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6.3 Raccontare il proprio lavoro

6.3.1. a * Performer

Soprattutto nel caso del femporn e del queerporn, la componente identitaria, di esplorazione delle sessualità e delle pratiche sessuali e l'interpretazione in chiave politica del proprio lavoro, sembra assumere un ruolo più centrale rispetto a quella economica, legata alla fama o esibizionistica. Visto l'impegno all'interno del movimento femminista o lgbtq e, come vedremo a breve, i profili delle persone intervistate (classe sociale e istruzione, ad esempio), non sembrerebbe trattarsi di una mera giustificazione verso l'esterno o di una strategia di gestione de compensazione dello stigma Questo genere di motivazioni non sembrerebbero altrettanto centrali però nel caso dei male performers mainstream italiani intervistati. Dalle loro interviste sembrerebbe emergere la mobilitazione di determinati copioni di genere, secondo i quali “voglio dire, era il sogno di ogni ragazzo. Essere pagato per fare sesso con donne bellissime” (R., performer mainstream, uomo cisgender, Italia). Per un altro, con una carriera molto lunga nel settore, oltre alla conferma di quanto dichiarato da R., ad avere un peso sarebbe stata anche la mancanza di alternative valide “non volevo finire a fare altre cose, che prospettive avrei avuto?” (S., performer mainstream, uomo cisgender, Italia). In questo senso il genere intersecherebbe la classe di provenienza del performer, che racconta di essere cresciuto in un quartiere difficile, di avere un titolo di studio basso e scarso capitale sociale a cui attingere. Questo elemento è però emerso solo in un secondo momento dell'intervista; la prima ricostruzione vedeva infatti come centrale la trasformazione in lavoro, il rendere tangibile e quotidiano, quello che qualsiasi uomo avrebbe voluto fare: il sesso. Integrando però questa informazione con le altre sopra riportate, si potrebbe ipotizzare in questo caso di non essere di fronte alla mobilitazione di uno script quanto alla sua formulazione (Edwards, Frith e Kitzinger in Rinaldi, 2017), per cui gli script non corrisponderebbero

“... a schemi o modelli preesistenti all’interazione, ma vengono costruiti e spiegati in forma discorsiva dagli attori nel momento stesso in cui si rendono

necessari [...] a produrli concorrono giustificazioni e rassicurazioni personali ex post […] Lo script entra in gioco insomma anche per motivare quel che precede o segue un’attività erotica e per riconoscerle un senso soggettivo” (Stella, 257: 2017)

In questo senso dunque, la creazione dello script fungerebbe sia da pacificatore di tratti biografici che esulerebbero dall'ambito sessuale e, al contempo, confermerebbe una certa lettura della maschilità e della sessualità coerente con determinate aspettative sociali. Anche le performers intervistate che lavorano principalmente nel mainstream, rileggono la loro scelta di lavorare nel porno utilizzando il filtro dell' ordine di genere e sessuale. La loro storia sarebbe quella di donne avventurose e curiose, che decidono di lavorare nella pornografia per motivazioni personali che poggiano sulla voglia di “lavorare e divertirsi” ma anche di cambiamento delle aspettative sociali verso il genere e la sessualità femminile:

“Anche quando lavoravo solo nel porno mainstream, sentivo che stavo facendo porno femminista […] ero là per consegnare un messaggio: che le donne potevano fare sesso e divertirsi […] che può fare sesso con partner diversi, anche multipli, usare sex toys, fare sesso in luoghi pubblici, con qualcuno che non fosse suo marito e non le sarebbe successo niente” (N., performer prevalentemente mainstream, donna cisgender, USA)

Secondo N., il fatto che la pornografia vada a rompere certi tabù, come il sesso extraconiugale, o il fatto che la donna cerchi attivamente interazioni sessuali e non si limiti a subirle, rende la pornografia tout-court qualcosa di radicale122

Rispetto ai colleghi appena citati si tratterebbe dunque di incidere su determinati copioni e non di confermarli. Questo aspetto è apparso particolarmente centrale per quanto riguarda le performer con una lunga carriera nel porno.

