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a Fonti di legittimazione della normalizzazione: la delega e il “munus publicum”

Capitolo II: I soggetti e gli strumenti della normalizzazione Tassonomia dei produttori di standard

II.4. a Fonti di legittimazione della normalizzazione: la delega e il “munus publicum”

Nel primo capitolo si è fatto spesse volte riferimento alle teorie che a vario titolo hanno tentato di spiegare la natura delle norme tecniche e, a fortiori, del fenomeno della normalizzazione inteso sotto il profilo giuridico-sociale644. Si sono peraltro registrate le forti divergenze esistenti in dottrina, ad esempio con riferimento

641 Si parla in proposito anche di “Institutional Performance”. Bisogna a questo proposito riconoscere che una parte

della dottrina non ha escluso che il volontario assoggettamento alle norme tecniche possa configurarsi come un’attribuzione di legittimità ai normalizzatori da parte dei soggetti direttamente interessati dalla standardizzazione. In questo senso, dunque, l’efficienza e la qualità diventerebbero elementi di primo rilievo per determinare la legittimità costituzionale delle norme tecniche. Si veda M. J. MONTORO CHINER, Le norme tecniche ambientali

e l’esperienza dell’ordinamento spagnolo, cit., pp. 218-219. 642 Si veda P. NANZ, op. cit., pp. 64-67.

643 Si veda infra, paragrafo II.4.b.

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all’applicabilità o meno delle teorie dell’ordinamento giuridico e degli ordinamenti giuridici sezionali al fenomeno della standardizzazione645. Più da vicino, parlando di diverse tecniche di rinvio, si è messo in luce come parte della dottrina contesti la qualificazione del rinvio alle norme tecniche come rinvio in senso proprio, e ricorra a varie formule che sottintendono la negazione della giuridicità delle norme tecniche646. Tra le innumerevoli teorie che si sono menzionate, tuttavia, ve ne è una che a parer nostro merita un’attenzione particolare e, in un certo senso, nuova alla luce del diritto globale e delle sue dinamiche: si tratta della teoria del munus.

Già PREDIERI, in alcuni scritti a cavallo del nuovo millennio647, utilizzava la formula del “munus publicum” per far rientrare le norme tecniche nella sfera del sindacato del giudice amministrativo648. Per far ciò, egli arrivava alla conclusione che i normalizzatori privati – associazioni non riconosciute – dovessero essere posti in analogia con i concessionari di pubblici servizi, di munera per l’appunto, e i cui atti si configurerebbero come atti amministrativi649. Da ciò non sorprende, pertanto, come lo stesso PREDIERI fosse portato a non categorizzare le relazioni afferenti alla normalizzazione come esplicazione di un ordinamento giuridico650, come invece propugnato da altri autori.

L’approccio in oggetto ha riscontrato tanto il favore di una parte della dottrina651, quanto un sostanziale scetticismo652. A nostro avviso, prescindendo dunque dal modello esplicativo che si voglia adottare, la teoria del “munus” ha il pregio di spiegare un particolare meccanismo / fonte legittimante che sembra non solo molto comune, bensì sostanzialmente onnicomprensivo in ambito globale: la delega.

645 Si veda supra, paragrafo I.4. 646 Si veda supra, paragrafo II.3.

647 Si vedano in particolare i già citati A. PREDIERI, Le norme tecniche nello stato pluralista e prefederativo, cit.,

pp. 251 ss.; IDEM, Le norme tecniche come fattore di erosione e di trasferimento di sovranità, cit., 1996.

648 Si vedano A. PREDIERI, Le norme tecniche nello stato pluralista e prefederativo, cit., pp. 291-295; IDEM, Le norme tecniche come fattore di erosione e di trasferimento di sovranità, cit., pp. 1438-1440; F. SALMONI, Le norme tecniche, cit., pp. 374-380.

649 Si veda A. PREDIERI, Le norme tecniche nello stato pluralista e prefederativo, cit., pp. 292-295. Il punto è ben

spiegato da F. SALMONI, Le norme tecniche, cit., pp. 93-95.

650 Si veda F. SALMONI, Le norme tecniche, cit., pp. 93-95. 651 Ivi, pp. 374-380.

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Come già sottolineato, la delega costituisce una fonte di legittimazione e, in un ordinamento costituzionale, di legittimità653. Essa determina un trasferimento momentaneo del potere delegato, che nell’ambito della normalizzazione assume un carattere peculiare: il soggetto delegante non delega tanto un potere di agire, bensì “riconosce” l’attività svolta dal normalizzatore – che fa propria – rinunciando ad esercitare quel potere per ragioni disparate (es. opportunità, buon andamento, efficienza654). Ciò è tanto più vero nel contesto globale, dove le scarne strutture a corredo delle organizzazioni internazionali con proiezione globale obbligano le stesse organizzazioni a servirsi non solo dell’expertise maturata in ambito nazionale, bensì a maggior ragione di quella emergente a livello transnazionale.

Per verità, le riflessioni appena condotte abbisognano di un chiarimento. Infatti, parlare genericamente di “munus” risulta in parte impreciso perché, come autorevole dottrina non ha mancato di sottolineare655, esso indica soltanto una forma specifica di ufficio (l’ufficio in senso soggettivo) nella sua forma più elementare: ovverossia, il modello nel quale un soggetto dell’ordinamento, in base alle norme di quell’ordinamento, riceve il compito (munus) di prendersi cura di un interesse altrui656. L’espressione, tratta dal Codex Juris canonici (Can. 145, 1657), appare oggi applicabile non soltanto a soggetti persone fisiche, ma anche a persone giuridiche o in ogni caso ad enti plurisoggettivi, e descrive pertanto tutte quelle fattispecie dove il soggetto affidatario è investito di una potestà658.

