento della materia appena esaminata, appare pertinente far riferimento al noto fenomeno “Bitcoin”, interessante anche per esaminare i costi necessariamente legati alla rinuncia alla regolamentazione da parte degli operatori pubblici. Il “Bitcoin” o “bitcoin”, a seconda che si parli del protocollo informatico di comunicazione o della particolare tipologia di moneta che ad esso afferisce (criptovaluta)574, è fenomeno che nasce spontaneamente dal mercato sulla base di

573 Si veda supra, paragrafo II.1.

574 Per una disamina assai attenta e financo pioneristica del fenomeno “Bitcoin”, sia per ciò che concerne l’aspetto

definitorio e normativo, sia per ciò che concerne aspetti specifici come quello fiscale e quello tributario, si rimanda integralmente all’articolo di A. CAPOGNA, L. PERAINO, S. PERUGI, M. CECILI, G. ZBOROWSKI, A. RUFFO,

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un’applicazione avanzata della crittografia a chiavi asimmetriche usata in numerosi settori, quali la firma digitale e i protocolli di sicurezza informatica575. Tralasciando gli aspetti tecnici che necessariamente trascendono l’oggetto di questo lavoro, e per i quali si rimanda ai contributi richiamati nelle note bibliografiche, emergono almeno due profili che potrebbero attribuire ai parametri tecnici e teorici alla base di “bitcoin” la natura di standard globali576.

In primo luogo, i principi alla base del bitcoin (come la natura solo virtuale della valuta, la modalità peer to peer, l’assenza di intermediari, l’utilizzo di determinati algoritmi) hanno valenza globale, nella misura in cui essi possono essere replicati – laddove ve ne siano le capacità infrastrutturali 577– in altri contesti. Vale a dire, essi costituiscono le istruzioni tecniche alla base del sistema, che come tali sono equiparabili – relativamente all’elemento precettivo – a veri e propri standard tecnici.

In secondo luogo, anche considerata la forte divergenza di approccio nei confronti del fenomeno a livello internazionale e lo scarso grado di armonizzazione internazionale578, i principi alla base del bitcoin appaiono ad oggi, per molti aspetti, cogenti nella misura in cui il sistema sia effettivamente replicato579. Ciò del resto si

Bitcoin: profili giuridici e comparatistici. Analisi e sviluppi futuri di un fenomeno in evoluzione, Diritto Mercato e

Tecnologia, n. 3/2015, pp. 32-74.

575 Per alcune riflessioni sulla crittografia a chiavi asimmetriche, si vedano genericamente le riflessioni in materia

di firma digitale in R. BORRUSO, S. RUSSO, C. TIBERI, L’informatica per il giurista, Giuffré, Milano, 2009, pp. 41-73.

576 Si ricorda che tali parametri sono stati analizzati nel 2009 dall’opera di S. NAKAMOTO “P2P Electronic Cash System”, poi messa in pratica con il lancio della piattaforma informatica “Bitcoin” l’anno seguente. Si veda A.

CAPOGNA, L. PERAINO, S. PERUGI, M. CECILI, G. ZBOROWSKI, A. RUFFO, op. cit., pp. 33-35.

577 L’attività in oggetto richiede una notevole capacità di calcolo, soprattutto per ciò che riguarda la necessaria

attività complementare di “mining”. Si veda ibidem, p. 38. In merito al consumo energetico legato alla produzione di bitcoin e alla relazione tra energia e moneta in ambito virtuale, si veda anche V. BERLINGO’, Il fenomeno della

datafication e la sua giuridizzazione, Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, fasc. 3, 1 settembre 2017, pag. 641 ss. 578 Vi sono infatti stati che hanno provveduto a una regolamentazione del fenomeno in senso restrittivo, come la

Repubblica Popolare Cinese, il Regno di Thailandia, la Repubblica dell’Ecuador e di recente la Federazione Russa, e stati che, per ragioni politiche o economiche, hanno riservato al fenomeno ampi margini di manovra, come avvenuto nella Repubblica Islamica dell’Iran e in Kenya. Per ciò che riguarda la realtà europea, al netto di un sostanziale proliferare di approcci al fenomeno distinti su base nazionale, come il sostanziale favore espresso in Gran Bretagna (a cui fa eco quello australiano) e l’approccio maggiormente teso alla regolamentazione proprio della Germania, emerge un orientamento, suffragato dall’Autorità Bancaria Europea, di diffidenza del settore bancario con riferimento all’acquisto di criptovaluta. Si veda ibidem, pp. 53-54.

