Per molto tempo la pornografia è stata considerata, sia dall'opinione pubblica che dall' accademia, come qualcosa di “eccezionale” e, oserei dire, fuori contesto. Posta al centro di numerose ansie e preoccupazioni sociali sui suoi “effetti”, agli studiosi, e alle studiose soprattutto, che decidessero di occuparsene, veniva implicitamente richiesta, almeno fino alla fine degli anni '90 e ai primi del 2000, una presa di posizione, spesso prettamente ideologica, all'interno della polarizzazione pro o vs pornografia, attribuendo alla stessa un valore o implicitamente negativo o, al contrario, necessariamente liberatorio e rivoluzionario (Juffer, 1998; Attwood, 2002; Williams, 2004; Zecca, 2012). A mancare era quindi una lettura “contingente”, che tenesse conto del contesto storico, culturale, sociale ed economico e di come le pratiche di produzione, distribuzione e fruizione, ma perfino di censura, fossero influenzate, segnate, promosse da (e al contempo avessero effetti su) tali contesti. Vedremo a breve, partendo dalla ricostruzione di Attwood (2002) e Zecca (2012), quali temi e cambiamenti siano stati trattati e si siano verificati all'interno dei porn studies. Per il momento, concentrandomi sulla percezione sociale diffusa, vorrei sottolineare come al “panico morale” collegato prettamente alla pornografia audiovisiva e al suo consumo da parte di determinate categorie, nel tempo, si sia andato aggiungendo, nell'opinione pubblica e nei media, quello della c.d. pornificazione della società. Questo passaggio è particolarmente curioso: la pornografia è stata dapprima relegata ad un luogo altro rispetto alla quotidianità (cinema a luci rosse prima e nel privato delle mura domestiche con l'avvento del vcr poi) e sanzionata moralmente e socialmente, in quanto percepita come deviante (seppur nella logica intrinseca della doppia morale tra sessualità maschile e femminile) ed eccedente rispetto alla norma del quotidiano e del visibile. Il diffondersi di immagini e immaginari, stili e codici propri della pornografia in altri settori, e dunque una sua “normalizzazione”, hanno però portato agli stessi risultati in termini di ansia e preoccupazione collettiva. A creare allarme non è tanto, o non esclusivamente, l'incremento della produzione di materiali e la possibilità di accedervi e fruirne fuori dai contesti strettamente privati grazie alla c.d. svolta digitale, quanto la centralità delle sessualità per la formazione dei soggetti contemporanei e lo scavallamento di “stili” e “pratiche” fuori dal frame circoscritto delle produzioni hard core, che ha portato a parlare di “pornificazione della cultura mainstream” (Leggendaria 122-2017, p. 7), “...di “striptease culture” (McNair 2002) e di “pornificazione del mainstream” (McNair 1996)
[…] e [come questo] contribuisce a plasmare il modo di percepire la sessualità (Biasin, Maina, Zecca 2011)...” (Garelli, Camoletto 2012:232). Tali reazioni dunque, non sembrerebbero relative alla pornografia di per sé quanto, piuttosto, alla percezione della diffusione di alcune culture sessuali e al timore sui suoi possibili effetti; Le recensioni al Festival di Sant'Arcangelo riportate sembrerebbero coerenti con questa lettura. Tanto più che il concetto stesso di pornografia si è andato modificando nel tempo e nello spazio, mettendo in luce una certa difficoltà definitoria, da parte delle/gli studios*, (Kendrick, 1987 in Attwood 2002, pp. 94-95) che, nel suo tentativo di giungere a una conclusione, più che “scoprire”, ha finito per produrre i testi pornografici (ibid.).
Il proliferare di discorsi sul sesso, e le sue rappresentazioni, sono stati definiti da Linda Williams (2004), pioniera dei porn studies, con il termine “on/scenity”, in un gioco di parole che sottolinea l'irruzione sulla scena pubblica dell'osceno, di ciò che dovrebbe letteralmente rimanerne escluso, non solo in riferimento all'aumento di tali rappresentazioni ma anche della loro disponibilità per il grande pubblico, sottolineando però la tensione continua tra ciò che reputiamo “mostrabile” o, nei suoi termini, “speakable”, o meno.(2004:3-4)
E dunque evidente come i discorsi della e sulla pornografia siano collegati a quelli della e sulla sessualità e, come abbiamo avuto modo di approfondire nel precedente paragrafo, siano dunque socialmente e culturalmente costruiti. Per banale che possa apparire questo passaggio, è comunque necessario sottolinearlo dal momento che, ritorno sul punto, la percezione diffusa delle produzioni pornografiche, per gli interessi di questa ricerca esclusivamente audiovisive, le vede come sempre uguali a sé stesse, monotone e ripetitive, unitarie, attribuendole dunque uno status “eccezionale” rispetto alle altre produzioni culturali in generale e cinematografiche nello specifico. Se è innegabile che, per molto tempo, quella pornografica è stata (ed è tutt'ora) un'industria al “maschile”, categoria essa stessa multisfaccettata e tutt'altro che coerente al suo interno, in cui si possono tracciare alcuni elementi ricorrenti, appiattirla sotto una rappresentazione monolitica sarebbe un grave errore e rappresenterebbe una manifestazione di cecità sul rapporto tra testi e contesti.
