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L'uscita dal campo: “basta interviste!”

La negoziazione dell'uscita dal campo, ha rappresentato un momento di forte crisi. Trattandosi di campi diversi e spesso lontani tra loro, non mi aspettavo in alcun modo di dover affrontare delle questioni spinose e la crisi, di cui parlerò, mi ha colta completamente impreparata. Il tempo di permanenza su ogni campo era minimo, collegato spesso alla durata ed esistenza del campo stesso, che spesso si esauriva nell'arco di pochi giorni. Tuttavia, si sono create due diverse situazioni che hanno rallentato la mia consapevolezza che era il momento di chiudere.

La prima è dipesa, potrei dire, da fattori esterni e dal tipo di rapporto, continuativo e costante, che si era venuto a creare con alcun* gate keepers, soprattutto italian*. Tutte le volte che sembrava esauritasi la rete di contatti da mettere a disposizione, venivo sollecitata a presenziare ad un nuovo evento o a parlare con nuove persone: “devi per forza parlare con lei/lui/loro. Fa delle cose che non possono non interessarti!”.

Il rischio, naturalmente, non era solo quello di un lavoro potenzialmente infinito ma anche di un eccessivo allargamento dei confini del tema di ricerca che avrebbero incluso qualsiasi cosa avesse a che fare con una sessualità performata, artistica, lavorativa o

“pubblica”. Da questo punto di vista, si potrebbe dire, che la mia uscita “sociale” dal campo, a livello di percezione esterna, di terz*, del mio lavoro, è ancora in fase di definizione e continua a richiedere un certo sforzo di chiusura ed allontanamento.

Il secondo elemento riguardava invece la mia percezione dei dati raccolti: questi, sembravano sempre troppo pochi, esigui, incompleti. In realtà, come ho avuto modo di spiegare, ho svolto numerose interviste e osservazione in diversi campi ma, per quanto mi sembrasse di avere un quadro che, seppur situato e contestuale, mi appariva abbastanza chiaro e coerente, il senso di incompletezza mi spingeva a cercare nuov* interlocutor*, luoghi e situazioni.

La chiusura della fase di raccolta dei dati è avvenuta in modo abbastanza repentino, a seguito di un confronto con la tutor della ricerca che ha, in un certo senso, “smascherato” il mio innamoramento nei confronti del campo e consigliato un'attenta quanto urgente gestione dell'uscita dal campo.

Conclusioni

Obiettivo di questo capitolo, è stato offrire un quadro metodologico della ricerca, dalla definizione dei quesiti, alle tecniche di raccolta dei dati, e dare spazio ai contesti della ricerca, ai vari campi osservati. La descrizione dei molteplici luoghi in cui sono state raccolte le interviste e fatta osservazione, è servita come punto di partenza per riflettere su alcuni nodi teorici centrali per lo sviluppo dei successivi capitoli del presente contributo e per interrogare la metodologia utilizzata attraverso il filtro del mio posizionamento di giovane ricercatrice (accademicamente), donna ed eterosessuale. Prendere consapevolezza di come il proprio posizionamento sia “incorporato” non è stato un passaggio scontato. Ad essere osservati, sono stati dei mondi sociali sessuali, in cui la costruzione sociale delle sessualità di genere assumeva manifestazioni differenti e dipendenti dalla mia interazione con i soggetti e con il campo stesso. Se è vero che tale interazione è presente in qualsiasi ricerca, il fatto che oggetto di studio fossero dei mondi esplicitamente sessuali, ha comportato a più riprese una irruzione della mia dimensione corporea sessuata nel campo, anche in momenti in cui il corpo, il mio, sembrava essersi eclissato.

Studiare la sessualità, come approfondito nella prima parte di questo capitolo, presenta diverse difficoltà. L'oggetto di ricerca fatica ad ottenere un degno riconoscimento e viene

spesso richiesta una “giustificazione” della scelta di occuparsene. Così, come abbiamo visto, il fatto di essere socialmente riconosciuta come donna o come uomo, eterosessuale o GLBQ, intersecando il livello di avanzamento della propria carriera accademica (dunque l'età), delimita la possibilità di studiare fenomeni che, nonostante la grande diffusione, come nel caso della produzione e del consumo di pornografia, vengono reputati residuali e poco importanti per l'avanzamento della propria disciplina.

Eppure, i mondi sessuali e i discorsi ad essi collegati, sono un luogo privilegiato per tracciare e problematizzare i processi di costruzione delle sessualità, dei generi e dei significati sessuali che informano le nostre esistenze anche al di fuori di tali contesti. Come espresso da Rinaldi (2016: VIII)

“Siamo continuamente apprendisti degli scenari sessuo-culturali esistenti nei nostri contesti sociali, tuttavia, nel momento in cui ci viene richiesto di mettere in atto quanto abbiamo appreso, incontriamo le richieste di situazioni concrete (le sollecitazioni di un altro, di un'altra o di altri contemporaneamente), delle interazioni socio-sessuali che si verificano con gli altri: dunque, non siamo meri attori che devono attenersi alle proprie battute ma, piuttosto, diventiamo improvvisatori, drammaturghi di noi stessi.”