579 Sul punto si veda ibidem a p. 57, che cita anche C. LEONARDI, Bitcoin e i suoi fratelli: piccola guida al denaro virtuale, in “La Stampa”, 24 gennaio 2014, reperibile alla pagina del quotidiano online

http://www.lastampa.it/2014/01/24/tecnologia/bitcoin-e-i-suoi-fratelli-piccola-guida-al-denaro-virtuale- JiVsnuJwl2h7Nn1hNHGkCK/pagina.html (ultima visita: 14 ottobre 2018).

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verifica, come nel caso di specie, proprio dove più evidente è il vuoto regolatorio, in quanto standard di natura non cogente possono assumere una capacità normativa primaria in assenza di standard internazionali di natura cogente580.

L’esperienza del bitcoin appare dunque illustrativa di un ulteriore elemento: la carenza di standard internazionali – definiti su base consensuale – lascia margini di manovra molto ampi nei quali possono proliferare fenomeni distorsivi del sistema581. È del resto a questa carenza sul piano definitorio che si legano le eventuali difficoltà sul piano regolatorio, sia di carattere squisitamente amministrativo582 che di carattere fiscale-tributario583. Ciononostante, la carenza di standard internazionali non determina necessariamente l’inesistenza di standard globali, a cui fanno capo normalizzatori che – nel caso del bitcoin – appare sensato definire “non apparenti”, in quanto pur avendo gli stessi dettato gli elementi fondanti della materia, essi non esercitano abitualmente la funzione di normalizzazione.

Un ulteriore campo di indagine relativo alla normalizzazione nel quale la distinzione trattata poc’anzi appare forse meno opinabile è quello farmaceutico. Si è già detto di come gli standard tecnici in ambito farmaceutico siano sviluppati da molteplici organismi, afferenti ad organizzazioni internazionali di vario profilo e

580 Data la complessità dei processi da un punto di vista tecnico e tecnologico, le procedure informatizzate in ambito bitcoin devono necessariamente basarsi su moduli predefiniti. Sebbene il dato non sia dirimente, dato il ripetersi

continuativo e su larga scala degli stessi precetti logici e informatici, i parametri che determinano il funzionamento della valuta elettronica potrebbero qualificarsi dunque come standard. Per un’enucleazione dei principi che regolano il Bitcoin, si veda R. BOCCHINI, Lo sviluppo della moneta virtuale: primi tentativi di inquadramento e disciplina

tra prospettive economiche e giuridiche, Diritto dell'Informazione e dell'Informatica (Il), fasc.1, 1 febbraio 2017,

pag. 27 ss.

581 Si tratta, infatti, di un tipico caso dove la regolazione si prospetta necessaria perché difficilmente il mercato

interviene a riequilibrare le posizioni in gioco. Si veda MANNONI – G. STAZI, Is competition a click away? Sfida

al monopolio nell’era digitale, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018, pp. 65-67.

582 Si veda ad esempio la recente sentenza del Tribunale di Verona, sez. II, 24/01/2017, n. 195, che ha qualificato la

compravendita di valute virtuali come operazione ad alto rischio, tale pertanto da innescare i copiosi obblighi di informazione dell’acquirente da parte di colui che ne pubblicizzi la vendita, alla stregua degli artt. 67 e ss. del Codice del Consumo (in analogia, dunque, con quanto previsto per la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori).