Tale rapporto è divenuto centrale all'interno dei porn studies, e rappresenta un punto di svolta all'interno della disciplina. Come illustrato da Attwood (2002), a una prima fase di studi focalizzata esclusivamente sul testo e sui suoi effetti, sviluppatasi all'interno delle sex wars e soprattutto in un'ottica femminista, comunque importante per la sua analisi delle
rappresentazioni sessuali misogene, è seguita una fase, tutt'ora in corso, in cui si è cominciato a prestare più attenzione alla contestualizzazione della pornografia. Nelle parole di Attwood:
“...In linea di massima, questo è un passo verso la contestualizzazione della pornografia e si svolge in diversi modi: attraverso una teorizzazione del modo in cui la pornografia acquista significato in un quadro culturale più ampio, come categoria di profano o trasgressivo, come discorso “fuorilegge " e come un genere di low culture; attraverso l'esame approfondito di specifici testi pornografici; attraverso il tentativo di descrivere gli attributi generici della pornografia all'interno di una vasta gamma di media e attraverso la ricerca sui modi in cui la pornografia viene consumata e integrata nella vita quotidiana. Inoltre, c'è una rivisitazione dei dibattiti chiave intorno alla pornografia, al suo rapporto con la politica del sesso, del genere e della classe, delle sue connessioni ad altre forme di rappresentazione, della sua collocazione all'interno delle sfere pubbliche e private e di una grande speculazione sul suo futuro sviluppo
.”
(2002:93, trad. mia)Secondo Zecca (2012), tale spostamento di fuoco non rappresenta un cambiamento interno a i porn studies ma segna invece proprio la loro nascita (attribuendo dunque ad altre discipline gli studi precedenti): “[...] i porn studies concepiscono la pornografia anzitutto come un oggetto culturale da analizzare e comprendere, piuttosto che come un (mero) problema di ordine politico, morale o legale da risolvere [...]” (2012: 47).
Attwood prova a leggere il cambio di rotta, anche di ordine metodologico, nei confronti dello studio delle rappresentazioni della sessualità, identificando dei fattori che potrebbero aver avuto un ruolo nel causarlo. Il primo potrebbe essere l'emergere di una determinata prospettiva teoretica nei cultural studies che si occupa della “natura polisemica dei testi, della potenziale fluidità delle letture […] dei significati del “gusto” come forma di distinzione culturale...” (p. 93). Il secondo punto sollevato riguarda il femminismo e la sua controparte accademica, come definita dall'autrice, i women's studies, e l' emersione, al loro interno, di diverse posizioni e correnti che pluralizzerebbero il concetto stesso di femminismo e, nella c.d. quarta ondata, ripenserebbero e problematizzerebbero il rapporto con la pornografia fuori dal binarsimo pro-contro (Magaraggia, 2015:31) . Il terzo punto, a parer mio da leggere in termini di reciproca influenza rispetto al secondo, riguarda il movimento e, nuovamente, la controparte accademica, LGBTQ che ha posto l'accento su importanti questioni quali la distinzione tra genere e sessualità, affrontate in modo più attento nella parte del presente contributo dedicata alle teorie sulle sessualità, e, di
conseguenza, sulle possibili significazioni della produzione e del consumo di pornografia (p. 93). Sulla base di questi cambiamenti, Attwood riporta un cambio di rappresentazioni del sesso e delle sessualità nei media, con il moltiplicarsi di varietà di porno che andrebbero a intercettare nuove audiences, nel tentativo di riconciliare la sessualità esplicita con le politiche radicali (p.94); a questi elementi, Zecca (2012) aggiunge la centralità delle innovazioni tecnologiche, che hanno permesso una produzione e diffusione di materiali hardcore senza precedenti, che spiegherebbe non solo i cambiamenti, quanto la nascita e diffusione della disciplina dei porn studies stessa.
Attwood (2002) identifica tre nodi centrali in cui sono raggruppabili i principali contributi alla disciplina, dopo il cambio di paradigma:
1) Definitions and effects/taste and distaste.
A questo primo punto corrispondono gli studi relativi al significato della pornografia come categoria culturale, discorso o genere, interrogando i precedenti studi sulle definizioni e gli effetti della pornografia e ricercandone il significato per tutt* * membr* di una cultura, siano essi “consumatori/trici” o meno e sottolineando la dimensione simbolica a livello di categorizzazione culturale e regolazione sociale (Kendrick, 1987; Kipnis, 1986; Nead, 1992; Segal, 1994; Penley, 1997). (pp. 94-97)
2) Pornographication:
Il secondo nodo, riguarda i contributi che problematizzano il cambiamento di status della pornografia in riferimento alle rappresentazioni mainstream delle sessualità e agli sviluppi tecnologici, sottolineando i concetti di privato/pubblico, lecito/illecito, lettor* e testo, reale e rappresentazione, produzione/consumo (McNair, 1996; Raven, 1998; Lumby, 1997). (pp. 98-100).
3) From pornography to pornographies: readers, texts and contexts:
L'ultima questione che, secondo Attwood, assorbe diverse riflessioni sulla pornografia, è quella dei diversi testi pornografici (situati) e dei/lle suoi/e lettor*. In questo senso, a divenire cruciale, è anche il processo di classificazione tra ciò che reputiamo pornografico e ciò che non reputiamo alla stessa stregua, il rapporto tra i vari tipi di prodotti che, pur venendo classificati come tali, presentano tra loro dei forti gradi di disomogeineità e discontinuità (ad. es. videogame, porno gay e mainstream, giornali e via dicendo) e,
soprattutto, il contesto di produzione, distribuzione, fruizione, consumo, interpretazione e costruzione di significato dei testi pornografici a seconda del tipo di audience, delle loro pratiche e repertori (alle origini Williams, 1989 poi, Ang ed Hermes,1991; Wicke, 1993; Segal, 1994; Juffer, 1998). (pp. 101-103).