Dopo aver approfondito le motivazioni riportate da* performer, passeremo ora ad affrontare il momento dell'ingresso nell'industry. Nell'atto pratico, il primo accesso all'industria pornografica parrebbe essere abbastanza semplice e privo di grossi ostacoli e, nel caso delle persone intervistate, può essere dipeso da casualità (un* amic* che propone un progetto, annuncio su un giornale, passaparola o simili) o dalla precisa scelta e volontà di cominciare a fare pornografia, un sentire che, dopo averci riflettutto per molto tempo, “il momento [per mettersi in gioco] è arrivato” (S., uomo cisgender, performer principalmente queerporn, USA), con conseguente ricerca di una “giusta” occasione per iniziare.

Da questo quadro la percezione è che le competenze tecnico-professionali de* performer richieste prima di aver accesso all'industria pornografica non siano così stringenti e abbiano più a che fare con tratti caratteriali (timidezza/apertura) o identitari. Le competenze si costruirebbero dunque in itinere, tramite l'esperienza sul campo. E pur vero però che la maggior parte delle persone intervistate, soprattutto appartenenti alla comunità queer, hanno un background nel mondo dell'arte, anche performativa, o di altri generi di sex work (go go dancer, stripper per fare qualche esempio), implicando una certa esperienza nel lavoro col corpo.

I “profili” de* performer intervistat* risultano estremamente disomogenei e tentarne una classificazione avrebbe poco senso; è però interessante sottolineare come, rispetto alla percezione dell'opinione pubblica che immagina biografie che si sviluppano all'interno di contesti di classi sociali disagiate e bassa istruzione, il quadro da me raccolto racconta invece di performers123, con titoli di studio alti: la quasi totalità delle intervistate e degli intervistati, fa eccezione il performer italiano T. (di cui ho precedentemente presentato uno stralcio di intervista), posseggono almeno un diploma, con una percentuale importante di laureat* e addottorat* nelle discipline più disparate, dalle arti, ai gender studies, passando per il diritto, fino a economia o neuroscienze. Questo slittamento tra la percezione esterna e quella riportata dalle persone intervistate è uno degli elementi che possono rendere conflittuale il rapporto tra insiders e civilians124 che interpretano * prim* come persone “prive di alternative”:

"Ho una laurea specialistica! Si tratta di persone con un alto livello di istruzione, molto più di quanto la gente possa immaginare. Certo che le mie alternative sono diminuite dopo aver cominciato a fare porno perchè un sacco di aziende non ti assumerebbero mai perchè sei una sex worker. Non si tratta quindi dell'industria della pornografia ma di quello che la circonda! Riguarda le aspettative della comunità, di come la nostra società tratti le sex worker e non del sex work di per sè. Sono entrata nell' industria quando avevo 23 anni, con una laurea magistrale, stavo per sposarmi. Questa era per me la scelta migliore: mi ha permesso l'uso migliore del mio tempo, ho potuto fare molte cose, come creare la mia stessa compagnia, ho ricevuto una paga giornaliera maggiore rispetto ad un'intera settimana di lavoro nel settore in cui mi sono laureata. Per me è una situazione estremamente positiva, perchè avrei dovuto scegliere qualcosa di diverso?” (L., donna cisgender, performer e produttrice mainstream, USA).

Un'altra intervistata, veterana dell'industry, racconta che all'inizio della sua carriera, a metà degli anni '80, le performers nell'industry con un titolo di studio alto, per quanto lei 123 Le persone intervistate erano sia attive nel queer/fem porn che nel mainstreamporn.

ricordi, erano solo due ma molte delle altre provenivano comunque anche da famiglie agiate. Prosegue esprimendosi invece sull'idea delle performers (è principalmente nei confronti delle donne che viene mobilitato un certo tipo di argomento) come “ragazze interrotte” e problematiche: “...la gente pensa alle giovani donne nel porno come donne povere, a pezzi, deboli. Ma la maggior parte delle volte, si tratta di ragazze ambiziose, competitive, avventurose e ribelli” (N., performer prevalentemente mainstream, donna cisgender, USA).

Molto poco è emerso invece riguardo le famiglie d'origine, salvo rare eccezioni in cui si dichiarava (sia uomini che donne), senza troppi approfondimenti, di provenire da una famiglia “estremamente conservatrice” o “che condivideva valori femministi”. Nello specifico di queste dichiarazioni, lo “sguardo” della famiglia, i suoi valori e la sua lettura del mondo sociale, sembrerebbero più centrali rispetto ad altri elementi come la classe sociale.