583 Per ciò che concerne quest’ultimo settore, ad esempio, la sentenza della Corte di giustizia UE, sez. V, 22/10/2015,

n. 264, richiamata anche in A. CAPOGNA, L. PERAINO, S. PERUGI, M. CECILI, G. ZBOROWSKI, A. RUFFO, op. cit., p. 44. Nella sentenza citata la Corte sostiene che l’attività di cambio di valuta tradizionale (euro o altra valuta) contro unità della valuta virtuale “bitcoin”, effettuata in ragione del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra il prezzo al quale l'operatore acquista le valute e il prezzo al quale le rivende, costituisce operazione esente dall'imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 135, par. 1, lettera e), della direttiva 2006/112.

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competenza geografica584. Tuttavia, non si è ancora preso in considerazione l’elemento della maggiore o minore “apparenza” della normalizzazione in ambito farmaceutico. In uno studio sull’autorità normativa delle linee guida dell’ICH (International Conference on Harmonization), DAGRON ha fatto luce sull’incidenza che ha l’adesione ad un determinato sistema di normalizzazione nella valutazione sulla legittimità o meno di uno standard585. Nella specie, l’Autore prende ad esame tre ipotesi distinte, che è bene passare in rassegna.

Un primo caso è quello – meno problematico – in cui il contesto normativo di destinazione delle guidelines sia parte dell’ICH o ne abbia esplicitamente riconosciuto il valore normativo. È questo il caso dell’Unione Europea, che ha dato alle linee guida dell’ICH lo stesso valore di qualsiasi linea guida in ambito scientifico proveniente dall’Unione Europea, consentendo alle medesime di sostituire la normativa pregressa586. Si tratta di un chiaro caso di recepimento, di cui diremo nelle pagine seguenti, che non pone particolari problemi per l’interprete. Pur conservando un carattere formalmente volontario, le linee guida assumono de facto una capacità normativa loro propria in virtù del riconoscimento ottenuto587.

Un secondo caso – sostanzialmente riconducibile alla prima ipotesi – è quello in cui determinati stati, pur non essendo parte nelle attività del normalizzatore, decidano di incorporare tali strumenti o di dar loro un peso giuridico equiparabile a quello che tali strumenti detengono negli stati parte (rectius, negli stati che partecipano dell’attività di normalizzazione)588. È questo il caso di Swissmedic e Health Canada, che riconoscono alle linee guida dell’ICH un valore pressoché similare a documenti amministrativi cogenti de facto589.

584 Si veda supra, paragrafo II.1.c.

585 Si veda S. DAGRON, Global Harmonization Through Public-Private Partnership: The Case of Pharmaceuticals, cit., pp. 9-12.

586 Ibidem. 587 Ibidem. 588 Ibidem. 589 Ibidem.

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Il terzo ed ultimo caso fa riferimento a quegli stati che non solo non sono parte dell’ICH, bensì non hanno accettato i suoi standard tecnici in ambito farmaceutico, eventualmente perché contrari ai propri interessi. È infatti possibile che gli standard ICH – in virtù della forza di mercato detenuta tanto dagli utilizzatori quanto dai produttori dei medesimi – acquisiscano forme di cogenza atipica: in proposito, si faccia l’ipotesi di uno standard ICH adottato da una multinazionale che produce prodotti farmaceutici in un paese in via di sviluppo. Nel caso di specie, ben può accadere che la forza di mercato della multinazionale renda lo standard cogente, costringendo le imprese autoctone ad adeguare – ove possibile – la produzione ai canoni produttivi divenuti de facto obbligatori590. Tale approccio, del tutto lecito in termini di politiche commerciali adottabili, rischia di produrre effetti indesiderati ed iniqui, come alcune organizzazione internazionali non hanno mancato di sottolineare591.

In queste ipotesi, dunque, standard che non si configurano come internazionali acquisiscono una cogenza globale e penetrano gli ordinamenti di altri stati. Ciò peraltro prescindendo dalle considerazioni, altrettanto attuali, in merito a chi veicola la produzione di quegli stessi standard. Infatti, laddove la produzione sia spinta dalle associazioni di categoria e, in ultima analisi, dalle medesime multinazionali interessate ad acquisire nuove porzioni di mercato su scala globale, appare evidente che l’interesse primario della normalizzazione potrebbe non esser più la qualità della produzione,

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