In contrapposizione e come evoluzione del “munus” è invece opportuno menzionare l’“officium” (ufficio soggettivo pubblico) che è parte degli strumenti di cui gli enti di fatto si dotano per portare a termine le proprie attività: si pensi ai sindacati o ai partiti politici, che nel nostro ordinamento hanno conservato la natura di associazioni

653 Si veda P. NANZ, op. cit., p. 62.

654 Sotto questo profilo, si veda in particolare M. DE BELLIS, Certification and Climate Change. The Role of Private Actors in the Clean Development Mechanism (CDM), cit., pp. 759-770.

655 Si veda, per una esplicitazione chiara del punto, M. S. GIANNINI, Corso di diritto amministrativo – Dispense Anno Accademico 1964-1965, cit., pp. 144-152.

656 Ivi, pp. 144-145.

657 «Officium ecclesiasticum est quodlibet munus ordinatione sive divina sive ecclesiastica stabiliter constitutum in finem spiritualem exercendum.»

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non riconosciute (nel caso dei sindacati, non applicando mai i commi secondo e terzo dell’articolo 39 della Costituzione) e che operano secondo istituti di diritto privato – officia (segretari, consigli nazionali) – impropriamente chiamati nel lessico quotidiano “organi”659.

Per entrambe le figure, il punto nevralgico e di più difficile esegesi è l’imputazione660, ovverossia la definizione di quali atti si imputano e a chi. Tuttavia, per ciò che interessa il nostro discorso, è bene sottolineare come – se di un ufficio bisogna parlare – appare molto più logico sposare la tesi del “munus” in quanto nell’ambito della normalizzazione l’attività di produzione di standard non è svolta in favore dell’ente di fatto – associazione non riconosciuta (come avverrebbe per l’officium661), ma, oltre ad essere del tutto autonoma rispetto alla funzionalità dell’ente medesimo, si dirige all’esterno e ha funzione servente verso soggetti ulteriori e il mercato inteso nel suo complesso662. Sotto quest’ultimo profilo, il munus che qui interessa è quello pubblico e non privato, perché – ove si sposi la tesi di cui si discute – è chiaro che la funzione di normalizzazione tecnica ha luogo a beneficio della collettività o quanto meno di intere categorie produttive (e non, invece, a beneficio di singoli individui663).

Nonostante le numerose remore nutrite da parte della dottrina nei confronti della teoria del munus in rapporto alla normalizzazione, non si può trascurare che la teoria in oggetto sia una buona base per comprendere la legittimità del rinvio mobile esercitato dal legislatore verso le norme tecniche di matrice privatistica e/o ibrida. In ambito europeo, ad esempio, il ruolo dei normalizzatori CEN, CENELEC, ETSI è riconosciuto direttamente in via normativa attraverso un regolamento664, e dunque i tre

659 Ivi, pp. 148-149. 660 Ivi, pp. 149-151.

661 M. S. GIANNINI afferma in proposito: «L’officium non è che al servizio di un ente di fatto». Si veda ibidem. 662 Si veda A. ZEI, Tecnica e diritto tra pubblico e privato, cit., pp. 184-186.

663 Come per le attività poste in essere dal curatore a beneficio del soggetto inabilitato.

664 Si veda Regolamento UE n. 1025/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012. Per un

esempio di tale investitura, si veda l’art. 10, paragrafo 1: «La Commissione può chiedere, entro i limiti delle

competenze stabiliti nei trattati, a una o più organizzazioni europee di normazione di elaborare una norma europea o un prodotto della normazione europea entro una determinata scadenza. Le norme europee e i prodotti della normazione europea sono determinate dal mercato, tengono conto dell’interesse pubblico e degli obiettivi politici

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enti, che hanno natura privatistica e non perseguono finalità lucrative, possono dirsi affidatari di un munus665. Ciò del resto può dirsi anche del DIN tedesco, che opera in virtù di apposito accordo governativo (Normenvertrag) al fine di creare normativa tecnica666, nonché di tutti i casi dove la legge investe – attraverso una delega – il normalizzatore privato.

Come rapportarsi però in relazione ai normalizzatori di carattere transnazionale? Possono questi ultimi dirsi affidatari di un munus? La risposta è duplice.

Nel caso di ISO, IEC, UTI, nonché di tutti i normalizzatori riconosciuti a livello regionale, il rinvio mobile alla normativa tecnica prodotta contenuto nella maggioranza dei casi nelle normative nazionali o regionali non lascia dubbi sul fatto che anche i normalizzatori internazionali siano affidatari di un munus.

Nel caso invece di quelle già menzionate forme di normalizzazione ibride o più o meno occulte, o anche nel caso della normalizzazione non consensuale che si afferma per forza di mercato667, non esistendo un meccanismo di delega, bisogna concludere per l’insufficienza della teoria del munus. Pertanto, a meno dell’individuazione di una forma legittimante diversa, l’unica conclusione a cui bisogna giungere è quella di una cogenza de facto acquisita, a cui non fa capo un’attribuzione di legittimità.

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