Questo stralcio, a mio parere, offre una sintesi di quello che è stato il percorso di questa ricerca, dei nodi critici emersi. L'incontro con i diversi campi e soggetti della ricerca, hanno infatti permesso di osservare da vicino, da luoghi spesso negati allo sguardo esterno, come i set o la seduta di web-caming, la presenza di scenari sessuali e culturali che orientano l'azione ma come l'individuo, nell'unicità dell'esperienza e dell'interazione che sta vivendo, nel suo “contesto sociale” non universale, possa intervenire o essere già intervenuto, su di essi. Così, il significato attribuito a condotte, desideri, pratiche sessuali e, dal punto di vista delle/degli insiders, lavorative, così come le interpretazioni, da parte del pubblico, di quei prodotti che vanno a contribuire all' immaginario sessuale, dipenderebbero da determinati ordini di genere e sessuali che non sarebbero però fissi, immutabili, astorici ma, per quanto pervasivi, sempre e comunque situati. Alla luce di quanto emerso, questo è vero per i soggetti incontrati sul campo, quanto per chi sul campo si introduce per fare ricerca, richiedendo dunque una problematizzazione della propria esperienza, incorporata e specifica.

In quest'ottica, il fatto di svolgere la ricerca in diversi campi, seppur restituendo dati non necessariamente comparabili, ha permesso l'emersione delle configurazioni e riconfigurazioni dei suddetti ordini nei discorsi e nelle pratiche della e sulla pornografia e, dal momento che questa non viene prodotta, performata, fruita e raccontata in un vuoto

Capitolo 4

Ricomporre il puzzle: storia, narrazioni e criticità sul discorso

pornografico

Come abbiamo visto, non si può pensare di studiare le pornografie senza interrogare il contesto in cui i discorsi su di esse, e da esse proposti, vengono creati, pensati, fatti circolare, incontrati.

Presentare i risultati di questa ricerca rappresenta, in un certo senso, una sfida. Da un lato, i dati sono stati raccolti tramite interviste ad insiders ed osservazione di luoghi e situazioni che, in modo immediato, possono essere percepiti come collegati direttamente alla pornografia in “senso stretto”; dall'altro, proprio in virtù del rapporto tra pornografia e contesto in senso più ampio, ho intervistato, incontrato e osservato, persone e situazioni non strettamente interpretabili come “pornografiche” ma comunque focalizzate sul tema della sessualità, del piacere, del corpo e della loro messa in scena più o meno esplicita. Piccole realtà imprenditoriali, grossi festival, singol* performers, teatri, provini, set vuoti e set attivi, rivenditrici di sex toys per donne, convegni e proiezioni, attivist* lgbtq, femminist* pro/contro/indecis*/critic*, in Italia, Canada e Usa, hanno dapprima rappresentato delle fonti di informazione che potevano apparire isolate, lontane le une dalle altre, per poi andare a tracciare un disegno, non sempre armonico o lineare, comunque non facilmente “sintetizzabile” in quanto situato, di quella che è stata la mia esperienza dei mondi e dei discorsi della e sulla pornografia.

A seguire, cercherò dunque di raccontare e rendere conto di tale esperienza, collocandomi e collocando i dati nel contesto in cui sono stati raccolti e cercando il più possibile di seguire una linea ideale che divida quelli relativi ai “discorsi” da quelli relativi alle pratiche, lavorative ma non solo, e alle narrazioni di chi “fa” pornografia in senso più stretto.59 Attraverso un tentativo di distinzione tra post-porno, porno queer, femminista e per donne, tenterò dunque di restituire alcuni nodi centrali riguardo i discorsi della/sulla pornografia emersi durante la ricerca. Come abbiamo visto, la distinzione tra generi basata su criteri sintattici, semantici e pragmatici (Altman, 2004; Caponi, 2013) restituisce un 59 Tale divisione è puramente utile a una presentazione più “ordinata” e chiara dei risultati ma andrebbe comunque interpretata come, in un certo senso, “forzata” e molti saranno i punti di sovrapposizione e slittamento tra le due parti. Idealmente, la parte dei discorsi restituisce, principalmente ma non solo, i dati raccolti nel contesto italiano mentre la seconda, sempre in linea generale e non esclusiva, quelli raccolti tra Canada e Usa. Ad eccezione delle interviste fatte ai performers maschili italiani, come vedremo, quasi tutti impegnati nel c.d. mainstream, il contesto in cui si poteva parlare di vere e proprie pratiche lavorative all'interno di produzioni di porno femminista e queer, era infatti, quello Nord Americano.

panorama estremamente fluido e “instabile”, e il presente contributo cercherà di rendere conto di questo aspetto: verrà dunque, da un lato, esplorata l'emersione dei vari generi, tenendo presente i cambiamenti storici e del contesto, e dall'altra, la percezione riportata dal pubblico incontrato nel corso della ricerca, reale o potenziale, attraverso l'uso della teoria dei copioni sessuali e del costruzionismo sociale.